Foqus, network di imprese per lo sviluppo nei quartieri spagnoli

Ministro, Autorità, Signore e Signori,

è con grande piacere che ho accolto l’invito a partecipare all’inaugurazione, oggi, della sede di questo ambizioso progetto chiamato “Foqus”, e per molte ragioni.

La prima è perché il progetto mi è sembrato subito ambizioso, un laboratorio di collaborazione tra pubblico e privato in linea con le sperimentazioni europee più avanzate e che potrà costituire una buona pratica da replicare in altre zone del Paese. La seconda è perché ritengo che Napoli meriti una considerazione diversa e migliore nel racconto che se ne fa in televisione e sui giornali, e su questo ritornerò più avanti. La terza è perché, in un momento difficile sia a livello economico che sociale e culturale inaugurare uno spazio come questo significa dare dimostrazione di impegno e di speranza, le due cose di cui abbiamo davvero più bisogno. Per uscire da questa crisi occorre una visione di medio-lungo periodo, alla quale noi non siamo più abituati e che qui invece mi sembra abbia guidato la progettazione di Foqus. L’altro ieri ho avuto un lungo colloquio con il senatore Renzo Piano, che mi ha spiegato, insieme ai giovani architetti che ha coinvolto nel suo progetto versando loro l’indennità che percepisce da senatore, la sua idea di “rammendo delle periferie”. Lo so che è improprio definire periferia i Quartieri spagnoli, ma in questo mi rifaccio a quelle che Papa Francesco ha chiamato “periferie esistenziali”, ma i dati sono paragonabili a quelli delle periferie del nostro Paese: quasi il 20% di popolazione straniera, risiede qui il 10% di tutti i minorenni napoletani, un alto tasso di rischio devianza e due tristi primati: il più alto tasso di evasione scolastica e di disoccupazione della città.

Per questo è giusto che un intervento concreto di riqualificazione parta da qui, dove la sfida è più ardua, dove la comunità è fiaccata e frustrata da una situazione difficile e dal racconto che ne viene fatto. Il progetto è fortemente e indubbiamente innovativo, perché questa volta lo stimolo, l’impulso e quindi l’impegno alla trasformazione e rinascita sociale di un ambiente degradato viene da un gruppo di imprese private, in accordo con le istituzioni locali e quelle europee. Fa da guida a quest’opera di rilancio, l’impresa sociale “Dalla parte dei bambini”, che, come ho potuto vedere questa mattina, ha già formato nel corso dell’anno passato più di 100 giovani inoccupati e ha sostenuto le spese per la ristrutturazione dell’Istituto del Montecalvario.

Sono già stati creati asili, scuole, e luoghi di studio delle arti, come una sezione distaccata dell’Istituto di Belle Arti, ma anche luoghi di svago e di recupero psico-fisico delle persone e dei giovani in particolare. Inoltre ho saputo che verranno create delle botteghe di mestiere che formeranno specialisti e riavvicineranno i giovani ai mestieri tradizionali in un’ottica di innovazione e di stimolo all’imprenditoria. In definitiva stiamo assistendo ad un innovativo esempio di svolgimento di un’attività pubblica da parte di soggetti privati. Gli obiettivi e i risultati che comunemente sono l’espressione dello Stato sociale, qui sono dunque perseguiti da un network di imprese private.

Non si tratta solo o semplicemente di dare lavoro a molti giovani disoccupati o inoccupati, ma proprio di avviare gli stessi al lavoro, creando nuove professionalità e nuovi imprenditori. Si tratta di dare spazi ai bambini e sottrarre alla strada tanti giovani. Si risponde così all’esigenza di rimettere al centro la scuola, l’educazione e la cultura e di risanare un’area depressa dando ai giovani la spinta e i mezzi per credere nel rilancio e in un mondo migliore.

Questa esigenza trova riscontro anche nel Rapporto OCSE 2014 sull’istruzione, che ha evidenziato l’aumento dal 2008 al 2012 del 5% dei giovani senza attività lavorativa usciti dal sistema di istruzione, e la diminuzione delle motivazioni dei giovani italiani nei confronti dell’istruzione, proprio a causa delle sempre maggiori difficoltà riscontrate nella ricerca di un lavoro. Tutto questo a fronte di una diminuzione della spesa pubblica nel campo dell’istruzione come ci diranno i dati OCSE che saranno presentati tra poco. Con progetti come Foqus trova allora applicazione, anche per quanto riguarda il tema dello Stato sociale, il principio di sussidiarietà sancito dal quarto comma dell’articolo 118 della Costituzione, poiché l’autonoma iniziativa dei privati cittadini, qui in forma associata, viene a svolgere un’attività di interesse generale, offrendo la possibilità concreta di concorrere al progresso materiale e morale della società,  ai sensi degli articoli 3 e 4 della Costituzione con la collaborazione dello Stato e degli enti locali. È importante che i nostri giovani siano educati, come lo sono state le generazioni passate, all’etica del lavoro quale mezzo di promozione sociale e di sviluppo collettivo. Lavoro che vuol dire spirito di sacrificio, impegno, assunzione di responsabilità, fatica fisica e intellettuale. Ma vuol dire anche soddisfazione per ciò che si è contribuito a realizzare, partecipazione al raggiungimento di un comune obiettivo, creazione di prospettive per l’avvenire e possibilità di programmare il proprio percorso di vita. Tutto questo si può ottenere anche attraverso il ricorso ai capitali e agli investimenti privati.

Lasciatemi aprire una parentesi sulla rappresentazione di Napoli che è stata data dopo i fatti di Traiano: non ho apprezzato il dibattito dei giorni successivi e l’immagine che si è voluta dare di un quartiere intero, di una città quasi, contro lo Stato e a favore della camorra. Non è cosi. Gli abitanti di quel quartiere, come dei tanti quartieri periferici di molte città del sud, sono le prime vittime della camorra. Se stanno  manifestando oggi per il dolore della morte di un loro parente, amico, vicino di casa, hanno manifestato ieri dopo gli omicidi di camorra della piccola Annalisa Durante e del giovane Pasquale Romano (ucciso per errore mentre era con la fidanzata).

