Europa, comunicato congiunto Camera e Senato

“In  vista  delle  prossime  elezioni,  mentre  soffia  così forte il vento dell’antieuropeismo,  dobbiamo  saper indicare ai cittadini, soprattutto ai più giovani, le ragioni concrete per le quali votare è importante: l’Europa può cambiare in meglio la vita di ciascuno di noi.” Durante i lavori della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea,  che  si  sta  tenendo  in questi giorni a Vilnius in Lituania, il presidente  del Senato,  Pietro Grasso, e la presidente della Camera, Laura Boldrini,  sono  intervenuti  a  favore  di  un  maggior coinvolgimento dei parlamenti nazionali nelle decisioni del Parlamento europeo. I  presidenti  hanno  sottolineato,  nei  loro  interventi e negli incontri bilaterali,  che nei prossimi mesi, durante la delicata fase di transizione delle istituzioni europee, l’Italia assumerà la guida del Consiglio europeo per   dare  il  via  ad  una  nuova  legislatura  incentrata  su  crescita, occupazione   giovanile,   sviluppo   sostenibile,  diritti,  integrazione, politiche comuni per l’immigrazione e la giustizia.

“Alla  logica  del rigore di bilancio, che pure è stata necessaria, occorre affiancare  un  fortissimo  impulso per dare risposte ai bisogni quotidiani dei   cittadini   promuovendo   la   crescita  economica  e  l’occupazione, soprattutto  per  i  giovani  che  sono  fuori dal mondo del lavoro e dello studio.  Non  chiudiamo  il dibattito nel recinto tra più o meno Europa, ma cerchiamo di costruire un’Europa migliore”, dice il presidente Grasso. “In  risposta  ai  fenomeni  di concentrazione della ricchezza e di aumento delle  disuguaglianze,  è  importante introdurre indicatori degli squilibri sociali che abbiano la stessa rilevanza dei parametri economico-finanziari. Per  recuperare  la  fiducia dei cittadini verso le istituzioni nazionali e europee  l’Unione  deve  saper  monitorare  e  contrastare  la crescita del divario  sociale  tra gli Stati e dentro gli Stati”, conclude la presidente Boldrini.

Conference of Speakers of the European Union Parliaments

Cari Colleghi,

Per prima cosa ringrazio il Parlamento della Repubblica di Lituania e la Presidente Grauziniene per la splendida accoglienza in questa bella città. Sono estremamente lieto di poter partecipare a questo momento di confronto e di cooperazione tra assemblee rappresentative che è particolarmente significativo in quanto si svolge in una fase delicata per l’Unione Europea. Oggi più che mai la costruzione europea è a un punto di svolta, sotto assedio. Deve fronteggiare questioni epocali: la crisi economica e finanziaria, le migrazioni, la criminalità organizzata, l’instabilità geopolitica alle nostre porte causata da conflitti, da povertà, terrorismo, violazioni dei diritti e della dignità umana. Ed è minacciata da nazionalismi, populismi e sentimenti di disaffezione e sfiducia nei confronti di un progetto a volte percepito come lontano dagli ideali iniziali ed incapace di garantire benessere e futuro dei cittadini. La campagna per le elezioni europee del 25 maggio si apre così in un clima di disorientamento che rischia di far dimenticare ai nostri cittadini gli enormi progressi realizzati da un progetto appassionante che ha garantito al “vecchio continente” un periodo di pace e di stabilità prima inimmaginabili. E credo che noi tutti, come rappresentanti delle istituzioni democratiche europee e testimoni del passato, dobbiamo proprio in questo momento sentirci investiti della responsabilità individuale e collettiva di affrontare certi nodi irrisolti nell’edificio istituzionale dell’Unione e restituire così alla coscienza dei nostri cittadini fiducia nei valori di libertà, giustizia e dignità umana che sono alle fondamenta del progetto europeo.

Sono trascorsi cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che, dopo il fallimento della “Convenzione sull’avvenire dell’Europa”, ha saputo dare all’Unione Europea una prospettiva evolutiva solidamente radicata nella tradizione, ma anche sapientemente lungimirante. Il Trattato ha riconosciuto esplicitamente il fondamentale contributo che i Parlamenti nazionali offrono “al buon funzionamento dell’Unione” e il controllo di sussidiarietà ne è una prova. Il principio di sussidiarietà detta una delle regole fondamentali della democrazia europea: le decisioni devono essere portate al livello più vicino possibile ai cittadini. I Parlamenti nazionali sono così chiamati ad operare come sentinelle della democraticità e della rappresentatività delle scelte operate a Bruxelles, esercitando una funzione di filtro e di impulso tra i bisogni degli elettori e le scelte strategiche della governance europea.

Il Parlamento italiano ha da subito inteso promuovere un’interpretazione costruttiva delle nuove procedure di controllo sui principi di sussidiarietà e proporzionalità, come strumenti intesi a garantire una migliore qualità della normativa europea e, più in generale, come prevede il Trattato, “un miglior funzionamento dell’Unione”. Per il mio Paese, che non aveva un’esperienza di puntuale scrutinio parlamentare dell’attività europea del Governo, il dialogo politico con la Commissione Europea ha costituito uno stimolo prezioso. I nuovi strumenti hanno permesso un più attivo coinvolgimento delle Commissioni parlamentari e dell’Aula del Senato nelle questioni europee; abbiamo riformato (allineandoci alle migliori esperienze europee) la normativa che disciplina la partecipazione del Parlamento italiano alla formazione del diritto e delle politiche europee. Lo abbiamo fatto nel segno della tradizione fortemente europeista del nostro Paese, a sostegno di una maggiore integrazione e di una più efficace azione dell’Unione. Io sono convinto che pur essendo il controllo di sussidiarietà prerogativa dei Parlamenti nazionali, debba essere contrastata qualsiasi lettura che inquadra questa funzione in termini escludenti e conflittuali. Questi strumenti devono essere utilizzati dai Parlamenti nazionali in modo non competitivo rispetto al Parlamento Europeo, e più in generale al Legislatore dell’Unione; non risolversi in mere forme di freno o di ostacolo al processo decisionale europeo.

