#unpartitodisinistra: il progetto di LeU va avanti

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Intervento conclusivo dell’Assembela dei Comitati Territoriali di Liberi e Uguali 

Lasciatemi iniziare con ironia: per essere morti, vi vedo tutti in salute!

Negli ultimi giorni siamo stati al centro dell’attenzione, sia dell’informazione che della satira, come mai prima d’ora. Mi viene da dire: se lo stesso spazio fosse stato dedicato alle battaglie che ogni giorno conduciamo nelle Commissioni e nelle Aule del Parlamento contro i provvedimenti di questo Governo…forse si smetterebbe di dire che non c’è opposizione!

Siamo stati dati per morti, scissi, liquefatti, ci hanno definito uno dei tanti coriandoli della sinistra, un progetto fallito, un autobus da cui scendere velocemente. Personalmente, sono offese che non mi hanno particolarmente colpito: sono abituato, da qualche decennio, a scherzare sulla morte. Lo facevo con vecchi amici e colleghi, più di venti anni fa, per sciogliere la tensione ed esorcizzare momenti drammatici. Quelle di questi giorni sono solo il “codardo oltraggio” di chi in fondo spera che la sinistra sparisca davvero. E sono tanti, lo sappiamo. Io sono qui, Palermo è città di mare e da ragazzo mi hanno insegnato che il comandante è sempre l’ultimo ad abbandonare la nave quando sembra che stia per affondare.

Voglio innanzitutto ringraziarvi: per aver organizzato questa Assemblea; per aver creato più di 50 coordinamenti territoriali di Liberi e Uguali; per aver dato vita a un Coordinamento nazionale dei Comitati; per aver continuato a credere in quel progetto anche quando era chiaro che le difficoltà, i calcoli, i tatticismi, le ambiguità, i muri di gomma, l’immobilismo e l’eutanasia passiva stavano prendendo il sopravvento rispetto agli impegni, alle promesse, ai patti.

Se non ci foste stati voi, col vostro entusiasmo, la vostra determinazione, forse oggi questa storia sarebbe davvero già finita.

Voglio dirlo in premessa: voi rappresentate un pezzo importante di quella comunità che ha eletto 18 uomini e donne in Parlamento. Siete tra coloro che hanno dedicato risorse, tempo ed energie alla campagna elettorale, avete attaccato i manifesti sotto la neve, percorso migliaia di chilometri e raccolto, voto a voto, quel milione e centomila voti che ci ha permesso di mantenere alta la bandiera di sinistra alla Camera e al Senato. Noi eletti abbiamo l’obbligo di rappresentare questa comunità: per questo credo che essere qui, oggi, sia un dovere. E mi dispiace constatare che altri parlamentari eletti nelle nostre liste non la pensino allo stesso modo: anche coloro che hanno deciso di percorrere altre strade avrebbero fatto bene a spiegarlo qui.

Dobbiamo essere sinceri tra di noi. E’ un momento difficile. La sinistra fatica a costruire un’alternativa al governo Lega-5 Stelle. Perché la maggioranza riesce a coprire tutte le opzioni possibili su ogni tema, alzando polveroni e finti scontri, creando scientificamente confusione per nascondere la sostanza delle scelte ignobili che prendono: dai condoni edilizi alla pace fiscale, dalle norme sui fanghi alla stretta sui diritti.

Ciascuno di noi avverte un cambiamento nel Paese. Ciò che prima era taciuto – per pudore o vergogna – ora viene incoraggiato, sbandierato in ogni occasione, quasi con orgoglio. E’ il frutto di una campagna violenta e reazionaria a reti unificate, ogni giorno, da mesi. Dal “me ne frego” agli attacchi alla stampa.

Ne siamo tutti coscienti: in questo momento, se guardiamo fuori da questo teatro, siamo pochi, troppo pochi. Popolo, onestà, dignità. Per dirla con Brecht: “Le nostre parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico, fino a renderle irriconoscibili”.

Noi siamo quelli che credono nella centralità dell’istruzione,della formazione, degli investimenti su scuola, università e ricerca. Ne abbiamo fatto una bandiera in campagna elettorale: istruzione gratuita, dalla culla alla laurea. Ci conforta sapere che in questi giorni in molte scuole e università si sta alzando una protesta contro il Governo. Noi stiamo dalla loro parte.

Noi siamo quelli che credono improrogabile un cambio radicale del paradigma economico. Il cambiamento climatico è una verità evidente, solo lo sviluppo economico sostenibile può tenere assieme la salvaguardia dell’ambiente e l’esigenza di creare nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro.

Noi siamo quelli che si indignano per ciascuna esistenza strappata alla vita sul posto di lavoro: centinaia di persone ogni anno, un contatore impazzito che ci ricorda un dramma al quale non ci vogliamo abituare.

Noi siamo quelli che ritengono l’accoglienza e l’integrazione un dovere morale. Hanno smantellato modelli come quello di Riace; hanno messo alla gogna Mimmo Lucano, che per ammissione degli stessi investigatori non ha rubato nemmeno un euro mentre regalava una speranza e un futuro a decine di migranti e non solo, anche al suo piccolo borgo, prima destinato allo spopolamento. Abbiamo visto l’umanità di chi come Salvini sgombera, senza preoccuparsi del loro destino, uomini, donne e bambini accolti con generosità dal Baobab. Non è così che si affrontano le emergenze, così si aggravano: è esattamente il cinico obiettivo di chi ha fondato il suo successo sulla paura.

Noi siamo quelli che si riconoscono, e hanno partecipato, alla piattaforma sociale di Mediterranea, perché “l’indifferenza è il peso morto della storia”, la stessa indifferenza che Liliana Segre ha voluto come parola monito del memoriale al Binario 21.

Noi siamo quelli che hanno messo nel loro simbolo l’articolo 3 della Costituzione, perché l’obiettivo è ridurre le diseguaglianze tra chi è ricco e chi è povero, tra chi vive in centro e chi in periferia, tra chi vive al nord e chi vive al sud; tra uomini e donne, etero e gay; tra le generazioni; tra chi è italiano e chi sogna di diventarlo; tra chi ha diritti e chi non li vede ancora riconosciuti.

Noi siamo quelli che considerano importante che la giustizia sia davvero uguale per tutti, tra quelli che vorrebbero superare leggi sbagliate tipo la Bossi-Fini, che ritengono che un processo debba avere una ragionevole durata, ma non consentire di guadagnare l’impunità attraverso la prescrizione.

Noi siamo quelli che sanno come contrastare le mafie, non con leggi propaganda o con dirette sui social. Non basta certo fare il bagno in piscine confiscate ai mafiosi.

Noi siamo quelli per cui i diritti universali devono essere tali, a partire dal diritto alla salute: non è accettabile che ogni giorno ci siano persone che rinunciano alle cure perché non se le possono permettere.

Noi siamo quelli che vanno alla Marcia della Pace, perché sappiamo che i conflitti in ogni parte del mondo ci riguardano direttamente. Perché sappiamo che la campana suona sempre anche per noi.

Noi siamo quelli che con spregio vengono definiti “smaniosi di altruismo”, come Silvia, la ragazza rapita in Kenya. Abbiamo letto commenti scandalosi, ma è il momento di smettere di dare spazio e visibilità all’odio, al rancore, all’ignoranza, a chi vomita veleno su una giovane ragazza che ha scelto di dedicare un pezzo della sua vita agli altri. Ci auguriamo con tutto il cuore che torni alla sua famiglia e che continui a migliorare il mondo un sorriso alla volta.

Noi siamo quelli che dopo andranno alla manifestazione di “Non una di meno”, perché consideriamo drammatico quanto avviene ogni giorno nel nostro Paese contro le donne.

Noi, in poche parole, vogliamo che tutti siano Liberi nelle scelte e Uguali nelle opportunità.

Quella di oggi è l’ultima chiamata. Ho parlato con molte persone negli incontri degli ultimi mesi. La frase ricorrente è stata: “se non riusciamo ad andare avanti insieme, dico basta con la politica.”
Le ragioni che un anno fa ci hanno spinto a creare Liberi e Uguali sono oggi ancora più urgenti.

Abbiamo fatto molti errori: l’ho già detto il 26 maggio ma ci tengo a ripeterlo. Errori nelle liste, nella comunicazione, nel messaggio di continuità col passato. Dobbiamo esserne tutti pienamente consapevoli per non ripeterli in futuro, ma se siamo qui è perché crediamo che questa esperienza debba proseguire, crescere, migliorare.

E’ stato un bel dibattito stamattina: franco, acceso, lasciatemelo dire, salutare. Da oggi, vi chiedo, non guardiamo più alle colpe del passato. La gravità del momento è tale che l’unica domanda da fare non è “da dove vieni” ma “dove vuoi andare”. Sono convinto che condividiamo la cosa più importante: la necessità di un’azione unitaria per offrire al Paese una vera alternativa. Costruire un soggetto autonomo è la premessa per poter dialogare con altri soggetti ed altre forze, in vista dei prossimi elezioni amministrative, regionali ed europee.

Sui temi di politica europea, ineludibili, importanti ma utilizzati al nostro interno in modo strumentale, provo a dire la mia. Nei rapporti tra Italia e Commissione europea la nostra posizione deve essere equidistante sia da un governo che cerca lo scontro per trarne ipotetici vantaggi elettorali sia da chi ha sacrificato, e continua a farlo, al totem della stabilità monetaria ogni ipotesi di crescita economica, provocando l’impoverimento dei più deboli e dei lavoratori, favorendo la crescita dei populismi. La cosa da fare, invece, sarebbe aprire un dibattito serio e profondo su come si riforma l’eurozona, su come attualizzare i trattati, e come tornare a guardare l’Europa un’opportunità.

La stessa profondità di dibattito servirà all’interno delle famiglie politiche, e parlo del mondo della sinistra, che continua a dividersi tra radicalità e pragmatismo esasperato, che ha portato il PSE a scelte politiche che non hanno aiutato i ceti più deboli e che, mi pare, continui a perseguire. Sono consapevole che anche lì c’è un dibattito in corso, un esempio per tutti: Corbyn appartiene a quella famiglia. Così come non mi sfugge l’importanza dell’accordo che in Spagna è stato fatto tra il socialista Sanchez e Podemos.

Ma mi è altrettanto chiaro che, in attesa che dalle parti del Pd si produca una vera novità, un cambio di paradigma, il nostro obiettivo è fare la parte di Podemos. Il nostro partito di sinistra in Europa deve ambire ad essere la “cerniera” che aiuta la riflessione comune e la nascita di una sinistra europea con una visione solidale nuova. La stessa cosa vale per l’Italia.

Noi qui, oggi, sappiamo di essere dal lato sbagliato della cronaca, in questo inverno dei diritti e della partecipazione, ma sappiamo anche di essere da quello giusto della storia. Almeno della nostra. “Noi pochi. Noi felici pochi. Noi banda di fratelli” e sorelle.