Queste manifestazioni contro la camorra hanno avuto meno risonanza, ma comunque ci sono state. Si preferisce un racconto stereotipato: gli abitanti dei rioni attaccano lo Stato e proteggono la camorra. Questa  facile rappresentazione non restituisce la complessità di un territorio, di tanti territori. D’altra parte non si può accettare il cinismo del “se l’è andata a cercare” o il razzismo verso chi sta peggio. Se ad esempio Scampia è cambiata, ed è cambiata, è perché i suoi abitanti hanno reagito, è perché lo Stato ha arrestato decine di persone ma anche perché ci sono presidi e professori che vanno a prendere i propri studenti a casa tutte le mattine, ci sono associazioni che lavorano bene e sportivi che si dedicano ai giovani come il judoka Pino Maddaloni. I problemi di quei quartieri sono i problemi del Paese ma elevati all’ennesima potenza: disoccupazione, precarietà, dispersione scolastica, assenza di servizi. Le proteste io le interpreto come una richiesta di aiuto e d’attenzione. Lo stato deve presidiare questi territori ma non solo manu militari: per ogni caserma ci devono essere dieci scuole, tre centri giovanili, due centri per l’impiego, cinque associazioni e sei palestre.

Non possiamo ancora accettare che il luogo di provenienza influenzi tutta la vita: nascere qui, alla periferia di Rosarno o allo Zen di Palermo non deve segnare il destino di intere generazioni. Nei miei tanti incontri, soprattutto nelle scuole, arriva sempre una domanda fatidica: “Ma quando avrò finito il mio percorso di studi, chi mi aiuterà a trovare un impiego?” Il politico, attraverso le raccomandazioni, o il criminale, con la sua opera di intermediazione o con l’autonoma capacità di dare lavoro sia legale, nelle sue attività imprenditoriali, sia illecito, in quelle prettamente criminali? Questa domanda è il segno di un fallimento da cui dobbiamo affrancarci.

Finché, però, si cercherà il consenso dei cittadini con un sottile gioco di soggezione e di ricatti, di clientelismo e di interessi, non si potrà mai intravedere una speranza di cambiamento. Finché si continueranno ad intrecciare relazioni e rapporti tra criminalità, istituzioni, burocrazia, politica, imprenditoria, per appropriarsi di fondi pubblici, per entrare in partecipazione in lucrosi affari, per trasferire i capitali e le attività produttive all’estero, guardando solo al proprio vantaggio e trascurando l’interesse pubblico, non vi potrà essere alcuno sviluppo, né manovra economica o di stabilità che tenga.

Bisogna ricostruire la democrazia e, ben oltre l’abito esteriore delle regole e delle auspicate riforme, trasmettere nuova energia alle istituzioni con la cultura della partecipazione, della trasparenza e della responsabilità. Occorre diffondere una cultura basata sui valori della democrazia e del bene comune, un’educazione civica nel senso più alto del termine. L’educazione alla cittadinanza è l’investimento più vantaggioso per un Paese, un investimento che produce diritti, opportunità, benessere e coesione sociale. Essere cittadini richiede un impegno intenso e costante, azioni responsabili di ciascuno di noi nella vita quotidiana.

Io confido molto nei giovani e nel futuro del nostro Paese, per questo apprezzo un progetto come questo che punta proprio su di loro, su conoscenza, sapere e formazione. È un nuovo modo di fare welfare, basato sulla cooperazione, l’imprenditorialità civica e la responsabilità sociale, di cui il progetto Foqus è una felice espressione. Ad esso auguro personalmente ogni successo così come mi auguro che altri imprenditori, appoggiati da illuminati amministratori locali, seguano questo esempio e facciano rinascere e risplendere altre “periferie esistenziali” del nostro bel Paese.

La riforma della giustizia non si fa contro i magistrati

di Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera

Presidente Grasso, quand’era magistrato quanti giorni di ferie faceva?
«Ha trovato la persona sbagliata. Al maxiprocesso non ho preso un giorno di ferie per tre anni, sono stato 35 giorni in camera di consiglio senza uscire dall’aula bunker e senza comunicare con nessuno, neppure con la famiglia. Mia moglie sapeva che ero vivo perché arrivava la biancheria sporca. Poi sono stato 8 mesi chiuso in casa a scrivere la sentenza. Un isolamento che all’epoca mi costò il rapporto con mio figlio. Si tratta di un caso eccezionale; ma è evidente che il vero problema della giustizia italiana non sono le ferie».

Certo, però 45 giorni sono tanti, o no? 
«I giorni sono 30, come per tutti gli statali; se ne aggiungono 15 per la stesura delle motivazioni delle sentenze. Si possono togliere, purché si sospendano i termini di deposito dei provvedimenti. Ma non mi sembra il punto centrale…».

Le ferie dei magistrati come i permessi dei sindacalisti?
«C’è la tendenza a concentrare il dibattito su elementi di consenso popolare immediato, perdendo di vista la complessità delle riforme. Il consenso è importante; ma poi i testi vanno discussi e votati dalle Camere».

Resta il fatto che ogni corporazione è impopolare. Lo è anche la magistratura?
«La magistratura viene raffigurata come una classe che ha potere e privilegi; ma ci sono giudici che non hanno neppure l’ufficio, lavorano a casa. In realtà, la magistratura non può avere consenso, perché è destinata a scontentare sempre qualcuno: l’imputato, i suoi familiari, i suoi avvocati. Anche nel civile, c’è sempre una parte che perde. La prova sono i regali di Natale. I burocrati li ricevono, i politici pure. I magistrati, almeno quelli che conosco io, no».

Ma la riforma della giustizia è urgente, non crede?
«Sono 15 anni che ne discuto. Quando ero magistrato andavo ai convegni sempre con lo stesso testo. È ancora valido».