Il Parlamento europeo, che pure interviene in una fase successiva del procedimento decisionale, è chiamato ad un compito di rappresentanza delle istanze “dal basso”, e quindi di garanzia, che deve essere letto in linea di continuità con il potere di vigilanza delle assemblee rappresentative degli Stati. La complementarietà di questi due canali di democrazia rappresentativa ci induce a sostenere e promuovere prospettive di cooperazione anche a carattere preventivo, finalizzate a fare interagire le assemblee elettive, a tutti i livelli. Per affrontare la crisi di fiducia che investe il progetto europeo dobbiamo ripartire dalla riscoperta dei meccanismi democratici di base, dalle assemblee rappresentative che sono funzionali a trasformare le domande degli elettori in politiche comuni di intervento. In questa direzione, nell’ambito del confronto politico e parlamentare in atto nel mio Paese a proposito di una sostanziale riforma dell’attuale sistema di bicameralismo paritario e di una revisione delle funzioni del Senato, è condivisa dalle diverse forze politiche l’esigenza di un rafforzamento dell’impegno europeo del Senato sia nella fase ascendente sia in quella discendente del procedimento legislativo.

La crisi ha amplificato le differenze tra Stati membri, alimentando una frattura tra Stati virtuosi e Stati in condizione di deficit strutturale, tra Stati finanziatori e Stati riceventi. Io sono fermamente contrario alle dinamiche di interazione a geometria variabile, che coinvolgono solo una parte degli Stati membri. Un’Europa a più velocità è inconcepibile. In questa prospettiva, credo sia di fondamentale importanza anche promuovere un nuovo approccio alla cooperazione interparlamentare ed al controllo di sussidiarietà, sfruttando appieno le potenzialità di questo strumento cooperativo che deve diventare una sede dove le assemblee elettive pongono i problemi per definire strategie di intervento comuni. Da una parte, i parlamenti nella dialettica democratica con i propri governi controllano e indirizzano l’azione degli esecutivi in seno al Consiglio dell’Unione. Dall’altra, la cooperazione interparlamentare può e deve contribuire a definire linee di azioni  condivise capaci di orientare il controllo operato a livello nazionale e quindi a livello europeo. E a questo rinnovato impegno delle assemblee rappresentative dovrebbe corrispondere anche una rafforzata disponibilità al dialogo da parte delle altre istituzioni europee, a partire dalla Commissione. Sarebbe utile prevedere ad esempio dei momenti strutturali di raccordo sui temi di maggiore interesse per i Parlamenti nazionali fra i Commissari e le Commissioni competenti dei Parlamenti nazionali.

Solo se sapremo farci trovare preparati ad affrontare queste istanze di rinnovamento istituzionale potremo trovare soluzioni comuni per affrontare le sfide che oggi la storia pone di fronte al progetto europeo. Un’Unione che si fonda, come recitano i Trattati “sui valori del rispetto della dignità umana, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani” deve riscoprire meccanismi decisionali funzionali a riaffermare quella dimensione politica dell’integrazione europea che è essenziale a rendere effettiva la clausola di solidarietà sancita dai Trattati fondativi.

Con questo spirito dobbiamo interpretare, ad esempio, le sfide che ci pone il delicato settore della giustizia ed affari interni, di cui si parlerà diffusamente nella sessione di domani. I fenomeni criminali, particolarmente quelli in forma organizzata, rappresentano una minaccia mortale al futuro delle nostre democrazie di fronte alla quale l’Unione Europea non può arretrare restare indifferente o rassegnata. Penso alla necessità di rafforzare strumenti comuni di cooperazione e di contrasto, a partire dall’aggressione legale ai patrimoni illeciti, attraverso moderne forme di confisca. Penso all’istituzione di una Procura Europea. A questo proposito, sono consapevole delle differenze che caratterizzano i sistemi penali e processuali dei Paesi membri, ma non comprendo del tutto le resistenze verso la creazione di una struttura di coordinamento dell’Unione che, seppur avvalendosi anche di organismi decentrati, innalzerà il livello europeo dell’azione di contrasto ai delitti contro gli interessi finanziari dell’Unione e garantirà risultati che nessuno Stato da solo potrà mai realizzare. E credo che questa conclusione derivi proprio dalla giusta interpretazione del principio di sussidiarietà.

Mi avvio a concludere concordando con la Presidenza greca, che ritiene che il tema della discussione politica debba incentrarsi non tanto sull’opzione “più Europa” o “meno Europa”, quanto sulla ricerca di un nuovo metodo di decisione idoneo a rendere gli interventi dell’Unione più mirati ed efficaci, anche grazie al rafforzamento del controllo dei parlamenti nazionali. Le misure legislative cardine delle diverse politiche dell’Unione devono essere soggette ad un controllo democratico diffuso e capillare, di cui i Parlamenti nazionali sono gli interpreti principali, attraverso un fondamentale punto di interlocuzione nel Parlamento europeo. L’unica risposta possibile alle questioni vitali che l’Unione europea è oggi chiamata ad affrontare va ricercata in una migliore governance dei processi economici e politici capace di contrastare la tendenza a diluire l’Unione europea in una mera organizzazione internazionale intergovernativa, attraverso un forte richiamo alla matrice democratica della costruzione europea e una solida disponibilità alla ricerca di soluzioni comuni.

Con questo spirito ci prepariamo al semestre di presidenza italiana che si terrà durante la delicata fase di transizione delle istituzioni europee e che deve segnare l’avvio di una legislatura europea dedicata all’occupazione giovanile, alla crescita, alla politica industriale, ai temi energetici, allo sviluppo sostenibile e insieme al rafforzamento delle istituzioni europee. La capacità dell’Unione di governare e non di subire le trasformazioni degli equilibri mondiali richiede poi un forte rilancio della presenza e del peso dell’Unione nel mondo, a cominciare dai nostri confini meridionali, il Grande Mediterraneo, e dai confini orientali, per promuovervi ad una sola voce stabilità, democrazia e diritti. Non più Europa o meno Europa, dunque, ma un’Europa migliore, meno chiusa dentro le logiche istituzionali e più aperta al dialogo con i cittadini e con noi, loro rappresentanti.

Questa è la nostra comune responsabilità, questo deve essere il nostro comune impegno. Grazie.

In ricordo di Gerardo D’Ambrosio

Lo scorso 30 marzo 2014 è morto a Milano Gerardo D’Ambrosio, componente della nostra Assemblea nella XV e XVI legislatura. Con la sua scomparsa viene meno uno dei maggiori protagonisti delle vicende giudiziarie italiane e un testimone di impegno e coerenza spesi a servizio delle istituzioni democratiche.