Quindi: che fare?
Andare avanti, non per costruire un quarto, quinto o sesto partitino di sinistra. Nonostante in molti abbiano diffuso ad arte questa storiella nel vano tentativo di demoralizzarci. Non è questo il mio – e il nostro – obiettivo. Al contrario. Vogliamo andare avanti, con lo spirito con cui ci ritrovammo insieme il 3 dicembre dell’anno scorso, e realizzare quello che non siamo riusciti a fare fino ad oggi: mettere insieme sensibilità diverse, purché condividano l’idea di un Paese diverso da quello che stiamo vivendo. Siamo nati per unire, e questo resta il mio principale obiettivo.

Come? Avendo vissuto le difficoltà, di merito e strumentali, che hanno impedito quel percorso in due fasi che scegliemmo insieme il 26 maggio scorso, intanto ho deciso di dare a questa comunità uno strumento semplice per aderire, partecipare, discutere. E’ online da ora. Si chiama unpartitodisinistra.it

Per correttezza la piattaforma non è sul sito di Liberi e Uguali, perché non possiamo condannare questa comunità a un lungo contenzioso sul simbolo. Sappiamo che c’è già chi ha deciso di far nascere una nuova forza: non possiamo che prendere atto delle decisioni assunte.

Quello che non siamo riusciti a fare finora facciamolo adesso.

Impegniamoci a far aderire tutti coloro che si sono riconosciuti in LeU e coloro che ancora sono smarriti, alla ricerca di rappresentanza.

Impegniamoci a far iscrivere chi pur di cambiare tutto ha finito per votare chi non cambierà nulla, se non in peggio.

Impegniamoci a recuperare chi in assoluta buona fede ha creduto nell’onestà e nella novità di un Movimento che, dal giorno stesso in cui è andato a Palazzo Chigi, ha iniziato a contraddire i suoi principi.

Impegniamoci a convincere che non sarà la Lega, con le sue leggi contro le donne e i minori e a favore delle armi, a rendere il nostro un Paese migliore.
Iniziamo con le adesioni e con la nascita di un organo provvisorio fondativo che coinvolga la nostra base, a partire dai comitati territoriali che già esistono e che nasceranno, dai parlamentari e dai componenti del Comitato Promotore Nazionale che vorranno proseguire. Vorrei che l’obiettivo fosse: gennaio per l’insediamento dell’assemblea e Congresso prima delle elezioni europee. L’assemblea fondativa dovrà finalmente proporci statuto, regolamenti, tempistica e gestire la fase transitoria. Vorrei che per tutti fosse chiaro: questa è davvero l’ultima chiamata, almeno io la vivo così, e sarebbe opportuno non fallire. Conto sull’impegno di tutti.

Noi continuiamo l’esperienza di Liberi e Uguali, è evidente. Se sarà possibile continuando a chiamarci nello stesso modo, altrimenti sceglieremo insieme il nuovo nome.

Siamo una forza piccola, per questo credo che dovremo concentrarci su alcune battaglie nelle prossime settimane. Battaglie che ci rendano riconoscibili e che siano concrete. Battaglie che definiscano chiaramente la nostra identità e la nostra prospettiva politica.

Vorrei che questa comunità ripartisse dai valori che hanno armato di speranza Mediterranea per non lasciare il nostro mare senza testimoni e per essere presenti lì dove c’è bisogno.

Vorrei proponessimo una battaglia politica, che diventi il nostro mantra, il nostro impegno quotidiano. Penso a chi, sotto il simbolo di Liberi e Uguali, lotta per ridurre l’orario di lavoro: è una cosa che fa bene all’economia e anche alle persone, perché è vero che di lavoro si vive ma non si può vivere solo per lavorare. La dignità delle persone non è in vendita: sono fiero dei nostri consiglieri regionali in Piemonte che hanno ottenuto il divieto del lavoro a cottimo, lo schiavismo del XXI secolo.

Abbiamo dalla nostra parte alcune qualità che non derivano dai sondaggi né dai social network: l’impegno e la credibilità. Mettiamocela tutta, otterremo dei risultati. Uno alla volta.
Un’ultima nota. L’altra barzelletta che già circola e che circolerà nelle prossime settimane è quella del “Partito di Grasso”. Chi la diffonde offende soprattutto la sua intelligenza, prima che la mia.

L’ho detto molte volte quando sono venuto da voi alle assemblee territoriali ma lo ripeto in modo che sia chiaro a tutti. Soprattutto a chi oggi non c’è.
Non c’è, non ci sarà, alcun “partito di Grasso”. Non è nato il 26 maggio, non nascerà oggi, nè mai: questo egocentrismo non fa per me, alla mia età sarebbe non solo ridicolo, ma addirittura patetico. Non mi ha mai sfiorato questa idea, ogni forzatura fatta in questi mesi ha avuto il solo scopo di non disperdere questa comunità e di difenderla. Spero di avervi dimostrato la mia coerenza personale, prima ancora che politica.

Un anno fa mi è stato chiesto di assumere questo ruolo nel momento peggiore per la sinistra in Italia, e l’ho accettato con la consapevolezza di affrontare il passaggio più stretto della nostra storia, le elezioni più difficili, con una lista appena nata e poco conosciuta.
In tanti mi dicevano “chi te lo fa fare, fatti i fatti tuoi, la sinistra va a sbattere alle elezioni”. Non sono un consumato politico ma, ve lo assicuro, avevo chiaro anche io quanto fosse dura la sfida. A chi mi faceva tali osservazioni rispondevo che proprio perché ho avuto molto dalla vita, realizzando il sogno di combattere il più grande male della mia terra, la mafia, ero libero. Ero libero di mettermi al servizio dei più giovani, potevo rischiare qualche sberleffo, anche un insuccesso personale se questo avesse consentito la nascita di qualcosa di buono. Senza coraggio, il coraggio che serve quando la notte è più buia, nessuna sfida può essere vinta.

Per me il punto non era garantire qualche posto in Parlamento: ho assunto questa decisione con la convinzione che fosse il primo passo per unire finalmente le forze. Questo era l’impegno che abbiamo sottoscritto tutti e ripetuto prima e dopo la campagna elettorale.

Come ho già detto il 26 maggio scorso, quando ho tolto il mio nome dal simbolo, accompagnerò il percorso di questa comunità, con la certezza che, terminato il Congresso, non sarò io a guidarla. Ho la speranza che a farlo non sia il più giovane di una vecchia generazione ma il primo di una nuova classe dirigente – o la prima, o perchè no un ticket uomo/donna.

Una dirigenza, per questioni anagrafiche, più giovane di me. Per questioni politiche, meno compromessa col passato di altri, perché in questo momento le biografie contano, anche oltre i meriti e le responsabilità.Servono ragazze e ragazzi che sappiano cos’è la “singularity”, che possano studiare, comprendere e prevedere cosa succederà con le blockchain, i bitcoin, le criptovalute, l’intelligenza artificiale, la robotica, per meglio affrontare le grandi sfide del futuro dell’umanità.

Forse in questa sala ce ne è qualcuno. O qualcuna. Abbiate coraggio, prendete per mano questa comunità che ha voglia di essere protagonista. Un anno fa in questi stessi giorni stavo riflettendo sull’intraprendere o meno questo cammino con voi. Oggi mi chiedo: “Ma se io avessi previsto tutto questo, dati cause e pretesto, le attuali conclusioni…Forse farei lo stesso”. Per dirla con “L’avvelenata” di Guccini.

Perché ci ho creduto, in questo progetto. E ci credo ancora. Oggi avete dimostrato che non ho sbagliato. Adesso tocca a voi. Siete qui – parlamentari, militanti, cittadine e cittadini – perché ci credete quanto me.

Facciamolo. Con quella “smania di altruismo” che è parte della nostra lunga storia, quella smania di altruismo che ha portato la generazione precedente alla mia a combattere il nazifascismo; quella smania di altruismo che ha portato la mia generazione nelle piazze per rivendicare diritti che oggi sembrano scontati; quella smania di altruismo dei Comitati per il No, che hanno difeso la Costituzione contro una pessima riforma; quella smania di altruismo che ha portato tanti di noi in piazza a Catania, a Riace, a Milano, a Verona, a Roma contro questo Governo e le sue politiche discriminatorie; quella smania di altruismo che spinge i giovani a protestare per la scuola e la cultura, e le donne a chiamare la piazza di oggi pomeriggio; la stessa smania di altruismo di Silvia e di tutti quelli come lei.

Facciamolo come loro, con la stessa smania di altruismo. Facciamolo perché vogliamo un Paese diverso. Facciamolo: cambiamo il mondo, col nostro impegno, un sorriso alla volta.

Ci vediamo sabato per costruire insieme #unpartitodisinistra

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Questi ultimi giorni sono stati un po’ paradossali. Liberi e Uguali è balzata agli onori della cronaca e della satira, in molti hanno parlato di scissione dell’atomo, di morte annunciata, di progetto fallito. Spazio e visibilità mai concessa prima all’impegno dei parlamentari di LeU contro il Governo.

Non dobbiamo commettere l’errore di negare una realtà sotto gli occhi di tutti: in questi mesi le forze della sinistra faticano a riorganizzarsi, a costruire una alternativa a questo Governo così pericoloso.

Eppure le ragioni che un anno fa portarono alla costruzione di Liberi e Uguali sono ancora tutte attuali. Unire le forze della sinistra, archiviare una stagione politica disastrosa, ripartire da una proposta politica seria, lavorare senza sosta ad un progetto che ambisca a costruire un futuro culturale, sociale e politico opposto a quello che propongono la Lega e il Movimento 5 Stelle.

È ancor più urgente di un anno fa. Ce lo ricordano gli uomini e le donne che – in tutta Italia – hanno generosamente continuato a impegnarsi per queste ragioni. Uomini e donne di tutte le età che, tenacemente, hanno dato vita a 50 comitati territoriali di LeU. Uomini e donne che non si arrendono alle difficoltà.
Li ho incontrati nelle scorse settimane. Abbiamo parlato. Ho visto in loro lo spirito originario di Liberi e Uguali, e, anche, ciò che Liberi e Uguali deve essere nel futuro. Un partito, di sinistra.
Hanno indetto un’Assemblea a Roma, questo sabato. Si incontrano al Teatro Ghione, dalle 10.00, in Via delle Fornaci 37.
Questa comunità il 4 marzo ci ha dato il compito di rappresentarla in Parlamento. Per me, quindi, oltre che un piacere è un dovere esserci.
Mi auguro ci sarete anche voi.

A sabato!

Riforma dell’articolo 416-ter: ennesima occasione sprecata

Dichiarazione di voto sul disegno di legge sul voto di scambio politico-mafioso, seduta del 24 ottobre 2018

Signor Presidente, stiamo affrontando un tema importante, che incide sul livello di fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni, ossia il rapporto tra mafia e politica. Si tratta di un rapporto che per lunghi anni è stato negato e che ancora oggi troppo spesso si cerca di minimizzare, mentre si attaccano testate giornalistiche per inchieste che mettono in luce rapporti opachi con persone legate – per esempio – al clan Pesce in Calabria o al clan Di Silvio a Latina, com’è accaduto in occasione dell’ultima campagna elettorale.

L’articolo 416-ter del codice penale, che disciplina il reato di scambio elettorale politico-mafioso, ha subìto un’evoluzione nel tempo. Cosa si vuole punire in poche parole? L’accordo tra un politico e appartenenti alle mafie, che si basa sul do ut des: io ti porto i voti e tu, in cambio, farai alcune cose vantaggiose per me.