La riforma della giustizia civile punta sulle composizioni extragiudiziali, in particolare sui collegi arbitrali formati da avvocati. Lei che ne pensa? 
«Non posso entrare nel merito: il presidente del Senato non deve soltanto essere imparziale, deve anche apparire imparziale. Faccio solo notare che si è già tentato di ridurre il contenzioso attraverso il giudice di pace o forme di soluzione extra-giudiziale, come la conciliazione; che però non hanno eliminato i milioni di processi arretrati. Si può anche mettere un termine entro cui decidere: ma se non lo si rispetta, cosa succede? Chi vince la causa, chi la perde? Chi è disposto a cedere alle ragioni dell’altro?».

In Italia ci sono troppi avvocati? 
«Temo di sì. Di sicuro ce ne sono molti più che negli altri Paesi. Ricordo un avvocato che mi diceva: “Causa che pende, causa che rende”. Si potrebbe porre un limite, introducendo il numero chiuso agli esami di abilitazione. Ma la riforma della giustizia non può essere punitiva nei confronti delle varie categorie. Non si può fare contro gli avvocati, e tanto meno contro i magistrati».

Come si fa allora ad abbreviare le cause? 
«È fondamentale riformare i motivi del ricorso in Cassazione, che troppo spesso oggi viene fatto per ritardare i tempi. Si possono poi semplificare le motivazioni, che altri Paesi non hanno o sintetizzano in forme estremamente concise; mentre in Italia il difetto di motivazione è una delle cause del ricorso in Cassazione, che così diventa un terzo grado di giudizio di merito».

È possibile riformare o anche abolire l’appello?
«Da tempo sostengo che è assurdo consentire di impugnare le sentenze di patteggiamento. Si può pensare di escludere l’appello anche in altri casi. L’importante è che accusa e difesa restino ad armi pari. In passato si tentò di abolire l’appello solo per i pm nel caso di assoluzione, ma la Corte Costituzionale annullò quella legge».

Non pensa a quante condanne di primo grado vengono ribaltate in appello? 
«Dobbiamo creare un sistema di pesi e contrappesi che limiti gli errori giudiziari. Nei Paesi anglosassoni la giuria composta da cittadini stabilisce con un verdetto solo se l’imputato è colpevole o no. Ma appena una piccola percentuale dei casi sfocia in un processo e in una sentenza. Soltanto da noi i processi si fanno tutti, perché abbiamo l’obbligatorietà dell’azione penale”.

Va eliminata anche quella? 
«No, ma la si può rivedere ad esempio per tenuità dei fatti».

Altri punti importanti? 
«Interventi seri per colpire la corruzione, l’economia sommersa, l’evasione, i delitti societari e finanziari, il riciclaggio; per rafforzare le indagini finanziarie sui patrimoni illegali; per moralizzare la gestione delle risorse pubbliche; per ostacolare con la presenza dello Stato il radicarsi socio-economico del potere criminale. Il mio primo giorno da senatore avevo presentato un disegno di legge su questi temi: credo sia un modo per dimostrare che la politica interpreta il suo servizio per il bene comune e dei più deboli, non per interessi di parte».

Al Senato Renzi ha espresso l’intenzione di chiudere vent’anni di scontro tra giustizia e politica. 
«Concordo. Ma vedo che nelle reazioni popolari e mediatiche, fortunatamente non in quelle politiche, si continua a parlare di giustizia a orologeria…».

Si riferisce all’avviso di garanzia al padre del premier? 
«No, al caso Eni. Bisogna considerare che c’è anche un orologio della giustizia, tempi da rispettare, e convenzioni internazionali sulla corruzione cui l’Italia ha aderito».

Sulla Consulta lo stallo continua. Le candidature di Bruno e Violante sono bruciate, non crede? 
«Vedremo. Ma non si possono bloccare all’infinito i lavori parlamentari. Ci sono provvedimenti indifferibili e urgenti da esaminare».

Il primo è la riforma del lavoro. Qual è la sua posizione sull’articolo 18? La reintegra deve restare o può essere abolita? 
«Mi limito a ricordare che l’articolo 18 di cui si discute oggi non è quello dei tempi di Cofferati; la riforma Fornero l’ha già reso più flessibile. In ogni caso, credo sia essenziale proteggere tutti i lavoratori nei loro diritti, anche quelli che oggi non ne hanno, ma senza ideologismi; a cominciare proprio dal diritto al lavoro che non coincide con il diritto a uno specifico posto di lavoro».

Il secondo provvedimento che arriverà al Senato è la legge elettorale. Cosa pensa del ritorno delle preferenze? 
«Le preferenze richiamano tempi segnati dai rapporti clientelari. Nel mondo dei miei sogni ci sono primarie regolamentate per legge e collegi uninominali, con i cittadini che scelgono il loro rappresentante tra candidati che risiedono nel collegio da almeno dieci anni. E che sono candidati solo lì, non altrove».

Nel mondo dei suoi sogni c’è ancora spazio per cambiare la riforma del Senato?
«Molto è già cambiato, e in meglio, rispetto al progetto iniziale del governo. Resto convinto che, per garantire in parte la rappresentanza, sarebbe meglio consentire agli elettori di indicare i consiglieri regionali che andranno a Palazzo Madama, magari con una semplice preferenza».

I dipendenti delle Camere, con le loro decine di sigle sindacali, protestano contro i tagli. Come se ne esce? 
«Decideranno gli uffici di presidenza. La proposta mia e della presidente Boldrini è ampia e tocca tutti i dipendenti: se si mette un tetto allo stipendio massimo, è equo prevedere “sotto-tetti”, un meccanismo di gradualità che impedisca ai dipendenti di guadagnare più dei vertici. Penso poi che arriveremo presto, d’intesa con la presidente della Camera, ad unificare organici e servizi, oltre a provvedimenti sugli ex parlamentari».

Quali provvedimenti? 
«Togliere i vitalizi ai condannati per mafia, corruzione e altri reati».

Com’è il suo rapporto con i 5 Stelle? 
«Gli scontri con loro contribuiscono molto al mio corso di formazione alla politica…C’è in molti una passione autentica. Spero che la usino anche per costruire. Nelle discussioni sul lavoro e sulla legge elettorale garantirò la libertà di espressione di tutti; ma farò rispettare tempi certi. Il Paese non può aspettare sine die».