Nato a Santa Maria a Vico, in provincia di Caserta, il 29 novembre 1930, si laureò in giurisprudenza a Napoli nel 1952. Cinque anni dopo entrò in magistratura. Venne assegnato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Nola, successivamente trasferito al tribunale di Voghera e, infine, arrivò a Milano come pretore civile per diventare, dopo cinque anni, giudice istruttore penale conducendo l’istruttoria al processo per la strage di Piazza Fontana. Sulla sua indipendenza e imparzialità diceva: «La mia toga è sempre stata come quella degli altri: nera e con i cordoni dorati». Manlio Milani, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di piazza della Loggia, lo conferma: «Aveva ben saldo un solo principio in mente, quello della legalità». Era integro, intransigente con se stesso e con gli altri. Affermava: «Dobbiamo essere crudeli con noi stessi: il Paese ha rifiutato la legalità».

Nel 1981 passò alla procura generale di Milano con funzioni di sostituto procuratore generale, incarico che mantenne per otto anni e durante il quale sostenne l’accusa nel processo sul crac del Banco Ambrosiano. Nel 1989 divenne procuratore aggiunto dirigendo il dipartimento criminalità organizzata e dal 1991 quello dei reati contro la pubblica amministrazione. Nel 1992 entrò nel pool di Mani pulite. Saverio Borrelli, in un’intervista, lo ricorda così: «D’Ambrosio ha sempre dato un apporto di saggezza e di dottrina, indispensabile». Dal 1999 fu alla guida della procura della Repubblica di Milano fino a quando, nel 2002, andò in pensione.

In occasione del suo 72° compleanno, il giorno prima del pensionamento, affermava: «Nella magistratura non ci sono momenti belli né brutti. Ci sono momenti in cui cerchiamo di fare il nostro dovere fino in fondo, con grande imparzialità. Non è che lasci la magistratura. Mi occuperò ancora dei problemi della magistratura e combatterò ancora perché siano risolti i problemi della giustizia». D’Ambrosio era così, un combattente, un combattente sempre, e infatti dopo la magistratura si occupò di giustizia come senatore. Lasciò la toga ma mai abbandonò l’impegno per la giustizia. Alle elezioni politiche del 2006 accettò la candidatura proposta dai Democratici di Sinistra risultando eletto senatore per la Regione Lombardia e alle elezioni del 2008 venne confermato senatore del Partito Democratico.

In entrambe le legislature fu componente della 2a Commissione permanente ove ebbe modo di affrontare le questioni della giustizia che lo avevano spinto a dedicarsi, dopo l’esperienza da magistrato, alla vita politica e io là l’ho ritrovato nel corso delle numerose audizioni fatte in quella legislatura, l’ultima, nell’ambito delle riforme sulla giustizia e sulla sicurezza. Partecipò sempre attivamente ai lavori e ai dibattiti parlamentari. Come emerge chiaramente nei suoi interventi, in particolare in occasione degli annuali dibattiti sulla relazione del Ministro della giustizia, D’Ambrosio era consapevole delle gravi difficoltà che affliggevano, e ancora purtroppo affliggono, il sistema giudiziario italiano, in particolare i lunghi tempi di definizione dei processi. Era convinto che per risolvere il problema fosse necessario intervenire sulla disciplina delle impugnazioni per adeguarle alla logica del rito accusatorio, rimediando così ad una lacuna lasciata dal legislatore nel 1988.

Fu anche molto attento alle esigenze della cooperazione internazionale, alla lotta al crimine; fu infatti relatore in entrambe le legislature dei provvedimenti volti all’istituzione delle squadre investigative comuni sovranazionali. Proprio la passione civile lo portò in varie occasioni ad esprimere insoddisfazione per la difficoltà, incontrata nella nuova veste di parlamentare, di intervenire in modo efficace sui nodi irrisolti della giustizia. Una volta mi confidò: «Questi non ci ascoltano».

Per lui i principi venivano prima delle contingenze perché i principi sono i valori fondanti dello Stato di diritto, della giustizia, della democrazia. Nella seduta del 23 maggio 2012, ricordando Giovanni Falcone, a vent’anni dall’attentato mafioso, così affermava: «Le delusioni non hanno fermato Falcone, che era un grande uomo, un uomo di grande intelligenza e di grande capacità, ma anche di grande serietà». Le sue parole valgono per noi come monito intransigente e sono la sua memoria più viva. D’Ambrosio non si è fermato di fronte alle delusioni; la sua serietà è stata sinonimo di intelligenza, di fedeltà alla Costituzione e ai suoi valori fondanti. Infatti, D’Ambrosio ha combattuto sempre con quel grande senso dello Stato e delle istituzioni che lo ha guidato per tutta la vita. Ha contribuito e ha combattuto fino all’ultimo; la sua è stata una delle più alte dimostrazioni di integrità e insieme di severità.

Concludo pertanto il mio ricordo di Gerardo D’Ambrosio proprio con le sue parole: «La tendenza a cercare la scorciatoia è, in qualche modo, umana. Però la questione è prima di tutto culturale. Ma ricordo che il nostro Paese ha saputo anche dare dei buoni esempi. Penso a tutti quei funzionari, alcuni conosciuti e molti oscuri, che hanno servito lo Stato in maniera integerrima per anni, per decenni. Riscoprire il valore educativo dell’integrità: quella sarebbe la soluzione».

Onorevoli colleghi, in ricordo di Gerardo D’Ambrosio invito l’Assemblea ad osservare un minuto di silenzio e di raccoglimento. 

Ciao Gerardo. 

Sul “nuovo Senato” e le riforme urgenti

Intervista di Liana Milella su La Repubblica

Sindaci e Governatori nel nuovo Senato? “Ci sarebbe una sovrapposizione di poteri diversi”. Chi dovrebbe scegliere i futuri senatori? “Anche la gente”. Il nome? “Sempre Senato”. I rapporti tra Montecitorio e palazzo Madama? “No al bicameralismo perfetto”. La fiducia? “Solo alla Camera”. L’ obiettivo istituzionale? “La stabilità e la rappresentatività indicata dalla Corte costituzionale”. Nel suo studio le foto sono soprattutto quelle della vita da magistrato,da magistrato, anche se spicca l’ ultima con Papa Francesco. Lui, il presidente del Senato Pietro Grasso, ragiona solo da politico. Quando gli si dice che un accreditato gossip lo descrive come il futuro capo dello Stato, con aria visibilmente seccata, replica: “Non scherziamo. Io penso a fare bene il mio lavoro, e da presidente parlo della riforma del Senato, nel mio pieno ruolo istituzionale e super partes”.
E come si sente come probabile ultimo presidente di questo Senato?
“Da fuori mi vedono come l’ultimo imperatore, io mi sento l’ultimo dei mohicani…”.