Limitarsi allo scambio di denaro, com’era nella precedente formulazione, non basta. Per questo motivo, nella scorsa legislatura, è stato estremamente utile inserire le «altre utilità»: la controprestazione del politico può concretizzarsi, cioè, non solo nell’elargizione di denaro, ma anche nella promessa di appalti pubblici, nell’acquisizione di forniture e nelle concessioni a imprese a partecipazione pubblica che favoriscono l’infiltrazione criminale nell’economia e nei lavori pubblici oppure nella promessa di posti di lavoro o di comportamenti omertosi a difesa di un sistema che ostacola l’azione delle forze di polizia nel territorio, nonché nel soddisfare genericamente gli interessi delle associazioni mafiose o di singoli affiliati.

L’articolo 416-ter, come modificato dal disegno di legge in esame, a prima firma Giarrusso, introdurrebbe apprezzabili passi migliorativi rispetto alla formulazione attuale, ampliando ulteriormente l’oggetto della controprestazione di chi ottiene la promessa di voti, contemplando non solo il denaro e ogni altra utilità, ma anche la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione criminale.

Il disegno di legge sottoposto al nostro esame, ancora, estende la punibilità anche ai casi in cui la condotta incriminata sia stata realizzata mediante il ricorso a intermediari. Elimina dalla norma vigente quell’inciso che – come abbiamo chiarito – mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis del codice penale, secondo una rigorosa interpretazione giurisprudenziale, fa sì che il riferimento al metodo dell’intimidazione mafiosa diventi un elemento da provare come precisa connotazione dell’accordo.

Infine, ridefinisce la cornice edittale del reato, prevedendo la pena della reclusione da dieci a quindici anni, la stessa stabilita dall’articolo 416-bisper chi appartiene a un’associazione di tipo mafioso. Consideriamo che questo aumento di pena è già un qualcosa che giustifica la nostra contrarietà all’aumento di pena in presenza dell’aggravante per cui il candidato venga eletto.

In effetti, dalla pena inizialmente prevista – la reclusione da quattro a dieci anni, aumentata poi nel 2017 da sei a dodici anni e ora ulteriormente aumentata da dieci a quindici anni – si è passati alla previsione di una pena che, nel caso di elezione, secondo il terzo comma dell’articolo 416-bis, va addirittura da quindici a ventidue anni e mezzo. Ci pare un aumento di pena per questa aggravante assolutamente fuori dal sistema delle aggravanti, perché non lascia discrezionalità al giudice neppure sull’aumento di pena, stabilendo che la pena è aumentata della metà. Di solito per le aggravanti c’è una discrezionalità in ordine all’aumento della pena (fino ad un terzo, da un terzo alla metà); in questo caso, invece, l’aumento è fissato nella metà della pena.

Fondamentale è poi il passaggio per cui alla condanna per il reato in questione consegue anche la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, così come la possibilità che vi sia un intervento di intermediazione da parte di persone che non sono né il candidato, né il mafioso.

Con grande dispiacere devo prendere atto che, per una impuntatura della maggioranza, tutti questi aspetti positivi sono vanificati dalle parole dell’articolo 1 del testo approvato in Commissione, secondo le quali la promessa di procurare voti deve necessariamente provenire da soggetti la cui appartenenza alle associazioni di cui all’articolo 416-bis sia nota, il che – come ho già detto – porta all’interpretazione che per realizzare il voto di scambio sia necessario provare la piena consapevolezza del candidato o di intermediari di star trattando direttamente o in nome o per conto di un mafioso con condanna passata in giudicato ex articolo 416-bis del codice penale e ottenere così la promessa di suffragio.

Come abbiamo già detto, l’accordo può intervenire con un esponente mafioso, che magari si è sottratto con la latitanza alla condanna definitiva e irrevocabile come soggetto mafioso. Ciò non toglie, però, che l’ambiente e la forza intimidatrice dell’organizzazione, che si avvale appunto di questa forza per condizionare i cittadini che vanno al voto, possano essere pienamente operanti e determinare quindi la realizzazione di questo reato.

Nonostante i ripetuti suggerimenti, gli emendamenti proposti in Commissione e in Aula, nonché la richiesta di importanti associazioni come «Riparte il futuro» o «Libera» e, da ultimo – consentitemi – anche l’esperienza che viene da chi, come il sottoscritto, ha ricoperto per anni il ruolo di magistrato e di procuratore, nonostante tutto ciò, non avete voluto correggere un errore che avrà effetti in sede applicativa.

Sarebbe stato auspicabile che, in accoglimento dell’emendamento 1.1, a mia prima firma, per la configurabilità del reato non fosse più richiesto che per ogni voto fossero necessari atti intimidatori di violenza, ma che fosse sufficiente che l’indicazione di voto venisse percepita all’esterno come proveniente dal clan mafioso e, come tale, già di per sé sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo.

È nostro dovere sostenere il contrasto alla criminalità organizzata in ogni sua forma, approfondire le evoluzioni, adeguare l’impianto legislativo alle rapide trasformazioni delle organizzazioni, fornire alla magistratura ogni strumento utile e alle forze di polizia personale e mezzi per fare al meglio il proprio lavoro. È nostro dovere contrastare i traffici e gli affari che arricchiscono le mafie, impedire ogni forma di illecito arricchimento, di riciclaggio e di condono per chi delinque.

Badate, però, che non basta dire che la mafia fa schifo, com’è stato scritto su manifesti di campagna elettorale, visto che poi le persone che l’hanno fatto sono state condannate per concorso esterno in associazione mafiosa. Bisogna dimostrare con le proprie azioni e col proprio comportamento che si vuole contrastare questo fenomeno così grave. E noi lo faremmo meglio se avessimo una Commissione antimafia nel pieno delle sue funzioni. Mi dispiace che il presidente Alberti Casellati se ne sia andato, ma voglio che questo messaggio arrivi anche alla sua conoscenza: sono passati più di sei mesi dall’inizio della legislatura e ancora non c’è stata la prima convocazione della Commissione antimafia. Lo dico soprattutto ai colleghi della maggioranza o a chi non designa coloro che ne devono far parte.

In conclusione, la riforma dell’articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso poteva essere un’ottima occasione per rompere una volta per tutte il legame che spesso ha unito e unisce il mondo della politica con quello della criminalità organizzata. Sarà l’ennesima occasione sprecata.

È inutile aumentare le pene. È inutile togliere il riferimento al metodo mafioso. È inutile prevedere l’interdizione perpetua a seguito di una condanna se, con questa modifica, si allontana la possibilità di dimostrare innanzitutto la colpevolezza di chi cerca accordi elettorali con la mafia. E lo ripeto con grande dispiacere, ma consapevole delle conseguenze di questo disegno di legge, evidenziate anche in sede di discussione generale e condivise dalla gran parte degli interventi che sono stati fatti di illustrazione degli emendamenti: bilanciando alla fine gli aspetti positivi e negativi, riteniamo che la nuova fattispecie del 416-ter sia peggiorativa rispetto all’attuale.

E allora preferisco confidare in una interpretazione giurisprudenziale che non richieda, per il voto di scambio, la prova dell’accordo circa una campagna elettorale fatta di intimidazione e di violenza al corpo elettorale.

Per questo annuncio che Liberi e Uguali voterà contro il disegno di legge in esame.

Legittima difesa. Più armi non significa più sicurezza

Il 24 ottobre 2018 il Senato ha approvato, in prima battuta, la riforma sulla legittima difesa. Non è necessaria ed è, o vorrebbe essere, una licenza di uccidere in casa. La sua approvazione definitiva metterebbe in serio pericolo lo Stato di diritto e creerebbe danni normativi e culturali.

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Signor Presidente, il 25 settembre 2018 si è concluso il ciclo di audizioni nell’ambito dei disegni di legge in esame. Devo dire che le audizioni sono state ricche di spunti, al punto da far emergere con chiarezza la necessità di un’ulteriore riflessione e di più tempo per vagliare il contenuto delle proposte della maggioranza.

Da parte dei senatori di minoranza si è levata una voce univoca: su temi delicati come la legittima difesa è opportuno un dibattito più ampio di quello consentito in sede redigente. Per questo abbiamo richiesto che l’esame proseguisse in sede referente.
Dai dati trasmessi dal Ministero della giustizia ed elaborati dal Servizio studi del Senato, si evince che i procedimenti definiti in dibattimento nei tribunali italiani in quattro anni (dal 2013 al 2016), sono stati dieci per la legittima difesa e cinque per l’eccesso colposo di legittima difesa. Una simile riforma, dunque, non appare giustificata, né dall’urgenza, né dai numeri, né dall’esito dei processi.

Dall’esame delle sentenze e dei provvedimenti di archiviazione è emerso, infatti, che tutti i processi per eccesso colposo di legittima difesa, anche quello che è stato prospettato dal relatore, si sono conclusi con archiviazioni o con non punibilità, tranne uno – abbiamo verificato – e in quel caso il processo ha accertato che lo sparo che ha ucciso il ladro è avvenuto fuori dal domicilio, durante la fuga, e pertanto era venuta meno l’attualità del pericolo; circostanza che nemmeno questo disegno di legge riesce a coprire.

Ebbene, sottolineare che nella realtà e non nel mondo della propaganda e della paura che avete costruito il giorno dopo giorno, negli ultimi anni le leggi attuali vanno benissimo. Fortunatamente parliamo di pochi casi e tutti trattati con la massima attenzione dai magistrati. Da un punto di vista mediatico, la rappresentazione della difesa come un diritto, e il fatto che non vi sia alcuna conseguenza sotto il profilo giudiziario, appare ingannevole. Dobbiamo rifiutare qualsiasi tipo di strumentalizzazione. È inammissibile una sorta di prearchiviazione senza alcuna valutazione del pubblico ministero.

Sotto il profilo processuale, la reazione a un’aggressione, anche se ingiusta, necessita di opportuni accertamenti peritali e quindi anche di avvisi per garantire la possibilità di difendersi nel processo. L’azione penale, in presenza di ipotesi delittuose, è infatti obbligatoria, come ben si sa, perché in presenza di un omicidio o di lesioni in conseguenza di un’aggressione occorre sempre un’istruttoria per ricostruire la realtà storica dell’accaduto. Solo questo procedimento garantisce che una norma generale e astratta posso trovare poi applicazione nella fattispecie concreta, sempre diversa, sempre subordinata a circostanze che spetta solo e solamente al pubblico ministero prima, e al giudice poi, valutare per ricondurre tutta la vicenda nella cornice della legalità e dello Stato di diritto.

Per tali ragioni, appare fortemente controproducente in termini sistemici, ancor più che semplicemente errato, eliminare in modo assoluto la discrezionalità del giudice. Sul piano ideale la riforma viene giustificata mediante argomentazioni suggestive, ma fatalmente in contrasto con il dettato costituzionale e con i princìpi sovranazionali. Da un lato, la legittimità della difesa deriverebbe da un preteso diritto soggettivo a un’autotutela difensiva, insomma una forma di istinto di conservazione senza limiti; dall’altro lato, si suggerisce l’idea della legittima e incondizionata soccombenza di chi, essendosi messo nella parte del torto, è giusto che subisca la riaffermazione dell’ordine del diritto secondo un meccanismo dall’evidente sapore punitivo e moralistico: ti sei messo tu dalla parte del torto e devi subire le conseguenze di reazioni che possono portare anche alla tua morte.