Il suo rapporto con Renzi? 
«Quello istituzionale è ottimo. Per il resto, uso poco sms e twitter. Abbiamo ancora una sfida a calcetto in sospeso».

E com’è oggi il rapporto con suo figlio? 
«L’ho recuperato dopo l’assassinio di Falcone. Giovanni non aveva figli e amava stare con i figli degli amici, con Maurilio giocavano a ping-pong. Nel ‘92 lui capì che si può anche morire facendo il magistrato antimafia, ma senza la ricerca della verità la vita non è degna di essere vissuta. Oggi fa il funzionario di polizia».

CSM, soddisafazione per le elezioni

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, e la presidente della Camera, Laura Boldrini, dopo gli inviti rivolti nei giorni scorsi alle forze politiche a completare l’elezione dei membri laici del Consiglio superiore della magistratura, esprimono piena soddisfazione per la loro avvenuta designazione da parte del Parlamento in seduta comune.

A tutti i nuovi componenti di tale organo di rilevanza costituzionale, chiamati a svolgere compiti importanti ed essenziali, vanno gli auguri di buon lavoro. Inoltre i due presidenti, avendo accolto la richiesta dei gruppi parlamentari di poter usufruire di una ulteriore fase di riflessione e di confronto per le necessarie intese, auspicano che la convocazione del Parlamento in seduta comune per l’elezione di due membri della Corte costituzionale nella giornata di  martedì 30 settembre possa condurre ad un esito positivo.

 

Primo tricolore della Repubblica al comune di Nizza di Sicilia

Sindaco Di Tommaso, caro Giacomo D’Arrigo, Gentili Ospiti,

è con vivo piacere che oggi partecipo alla cerimonia di consegna della copia originale del primo Tricolore della Repubblica da parte di Giacomo D’Arrigo, Direttore Generale dell’Agenzia Nazionale per i Giovani. A lui e a tutti i cittadini di Nizza di Sicilia porgo i miei più calorosi saluti e quelli del Senato della Repubblica. Il Tricolore che oggi viene ufficialmente regalato al Comune di Nizza di Sicilia era stato donato a Giacomo a Reggio Emilia nella cerimonia di apertura dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. La decisione di donare questa bandiera al suo comune, così lontano da Reggio Emilia, mi sembra descrivere appieno il significato del sentirsi cittadini e il senso profondo della nostra unione come comunità nazionale. Il Tricolore rappresenta, insieme alla Carta Costituzionale, tutti i cittadini italiani che, da Nord a Sud, si riconoscono nel lungo e a tratti difficile percorso unitario. Faccio mie le parole che l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi pronunciò il 7 gennaio 2004, in occasione della celebrazione della festa del Tricolore:

“Il tricolore è il simbolo moderno di un popolo antico, ricco di cultura, di tradizioni, di arte e di nobiltà d’animo, ma anche sofferente per secoli per la mancanza di una insegna che lo unisse, che rappresentasse la volontà di un destino comune”. 

La bellezza del nostro Paese risiede proprio nella sua straordinaria capacità di essere unito e al tempo stesso plurale. Siamo il frutto di migliaia di storie diverse, di culture che sul nostro territorio hanno avuto la loro origine, di tradizioni locali che vengono tramandate gelosamente di generazione in generazione e, allo stesso tempo, di un più ampio sentire comune. Il nostro Paese è provato da una profonda crisi economica le cui conseguenze sociali sono sotto gli occhi di tutti. Alla politica e alle Istituzioni è assegnato il compito di ideare e realizzare soluzioni in grado di rilanciare l’economia, di combattere la disoccupazione, di tutelare l’ambiente o di migliorare i servizi. Il Tricolore rappresenta la nostra storia, il nostro comune sentire ma, per quanto straordinario, nessun simbolo dura per sempre o esiste di per sé.  In questo senso trovo veramente simbolico ed importante che questa bandiera trovi oggi una nuova casa a Nizza di Sicilia e inizi una “seconda vita”, e di questo ringrazio Giacomo, che qui è stato giovanissimo consigliere comunale.

Circa il 20% degli amministratori locali ha meno di 35 anni e anche a livello nazionale, penso in particolare all’attuale composizione della Camera dei Deputati, abbiamo assistito ad un sensibile abbassamento dell’età media dei decisori pubblici. Questi numeri descrivono una realtà che si sta aprendo a competenze ed esperienze nuove. Le nuove generazioni hanno il privilegio di arricchire il loro bagaglio culturale attraverso il confronto con i propri coetanei europei, di scambiare rapidamente informazioni, di viaggiare, di guardare il mondo da più prospettive. Il grande progetto dell’Unione Europea rappresenta sicuramente un orizzonte che proprio i giovani hanno il dovere di proteggere e coltivare.

Credere in essi non significa solo dare loro credito, ascoltarne le istanze, considerarne il punto di vista ma, soprattutto, coinvolgerli nelle decisioni che riguardano la collettività: affidargli delle responsabilità significa liberare energie essenziali in grado di dare un nuovo significato al nostro comune destino. L’Italia deve tornare a sognare, lo deve fare soprattutto credendo di più nei propri ragazzi perché loro, più di chiunque altro, possono fare tesoro della nostra storia e proiettarla nel futuro.

Grazie.

Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti del Consiglio d’Europa

Cari Colleghi,

è un onore prendere la parola in questa riunione e su questo tema così determinante per il nostro comune futuro. Dagli orrori dei conflitti mondiali, che determinarono il “suicidio dell’Europa”, è nato il germe di un cambiamento interpretato prima dal Consiglio d’Europa, che oggi conta ben quarantasette Stati membri, poi dalla Comunità e Unione Europea, da diversi altri fori di dialogo e di cooperazione. A queste realtà sovranazionali che ci uniscono dobbiamo una lunga fase storica, prima inimmaginabile, di stabilità, pace e rafforzamento dei diritti.