Renzi è stato netto, ha detto “se il Senato non va a casa, vado a casa io”. Domani esce il suo testo. Se vestisse i suoi panni che farebbe?
“Quello che sta facendo lui, lavorando con tutte le mie forze per superare il bicameralismo perfetto, diminuire il numero dei parlamentari, semplificare l’iter legislativo”.

Ma da qui come la vede? Abolire il Senato è davvero necessario e indispensabile?
“Aldilà delle semplificazioni mediatiche nessuno parla di abolire il Senato, ma di superare il bicameralismo attuale. L’urgenza è prima istituzionale che economica: dobbiamo accelerare il processo legislativo, senza indebolire la democrazia”.

Che aria ha avvertito nei suoi incontri con la gente, ritengono il Senato un’inutile fonte di sprechi? Un duplicato della Camera? Una perdita di tempo? Un residuo del passato?
“Certamente la gente pensa, a ragione, che quasi mille parlamentari siano troppi, che la politica costi molto e produca poco, che sia venuto il momento di dare una sterzata. Ma avverto anche la forte preoccupazione di mantenere, su alcuni temi, la garanzia di scelte condivise. Con un sistema fortemente maggioritario, con un ampio premio di maggioranza e una sola Camera politica, il rischio è che possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia diretta”.

E sarebbe?
“Affidare a una sola camera anche le scelte sui diritti e sui temi etici potrebbe portare a leggi intermittenti, che cambiano ad ogni legislatura, su scelte che toccano profondamente la vita dei cittadini e che hanno bisogno di essere esaminate anche in una camera di riflessione, come ritengo debba essere il Senato”.

Quindi il suo Senato ideale come si chiama e com’è fatto?
“Io immagino un Senato composto da senatori eletti dai cittadini contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all’interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane”.

Che fa, la stessa proposta del capogruppo di Forza Italia Romani? Ancora un Senato di eletti? Ma così crolla il progetto Renzi…
“Non è la stessa proposta, perché io immagino un Senato composto da senatori eletti dai cittadini contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all’interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane”.

Renzi vuole come senatori sindaci e governatori regionali, lei perché è contrario?
“Perché ritengo che per una vera rappresentatività sia indispensabile che almeno una parte sia eletta dai cittadini, come espressione diretta del territorio e con una vera parità di genere. Una nomina esclusivamente di secondo grado comporterebbe una accentuazione del peso dei partiti piuttosto che di quello degli elettori”.

Quindi un fifty-fifty?
“Non si tratta di percentuali, su quelle vedremo. Credo sia utile la presenza di rappresentanti delle Assemblee regionali, proprio per rafforzare la vocazione territoriale del Senato, estendendo la funzione legislativa regionale a livello nazionale. Ma sindaci e presidenti di Giunte regionali, che esercitano una funzione amministrativa sul territorio, a mio avviso non possono esercitare contemporaneamente una funzione legislativa nazionale, ma soltanto consultiva e di impulso”.

Altro che Senato delle autonomie, il suo assomiglia a quello di adesso, solo con meno poteri e competenze.
“Niente affatto. Il Senato che immagino io, anche in parallelo con la riforma del Titolo V, è un luogo di decisione e di coordinamento degli interessi locali fra di loro e in una visione nazionale, e in questo senso dovrebbe sostituire la Conferenza Stato-Regioni”.

E come la mette con i soldi? Questo suo Senato, sicuramente, avrà un costo maggiore rispetto a uno di sindaci e governatori perché gli eletti, proprio come quelli di adesso, dovranno necessariamente essere retribuiti. Quindi, con questo sistema, dove va a finire il risparmio previsto da Renzi?
“Possiamo ottenere risparmi maggiori diminuendo il numero complessivo dei parlamentari e riducendo le indennità, solo per iniziare. Poi mi faccia dire che non si può incidere sulla forma dello Stato solo con la calcolatrice in mano”.

Questo suo Senato rispetto alla fiducia al Governo che fa?

“Non dà la fiducia, non si occupa di leggi attuative del programma di governo, né di leggi finanziarie e di bilancio. Il rapporto col Governo su questi punti deve restare solo e soltanto alla Camera”.

Di quali leggi dovrebbe occuparsi?
“Oltre a tutte le questioni di interesse territoriale, delle leggi costituzionali o di revisione costituzionale, di legge elettorale, ratifica dei trattati internazionali, di leggi che riguardano i diritti fondamentali della persona”.

Solo questo?
“Io immagino che una Camera prettamente ed esclusivamente politica debba essere bilanciata da un Senato di garanzia, con funzioni ispettive, di inchiesta e di controllo, anche sull’attuazione delle leggi. Chiaramente il Senato dovrà partecipare, in materia determinante, ai processi decisionali dell’Unione Europea, sia in fase preventiva che attuativa”.

Prevede anche i senatori a vita o cittadini illustri che siano?
“L’apporto di grandi personalità del mondo della cultura, della scienza, della ricerca, dell’impegno sociale non può che essere utile. In che modo e in che forma sarà da vedere”.

Due questioni calde, la tagliola sulle leggi del governo che vanno a rilento e i poteri “di vita e di morte” del premier sui ministri. Progetto ammissibile e condivisibile?
“Un termine chiaro entro cui discutere le proposte del governo, in un sistema più snello, non può che accelerare e semplificare l’iter legislativo. La ritengo una buona proposta. La seconda ipotesi non mi sembra sia prioritaria in questo momento”.

Praticabilità politica. Dopo il caos del voto sulle province, finito con la fiducia, che prevede per il voto su questa riforma?
“Se si vuole un’accelerazione e una maggioranza di due terzi non si deve procedere mostrando i muscoli, ma cercando proposte più possibili condivise e aperte alla riflessione parlamentare. I senatori non sono tacchini che temono il Natale, e sono pronti a contribuire al disegno di riforma del Senato”.

Ne è davvero convinto o s’illude?
“Hanno compreso, credo, le aspettative dei cittadini: partecipazione democratica, efficienza delle istituzioni, diminuzione del numero di deputati e senatori, taglio radicale ai costi della politica. Diminuendo di un terzo il numero dei parlamentari tra Camera e Senato, e riducendo le indennità, si otterrebbe un risparmio ben superiore a quello che risulterebbe, bilancio alla mano, dalla sostituzione dei senatori con amministratori dei comuni, delle aree metropolitane e delle regioni”.

Un prossimo voto di fiducia di questo Senato sul futuro Senato è ipotizzabile?
“Non penso che si possa riformare la Costituzione con un maxi-emendamento e senza alcun contributo delle opposizioni”.