Sennonché l’idea di un diritto soggettivo sganciato dalla necessità difensiva urta irrimediabilmente contro il principio del necessario bilanciamento tra i diritti, secondo il quale nessun diritto può sfuggire al bilanciamento con il diritto alla vita e all’incolumità personale, riconosciuto come fondamentale dal nostro ordinamento e anche da altre convenzioni internazionali. Così come qualsiasi sanzione punitiva non può non tenere conto del fondamentale principio, affermato non solo dalla nostra Costituzione ma anche da atti internazionali, della necessaria proporzionalità della risposta sanzionatoria e punitiva di qualsiasi illecito. Mi pare il caso di citare in proposito l’articolo 2, comma 2, della Convenzione dei diritti dell’uomo che ammette la liceità dell’uccisione di una persona da parte del soggetto aggredito soltanto ove tale comportamento risulti «assolutamente necessario» per respingere una violenza illegittima in atto contro una persona e non una mera aggressione al patrimonio.

Fatte queste premesse in via generale, l’articolo 1 reca modifiche all’articolo 52 del codice penale in materia di legittima difesa. Le attuali prospettive di riforma della legittima difesa nascono dal temperamento tra due opposte esigenze: da un lato, la retorica nordamericana secondo la quale ciascun cittadino è nella propria casa libero di far fuoco contro chiunque vi faccia ingresso senza invito (checché se ne dica, è una specie di far west, una vera e propria licenza di uccidere, incompatibile con lo Stato di diritto); dall’altro, il principio dell’esclusivo monopolio statale dell’uso della forza, non essendo ipotizzabile ricorrere, sempre e tempestivamente, all’intervento delle Forze dell’ordine ogniqualvolta il cittadino subisca una qualsiasi aggressione. Tra questi due estremi bisogna trovare un contemperamento, e a questo si perviene con le attuali norme della legittima difesa.

La legittima difesa, quindi, non rappresenta un diritto originario fondamentale, ma trova la sua ragion d’essere a seguito di un pregresso comportamento offensivo, senza il quale non vi può essere alcuna legittima difesa. Pertanto, è indispensabile che la legittima difesa continui a figurare tra le cause di esclusione della punibilità. Il requisito della proporzione è necessario al fine di evitare di legittimare intollerabili situazioni di manifesta sproporzione tra aggressione e reazione, che oggi si vogliono, di contro, introdurre.

Ciò precisato, l’idea di fare a meno della proporzione attraverso la sua eliminazione o l’introduzione di presunzioni assolute avvia il percorso riformatore verso un pericoloso piano di contrasto con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Una volta eliminata la proporzione, come nel caso della difesa domiciliare, già introdotta nel 2006, essa fatalmente emerge attraverso l’altro requisito fondamentale della scriminante costituito dalla necessità difensiva, come è ampiamente dimostrato dalla giurisprudenza tedesca che, pur in assenza di un requisito legislativo espresso di proporzionalità, ha introdotto tale principio in via giurisprudenziale. Tutti i docenti di diritto penale e gli operatori di diritto uditi non hanno potuto che affermare che la necessità di difesa non può che implicare il requisito della valutazione della proporzionalità.

Ciò premesso, il disegno di legge di riforma si avvia a fare il grande passo di eliminare lo stesso requisito della necessità difensiva, rendendo legittima la difesa solo perché tale, in quanto reattiva ad un’aggressione ingiusta, riducendo, quindi, il nesso tra aggressione e reazione difensiva ad una mera consecuzione cronologica e di efficienza difensiva della reazione.

Adesso in uno Stato di diritto, se viene uccisa una persona, che sia un ladro o un onest’uomo, occorre, come abbiamo visto, necessariamente un’indagine e un processo per ricostruire la realtà storica dell’accaduto; è solo a quel punto che entrano in gioco le norme scriminanti, dopo che un giudice ha accertato la legalità delle modalità della condotta posta in essere come reazione ad una aggressione.

Non può e non deve esserci alcun automatismo, anche per evitare che possano consumarsi, approfittando di essere nel proprio domicilio, omicidi dolosi preconfezionati, anche contro persone di famiglia o avversari, mascherati da legittima difesa. Presumere sempre e comunque l’innocenza di chi usa un’arma in casa è un pericolo serio per uno Stato di diritto.

Concludo dicendo che bisogna anche valutare, attraverso le modifiche apportate dall’articolo 2 all’articolo 55 del codice penale in materia di eccesso colposo, il pericolo di collegare la punibilità allo stato grave di turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto. Bene, dare veste normativa a stati d’animo dell’aggredito è estremamente pericoloso. L’articolo 90 del nostro codice penale prevede che gli stati emotivi e passionali non escludano né diminuiscano l’imputabilità.

Con questa relazione di minoranza si è tentato di restituire le gravi mancanze di questo testo unificato, nonché i gravi rischi ai quali ci esponiamo. È davvero di vitale importanza che il Parlamento e ciascuno dei suoi componenti valutino secondo coscienza il merito e il metodo del provvedimento in discussione prima di ratificare, magari in buona fede, una vera e propria licenza di uccidere

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[su_spoiler title=”REPLICA” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Signor Presidente, non avevo intenzione di replicare, ma mi trovo costretto a farlo perché in qualche intervento si è voluto adombrare che io cerchi di difendere i ladri, i rapinatori, i malviventi, piuttosto che le famiglie e, quindi, l’inviolabilità del domicilio domestico. Assolutamente no. Io cerco di difendere lo Stato di diritto, quindi la legalità di uno Stato di diritto.

Come ho anticipato, la disciplina della legittima difesa è stata recentemente innovata, con la legge n. 59 del 2006, per effetto della quale sono stati aggiunti due nuovi commi destinati ad ampliare i limiti e regolamentare l’esercizio dell’autotutela nel domicilio privato, in altri luoghi di privata dimora e nei luoghi nei quali viene esercitata un’attività commerciale, professionale e imprenditoriale.

La modifica del 2006 rappresenta un’ipotesi speciale e autonoma: la cosiddetta legittima difesa domiciliare già esistente funzionante, dunque, anche per le attività commerciali e imprenditoriali. È evidente che la ratio ispiratrice era quella di evitare che chi abbia reagito all’aggressione perpetrata in casa o nel negozio, in presenza di determinate condizioni di legalità e di un riconoscimento della proporzionalità della reazione possa essere chiamato a rispondere di tali atti, come anche – nel caso di errore sull’uso dei mezzi o sul fine – di eccesso colposo in legittima difesa.

Una riforma in tal senso, dunque, penso non sia assolutamente necessaria; il sistema funziona e i numeri che sono stati elaborati – dal Ministero della giustizia prima e dal Servizio studi del Senato poi – lo dimostrano: in quattro anni dieci casi trattati al dibattimento. Ancora minori i casi trattati dal gip o dal gup. Peraltro, siccome qualcuno ha detto che tali dati difettano perché mancano quelli del pubblico ministero, non dimentichiamo che nessuna procedura si può concludere da parte del solo pubblico ministero, ma c’è sempre un giudice, anche nel caso di archiviazione, che emette un decreto di archiviazione. Quindi, sono contemplati anche quei casi.

In parole povere, nel nostro Paese non hanno diritto di cittadinanza né la vendetta né il potere punitivo – che può arrivare anche a una pena di morte – attribuiti al cittadino in modo privo da qualsiasi controllo di legalità e di legittimità. Il danno grave, oltre al livello normativo, è un danno culturale.

La vostra propaganda sta facendo credere ai cittadini che sarà lecito sparare in casa propria comunque e dovunque, con conseguenze inevitabili. Sappiamo bene che non c’è alcuna norma specifica che riguarda le armi; lo sappiamo, ma non è questo il punto. Noi prevediamo che questa disciplina potrà portare a un incremento di armi in circolazione nel nostro Paese per la necessità di difendersi. Nessuno ha detto che nella riforma ci sono norme specifiche sulle armi, ma più armi non significa più sicurezza: è questo il concetto che vogliamo far passare, perché l’arma in sé è già un oggetto che può generare violenza. È stato citato il caso di Lanciano. Ebbene, proprio la vittima di Lanciano ha detto che è stato un bene non avere un’arma in quel momento perché se l’avessero avuta probabilmente sarebbero stati uccisi nello scontro tra reazione aggressione e quanto poteva determinare.

Sappiamo bene che le armi aumentano la possibilità di incidenti di ogni tipo, in un momento in cui da anni – sono stati elaborati i dati – i reati diminuiscono sempre più.

Qualcuno ha detto di metterci nelle condizioni di chi subisce un’aggressione in casa. Io rispondo: mettetevi anche nelle condizioni del pericolo che può determinare questa deriva culturale. Pensate a un figlio che rientra a casa di notte e, avendo dimenticato le chiavi, cerca di aprire una finestra o armeggia sulla porta di casa, e il padre, che ha l’arma sul comodino, cerca di difendersi da una presunta aggressione. Quella condotta sarebbe una condanna ben peggiore di qualsiasi procedimento colposo o di qualsiasi procedimento che duri anche sette anni. Perché è questo quello che ci hanno rappresentato le vittime: la lungaggine dei procedimenti, il problema della stampa che si occupa di loro. Ma questo come si può evitare? Non lo eviterà certamente questo disegno di legge.

Qualcuno ha detto che io potevo fare domande alle vittime. Intanto, il rispetto delle vittime imponeva di non fare domande, ma io ho ascoltato molto bene tutto quello che hanno detto. Ebbene, le vittime hanno parlato sì di aggressioni predatorie e rapine a mano armata, ma hanno anche detto che non chiedevano una giustizia fai da te, tantomeno un’incentivazione dell’uso delle armi con licenza di uccidere, quanto piuttosto dei termini più brevi del processo: questo riguarda il problema della giustizia secolare e dei tempi dei nostri processi. Chiedevano piuttosto di trovare soluzioni di prevenzione, di controllo del territorio e di un maggiore contrasto da parte delle forze di polizia, che diminuiscono – quelle sì – i rischi per l’incolumità dei cittadini sia in casa sia fuori casa. In particolare le vittime, rappresentate dalle associazioni dei tabaccai, dei benzinai, dei farmacisti e dei gioiellieri, chiedevano una collaborazione diretta con le Forze dell’ordine, attraverso protocolli d’intesa che curino anche la formazione da porre in atto nel caso di pericolo. Tutti hanno detto come nei protocolli di intesa vengono suggerite tattiche di controllo della situazione senza reazioni, perché queste potrebbero mettere in pericolo l’incolumità anche di persone presenti ed estranee.

Hanno chiesto finanziamenti per implementare la videosorveglianza degli esercizi; una maggiore certezza della pena e infine, una norma che sarebbe assolutamente di buon senso ma che nessuno attua: la riduzione, se non la completa eliminazione, di danaro contante, attraverso l’utilizzo senza spese per l’esercente della moneta elettronica. Queste sono le richieste delle vittime e ribadisco che la casistica dà ragione al fatto che i giudici e i magistrati hanno applicato attentamente la disciplina vigente. L’unico caso in cui c’è stata una condanna è quello di un ladro in fuga, quando non c’era più alcun pericolo e non potevano esservi le condizioni per una legittima difesa. Questa è la situazione.