Oggi, lo abbiamo sentito in tanti interventi, l’Europa affronta una doppia crisi, esterna ed interna. Il nostro continente è scosso da nazionalismi, da populismi e sentimenti di disaffezione e sfiducia dei cittadini che chiedono occupazione, crescita e sicurezza. Le disuguaglianze sociali, che sono in drammatico aumento anche nei paesi meno colpiti dalla recessione, rischiano di vanificare di fatto la democrazia svuotandola dall’interno e giungendo al paradosso di “società formalmente democratiche ma non libere”. Ho sempre immaginato la democrazia come un processo in continuo svolgimento, mai completamente definito: non solo un abito esteriore di regole, ma un atteggiamento interiore che dà corpo alle istituzioni. Non  ci potrà  essere democrazia senza un etica individuale e collettiva, conforme e diffusa; la più democratica delle Costituzioni è destinata a morire, se non è animata dall’energia che è compito di noi parlamentari, per primi, trasmettere alle istituzioni, alla politica, tramite la cultura della partecipazione, della trasparenza e della responsabilità, portando dentro i partiti, dentro i movimenti il nostro entusiasmo, i nostri valori e dando, infine, concrete risposte ai bisogni dei cittadini europei in termini di sviluppo, di lavoro e di innovazione.

La nostra democrazia, la nostra stabilità interna è messa in discussione da conflitti, da inaccettabili violazioni dell’integrità territoriale di altri Paesi ai nostri confini e dalle gravi minacce del terrorismo, della corruzione e del crimine organizzato, in un momento di profonde fratture geopolitiche in Africa, in Asia e in Medio Oriente. Nessun Paese può pensare di poter affrontare e rimuovere da solo tali pericoli. Viviamo in un sistema mondiale molto diverso da quello in cui è maturato il modello dello Stato-nazione, in cui il concetto di comunità, deve identificarsi in appartenenze segnate ora dall’esistenza di identici interessi politici ed economici, o ancora dal riconoscersi in una collettività giuridica o politica sovranazionale.

Insieme costituiamo una grande area non solo geografica, ma anche economica, politica e di valori. Solo mettendo in comune una parte dei nostri poteri sovrani e agendo con la più ampia cooperazione si potrà aumentare la sicurezza, garantire diritti e libertà e migliorare la democrazia di tutti i cittadini europei. Sono convinto che dobbiamo ripartire riaffermando un’identità comune, una collettiva anima europea che prevalga sugli egoismi nazionali. Il nucleo comune alle tante tradizioni, culture, memorie collettive dei nostri Paesi è forte e si trova nei valori di solidarietà, di libertà, eguaglianza, giustizia così faticosamente emersi da guerre, conflitti, barbarie, totalitarismi e persecuzioni.

Dom Helder Cãmara, venezuelano, chiamato “il vescovo delle favelas”, una volta disse: “Se uno coltiva dentro un sogno che non condivide con gli altri, il suo resta “solo un sogno”. Ma se molti hanno lo stesso sogno, allora lì comincia a nascere qualcosa di concreto, di vero, di reale”.

Per questo vi chiedo di sognare in grande, e di sognare insieme: L’Europa deve tornare a sognare. E la politica deve tornare al centro per dare il suo contributo, traducendo in azioni i sogni, i bisogni e le aspirazioni di tutti. Io sono fermamente convinto che non esista un’alternativa ad un rafforzamento della nostra Unione. Si tratta di una sfida esistenziale: le nostre comuni radici ci vincolano a un destino comune, che non permetteremo sia compromesso da improbabili ideologie distruttive e revisionistiche. L’Italia, un grande Paese che sessant’anni fa per prima ha creduto nell’utopia europea, non mancherà di impegnarsi, anche quale Stato membro dell’Unione Europea che detiene la presidenza semestrale di turno, per risolvere i conflitti con gli strumenti del dialogo e della diplomazia. L’Europa non può permettersi un nuovo suicidio. Credo fortemente che proprio le reti dei Parlamenti possano costituire un luogo privilegiato di dialogo e favorire  positivi sviluppi intergovernativi.

Questo, io credo, sia il nostro imperativo morale e il mio doveroso impegno personale. Grazie.

Comitato congiunto dei Presidenti Camere: urgenza esito positivo

I Presidenti del Senato e della Camera, preso atto dei risultati delle votazioni per l’elezione di giudici della Corte Costituzionale e di componenti del Consiglio superiore della magistratura, e informati dell’esigenza espressa dalla gran parte dei gruppi parlamentari di avere più tempo per raggiungere le necessarie intese, hanno stabilito di convocare nuovamente il Parlamento in seduta comune per lunedì 15 settembre alle ore 15. I Presidenti Grasso e Boldrini, che sono ad Oslo per la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti del Consiglio d’Europa, hanno ribadito l’assoluta urgenza di un esito positivo delle votazioni, cosicché i due organi possano esercitare pienamente la loro alta funzione costituzionale e le due Camere, dopo aver adempiuto a questo obbligo non più rinviabile, possano tornare a concentrare pienamente il lavoro sugli importanti temi in calendario.

Incontro con il presidente della Repubblica tunisina, Moncef Marzouk

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La Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini ed il Presidente del Senato Pietro Grasso hanno ricevuto stamane a Palazzo Montecitorio il Presidente della Repubblica tunisina, Mohamed Moncef Marzouk. L’incontro ha visto una grande sintonia tra i Presidenti delle Camere italiane ed il Capo dello Stato tunisino, che si sono confrontati sulla cooperazione tra i due Paesi in ambito economico e culturale, nonché sui temi delle migrazioni e della sicurezza.

“I nostri due Paesi, amici e vicini, condividono radici storiche antiche e mantengono un forte legame ancora oggi”, ha detto la Presidente Boldrini. “E’ un legame che deve, a mio avviso, essere ulteriormente consolidato, non solo affinché l’Italia sostenga con forza il processo democratico in Tunisia e lo sviluppo del Paese, ma perché la Tunisia possa giocare appieno quel ruolo geostrategico centrale che l’attuale, drammatica situazione in Medio Oriente richiede. La transizione democratica inclusiva attuata in Tunisia, infatti, deve servire da modello per quegli Stati lacerati dal conflitto tra aspirazioni democratiche, tendenze autoritarie e l’islamismo di matrice più radicale.”

