25 anni dopo. Rosario Livatino: diritto, etica e fede

Autorità, signore e signori, cari amici,

desidero per prima cosa ringraziare il Centro Studi Livatino per avere promosso in Parlamento questo incontro per ricordare la figura del giudice Rosario Livatino, ucciso 25 anni fa per mano mafiosa.

Era una tiepida mattina del mite autunno siciliano, il 21 settembre 1990, quando Livatino, riposti nella borsa i fascicoli processuali su cui aveva lavorato fino a tarda notte, si avvia verso il Tribunale di Agrigento a bordo della sua Ford Fiesta rosso amaranto. Sulla strada a scorrimento veloce lo attende un commando di quattro uomini del clan mafioso della “Stidda”, che subito apre il fuoco. Rosario, ferito ad una spalla, tenta di fuggire ma viene braccato e raggiunto in fondo alla scarpata, dove uno degli assassini continua a esplodergli contro colpi di pistola. Alla sua angosciosa domanda: “cosa vi ho fatto?” la risposta è un colpo di grazia al viso. La notizia mi coglie alla Commissione Parlamentare Antimafia, dove lavoro come consulente. Torno così a Palermo, vado da Giovanni Falcone e insieme, addolorati e sgomenti, cerchiamo di comprendere le ragioni del barbaro omicidio. Il giorno dopo andiamo a rendere l’ultimo saluto alla salma di Rosario, meta di un incessante pellegrinaggio di amici, colleghi, parenti, e tanti cittadini. La bara è coperta di fiori rossi e gialli, sparsi sul tricolore e sulla toga; accanto, in piedi, sei magistrati in toga: tre a destra e tre a sinistra; dietro due corazzieri inviati dal Presidente della Repubblica. Una forte ondata di commozione pervade il Paese, che scopre la sua storia di uomo semplice e la sua vita di giudice rigoroso e schivo, il suo volto pulito, dallo sguardo limpido. Così diventa per tutti, e sarà per sempre, il “giudice ragazzino”.

Ripercorrere brevemente l’atmosfera di quei giorni aiuta a comprendere cosa ha pagato Livatino e perché è stato destinato a diventare, suo malgrado, un eroe. Nel 1990 la mafia imperversa in tutta la Sicilia. Nell’agrigentino impazza lo scontro fra clan mafiosi che determina decine e decine di omicidi: solo a Palma di Montechiaro nel giro di cinque anni se ne contano quaranta. La ragione è l’emersione di nuove formazioni criminali, come la “Stidda“, la stella: schegge impazzite fuoriuscite da Cosa Nostra che inanellano attentati, vendette trasversali, regolamenti di conti, sotto l’occhio indifferente delle istituzioni locali. Canicattì, la città dove il giudice Livatino vive e torna ogni sera, senza scorta, diviene centro di importanti interessi mafiosi. La ricchezza è concentrata nelle mani di poche famiglie, mentre le banche sono gonfie dei miliardi dell’economia mafiosa che lui come sostituto procuratore e poi come giudice, persegue ogni giorno. Attorno ai giudici siciliani intanto si determina un clima incandescente, cui contribuiscono l’assassinio del Giudice Saetta nell’autunno dell’88, l’attentato contro Giovanni Falcone all’Addaura dell’estate dell’89, le polemiche sui pentiti e sui professionisti dell’antimafia e le delegittimazioni di un garantismo ambiguo.

Chi era Rosario Livatino? La sua personalità è raccontata bene da un particolare delle indagini. Su una pagina della sua agenda e in altri suoi scritti si rinviene la sigla “S.T.D.”: le tre lettere furono un vero rompicapo da enigmisti e fu vano ogni tentativo di decriptazione da parte degli esperti. La spiegazione si rinvenne nella sua fede cattolica. Con quella sigla, “sub tutela Dei”, Rosario invoca l’assistenza divina nella sua quotidiana opera di giudice. Del resto, anche dai suoi scritti si trae chiaramente la sua altissima concezione della giustizia e dei doveri del giudice. L’indipendenza, principio cui impronta tutta la sua esistenza, l’intende in modo totalizzante: come fedeltà alla legge e alla propria coscienza; come impegno nella preparazione professionale e nella cura delle decisioni giudiziarie; ma anche come rigorosa condotta di vita, nella scelta delle amicizie, nell’indisponibilità ad affari, nella rinunzia a incarichi che possano anche solo appannare l’immagine di serietà, di equilibrio, di responsabilità e umanità del giudice.

Memorabili le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nella sua visita pastorale in Sicilia, il 9 maggio 1993. Dopo avere incontrato i familiari di Rosario egli lancia il suo terribile anatema contro i mafiosi, intimando loro di convertirsi. E’ recente la bella notizia dell’avviamento del processo di beatificazione di Rosario Livatino, che Giovanni Paolo II definì “un martire della giustizia, e indirettamente della fede“: un giudice, un uomo che univa a una profonda fede la concezione laica del suo ruolo. Suonano sempre attuali le sue parole: “Non vi sarà chiesto se siete stati credenti ma se siete stati credibili“.