Il timing di Renzi prevede prima la riforma del Senato, poi quella elettorale, il famoso Italicum. Forza Italia dice già di no e vuole il contrario. Lei che tempistica prevede? 
“Dal momento che la legge elettorale riguarda solo la Camera approviamo prima la riforma del Senato, per poi passare immediatamente all’Italicum”.

Lei sta già riorganizzando gli uffici di questo Senato. Perché? Per mantenere lo status quo o in vista della riforma?

“Sto lavorando per proporre al Consiglio di presidenza una riorganizzazione che risponda ad alcune esigenze attese da anni. Questo non ostacola le riforme, anzi le anticipa: razionalizzando le strutture, eliminando quelle non necessarie, valorizzando la prospettiva regionale ed europea del Senato, tagliando dal 30 al 50% le posizioni apicali e andando a ricoprire i posti restanti con nomine a costo zero, senza alcun aumento in busta paga per nessuno. Inoltre è già stato deliberato l’accorpamento di molti servizi con quelli corrispettivi della Camera, e si va verso l’unificazione dei ruoli del personale di Camera e Senato. Voglio che il nuovo Senato parta già nella sua piena efficienza”.

Politica e mafia. La polemica sul 416-ter. La sua proposta, appena eletto, è agli atti. Adesso? È d’accordo sull’ipotesi del decreto legge cambiando il testo uscito dal Senato? 
“Come ho detto, la mia proposta è agli atti. L’ho presentata il primo giorno, ho ancora il braccialetto bianco al polso e spero che si faccia presto e bene”.

Gerardo D’Ambrosio, protagonista della vita civile e istituzionale del Paese

E’ con vero dolore che apprendo della scomparsa di Gerardo D’Ambrosio: un servitore dello Stato, protagonista della vita civile e istituzionale del Paese. Magistrato capace, autorevole, universalmente apprezzato, è stato in prima linea in inchieste e processi che hanno segnato la vita della Repubblica: dalle inchieste sulla strage di piazza Fontana a quella sul caso Pinelli, dai primi processi di terrorismo all’istruttoria sulla bancarotta del Banco Ambrosiano, sino alle inchieste su Tangentopoli.

La sua riconosciuta competenza e professionalità lo hanno portato fino ai vertici della Procura della Repubblica di Milano, che ha guidato con indiscusso prestigio. Chiusa la sua carriera di magistrato nel 2002 per raggiunti limiti di età, ha proseguito il suo impegno al servizio delle Istituzioni come Senatore della Repubblica dal 2006 al 2013.
Componente della Commissione Giustizia, apprezzato da colleghi di partito e avversari, nonostante i suoi problemi di salute, sino all’ultimo, senza risparmiarsi, si è impegnato da legislatore a difesa dei valori costituzionali con dedizione e passione.
Il Senato ne ricorderà in modo adeguato la figura e il ruolo.

(Foto: Foto Mauro Scrobogna /LaPresse)

Consumer rights, nuove frontiere della tutela del consumatore

Autorità, Colleghi, Gentili ospiti,

è per me un grande piacere ospitare nella prestigiosa Sala Zuccari del Senato questo convegno, promosso dalla Vice Presidente Valeria Fedeli, che voglio ringraziare, sul tema delle “nuove frontiere della tutela del consumatore dopo il recepimento della direttiva consumer rights”. Si tratta di un’importante occasione per fare il punto su questioni di importanza strategica che investono in modo diretto e immediato sia la vita quotidiana dei cittadini e delle imprese sia l’assetto complessivo del sistema economico interno ed europeo.

Nel nostro Paese, e in Unione Europea, la tutela del consumatore ha due cruciali ragioni di essere, distinte ma intimamente connesse. La prima è porre al centro del mercato unico il consumatore, dunque la persona umana, garantendo l’effettività dei diritti individuali e collettivi. L’altra è rimettere in moto la crescita dopo la lunga stagione della crisi restituendo ai consumatori allo stesso tempo forza e fiducia nell’economia europea. Poiché la spesa dei consumatori raggiunge il 56% del PIL dell’Unione, adeguate politiche europee che garantiscano informazione, sicurezza, strumenti giuridici di tutela ai singoli possono contribuire in misura rilevante a favorire la concorrenza, spingere la crescita ed assicurare un’allocazione più efficiente delle risorse.

La normativa europea si è evoluta nel corso degli ultimi decenni con una serie di strumenti e politiche comuni che si prefiggono di assicurare un’elevata sicurezza dei prodotti; tutelare i cittadini dalle pratiche commerciali sleali, dalla pubblicità ingannevole e dalle clausole contrattuali vessatorie ed abusive; e conferire ai consumatori diritti di recesso e di riparazione. Ed ha di volta in volta risposto alle sfide comportate da fenomeni vecchi e nuovi intervenendo ad esempio in materia di diritti dei passeggeri, di tariffe di telefonia in roaming, di indicazioni nutrizionali e di salute sugli alimenti, di forme di risoluzione delle controversie, di protezione dei dati personali, e via dicendo.

Si tratta di un cammino in fieri, che deve ancora affrontare questioni di grande complessità e rilievo: in materia di sicurezza dei prodotti, dei servizi e degli alimenti; di commercio elettronico; di consumo sostenibile; di tutela dei consumatori più vulnerabili e soggetti a rischi di esclusione sociale; di effettivo riconoscimento dei diritti.

Il decreto legislativo che il Parlamento italiano ha approvato di recente recepisce la direttiva europea “consumer rights” del 2011 che introduce nuove disposizioni in tema di tutela dei consumatori nei contratti a distanza e in quelli conclusi al di fuori dei locali commerciali. La finalità è semplificare e aggiornare le norme esistenti, rimuovendo le incoerenze, colmando le lacune e rimediando all’eccessiva frammentazione delle normative nazionali attuative delle previgenti direttive europee che ha ostacolato il buon funzionamento del mercato interno.

Fra le novità introdotte dal decreto legislativo, il cui schema è stato esaminato da parte delle competenti Commissioni parlamentari in un clima di produttiva collaborazione con il Governo, voglio ricordare l’estensione degli obblighi di informazione precontrattuale a carico del professionista che pratica vendite dirette e vendite a distanza, con un ampliamento del diritto di recesso del consumatore; e la possibilità per il consumatore di restituire il bene, anche se deteriorato in parte, con la responsabilità limitata alla sola diminuzione di valore del bene.