“Allo stesso tempo”, ha concluso la Presidente della Camera, “la Tunisia può aiutarci a far conoscere le diverse accezioni dell’Islam all’opinione pubblica italiana, superando l’equazione tra mondo musulmano e jihadismo che purtroppo anche da noi si sta diffondendo”.  A sua volta il Presidente Grasso ha ricordato “quali speranze per il popolo tunisino, per la regione e per il mondo siano state accese dalla firma di una nuova Costituzione, alla cui cerimonia ho partecipato a nome del Capo dello Stato”. Il Presidente del Senato ha poi sottolineato “l’importanza delle elezioni parlamentari e presidenziali che si terranno nei mesi di ottobre e di novembre e la necessità che le istituzioni tunisine si impegnino con la massima urgenza e determinazione ad affrontare i problemi economici, sociali e di sicurezza che affliggono la gente: la  loro soluzione è la migliore garanzia per colpire alla radice il fondamentalismo, per compiere la transizione democratica e garantire la coesione sociale”.

Il Presidente Grasso ha infine confermato “il pieno sostegno dell’Italia anche nel quadro dell’Unione europea, particolarmente nel momento in cui deteniamo la Presidenza del Consiglio dell’Ue, e nell’ambito delle iniziative per la stabilità regionale.”

 

Esodati: approvare al più presto sesta salvaguardia

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha ricevuto questa mattina a Palazzo  Madama una delegazione del Comitato Esodati e Precoci d’Italia, ai quali  ha  espresso comprensione   rispetto ai temi sollevati dalle rappresentanze dei lavoratori e ha ribadito, come già aveva avuto modo di fare in precedenti occasioni, la propria solidarietà a coloro che ancora oggi vivono la grave e difficile condizione di esodati. Il Presidente Grasso, ricordando che oggi verrà incardinata nella 11a Commissione del Senato (Lavoro, Previdenza Sociale) la sesta salvaguardia, si è infine impegnato “a rivolgere un appello alla conferenza dei capigruppo prevista per oggi alle 15 per una calendarizzazione urgente del provvedimento”.

Il Presidente ha concluso: “Spero che le forze politiche sentano l’urgenza di approvare provvedimenti in grado di tutelare gli esodati e le loro famiglie”.

Strategie competitive per Cambiare l’Europa

Presidente Ambrosetti, Autorità, Signore e Signori,

Ho accolto con molto piacere l’invito a partecipare a questo importante forum internazionale che, anche quest’anno, unisce nella splendida cornice di Villa d’Este voci diverse ed autorevoli del mondo dell’economia e della politica per un confronto aperto e vitale sulle sfide e sui problemi dello scenario economico e geopolitico mondiale, europeo e italiano. Sono particolarmente onorato di poter aprire questa sessione dedicata alle prospettive evolutive dell’Europa che negli scorsi anni è stata arricchita dai pregnanti interventi del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Discutere del futuro dell’Europa equivale, oggi più che mai, a definire anche il destino del nostro Paese, economico, politico ed istituzionale. In questo senso, il dibattito di quest’oggi è necessaria premessa per il confronto che domani, secondo tradizione, sarà animato da esponenti del governo, della politica e dell’economia, da analisti e da esperti. Per parte mia considero appropriato lasciare a quel consesso il merito delle questioni su cui si concentra il dibattito politico italiano ed europeo in questo difficile momento, mentre vorrei con voi condividere alcune riflessioni di carattere prospettico.

Un filo rosso accompagna il dibattito sull’Europa che di anno in anno si svolge nel Forum Ambrosetti: questo legame di continuità è dato dalla considerazione integrata dei profili istituzionali ed economici del progetto europeo. E mi pare molto opportuno che in questa sessione mattutina si parli insieme di riforme, di equilibri di potere, di scelte economiche e di governance, nella consapevolezza che non vi possono essere politiche economiche o di settore efficaci senza una vera Politica, capace di rappresentare e di dare voce ai diversi interessi in causa. Sono fermamente convinto, in altre parole, che non ci sia più spazio in Europa per “policies without politics”. E riprendere questo filo rosso significa ripartire dall’auspicio che il Presidente Napolitano ha rivolto l’anno scorso a questa assemblea, invocando “un salto di qualità: procedere sulla via dell’integrazione – sono parole del Presidente – per acquisire maggiore autorevolezza politica ma anche maggiore capacità di attirare capitali, risorse tecnologiche e umane, capaci di stimolare e sostenere la ripresa, l’occupazione e l’innovazione”.

Oggi quel salto di qualità si rivela ancora incompiuto e ancora più urgente. Come ha avvertito anche il Consiglio Europeo del 30 agosto, oggi la situazione economica dell’Unione, dopo una limitata, forse apparente ripresa, registra una preoccupante recessione e una minaccia deflazionistica che investono non solo l’Italia, da tempo considerata Paese “a rischio”, ma anche Paesi prima ritenuti “stabili” come la Francia e la Germania: cala il Pil, aumenta il deficit, sono fermi consumi e investimenti. L’Europa rischia di affondare sotto il peso della deflazione, ormai presente in tutto il continente. I prezzi diminuiscono, la domanda diminuisce, l’occupazione si restringe. Preoccupa, anche come fattore di alterazione della coesione sociale, il crescere delle diseguaglianze, anche nei Paesi che hanno subito meno la crisi. Secondo i dati dell’Istat in Italia il dieci per cento dei cittadini possiede circa la metà della ricchezza nazionale, mentre un altro dieci per cento della popolazione ha raggiunto la soglia della povertà. Intervenire su tali stridenti disparità è una priorità assoluta.

La gravissima crisi dell’occupazione rischia di consegnare un’intera generazione  all’incertezza ed alla marginalità; l’assenza della ripresa alimenta il grave senso di insicurezza dei cittadini e incide sulla coesione sociale. Mentre nel frattempo realtà esterne all’euro-zona, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, che in questi anni hanno decisamente perseguito politiche improntate alla crescita, sembrano mostrare una significativa ripresa dei principali fattori produttivi.