Il sacrificio non cercato di Livatino lo ha reso un punto di riferimento ideale per tutti coloro, magistrati e non, che credono nella giustizia. Davanti alla sua tomba, sempre sommersa di fiori, si trovano biglietti, messaggi, testimonianze soprattutto di giovani che hanno compreso il suo messaggio che suona rivoluzionario nella sua semplicità: “coltivare l’ideale della legalità, dell’eguaglianza dinanzi alla legge e, a costo della vita, fare fino in fondo, senza timori reverenziali e senza compromessi, il proprio dovere”. E il nostro dovere è mantenere viva la memoria di un uomo che ha incarnato, con l’esempio di una vita schiva dedicata alla giustizia, l’essenza dei valori democratici che uniscono questo Paese e in cui noi ci riconosciamo.

Grazie.

 

I doveri della medicina. I diritti del paziente

Cardinal Ravasi, Ministro Lorenzin, Presidente Amato, Presidente Manconi, autorità, gentili ospiti,

sono davvero felice che il Senato ospiti in una delle sue sale più prestigiose, questo incontro su un tema così delicato e così importante e che quindi la Sala Zuccari oggi si sia trasformata nel  Cortile dei Gentili.

Conosco bene la sensibilità e l’attenzione che il Senatore Manconi dedica al complesso rapporto tra medico e paziente: lo ringrazio per il suo impegno in qualità di Presidente della Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani per aver, oggi come in altre occasioni, dato modo al Senato di essere protagonista e partecipe di un’importante opportunità di riflessione e approfondimento.

Confesso che ho un rapporto di lunga data con le iniziative del Cortile dei Gentili: più volte sono stato relatore a convegni organizzati dalla Fondazione e tante altre volte ho partecipato in veste di semplice spettatore, ma sempre ho potuto apprezzare come, in questi anni, il “Cortile dei Gentili” abbia saputo costruire uno spazio libero e autorevole di dialogo tra credenti e non credenti, tra sensibilità profondamente diverse, su temi complessi tanto nella loro dimensione giuridica quanto in quella filosofica e morale.

Concedetemi una battuta: in questi giorni così convulsi – e i prossimi temo saranno anche peggio – guardo con una certa invidia all’atmosfera distesa e propositiva che sempre anima questo consesso. Nonostante tutto però resto un inguaribile ottimista – l’ottimismo della volontà, per usare una nota citazione – e coltivo la remota speranza che la politica, chiamata proprio in queste ore a compiere scelte fondamentali per il futuro istituzionale del nostro Paese, possa far sua questa stessa capacità di fare del confronto leale e della comprensione reciproca la modalità principale della sua azione, piuttosto che far trapelare la prospettiva che si possa addirittura fare a meno delle Istituzioni relegandole in un museo.

Il tema “Doveri della medicina e diritti del paziente” è di una estrema delicatezza, come tutto ciò che ha direttamente a che fare con la vita, la malattia, il dolore, la sofferenza, la morte. Per questo ho apprezzato profondamente la saggezza delle linee propositive che oggi vengono presentate e discusse.

E’ sul fragile equilibrio tra i doveri dei medici – che non dimentichiamo sono anch’essi uomini e donne – e i diritti del malato che si muovono le considerazioni espresse dal documento. In esso si si sono esplorati i confini delle cure e le condizioni necessarie a stabilire una relazione positiva tra chi ha competenza e professionalità e chi vive la difficile condizione di malato. Personalmente trovo particolarmente interessante l’idea di incoraggiare e valorizzare al massimo l’alleanza” tra medici e paziente: è proprio da questa relazione positiva che si può costruire, nel pieno rispetto delle valutazioni scientifiche, il migliore trattamento sanitario per ciascun individuo, tenendo nella dovuta considerazione anche i suoi convincimenti etici e morali. Curare qualcuno non significa semplicemente attuare con freddezza un protocollo medico quanto, piuttosto, assisterlo nella sua più ampia dimensione di essere umano. Per questo è decisivo tenere conto  dei principi di dignità, di libertà e di salute della persona che possono però esser esercitati pienamente solo quando il malato ha la possibilità di conoscere completamente la propria condizione e di partecipare all’elaborazione del proprio percorso terapeutico, nella ricerca di una autodeterminazione consapevole che possa arrivare fino al rifiuto delle cure, anche attraverso il ricorso a una persona di fiducia nel caso in cui il soggetto non sia più nelle condizioni di esprimersi. Prima di chiudere il mio breve saluto e passare la parola al ministro e a Sua Eminenza, nonché caro amico, Gianfranco Ravasi, voglio ringraziare tutti coloro che hanno partecipato a questa riflessione, che sarà di certo utile anche al legislatore nella definizione di interventi normativi in materia.

Grazie.