Con questo disegno di legge invece immettiamo una disciplina che toglie qualsiasi criterio di proporzionalità nella necessità di difendersi. Basta entrare in casa attraverso una violenza; nella legge però non viene detto se è una violenza sulle cose o sulle persone: anche un’effrazione può determinare quella situazione per cui si è legittimati a una reazione – qualunque essa sia – che si configura come legittima difesa. È questo il punto che non accettiamo, non che si possano respingere i ladri, i rapinatori e i malviventi dalla propria abitazione: quello lo dobbiamo e lo possiamo fare, senza però eliminare ogni possibilità di valutazione della situazione in concreto. È questo il punto.

Vi è poi l’articolo 2 che affronta un’altra situazione che farebbe venir meno l’eccesso colposo in legittima difesa nelle situazioni di cosiddetta minorata difesa, cioè in tempo di notte: quella modifica che era stata già prevista nella scorsa legislatura e che attenua la difesa, per cui in quei casi, se ci sono condizioni tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, non c’è nemmeno l’eccesso colposo. La cosa più grave è «il grave turbamento» che genera la possibilità di fare una variegata casistica di chi ha più o meno paura, di chi si turba di più o meno, per affidare il giudizio a un dato assolutamente incommensurabile e fumoso, quello della soggettività, quando il nostro codice penale esclude tale possibilità in maniera completa, all’articolo 90, quando dice che gli stati emotivi e passionali non possono escludere né diminuire l’imputabilità.

Queste sono le condizioni che stiamo per approvare. Richiamo quindi alla propria coscienza tutti i parlamentari: stiamo attenti in questo esame del provvedimento e cerchiamo di mantenere alta l’importanza della funzione parlamentare, perché quando sentiamo dire che questa norma è stata decisa altrove e qua non può che passare, perché frutto di un contratto, dobbiamo pensare che il Parlamento e il Senato non possono essere umiliati da decisioni che sono state prese altrove.

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[su_spoiler title=”DICHIARAZIONE DI VOTO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Signor Presidente, la legittima difesa è un argomento delicatissimo, perché rappresenta una deroga dell’uso della forza che è normalmente riservato allo Stato. Il brocardo latino lo dice chiaro: vim vi repellere licet, è lecito restituire una violenza a chi la pone contro di te.
Nell’affrontare l’eventuale riforma di tale istituto è quindi opportuno considerare gli aspetti specifici ed anche quelli più ampi di impatto sull’intero complesso di norme che regolano il nostro vivere comune. In altre parole, nel tentativo di correggere l’attuale normativa, qualora lo si ritenesse davvero necessario (e abbiamo dimostrato che non lo è, perché non è urgente e i casi sono sparuti nei nostri tribunali), non si deve rischiare di alterare irrimediabilmente il nostro sistema di diritto, la sua ratio e la sua coerenza. In parole povere, nel nostro Paese non hanno diritto di cittadinanza né la vendetta, né la pena di morte soggettiva.

Il danno grave, oltre che a livello normativo, è anche a livello culturale. La vostra propaganda sta facendo credere ai cittadini che sarà lecito sparare in casa propria e pur non toccando le norme specifiche – lo abbiamo detto – produrrà inevitabilmente un aumento di armi in circolazione nel nostro Paese. Lo ribadisco: più armi non significa più sicurezza.

Sappiamo bene che ciò aumenta la possibilità di incidenti di ogni tipo, in un momento in cui, da anni, i reati diminuiscono. Ricordo ai senatori del MoVimento 5 Stelle quanto affermavano Di Maio e Di Battista nel 2015. Scriveva Di Maio su Facebook: «Uno Stato serio (…) non dovrebbe consentire ad un singolo individuo di tenere (…) armi in casa. La detenzione di armi va ridotta drasticamente». Così rispondeva Di Battista: «Bravissimo Luigi. In USA si comprano nei supermercati. Stiamo andando verso quel tipo di società. Ce la metteremo tutta per non permetterlo nel nostro Paese». Ecco, state facendo esattamente l’opposto, colleghi 5 Stelle. Obbedienti alle richieste del vostro alleato, state ballando sulla musica della Lega, rinnegando i vostri principi. Ciò è testimoniato anche dal ritiro dei timidi emendamenti che erano stati presentati, sia in Commissione sia in Assemblea, e comprendiamo meglio adesso il senso del Governo del cambiamento. Solo che gli accordi e i contratti al di fuori di quest’Aula umiliano e rendono inesistente, come da qualcuno già teorizzato, la funzione parlamentare.

Deve assolutamente rimanere fermo il rifiuto di qualsiasi strumentalizzazione in chiave di presunzione generale dell’inflizione privata della pena di morte – di questo si tratta – sulla base di presunzioni assolute di proporzionalità sulla sola sufficiente allegazione di uno stato di turbamento psichico, ancorché grave. Cercare di dare veste normativa a concetti di natura soggettiva, come il turbamento, quindi legati a stati d’animo dell’aggredito, è veramente pericoloso. Cosa potrebbe significare? Chi è più timoroso e più pauroso può sparare? Può sparare di più? È evidente che è un’ipotesi eccessiva. Non dimentichiamo che, come ho già detto, ai sensi dell’articolo 90 del codice penale, gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità.

L’articolo 3 della riforma modifica poi l’articolo 165 del codice penale in materia di obblighi del condannato, nel caso di condanna per furto in abitazione o con strappo, ai sensi dell’articolo 624-bis del codice penale. Il beneficio della sospensione condizionale della pena sarebbe comunque subordinato a un requisito economico: solo chi si può permettere il risarcimento può accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena per questo reato. Attualmente, invece, l’articolo 165 del codice penale lascia alla discrezionalità del giudice la possibilità di sospendere la pena, subordinandola al pagamento del risarcimento. Ancora una volta si vuole eliminare la discrezionalità e l’equo apprezzamento del giudice, manifestando l’assoluta mancanza di fiducia e il disprezzo per una funzione giurisdizionale, che merita invece rispetto e considerazione.

Il testo unificato realizzerebbe una strumentalizzazione della deroga dell’uso della forza da parte dello Stato – lo abbiamo detto – mettendo sullo stesso piano, se non addirittura in un grado di inferiorità le istituzioni e le Forze dell’ordine nell’uso legittimo delle armi. Il provvedimento in esame, se approvato, eleverebbe la legittima difesa da scriminante a una sorta di pretesa punitiva per chiunque osi violare il domicilio, determinando in maniera automatica e cronologica effetti rischiosissimi sulla coerenza del sistema giudiziario, eliminando la discrezionalità del giudice e – ci è stato detto da tutti gli operatori del diritto auditi – aprendo la strada a pericolose presunzioni assolute e generalizzate.

Si tratterebbe, infine, della certificazione di un fallimento. È lo Stato, infatti, a dover assicurare la sicurezza e l’incolumità di ciascun cittadino e non è certo armando i cittadini che le istituzioni possono anche solo immaginare di colmare le proprie mancanze, come quelle dei tagli alle risorse da destinare alle Forze di polizia e all’assunzione di nuovi poliziotti, così come sta per avvenire, sulla base delle anticipazioni che ci sono giunte sulla manovra di bilancio.

Paradossalmente, si realizzerebbe l’effetto contrario, perché se si incentiva l’aumento del numero di armi in circolazione non può che aumentare il numero degli episodi violenti, così da alimentare spirali di violenza tra aggrediti e aggressori. Del resto, come hanno avuto modo di evidenziare inutilmente molte delle associazioni di vittime audite – farmacisti, tabaccai, benzinai, gioiellieri – come risposta alle aggressioni predatorie e alle rapine a mano armata serve non una giustizia fai da te, né tantomeno un’incentivazione all’uso delle armi, quanto piuttosto trovare soluzioni di prevenzione, di controllo del territorio e di contrasto da parte delle Forze di polizia, così da diminuire i rischi per l’incolumità dei cittadini eventualmente presenti.

In particolare, i soggetti auditi hanno richiesto una collaborazione diretta con le Forze dell’ordine attraverso protocolli di intesa, che curino anche la formazione sulle azioni da porre in essere nel caso di pericolo, piuttosto che scriteriate reazioni. Il suggerimento è quello di non reagire per evitare di mettere in pericolo anche le persone presenti. Sono stati richiesti finanziamenti per implementare la videosorveglianza degli esercizi, nonché una maggiore certezza della pena. Inoltre, è stata richiesta – cosa veramente logica e di buon senso – la riduzione, se non la completa eliminazione di denaro contante attraverso l’utilizzo, senza spese per l’esercente, della moneta elettronica.

Per tutti questi motivi, preannuncio il voto contrario della componente Liberi e Uguali del Gruppo Misto e mi appello alla sensibilità dei senatori di maggioranza.

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Alimentare il clima di intolleranza favorisce gli affari criminali

Intervista rilasciata il 17 agosto 2018

«Gli episodi delle ultime settimane ricordano l’Alabama dell’inizio del secolo scorso più che l’Italia del 2018, altro che goliardate o generico bullismo». Il senatore Pietro Grasso, fra i primi firmatari dell’appello del Forum antirazzista, non ha dubbi che si tratti di un’emergenza.

Molti, però, parlano di “cretini” o “teppisti”.

«Certe espressioni, certi comportamenti sono chiaramente razzisti e in più non è casuale il susseguirsi di una serie di aggressioni, compresi i proiettili a salve o ad aria compressa, sparati “per caso” ma che finiscono sempre per colpire stranieri, migranti, persone di colore. Episodi che si aggiungono alle violenze in crescita nei confronti comunque dei deboli, dei più poveri ed emarginati. È razzismo e chi lo nega cercando di minimizzare parlando di goliardate a mio avviso cerca di lucrare consenso nel sottobosco fascista del nostro Paese. Si conquista spazio mediatico sui media tradizionali e sui social “giustificando” e sminuendo queste violenze e così si alimenta quello che Umberto Eco in un suo saggio definiva “il fascismo eterno” sempre presente in Italia».

I proclami e le azioni del nuovo Governo, in particolare del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, possono incoraggiare tutto ciò? Il ministro, in piena emergenza per il crollo del ponte Morandi indicava come “buona notizia” lo sbarco dell’Aquarius a Malta e non in Italia.

«Certo il martellamento continuo dei politici di maggioranza su questo tema rafforza il clima di tensione. Anche in un giorno tragico come quello nel quale crolla un ponte, crolla un Paese, ci sono decine di morti, l’operazione di Salvini è quella di tenere alto quel tema che, alla fine, gli ha dato tanto successo. Tenere alta la tensione contro i diversi e i più poveri. Anche citare Mussolini come fanno alcuni significa aprire enormi spazi a quel sottobosco fascista, giustificare lo squadrismo. Mi ha fatto impressione ciò che è accaduto a Raffaele Ariano, che aveva denunciato l’annuncio razzista del capotreno e ad Agnese Stracquadanio che a Modica aveva segnalato il bar con le foto del duce. Sono stati messi alla pubblica gogna, aggrediti. Io invece voglio ringraziarli. Così devono comportarsi i cittadini di una Repubblica che, non dimentichiamolo, si fonda su una Costituzione nata dopo e contro il fascismo».