Alcune diagnosi della situazione sono funeste: vi è chi definisce l’area euro una catastrofe economica; chi parla di una “double-dip” o per alcuni paesi di una “triple-dip recession”, chi prefigura un nuovo suicidio politico dell’Europa a cento anni di distanza da quello che già all’inizio del XX secolo coincise con il primo conflitto mondiale. Taluni poi oggi attribuiscono le cause di questa perdurante fase di crisi dell’Euro-zona a fattori economici contingenti e congiunturali, come la persistenza di regole monetarie e finanziarie talmente rigide da rendere difficili le riforme strutturali. Sul piano politico, viceversa, si tende sempre di più a denunciare l’incapacità della classe politica europea di assumere scelte coraggiose e dirompenti per fare ripartire l’economia, approvando riforme strutturali che determinino nuove opportunità di occupazione, come il Presidente della BCE Draghi ha auspicato alla riunione dei banchieri centrali a Jackson Hole. Ho seguito con interesse la decisione della BCE dell’altro ieri che ha abbassato i tassi di interesse fino al livello dell’0,05 % e annunciato acquisti dei titoli ABS, anche senza poterne indicare l’entità per il momento, con il doppio obiettivo di garantire maggiore stabilità dei prezzi contrastando la deflazione e fare ripartire il circuito creditizio per incentivare l’economia reale.

Sarebbe improprio che entrassi nel merito delle risposte per affrontare questa situazione, che spettano ai governi e alle parti politiche, ma mi pare necessario riconoscere che una politica di austerità ad ogni costo non sia più sostenibile. Di fronte alla crisi del debito sovrano nell’area euro io ho condiviso la necessità imperativa di dotare l’Unione di strumenti incisivi per definire e verificare la disciplina di bilancio agli Stati membri. E certamente i vari pacchetti legislativi adottati istituiscono controlli profondi e penetranti. Ma la caduta del prodotto interno lordo e della domanda interna impone oggi come indifferibile, senza abbandonare la via del rispetto delle regole, una svolta drastica in direzione della crescita, anche facendo uso della flessibilità già esistente per fare spazio ai costi delle riforme strutturali, come ha suggerito il Presidente Draghi.

Da un punto di vista politico più generale, a me sembra che il tentativo di affrontare la crisi con una prospettiva di breve o medio termine sia destinato a rivelarsi inesorabilmente fallimentare. Le criticità di oggi sono il risultato di una crisi strutturale che investe la natura stessa dell’Unione Europea, la coesione tra le diverse aree, le prospettive di integrazione future. La crisi politica è più radicata e profonda ancora di quella economica. Penso ai diversi elementi di asimmetria che condizionano le sorti dell’integrazione, a partire dall’area euro non coincidente con i confini geografici dell’Unione o alla scelta di Paesi come il Regno Unito o la Repubblica Ceca, pur con motivazioni molto diverse scelgono di non aderire a tasselli fondamentali della nuova governance economica, come il Fiscal compact; agli opt-out in materia di giustizia e sicurezza; alle esitazioni anacronistiche, in nome della difesa della sovranità nazionale, ad unire le forze rispetto a fenomeni che solo uniti possiamo affrontare, la criminalità economica o le migrazioni, per esempio. Penso alla seria frattura che si è prodotta fra Paesi creditori che alimentano i meccanismi di stabilizzazione finanziaria e Paesi debitori, che per accedere ad un percorso di risanamento dei debiti sovrani subiscono significative conseguenze politiche ed istituzionali.

Questi fattori di crisi, radicati nella stessa struttura politica ed istituzionale dell’Unione, condizionano profondamente le strategie economiche e monetarie dell’Unione. Per questo, non è immaginabile che il salto di qualità che noi tutti invochiamo sia percorribile solo sul terreno della politica macroeconomica. Noi dobbiamo saper guardare con lucidità e realismo ai problemi politici dell’Unione mossi da quello spirito costruttivo che ha guidato i padri fondatori del progetto europeo –  penso fra tutti ad Alcide De Gasperi ed Emilio Colombo – utilizzando questa lunga fase di crisi come opportunità per ripensare e quindi rilanciare l’originario sogno di un’Europa unita e coesa, un’utopia realizzata cui dobbiamo un periodo di pace e stabilità unici nella storia internazionale.

Nel peculiare progetto europeo si è cercato di edificare un’unione politica su un’integrazione economica, e quest’ultima attraverso un’unione monetaria. In questo senso, l’Unione europea nasce come tentativo di una democrazia “di risultato”, una democrazia che si prefigge di soddisfare i bisogni dei cittadini non investendo sulle procedure partecipative, bensì sulla capacità di garantire ai singoli livelli più elevati di tutela dei diritti e delle libertà di quelli che i singoli Stati avrebbero potuto offrire. Un disegno che sembra essere inesorabilmente fallito con la crisi economica e del debito che, intaccando l’unione monetaria e quindi l’integrazione economica, ha minato alle basi anche l’architettura politica raffreddandone ulteriori e necessari progressi. E i cittadini hanno avvertito uno smarrimento profondo, una distanza profonda fra le istituzioni europee e la vita reale, quotidiana. Così questa grave congiuntura si è convertita in una crisi di sistema, in una drammatica incertezza esistenziale.

Oggi occorre quindi in prima battuta collocare la governance di una vera e propria unione economico-monetaria nel contesto istituzionale dell’Unione e così contribuire a rafforzare la legittimità dei processi decisionali. Bisogna in altri termini potenziare la democrazia “di processo”,in primis consolidando la legittimazione democratica dell’esecutivo europeo, valorizzando al tempo stesso i poteri di controllo del Parlamento europeo e degli stessi parlamenti nazionali. Il processo che, nel mese di luglio scorso, per la prima volta nella storia dell’integrazione europea ha portato il Presidente della Commissione ad ottenere la fiducia quasi unanime sia del Consiglio sia del neo-eletto Parlamento segna un’importante evoluzione costituzionale. Ma serve allo stesso tempo rafforzare il legame fiduciario che lega il Consiglio europeo, il Consiglio dei Ministri e la Commissione al Parlamento; così come a livello nazionale, i Parlamenti devono sapere svolgere un controllo capillare e di carattere preventivo sulle scelte che i governi rappresenteranno a Bruxelles. Affrontare in maniera costruttiva la crisi significa quindi tornare alle origini, alle domande che i cittadini pongono all’Unione europea e che solo la politica, con i suoi canali rappresentativi, è in grado di assicurare.