L’auspicio è che la nuova normativa possa migliorare il funzionamento del mercato interno e i rapporti tra imprese e consumatori, consentendo anche risparmi in termini di oneri amministrativi per le imprese che operano a livello transfrontaliero. Attraverso l’armonizzazione delle norme nazionali si attendono effetti positivi anche nel settore delle vendite online in Europa, il cui potenziale non è stato completamente sfruttato se si pensa che il 60% dei consumatori europei non usa questo strumento e non beneficia quindi della straordinaria varietà di scelta e delle differenze di prezzo che offre il mercato unico.

Voglio anche ricordare che la nuova disciplina sancisce in via definitiva la significativa scelta del principio di unitarietà nella tutela dei consumatori con la competenza unica dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, cui i consumatori possono rivolgersi per far valere le proprie ragioni.

Ho fiducia che queste iniziative normative e il lavoro di controllo svolto dalle istituzioni europee, dall’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato e dalle associazioni di categoria potranno contribuire a soddisfare i bisogni quotidiani dei cittadini europei e così concorrere a sconfiggere i nazionalismi, populismi e sentimenti di disaffezione e sfiducia che minacciano il progetto europeo a volte percepito come lontano dagli ideali iniziali ed incapace di garantire benessere e futuro ai cittadini.

Vi ringrazio ancora per essere qui e vi auguro un proficuo lavoro.

Ospedali psichiatrici giudiziari, verso il superamento

Non sprechiamo una occasione di crescita per il Paese

Cari colleghi, Autorità, Gentili ospiti,

sono particolarmente lieto di poter ospitare in questa prestigiosa Sala del Senato un incontro che riporta all’attenzione di tutti noi un tema di grande delicatezza sia sul piano istituzionale che su quello umano e sociale. Già a novembre ebbi modo di esprimermi su questo tema, quando nel suo lungo viaggio ebbi modo di ammirare Marco Cavallo ,  simbolo di una battaglia iniziata nel 1973 e che, pur tra tante difficoltà, ancora continua, nei pressi del Senato. Il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari, disciplinato per la prima volta da una legge del 1904, è ancora oggi previsto dal Codice penale come misura di sicurezza. Tuttavia, le condizioni di degrado, le carenze delle strutture, nonché le pessime condizioni di vita dei malati al loro interno – attestate anche dall’indagine parlamentare di cui fra poco vedremo una  testimonianza – hanno innescato un processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.

In particolare, nella Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari, approvata nella scorsa legislatura nella seduta del 20 luglio 2011, la Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale ha portato alla luce degli orrori inaccettabili per un Paese civile.

Il processo per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari è stato avviato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità con l’introduzione dell’obbligo per il giudice di verificare lo stato di salute psichica del soggetto e il perdurare dell’infermità mentale al momento del ricovero ed è, poi, proseguito con importanti modifiche normative. La chiusura delle strutture, decisa nel 2011, è a oggi fissata al 1 aprile 2014.

Eppure, il traguardo è ancora lontano. Resta ancora molto da fare perché la sicurezza e la salute delle persone coinvolte siano tutelate in maniera concreta ed effettiva. È necessario un diverso approccio alla malattia mentale, che sposti gli obiettivi dell’intervento pubblico dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali di assistenza. Per completare l’iter è necessaria una riforma legislativa, ma serve anche un approfondito confronto con Governo, Regioni, Enti Locali e mondo del volontariato. È questo il percorso più corretto per definire le misure alternative alla detenzione e i percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale delle persone oggi ancora presenti negli OPG, stabilendo quali strutture specializzate, nell’ambito dei servizi di salute mentale, dovranno accoglierle e curarle.  Non possono i pazienti continuare a pagare per le difficoltà e le lentezze delle Istituzioni.

L’incontro di oggi costituisce un’importante occasione di confronto e di riflessione per evitare che la terribile condizione in cui si trovano i malati si protragga ancora nel tempo. Grazie, dunque, a tutti i miei colleghi che nella scorsa legislatura e in quella in corso hanno svolto questa preziosa attività d’inchiesta e di approfondimento; grazie a tutti voi che lavorate ogni giorno, con impegno e dedizione, per la tutela dei diritti dei malati di mente.

 

 

Il Senato celebra la giornata mondiale del Teatro

Autorità, gentili ospiti, carissimi studenti,

in occasione della Giornata mondiale del teatro l’Aula di Palazzo Madama intende aprire ancora una volta le sue porte alla cultura, facendosi palcoscenico di un percorso lungo il pensiero teatrale italiano che è insieme un cammino nella nostra storia. “Le anime del Teatro, l’anima del Paese” recita il titolo di questo appuntamento a significare la straordinaria attitudine del teatro di parlare all’anima di ciascuno di noi e, contemporaneamente, farci riflettere sui grandi temi che toccano la nostra vita, mettendo in scena i valori e i sentimenti ma anche le sfide e le forze che si muovono nel Paese. Una lunga tradizione, quella del teatro come spazio di discussione pubblica, che ogni sera sui palcoscenici di tutta Italia si rinnova.

Attraverso l’interpretazione di grandi attori e giovani promesse, accompagnati da un duo musicale unico nel suo genere e guidati da una importante firma del nostro giornalismo, percorreremo un viaggio straordinario alla ricerca delle voci, delle parole, delle atmosfere che hanno segnato l’evoluzione storica del teatro e del suo rapporto con le istituzioni, rifletteremo sul nostro passato e avremo l’opportunità di meditare, insieme, su un domani possibile. Siamo tutti consapevoli delle difficoltà che, in questo momento di crisi economica, segnano l’attività dei Teatri stabili, divisi tra la contrazione dei finanziamenti e l’emergere di una preoccupante inversione di tendenza rispetto alla partecipazione del pubblico. La crisi del teatro è una crisi strutturale, che investe la risposta del pubblico ma anche delle istituzioni che destinano sempre meno risorse al teatro.

Trovo straordinariamente significative, a questo proposito, le parole che Paolo Grassi ci ha lasciato nel numero del maggio 1946 di Sipario: “Il teatro per la sua intrinseca sostanza è fra le arti la più idonea a parlare direttamente al cuore e alla sensibilità della collettività. Noi vorremmo che autorità e giunte comunali si formassero questa precisa coscienza del teatro, considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco”.

Questo richiamo al teatro come bene comune deve oggi trovare risposte adeguate da parte delle istituzioni: alla crisi dobbiamo rispondere puntando su quei fattori di crescita, non solo economica ma soprattutto etica, che possono tradurre in realtà le nostre speranze di cambiamento. Sono certo che il Parlamento e il Governo – qui rappresentato dal Ministro dei beni e attività culturali e del turismo e dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca – non mancheranno di credere in questa sfida, investendo in politiche di sostegno e rilancio del teatro, a partire dalle accademie e dalle produzioni teatrali a carattere sperimentale.