Ma questo razzismo che riemerge e che alcuni cavalcano è comunque in aumento, gli italiani sembrano sempre più intolleranti, perché?

«In tempi di crisi – economica, culturale, politica – è più facile far emergere l’egoismo, l’individualismo, propagandare nazionalismi e sovranismi. La solidarietà, l’accoglienza sono invece frutto di culture millenarie. La Sicilia queste culture le conosce bene e lo dimostrano i tanti casi di solidarietà, mi ricordo quello dei bagnanti del Ragusano che salvavano e rifocillavano i migrati sbarcati da un barcone. Ma la “pancia” della gente è più facile da orientare, soprattutto in un momento di insicurezza e di crisi economica. Ecco, l’abilità di Cinque Stelle e Lega è di far sembrare alle persone che la colpa sia di chi sta peggio di loro e non di chi evade le tasse, corrompe per accumulare ricchezza. La politica dovrebbe redistribuire la ricchezza, colmare i divari. Invece adesso lucra sulla rabbia, ma lucra anche sul crimine, su quelli che con gli illeciti danneggiano lo sviluppo del Paese».

Da esperto, la mafia in questo quadro si avvantaggia del clima?

«La mafia non sta mai ferma, anche quando come in questo periodo sembra in silenzio. Anzi proprio in questi casi c’è più da preoccuparsi. Sicuramente cercherà di lucrare anche sull’accoglienza, ma la colpa non è certo dei migranti. È interessante vedere che il meccanismo mafioso in fondo è lo stesso di quello che crea l’emergenza migranti, crea l’allarme invasione e poi si pone come soluzione al problema con espulsioni e cose simili. Cosa nostra basa il suo potere sull’intimidazione come metodo per ottenere consenso. La mafia crea il problema, danneggia un negozio o un’azienda, e poi offre la sua “soluzione”. Il metodo è quello. In generale, poi, un clima del genere non può che favorire i criminali».

C’è un allarme invasione costruito a tavolino?

«C’è una retorica dell’invasione alimentata ad arte da alcuni politici con un pezzo del mondo dell’informazione. Così si trasformano in problemi che vengono dall’esterno questioni tragiche che coinvolgono tutti gli esseri umani, italiani e extracomunitari. Come il caporalato che sfrutta italiani e stranieri, contro il quale abbiamo fatto una legge ma adesso ci vogliono più controlli. Invece si preferisce la retorica di chi vuole mandare a casa tutti, bloccare le frontiere, dimenticando che l’Italia è una nazione sempre più anziana, con pochi bambini e ha bisogno della manodopera straniera».

Le forze dell’ordine che funzione devono avere per arginare questi fenomeni razzisti?

«Sempre la stessa: controllare il territorio, fare avvertire la presenza dello Stato ovunque, anche nelle periferie dove l’assenza dello Stato significa criminalità ma anche il fenomeno delle “ronde” dei cittadini che vogliono fare da soli. Le forze dell’ordine devono combattere la criminalità grande e piccola, proteggere dalla violenza tutti gli esseri umani. Ecco cosa devono fare».

Sulle stragi di mafia è certa la regia politica

Intervista rilasciata a antimafiaduemila.com il 6 luglio 2018

La sentenza dei giudici di Caltanissetta ha certificato che le indagini sulla strage di via D’Amelio furono volutamente “deviate”, depistate da interessi politici, finanziari e imprenditoriali esterni a Cosa nostra. Alcuni delle menti che hanno agito in sinergia con la mafia sono morti, altri dovranno difendersi in un processo. Eppure sembra ancora di esser molto lontani dal conseguimento di una piena comprensione di quanto è accaduto in Italia tra la fine degli anni ‘80 e la prima metà dei ‘90.

“E’ vero”, ammette il sen. Pietro Grasso che, prima di diventare presidente del Senato (nella scorsa legislatura) ha trascorso lunghi anni ad occuparsi, da procuratore di Palermo e poi da procuratore nazionale, di gran parte dei misteri legati alla mafia e alla politica.

“Ho avuto io il privilegio, dopo aver insistito per anni, di convincere Spatuzza a collaborare con la giustizia, e proprio grazie alle sue dichiarazioni si è potuta aprire questa nuova stagione processuale su Via d’Amelio che ha reso possibile la prova inconfutabile del depistaggio.  Ma è vero pure – continua – che è proprio questo il limite dell’inchiesta giudiziaria, stretta nei confini dell’accertamento processuale e delle responsabilità che, per legge, sono personali. L’interpretazione di quanto sta attorno o lateralmente alla verità giudiziaria non è compito dei magistrati, ma della politica. Per questo sono sempre stato favorevole ad una Commissione d’inchiesta su tutte le stragi irrisolte, sia mafiose che terroristiche. Ricordo di averlo proposto anche nel mio discorso di insediamento come presidente del Senato”.

Eppure non è la prima volta che dalla magistratura arriva un input in direzione del Parlamento, perché si faccia carico di intervenire laddove per necessità si deve fermare la magistratura.

“E’ vero anche questo. Nel luglio del 2002 la Commissione Antimafia convocò il pm Gabriele Chelazzi, titolare delle indagini sulle cosiddette stragi nel Continente (1993). Il magistrato, poi scomparso prematuramente, spiegò a chiare lettere che il lavoro svolto era attinente alla individuazione degli organizzatori ed esecutori materiali, quindi uomini di Cosa nostra. Ma disse anche che restava l’impegno principale (un impegno collettivo di tutte le Istituzioni) di «stabilire il perché di queste stragi». E disse pure che nella storia repubblicana non si era mai verificato un attacco così massiccio contro lo Stato: sette attentati con morti e feriti in 11 mesi. L’audizione di Chelazzi durò solo 15 minuti, con l’impegno di una riconvocazione che non arrivò mai”.

Ma che c’entra tutto ciò col depistaggio accertato a Caltanissetta?

“La storia è unica. C’è un filo che parte dal fallito attentato a Giovanni Falcone, Addaura 1989, e si spinge fino al fallito attentato contro i carabinieri, anno 1994, allo stadio Olimpico di Roma, dove i morti avrebbero dovuto essere centinaia. E, se si fa attenzione, non si può non notare come anche nell’indagine sul depistaggio, a Caltanissetta, restino aperti molti interrogativi sulla causale di quella deviazione. Chi depista lo fa per qualche motivo. Allora mi chiedo: cosa si voleva nascondere? Cosa non si voleva venisse alla luce? Si potrebbe fare un lungo elenco delle domande ancora senza risposte contenute nella trama di questo tragico romanzo italiano”.

Può essere più preciso?

“Uno dei quesiti fondamentali riguarda la strage di Capaci. Falcone doveva essere ucciso con armi convenzionali a Roma, dove Riina aveva mandato un gruppo di fuoco. Improvvisamente cambia idea, richiama i killer comunicando che si cambia strategia: «si fa diversamente». E dall’omicido classico si passa alla strage eclatante che, con la consapevolezza di Riina, che non è né stupido né sprovveduto, assume la diversa connotazione di operazione mafioso-terroristica, come ebbe a definirla il pentito Gaspare Spatuzza. Forse bisognerebbe chiedersi perché Riina trasforma Cosa nostra in un gruppo terroristico, rinnegando la propria storia e la propria origine. Chi gli ha suggerito la giravolta? Perché ripete l’attacco meno di due mesi dopo contro Paolo Borsellino? Perchè viene abbandonato il progetto di uccidere altri uomini politici dopo Salvo Lima e Ignazio Salvo, indirizzando la violenza mafiosa contro il patrimonio artistico fuori dalla Sicilia? Certo, Riina non credo conoscesse l’esistenza del Velabro e degli obiettivi di Firenze e Milano. Interrogativi pesanti, ancora di più se si pensa che le indagini successive hanno più volte indicato presenze estranee alla mafia nei luoghi di preparazione degli attentati. Tanto per citarne alcuni: il collaboratore del Sisde (indicato come faccia da mostro), presente sulla scogliera dell’Addaura nei giorni dell’attentato a Falcone (riconosciuto da una teste poi ritenuta inattendibile), o la «persona elegante» vista da Spatuzza mentre i mafiosi riempivano di esplosivo la 126 fatta esplodere in via D’Amelio”.

Insomma, sta dicendo che c’è stata sempre una regìa estranea alla mafia.

“Di pari passo con i bombaroli di Cosa nostra abbiamo visto muoversi, come in una regìa unica, non solo la mafia. Gli attentati contro i carabinieri in Calabria, in un primo tempo liquidati come normali scontri a fuoco o l’attentato alla caserma dell’Arma di Gravina, vicino a Catania. Per non parlare dell’attività della sedicente Falange Armata e del black-out di Palazzo Chigi, la sera degli attentati del ‘93, che fece temere il golpe al presidente Ciampi. E potremmo andare avanti ancora per molto. Per esempio bisognerebbe chiedersi perché Cosa nostra in un primo momento senta la necessità di fondare un partito politico (Sicilia libera di Leoluca Bagarella) che poco dopo tempo scioglie, perché, dicono i pentiti, avevano trovato di meglio”.

Questa è la tesi del presunto abbraccio con Forza Italia?

“Non ci sono prove in proposito, nel senso che non è parso credibile che la formazione di quel partito sia stata suggerita da interessi meramente mafiosi. Resta, tuttavia, un punto certo: la condanna per mafia, confermata in Cassazione, per Marcello Dell’Utri che di quel partito è cofondatore”.

E’ certo che una Commissione d’inchiesta sia il toccasana?

“Abbiamo il dovere dell’ottimismo e verificare se le dichiarazioni roboanti del «Cambiamento» poggino su qualcosa di concreto o se basti affermare che «la mafia fa schifo» con lo stesso slogan di Cuffaro. L’ultima relazione – approvata all’unanimità – ha fatto molti passi avanti, e da buoni consigli per la prossima, che io ho raccolto nel Ddl che ho presentato il primo giorno di questa Legislatura”.

 

 

Intervento sulle Comunicazioni del presidente del Consiglio

Intervento sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018

Signor Presidente, ministro Savona in rappresentanza del Governo, visto che il presidente Conte si è allontanato, colleghi,

gli incontri europei dei prossimi giorni sono cruciali per il destino dell’Unione europea e soprattutto per quello dell’Italia. Si discuterà infatti non solo della gestione dei flussi migratori, ma anche di sicurezza e difesa, di Brexit, di innovazione digitale, di occupazione e crescita, del bilancio comunitario e su questi argomenti il Governo è stato piuttosto silente. Le ragioni della permanente campagna elettorale sono state più rilevanti del dibattito su come rimodulare le spese dell’Unione per sostenere la crescita economica e aiutare chi ha più bisogno. Avete ancora una volta usato l’arma della propaganda più becera e pericolosa, avete usato in modo spregiudicato e cinico la vita delle persone, per alzare il prezzo delle trattative in Europa. Già in passato è stata usata anche da altre forze politiche questa strategia, in cambio di una maggiore flessibilità finanziaria. Si tratta di una scelta miope, che non risolve né l’uno né l’altro problema. La vita e la dignità di quelle persone valgono molto di più.