Mi avvio a concludere.

Il monito a Jackson Hole della Presidente della Federal Reserve Janet Yellen a “mettere il lavoro al centro” è sintomatico del percorso che negli ultimi mesi ha segnato l’uscita dalla crisi degli Stati Uniti. Altrettanto significativa la posizione di Mario Draghi che ha posto l’accento sulla necessità che i governi nazionali adottino riforme strutturali per rilanciare l’occupazione. Si tratta del riconoscimento che la ripresa in Europa può solo derivare dalla combinazione di politiche capaci di intervenire sui fattori monetari, ma prima ancora sull’economia reale. Ma non basta. Un’Unione più forte internamente deve imparare a rilanciare la propria presenza, il proprio peso nel mondo per governare, e non solo subire le trasformazioni degli equilibri mondiali, in un quadro geopolitico connotato da fenomeni sconvolgenti che prevalentemente hanno luogo ai nostri confini. Sono convinto che proprio in questa direzione saprà operare con determinazione ed equilibrio e nell’interesse di tutti il nuovo Alto Rappresentante designato per la Politica Estera Federica Mogherini, cui rivolgo con orgoglio affettuosi auguri di buon lavoro.

Non posso naturalmente fornire opinioni sui diversi provvedimenti che il Governo sta programmando per la riforma del mercato del lavoro, della giustizia civile, della spesa e del patrimonio pubblici. Posso dire che sono convinto che nel nostro Paese occorra una trasformazione profonda, direi genetica e culturale nella gestione della cosa pubblica. Dobbiamo sapere ascoltare con più attenzione la voce dell’economia reale, dell’associazionismo imprenditoriale e dei sindacati, di coloro che producono ricchezza e futuro per il Paese. Dobbiamo imparare ad adottare i modelli di efficienza e professionalità che produce il settore privato più competitivo. E dobbiamo imparare a curare e verificare l’attuazione delle leggi che approva il Parlamento, giacchè è un vizio antico e tutto italiano quello di dare per conclusa una riforma con il voto delle Camere, dimenticandosi che l’effettività dei provvedimenti nel mondo reale è determinata dall’efficienza e dalla rapidità con cui se ne cura il compimento. In questo credo che anche il Parlamento possa seguire l’esempio di altri Paesi nei quali le assemblee legislative dedicano molta più attenzione alla revisione della effettiva attuazione delle norme.

Nelle prossime settimane il Senato dovrà occuparsi di due riforme strutturali di grande importanza per consentire al Paese di tornare a crescere: la riforma del mercato del lavoro e quella della pubblica amministrazione. Su questi temi, che incideranno direttamente sulle prospettive economiche dell’Italia, non possiamo permetterci ulteriori ritardi. Parallelamente dovrà proseguire il cammino della legge elettorale già approvata alla Camera ma sulla quale si prospettano interventi migliorativi. Per parte mia mi impegnerò per garantire che il lavoro in assemblea sia al tempo stesso approfondito e rapido e lo stesso impegno chiederò alle forze politiche e a tutti i senatori. Il mio auspicio è che non ritorni su questi temi così vitali quel clima di chiusura reciproca alle ragioni altrui che ha caratterizzato la discussione della riforma costituzionale e che si riesca ad improntare il confronto democratico a quel senso di urgenza e di responsabilità di cui ha fortemente bisogno il Paese.

L’Italia deve tornare a sognare. L’Europa deve tornare a sognare. E la politica deve tornare al centro per dare il suo contributo, traducendo in azioni i sogni, i bisogni e le aspirazioni di tutti. Io sono fermamente convinto che non esista un’alternativa ad un rafforzamento della nostra Unione. Si tratta di una sfida esistenziale: le nostre comuni radici ci vincolano a un destino comune, che non permetteremo sia compromesso da improbabili ideologie distruttive e revisionistiche. L’Italia, un grande Paese che sessant’anni fa per prima ha creduto nell’utopia europea, non mancherà di impegnarsi per il futuro di ciascuno e di tutti. Questo, io credo, sia il nostro collettivo dovere e questo considero il mio più importante impegno personale. Grazie.

Incontro con il Ministro degli Affari esteri della Repubblica Islamica dell’Iran

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha  ricevuto oggi a Palazzo Giustiniani  il Ministro degli Affari esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, Mohammad Javad Zarif, nell’ambito della sua visita ufficiale in Italia. Nel corso dell’incontro sono stati discussi temi di politica internazionale,  in  particolare la stabilità geopolitica della regione medio-orientale e del grande Mediterraneo,  e  i progressi conseguiti a proposito della questione nucleare. Il  Presidente del Senato ha espresso apprezzamento per gli sforzi compiuti dalle  autorità iraniane nel contrasto all’avanzata dell’ISIS sottolineando la propria preoccupazione per l’evoluzione della crisi irachena. Il  Presidente Grasso ed il Ministro Zarif hanno convenuto che sul cruciale tema  delle azioni di tutela dei diritti e delle libertà e della lotta alla criminalità  organizzata  e al narcotraffico è auspicabile la promozione di una  piattaforma di dialogo e di collaborazione tra le autorità italiane ed iraniane. Il Presidente del Senato, nel confermare i sentimenti di amicizia che legano i due Paesi, ha ribadito infine il ruolo centrale dell’Iran nella stabilizzazione della regione medio-orientale e confermato la disponibilità dell’Italia a favorire i rapporti tra l’Iran e la Comunità Internazionale.