In questa prospettiva, sono particolarmente lieto che questa celebrazione della Giornata mondiale del teatro veda protagonisti tanti giovani: i giovani delle scuole presenti in platea; i giovani attori delle Accademie che si alterneranno nelle letture con alcuni tra i più noti Maestri del teatro italiano. A loro, a questi giovani, affidiamo il compito di mantenere e rinnovare la bellezza della nostra tradizione teatrale e di rifondare una nuova dimensione del teatro quale arte per tutti. Il Senato non vuole essere uno spettatore passivo: vuole mettere in discussione se stesso e la realtà circostante, dimostrando che il connubio tra politica e cultura, tra vecchie e giovani generazioni, è possibile, se tutti sappiamo identificarci in quell’anima comune che le anime del teatro contribuiscono ad alimentare.

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno partecipato con entusiasmo a questo progetto. Il mio auspicio è che questa iniziativa possa indurci a riflettere sull’importanza del teatro sia a livello artistico che produttivo: la cultura può, anzi deve rappresentare per la società italiana un motore per una rinnovata spinta verso il futuro.

Qui il Libretto con i testi che saranno recitati.

Immagine

 

Le famiglie di fornte alle sfide dell’immigrazione

Intervento del 26 marzo 2014 alla presentazione del rapporto annuale del CISF 

Autorità, Signore e Signori,

è per me un grande piacere ospitare in Senato la presentazione dell’edizione 2014 del Rapporto del Centro Internazionale per gli Studi sulla Famiglia dedicato quest’anno al tema della “famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”. Il rapporto espone i risultati di un’indagine condotta su un campione di 4000 interviste, finalizzata a conoscere gli approcci delle famiglie residenti rispetto al fenomeno migratorio in Italia, un tempo paese di emigrazione e ora terra di immigrazione, e dunque di accoglienza.

Il lavoro ha il merito di porre in modo pacato ed approfondito i complessi profili – giuridici, sociali, culturali, economici, etici, identitari – di un fenomeno che chiama in causa la stessa capacità del Paese di affrontare le sfide di una nuova società complessa ed eterogenea.

La stabile presenza di persone provenienti da altri paesi ha cambiato profondamente il volto dell’Italia nello spazio di pochi anni, due o tre decenni al massimo.
Molti dei migranti che prima lavoravano nel nostro Paese per il tempo necessario a sostenere con rimesse o risparmi la famiglia nella nazione di origine, con la prospettiva di farvi ritorno appena possibile, sempre più spesso decidono di continuare a vivere in Italia, richiamando qui i propri congiunti con ricongiungimenti familiari, legali o di fatto. Una tendenza che pone questioni specifiche, fra cui quelle delle famiglie multietniche e delle seconde generazioni, che non abbiamo ancora affrontato compiutamente a livello legislativo.

Il rapporto fornisce spunti di riflessione importanti. Da una parte si osservano reazioni di timore, di pregiudizio e di resistenza verso gli immigrati visti spesso come un pericolo, in quanto concorrenti rispetto ai bisogni primari delle famiglie italiane. Sono sentimenti alimentati dai mass media che tendono talvolta a rappresentare in modo superficiale e distorto il fenomeno e gli stessi dati numerici della presenza degli immigrati e, ad esempio, dei reati da questi commessi, che gli italiani intervistati spesso sovrastimano notevolmente rispetto alla realtà.

Dall’altra emerge dall’indagine che le famiglie italiane dimostrano una crescente attitudine relazionale positiva e un significativo spirito di accoglienza e solidarietà. Esse dipendono dai contatti personali con gli immigrati che attenuano le diffidenze e innescano virtuosi meccanismi di fiducia reciproca, sostegno e relazionalità. E’ questa una scoperta che non mi sorprende perché ho sempre osservato con speranza lo spirito di fratellanza con cui gli italiani hanno soccorso donne, uomini e bambini che giungono stremati sulle nostre coste, con il cuore pieno di speranza di una vita migliore. E voglio qui ricordare il prezioso apporto dello straordinario mondo del volontariato, che ha rappresentato la risorsa più vitale nelle costruzione di percorsi di integrazione.

Io sono convinto che la sfida della costruzione di una nuova società multietnica e multiculturale debba muovere dalla scuola, che oggi è arricchita in tutta Italia dai bei volti di ragazzi che arrivano da luoghi geograficamente e culturalmente lontani. Proprio la diversità è il paradigma dell’identità stessa della scuola che deve sapere costruire la capacità dei giovani cittadini di conoscere e di apprezzare le differenze all’insegna di una coesione sociale attenta alla dimensione cognitiva dei saperi e a quella affettiva di ciascuno, affinché possa realizzarsi un nuovo concetto di cittadinanza, plurale ed edificato attorno a comuni valori. La scuola italiana, pur nelle tante difficoltà, dimostra ogni giorno di saper essere, ancora prima che luogo di istruzione e di informazione culturale, uno spazio dove si compiono i processi di socializzazione e di integrazione che anticipano la piena maturazione del Paese.

Mi avvio a chiudere affrontando un tema politico su cui mi sono già espresso più volte, rimettendovi un’importanza straordinaria. E’ giunto il momento di pensare a un nuovo percorso di cittadinanza per gli stranieri che qui si sono integrati e per le seconde generazioni. Le nostre norme sulla cittadinanza sono fra le più severe in Europa e rischiano di escludere dai diritti migliaia di persone che con il loro lavoro onesto contribuiscono al benessere e al progresso della nostra società, che è anche la loro società. Penso poi ai giovani nati nel nostro paese, che qui studiano, parlando la nostra lingua e i nostri dialetti; che tifano o giocano nelle nostre squadre di calcio. Spesso mi ritrovo fra molti di loro nelle iniziative a favore della legalità e mi sono sempre chiesto amaramente perché questi giovani combattono per la giustizia e per il futuro di un paese di cui non sono e non saranno mai cittadini, almeno finché la legge non sarà cambiata.

Concludo con il fermo convincimento che il futuro del nostro Paese dipenderà dalla capacità che avremo di ricostruire la famiglia, nucleo primario di aggregazione sociale e attraverso di essa una nuova cittadinanza, che tenga conto dei valori della solidarietà, del dialogo, e del rispetto delle identità etniche, sociali e culturali di ciascuno.