Ora che sono passati anche i ballottaggi delle recenti elezioni amministrative, ci auguriamo che il Governo sia più equilibrato rispetto a quanto è stato finora. Chi governa ha il dovere di tenere il nostro Paese lontano da certe pulsioni, che voi invece alimentate ogni giorno.

Il Governo, a cui spesso viene dettata la linea da Ministri diversi dal Presidente del Consiglio, si presenta in Europa dopo aver dato una bruttissima e imperdonabile immagine di sé. Siete riusciti, nel breve tempo di poche settimane, a inimicarvi la parte di Europa con la quale invece dovremmo dialogare, a meno che l’alternativa non sia di farlo con uomini come Orban, che non vogliono cambiare l’Europa, vogliono distruggerla. Nonostante i buoni rapporti e l’identità di vedute sovraniste con il ministro Salvini, il presidente Orban non ha accolto nemmeno un migrante di quelli previsti dalle quote. Sono i tipici conflitti tra sovranisti: i migranti non li voglio e te li tieni tu.

Su questi presupposti, con il rilancio addirittura da parte dei Paesi di Visegrad del tema del respingimento dei rifugiati che provengono dai Paesi dell’Unione europea, è legittimo ritenere che quei dieci punti illustrati dal presidente Conte non siano altro che un ennesimo tentativo che purtroppo non troverà il doveroso accoglimento in sede europea.

Noi non abbiamo dubbi: stiamo dalla parte di chi crede in un’Europa diversa, più unità e solidale, non dalla parte di chi coltiva l’incubo nazionalista. Temevamo che l’Europa si potesse disgregare per l’euro, adesso temiamo che l’Unione europea si possa sgretolare sull’immigrazione.

Voi davvero pensate di poter fermare la disperazione di migliaia di persone che fuggono da guerre, povertà e violenze mostrando il pugno di ferro con i disperati in balia del mare?

Voi credete che chiudere un porto non aprirà altre e più pericolose vie d’accesso al nostro continente?

Voi davvero sostenete l’idea che aprire degli hot spot lontano dalle nostre coste, lì dove ogni basilare diritto umano è regolarmente violato, possa pulire la coscienza?

Voi davvero ritenete che militarizzazione il nostro mare, da secoli crocevia di incontri di culture, ci renderà un Paese migliore, in grado anche di cambiare in meglio la Comunità europea?

Noi di Liberi e Uguali crediamo fortemente di no. Noi pensiamo che questo sia il tempo del coraggio; coraggio nel difendere l’idea che nessuna cifra vale la vita di un uomo, coraggio di ricordare che a un naufrago non si chiedono i documenti, si tende la mano. Desidero cogliere questa occasione per ringraziare l’ammiraglio Pettorino, che ha corretto una vergognosa affermazione del Ministro dell’interno che istigava a commettere il reato di omissione di soccorso. Il comandante della Guardia costiera ha dichiarato: noi agli SOS rispondiamo sempre, è un dovere morale prima che giuridico.

Al di là di ciò, va affermata con chiarezza la necessità di una nuova politica europea riguardante l’immigrazione, fenomeno destinato a durare nel tempo. Pensate che anni fa si calcolavano in due milioni gli africani pronti al balzo verso l’Europa; ora, secondo recenti stime, sono addirittura raddoppiati e si parla di quattro milioni. Il diritto d’asilo, sancito da trattati internazionali, richiede una legislazione comune, accordi riguardanti vie d’accesso sicure, accoglienza degli aventi diritto da parte dei singoli Stati; occorre investire maggiormente in politiche di adeguata e dignitosa accoglienza, di integrazione, di inclusione reale. Affrontare il problema solo in termini di sicurezza è miope, oltre che foriero di politiche aberranti. Serve in particolare un salto di qualità da parte dell’Unione europea nei confronti del continente africano nel suo insieme, con politiche più coerenti.

Sia chiaro, l’Italia è, insieme ad altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, in una posizione insostenibile a causa del regolamento di Dublino. Siamo i primi – e colgo l’occasione per ringraziare la nostra europarlamentare Elly Schlein per lo straordinario lavoro che ha fatto a Bruxelles su questo tema – a credere che vada superato il criterio del primo approdo. Siamo i primi a chiedere a Francia, Spagna e Germania, ma anche a tutti gli altri, di mettere da parte gli egoismi e le rendite di posizione, in favore di una vera condivisione dei problemi del nostro continente. Oggi ci sarà una grande mobilitazione, promossa da più di 200 associazioni in oltre 140 piazze in Europa, per la European solidarity, alla quale mi sento di aderire convintamente. E mi domando: che giudizio si può dare del fatto che i partiti che sostengono questo Governo hanno votato contro o si sono astenuti sulla proposta del Parlamento europeo di rivedere quel regolamento, superando il criterio del primo approdo e sostituendolo con la redistribuzione dei richiedenti asilo in tutti e 27 gli Stati membri?

Sui giornali, in roboanti dichiarazioni e a colpi di tweet di grande impatto chiedete che l’Europa cambi; ma lì dove quel cambiamento può avvenire siete clamorosamente assenti o contrari. Siete ancora una volta forti con i deboli e deboli con i forti: questa è la cifra del vostro Governo. Difendete con forza questa proposta domani al Consiglio europeo. Parlate di invasione, di emergenza, di orgoglio nazionale finalmente ristabilito; sarebbe invece il caso di parlare di spaventosa e incomprensibile retorica della paura. Basta slogan, basta. Migliaia di uomini, donne e bambini sono morti in questi anni al largo delle nostre coste. Forse per voi sono un po’ di clandestini in meno. Per noi erano esseri umani.

Sinistra quasi sparita, ora LeU diventi un partito

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Intervista rilasciata al Corriere della Sera il 16 giugno 2018

Presidente Pietro Grasso, dal 4 marzo non si hanno sue notizie. Che fine ha fatto?

«La sinistra è quasi sparita dai media. La sconfitta è stata dura per tutti, ma deve diventare l’occasione per cambiare passo».

L’Italia intanto ha svoltato a destra.

«Lega e 5 stelle hanno saputo interpretare sofferenza e rabbia, ma per loro la pacchia è finita. Gli italiani si aspettano che trasformino in realtà le loro mirabolanti promesse».

Leu sopravvivrà o è stata solo una lista elettorale, non troppo fortunata?

«Abbiamo deciso di rilanciare. Dai territori, dai militanti e dal milione di elettori c’è stata una spinta forte ad andare avanti, ad aprirci e trasformare la lista in partito».

Farete le primarie per il leader?

«Dal 1° luglio sarà possibile aderire a Liberi e Uguali. La prima fase sarà la definizione del profilo politico, la discussione del manifesto dei valori. Parleremo di idee, temi, di futuro e non di tattica, di elezioni, di liste. Sarà una fase ampia, aperta a nuove adesioni e a nuovi mondi. Dopo, da ottobre a dicembre, ci saranno le votazioni per scegliere una nuova classe dirigente».

Lei si candiderà, o lascerà spazio a giovani leader?

«Accompagnerò questo percorso, ne sarò garante. Con che ruolo si vedrà».

L’acronimo non ha funzionato. Lo cambierete?

«Il nome mette al centro due valori fondamentali della Costituzione e io credo che il momento storico e l’avanzata delle destre abbiano inciso più dell’acronimo».

Cosa prova quando sente dire da Salvini che i migranti sono in crociera?

«Mi vergogno per lui. Fare il forte coi più deboli è facile, in questo Salvini è un maestro. Non gli ho sentito dire che la pacchia finirà per sfruttatori, mafiosi, evasori fiscali, corrotti. Anzi, promette di togliere il limite ai contanti, si scaglia contro il codice degli appalti e la legge sul caporalato. I criminali ringraziano».

Raggi deve dimettersi?

«Il tema è l’incapacità di amministrare, direttamente o per interposta persona».

Unirete le forze con il Pd?

«Costruiremo LeU come una forza autonoma che parlerà con le altre forze, dal Pd a quelle che stanno nascendo a sinistra».

Lei risulta in debito con il Pd per 83 mila euro. Restituirá la «tassa» che le era richiesta come senatore dem?

«A me non è arrivato alcun decreto ingiuntivo, ma ho comunque invitato nei giorni scorsi il tesoriere del PD a incontrarci per discuterne e chiarire definitivamente».

Come giudica il debutto di Casellati, prima presidente del Senato donna?

«Un altro pezzo del tetto di cristallo che cade. Ha esperienza e la mia stessa fortuna, essere coadiuvata da una Amministrazione di grande professionalità ed equilibrio».

 

Sulla Fiducia al Governo Conte

Intervento in Senato del 6 giugno 2018

Onorevole Presidente, Colleghi,

le intenzioni di questo nuovo Governo, e la sua sostanza politica, erano già ampiamente note prima del suo intervento, presidente Conte, anche perché non ha fornito all’Aula alcuna novità, né sui tempi né sulle risorse con le quali intende trasformare in atti concreti quella che rimane una dichiarazione di intenti.

Nel programma che Ella ha illustrato, quello che vi ostinate a chiamare “contratto di Governo”, Movimento 5 Stelle e Lega hanno disegnato un’idea di Paese che ci vedrà – qui in Parlamento e fuori – convintamente all’opposizione. Avete iniziato male. Malissimo. Le dichiarazioni di questi giorni del ministro Fontana sulle famiglie arcobaleno e del ministro Salvini sul fenomeno dell’immigrazione descrivono meglio di qualunque “contratto” la vostra idea sui diritti civili. Ci aspettano anni – ammesso che questo Governo superi la prima legge di Bilancio – in cui dovremo contrastare con ogni forza il tentativo di fare passi indietro sui diritti civili. Sembra di capire che dobbiamo ringraziare la fortuna che i diritti civili siano fuori dal contratto se non faremo immediati e precipitosi passi verso il medioevo, e che dobbiamo temere, come con le compagnie telefoniche, gli aggiornamenti contrattuali a venire.

Non accetteremo la scorciatoia per cui i diritti sociali sarebbero in contrasto con i diritti civili. Non accetteremo il silenzio del ministro dell’Interno sull’esecuzione di un sindacalista di 29 anni in Calabria solo perché immigrato (regolare, ministro, per di più). Solo oggi, dopo più di due giorni, col suo passaggio nel discorso ha messo fine ad un vergognoso silenzio. Non accetteremo l’idea che in quest’Aula ciascuno di noi possa risparmiare decine di migliaia di euro con la Flat Tax – perché la tassa piatta è un favore solo ai ricchi – con la conseguenza di dover tagliare i fondi per la sanità e l’istruzione pubblica; vigileremo perché non sia perpetrata l’ennesima ingiustizia nei confronti delle classi meno abbienti di un aumento della tassazione indiretta per fare cassa, che pure fino a qualche giorno fa autorevoli esponenti del vostro governo ipotizzavano.

Non accetteremo l’idea per cui sia più sicuro un paese dove aumenti il numero delle armi in circolazione, dove la difesa sia affidata ai singoli cittadini e non allo Stato. Non accetteremo il vincolo di mandato, perché ciascun parlamentare è e deve rimanere una persona libera di esprimere i propri valori e gli ideali che è chiamato a rappresentare, non uno schiacciabottoni agli ordini di un capo o di una srl.