Grazie

Ambiente e legalità. Mai più “terre dei fuochi”

Intervento al convegno sulle ecomafie, presso la Sala del Palazzo di S. Maria in Aquiro

Autorità, Gentili ospiti,

è per me un grande piacere ospitare in Senato questo convegno dedicato ai temi del rapporto tra ambiente e legalità e della tutela penale dell’ambiente. Sono temi di drammatica attualità, oggi più che mai in un Paese come il nostro, dove l’espressione “Terre dei Fuochi”, citata nel titolo di questo incontro, è ormai tristemente nota a tutti gli Italiani. In Italia il fenomeno delle cosiddette “ecomafie” è presente da anni, è stato molte volte denunciato, anche da me nelle introduzioni ai rapporti annuali di Legambiente che più volte negli anni scorsi ho firmato, ma è stato troppo a lungo sottovalutato. Solo grazie alla diffusione delle notizie riguardanti proprio la drammatica situazione di quella che un tempo era la Campania felix, questo tema è diventato di grande interesse per l’opinione pubblica.

La criminalità organizzata tra ha già da tempo messo le mani in affari, che possiamo definire “sporchi” da un punto di vista formale e sostanziale, sfruttando la debolezza del sistema e la consolidata convinzione generale che i crimini contro l’ambiente siano reati “minori”. Una convinzione errata ed estremamente pericolosa a fronte dei dati recenti sul fenomeno, che parlano di un fatturato, solo in Italia, di circa 16 miliardi di euro all’anno e che coinvolgerebbe oltre 300 clan malavitosi. Sono solo stime approssimative, che danno però la misura dell’ampiezza del fenomeno, ormai emerso anche a livello transnazionale.

Grazie alle indagini della magistratura e delle forze di polizia, è ormai un dato acquisito l’interesse della criminalità mafiosa per il traffico e l’illecito smaltimento dei rifiuti pericolosi, per l’abusivismo edilizio, il saccheggio dei beni archeologici, il commercio illegale di specie animali e vegetali protette, i traffici nella filiera agroalimentare, gli incendi boschivi che quasi mai sono di origine spontanea. Con i proventi generati dall’illecito ambientale le mafie ottengono il duplice scopo di rafforzarsi e di ripulire enormi capitali illeciti investendoli nel tessuto economico e finanziario.

Molteplici sono gli interessi pubblici e i beni giuridici che vengono lesi dagli illeciti ambientali, dalla salute all’incolumità pubblica, dalla conservazione dell’ecosistema all’economia del Paese. Basti pensare allo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi, che è causa di inquinamento delle falde acquifere e dei terreni agricoli. Il costo del corretto smaltimento ha rappresentato per imprenditori privi di scrupoli un incentivo a liberarsi di rifiuti pericolosi in modo illegale a un costo fino a dieci volte inferiore a quello dello smaltimento regolare. Ne consegue l’elevatissimo rischio di danni alla salute dei cittadini derivanti dalla ingestione di prodotti della terra o dell’allevamento provenienti dalle zone inquinate, o ancora derivanti dal fatto stesso di vivere in case costruite su terreni contaminati.

La consapevolezza dell’importanza assunta dal settore dei rifiuti per la criminalità organizzata può essere tutta riassunta in poche parole, di straordinaria efficacia, pronunciate da un mafioso siciliano durante una conversazione intercettata: «Buttiamoci sui rifiuti: trasi munnizza e niesci uoru (entra immondizia ed esce oro)». Ma, osservando l’evoluzione di questo mercato, vediamo che, accanto agli esponenti delle famiglie mafiose, il mondo dei rifiuti si è andato popolando sempre più di una varietà di soggetti che, nella gran parte dei casi, non dispone di un precedente criminale, ma che si collega con i criminali. Imprese legali, rispettabili uomini d’affari, funzionari pubblici, operatori del settore dei rifiuti, mediatori, faccendieri, tecnici di laboratorio, imprenditori nel settore dei trasporti e così via, sono tutti soggetti inseriti nei gangli essenziali del mercato legale, ma che iniziano a fare dell’illegalità, della simulazione, dell’evasione sistematica di qualsiasi regola e della corruzione le regole ispiratrici della propria condotta.

Questo sistema lega ed ha legato il nord e il sud del nostro paese, rendendo tutti dolorosamente complici e vittime di una tragedia ambientale e sanitaria di cui pagheremo le conseguenze per generazioni.

Tuttavia, proprio la diffusione di notizie sempre più inquietanti sui danni alla salute derivanti dall’inquinamento ambientale sta facendo per fortuna radicare nella coscienza sociale l’interesse per l’ambiente e la consapevolezza della imprescindibile necessità della sua preservazione. Ma non basta. Occorre intensificare l’attività di prevenzione e impegnarsi nella repressione decisa e convinta dei troppi illeciti che ledono quotidianamente ed irreparabilmente l’integrità del nostro ecosistema.

Da molti anni il Parlamento sta esaminando l’introduzione dei delitti ambientali nel codice penale ma non è ancora stato possibile raggiungere il risultato. Tuttavia c’è più di una speranza che nel corso di questa Legislatura si possa finalmente ottenere una disciplina pregnante e al tempo stesso semplice e concentrata. A tal proposito, i tre disegni di legge presentati alla Camera dei Deputati e già approvati in testo unificato, unitamente ad altri tre disegni di legge, stavolta presentati al Senato, tutti volti all’introduzione nel codice penale dei delitti contro l’ambiente sono attualmente in corso di esame  presso le Commissioni Riunite 2a e 13° del Senato. Come già detto in altre circostanze, il mio ruolo istituzionale non mi consente di entrare nel merito dei provvedimenti, ma ribadisco tutto il mio impegno in materia, nell’ambito delle mie prerogative, affinché l’iter sia rapido, e porti a quei risultati che da tanti anni tutti noi invochiamo.

Concludo sottolineando come serva un approccio strategico diverso. La tutela dell’ambiente in passato è stata considerata troppo a lungo come un costo aggiuntivo, un intralcio alla produzione e alla crescita. Non è così. Al contrario, può rappresentare un’importante leva di sviluppo, soprattutto nell’attuale contesto di crisi economica e finanziaria. Gli interventi di stimolo dell’economia possono e devono prevedere misure volte alla conservazione e al miglioramento del patrimonio ambientale del Paese, perché tutelare l’ambiente significa tutelare il nostro Paese, i nostri figli, le generazioni che verranno, e perché preservare l’ecosistema significa creare opportunità di sviluppo e di riconversione che non possiamo farci sfuggire.