Noi propugniamo e difenderemo un’altra idea di Italia: un Paese dove i diritti siano davvero per tutti e i doveri siano rispettati da ogni cittadina e cittadino, senza distinzioni. Un Paese dove il sistema tributario rispetti il principio di progressività e la redistribuzione del reddito consenta a tutti di godere effettivamente dei diritti sanciti dalla Costituzione, dal diritto allo studio al diritto alla salute. Un Paese dove sia garantito il diritto al lavoro: un lavoro con una giusta paga e le tutele dovute. Un Paese in cui la parità di genere sia garantita ad ogni livello, mentre nella composizione del vostro Governo non è stata tenuta in nessunissima considerazione. Un Paese in cui la lotta alla criminalità sia affrontata in modo sistemico, serio, liberando finalmente risorse vere, a cominciare dal Mezzogiorno. Un Paese dove chi nasce in Italia e qui frequenta un ciclo scolastico possa diventare cittadino a tutti gli effetti, con i diritti e i doveri previsti dalla Costituzione: una legge che con rammarico è stata lasciata cadere al termine della scorsa Legislatura. Un Paese dove esistano ancora il rispetto di ogni diversità, la fiducia reciproca, la solidarietà verso chi è più debole, l’attenzione ad ogni fragilità. Un Paese in cui lo Stato non siete solo voi – come imprudentemente affermato da uno dei suoi due dante causa, presidente Conte – perché lo Stato siamo tutti, tutti i cittadini, il territorio che abitiamo, le leggi che ci guidano e le Istituzioni ad ogni livello.

Avete con furbizia alimentato la rabbia sociale, fatto leva sulle paure e peggiorato il clima della convivenza civile nel nostro Paese. Avete lucrato consensi indicando una serie di nemici: prima il Sud fannullone, poi la Casta, i migranti, i complotti internazionali, la stampa. Avete detto tutto e il contrario di tutto su ogni tema, avete minacciato querele per chi diceva che vi sareste alleati, avete allungato i tempi della formazione del Governo come se questo non avesse ripercussioni sull’immagine del Paese, la sua credibilità, i risparmi dei cittadini, l’accesso al credito per le imprese. Queste sono le premesse con cui vi presentate in quest’Aula.

Già in questi pochi giorni siete dovuti tornare indietro su moltissime delle trionfanti promesse della campagna elettorale. Sappiamo già che – di fronte a un contratto che è un libro dei sogni – inizierete a dare la colpa a chi vi ha preceduto, ai vincoli internazionali, ai vostri alleati di governo, a noi dell’opposizione, al destino, al meteo, alle cavallette. Noi siamo certi che molte delle vostre promesse rimarranno tali: di alcune lo speriamo e faremo in modo che non si realizzeranno mai. Non so immaginare qualcosa di più ignobile che fare discriminazioni tra i bambini nell’accesso all’asilo nido, ad esempio, cosa che non avete mancato di scrivere.

In questo momento godete del consenso dell’opinione pubblica, del favore dei media, delle aspettative che avete saputo creare nel Paese. L’elettorato però ha dimostrato che in pochi mesi si può passare da larghi consensi, anche ben più larghi dei vostri attuali, a brucianti sconfitte. Avete ora la responsabilità di guidare il Paese: vi auguriamo e ci auguriamo che sappiate farlo. Permetteteci però qualche dubbio, e non solo per la squadra messa in campo, ma per le affermazioni così contrastanti tra di voi che vi abbiamo sentito proferire nelle aule parlamentari della scorsa legislatura, in campagna elettorale, nei quasi tre mesi di faticosa costruzione del governo. Un tema su tutti, l’Unione europea: non si capisce bene, ancora, quale sia il vostro orizzonte – e sì che di opinioni ne avete cambiate e raddrizzate tante in tre mesi!- e l’Italia non ha certo bisogno di incertezze, eventualmente di determinazione nel dare continuità al proprio ruolo di paese fondatore.

L’idea che noi abbiamo di Europa è quella di un’unione solidale, non della somma di sovranismi “padroni a casa loro”. E non si tratta solo di un’idea astratta, ma delle politiche economiche e sociali che da quel principio discendono. Non basta ripetere la parola “cambiamento” in ogni frase, anche perché è una parola bifronte: si può cambiare in meglio ma anche in peggio. E’ quello che temiamo. Il neo ministro dell’Interno, che ha il primato indiscusso di aver creato un incidente diplomatico con la Tunisia prima ancora di entrare al Viminale, non più tardi di tre giorni fa, ha dichiarato, ad ulteriore dimostrazione della propria sensibilità solidale, che per i migranti “la pacchia era finita”: l’unica pacchia ad essere finita è la vostra, ora dovrete sostituire le facili dirette Facebook e il conto dei “like” con atti di Governo.

Intervento in Aula sulla situazione politica

Intervento in Senato del 29 maggio 2018

Onorevole Presidente, colleghi,

la Costituzione è ciò che ci unisce, al di là delle ragionevoli divergenze di indirizzo politico e di idee, appartiene a tutti noi e tutti noi abbiamo il dovere di difenderla, quando essa viene tradita nel suo significato più profondo. In queste ore la nostra Costituzione è minacciata da comportamenti, gesti e intenzioni, che minano le fondamenta della nostra Repubblica. Vi invito, cari colleghi del Movimento 5 Stelle e della Lega, a fare un passo indietro, perché temo che voi non abbiate chiare fino in fondo le drammatiche conseguenze delle vostre azioni.

Non vorrei parlare del Presidente della Repubblica, ma è stato evocato e dico che il Presidente della Repubblica è il supremo custode della Carta, rappresenta l’unità della Nazione. Nessuno ha il diritto di trascinarlo in bagarre che nulla hanno a che fare con la tradizione repubblicana. Vorrei dire che in queste ore, per fortuna, stiamo assistendo a una larghissima e diffusa manifestazione di affetto e di fiducia nei suoi confronti e noi di Liberi e uguali ci uniamo convintamente a quelle donne e a quegli uomini di cui siamo fieri e che ringraziamo.

Detto questo, sulla situazione politica, come membri di questa Assemblea saremo chiamati a dare dignità parlamentare al dibattito, che si è svolto fino ad ora attraverso roboanti dichiarazioni mediatiche da parte di alcuni esponenti politici e, in quella circostanza, ciascuno dovrà pubblicamente assumersi le responsabilità delle proprie azioni di queste settimane. Lega e Movimento 5 Stelle hanno doppiamente ingannato i cittadini, prima conducendo una campagna elettorale senza mai esplicitare le loro reali intenzioni, poi fingendo per settimane di perseguire l’intento di formare un Governo politico. Così facendo hanno esposto le istituzioni, l’Italia e tutti i cittadini a pesantissime e pericolosissime sollecitazioni internazionali. Diciamolo chiaramente: vi siete presentati agli elettori forti di due programmi irrealizzabili, in contrapposizione. Poi siete giunti a un accordo al grido di: «Contano i temi e non le persone, i contenuti e non i nomi, le cose da fare e non le poltrone!». Poi, proprio su un nome avete deciso, irresponsabilmente, di non dare avvio a questa legislatura e di lasciare il Paese senza un Governo politico, che pure avete reclamato per settimane, con il basso calcolo di guadagnare qualche consenso in più.  Voglio essere chiaro: nel vostro programma – chiamarlo contratto è un’ennesima truffa – c’è un’idea di democrazia che non ci piace, c’è la volontà di fare ulteriori discriminazioni tra gli abitanti del nostro Paese, c’è l’idea che l’Italia sia più sicura armando le persone, che i ricchi debbano pagare le stesse tasse dei poveri e che, comunque, tutto si risolverà cacciando qualche migliaio di stranieri. Eravamo e siamo pronti a sfidarvi qui, in Parlamento, e nel Paese sui temi che toccano la vita dei cittadini: il diritto al lavoro, la lotta alla precarietà, il contrasto alle diseguaglianze, la sanità pubblica, il superamento della legge Fornero, il rilancio del Mezzogiorno, un piano verde di investimenti pubblici, i temi dell’ambiente, della sicurezza, della giustizia e i diritti civili e di cittadinanza.

Voi avete scelto altro: avete scelto di esporre il Paese e i cittadini a grandi rischi (e lo vediamo in queste ore) per il vostro tornaconto. Le urla e gli attacchi di queste ore sono pericolosi; state aizzando i vostri sostenitori contro le istituzioni, contro gli uomini e le donne che le rappresentano. Rappresentare i cittadini è, prima che un grande onore, un’enorme responsabilità; lo dico da uomo che per tutta la vita, con ruoli diversi, ha servito orgogliosamente le istituzioni e che oggi in quest’Aula non intende concedere nulla a chi le ingiuria. In gioco c’è molto più che la contesa politica, qualche consenso in più alle prossime elezioni o una maggiore copertura mediatica nei tg della sera; in gioco c’è molto di più che opposte visioni del futuro dell’Italia. Se consentiamo alla dialettica politica di tracimare in espressioni violente ed eversive, se non ci sentiamo tutti a disagio davanti a certi gesti, allora è la stessa tenuta della nostra comunità che è davvero a rischio. Ciascuna forza politica ha il dovere di prendere le distanze da tali comportamenti, di condannarli e di prendere provvedimenti contro i propri esponenti. È vostro dovere assumervi la responsabilità di chi è chiamato a guidare una comunità politica. Ed è nei passaggi più delicati che si vede la differenza tra chi pensa solo alla convenienza a breve termine e chi ha a cuore il Paese che dice di voler difendere.

Pertanto, abbiate il coraggio di porre dei limiti ai comportamenti vostri, dei vostri compagni di partito e dei vostri sostenitori. Per nascondere i vostri errori e i vostri calcoli state fomentando un odio che può travolgere le fondamenta stesse della nostra comunità. Noi di Liberi e Uguali non staremo a guardare. Non possiamo certo, come voi, accettare che il commissario europeo al bilancio ci dica che i mercati ci insegneranno a votare. Ma, allo stesso tempo, crediamo che non esista altro orizzonte se non quello dell’Europa, diversa, radicalmente diversa da quella di oggi. Noi non siamo nazionalisti, non vogliamo uscire dall’euro, non crediamo che la soluzione sia di tornare indietro; rivendichiamo però le possibilità di uno spazio di critica che costruisca finalmente un’Europa politica dei diritti sociali e civili, capace di superare, una volta e per sempre, i meccanismi dell’austerità e della speculazione finanziaria.

Noi lanceremo, nelle prossime ore, un’iniziativa politica forte, sulla quale ci auguriamo convergano le forze civiche del nostro Paese. Noi spiegheremo ai milioni di cittadini che guardano con preoccupazione alla vostra irresponsabilità che, con le vostre azioni, state mettendo a rischio la qualità della nostra democrazia, la stabilità dell’Italia, la tenuta dell’economia, i risparmi delle famiglie, il credito alle imprese. Voi state aprendo la strada a una crisi ben più forte e profonda di quanto si riesca a immaginare. State ipotecando il presente e il futuro della nostra nazione.