 

 

 

 

 

Incontro con Norbert Lammert, Presidente del Bundestag

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Il  Presidente  del  Senato  Pietro  Grasso  ha  ricevuto  oggi,  a Palazzo Giustiniani,  il  Presidente  del  Parlamento  Federale  della  Repubblica Federale di Germania (Bundestag), Norbert Lammert. Al  termine  del  cordiale  colloquio,  il Presidente Lammert ha incontrato informalmente,  a  Palazzo Carpegna, gli Uffici di Presidenza integrati dai rappresentanti dei Gruppi delle Commissioni Esteri di Senato e  Camera.

RICORDO DI ARRIGO BOLDRINI A 100 ANNI DALLA NASCITA

Presidente Boldrini, Presidente Napolitano, autorità, signore e signori,

è un onore e un piacere partecipare, insieme a relatori così autorevoli, a questo momento di ricordo di Arrigo Boldrini, in occasione del centenario dalla nascita. Boldrini è stato una figura di spicco della storia repubblicana del nostro Paese, sin dal suo periodo fondante, dalla Resistenza, di cui fu grande protagonista, capace di portare a termine, insieme ai reparti alleati britannici, la liberazione di Ravenna nel 1945. Era un perito agrario, ma il desiderio di libertà dall’oppressione nazi-fascista, unitamente ad indubbie doti personali, lo resero addirittura una sorta di condottiero – il comandante Bulow era chiamato – e un abile stratega, capace di ideare ed attuare la sua teoria della cosiddetta “pianurizzazione” della lotta, che si discostava dalla tradizionale idea della resistenza condotta nei boschi e nelle montagne.

Lui che, come tanti, prima della guerra aveva aderito alla milizia fascista sperando di non essere inviato al fronte. Lui che ne volle invece uscire subito. Il suo amore per la democrazia e per la libertà infatti era troppo grande e non gli permetteva di schierarsi con le milizie fasciste nemmeno per soddisfare un interesse personale, nemmeno per cercare di evitare la guerra. Decorato con medaglia d’oro al valor militare dagli inglesi già nel 1945, dopo la guerra lo ricordiamo componente dell’Assemblea costituente e padre fondatore della nostra amata Carta costituzionale.

Fu poi parlamentare ininterrottamente dalla prima alla undicesima legislatura, prima come deputato e poi come senatore. E nella sua lunghissima vita politica e istituzionale si batté sempre per la difesa della Costituzione e dei principi in essa contenuti, perché la sentiva davvero come una figlia, una conquista, un bene da tutelare con tutta la forza che aveva. Difese questi ideali con fermezza durante le crisi politico istituzionali degli anni ’60 e durante il periodo dello stragismo degli anni ’70 ed ’80. Allo stesso modo si impegnò, anche come presidente dell’Associazione Partigiani d’Italia, affinché non venissero mai dimenticati, e venissero soprattutto diffusi tra le giovani generazioni che non l’hanno vissuta, i valori e gli ideali che mossero la Guerra di Liberazione. In qualità di membro della Commissione Difesa della Camera e poi Vice Presidente della stessa Commissione in Senato, sostenne fra le altre cose la razionalizzazione e la democratizzazione delle istituzioni della difesa. Ma è per altre battaglie a livello parlamentare ed europeo che voglio, da ultimo, ricordarlo qui. In un momento, come quello che stiamo vivendo, così delicato per le istituzioni europee e purtroppo così drammatico per migliaia e migliaia di persone che stanno sfuggendo a persecuzioni, guerre e situazioni di oppressione, voglio ricordare Arrigo Boldrini per il sostegno convinto all’integrazione europea, e soprattutto per il suo fervido impegno in aiuto di tante popolazioni vittime di regimi dittatoriali, affinché potessero ritrovare la libertà dall’oppressione e convivere in pace.  Posso quindi affermare che davvero Arrigo Boldrini, per usare le sue stesse parole, “ha combattuto per la libertà di tutti: per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro” e per l’affermazione della democrazia in Italia e all’estero, e sono quindi felice di poter ascoltare ora le altissime testimonianze di chi lo ha conosciuto ed apprezzato direttamente.

Vi ringrazio.

Presentazione del “Campionato Italiano di Judo non vedenti e ipovedenti 2015”

Autorità, cari ospiti, ma soprattutto cari atleti,

è davvero un piacere per me essere presente alla presentazione del nono campionato italiano di Judo della Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi.

Il campionato di sabato vedrà protagonisti 10 di voi, sul tatami, non solo per i titoli della categoria ma con un obiettivo ancora più ambizioso: la qualificazione per le Paralimpiadi di Rio2016. Non è la prima volta che ci incontriamo, siete stati in Senato almeno in un paio di occasioni: una nel mio studio, insieme ai vostri preparatori e a Pino Maddaloni – che da anni si dedica con passione e generosità alla preparazione dei più giovani non solo allo sport che lo ha visto campione olimpico ma alla vita, anche nei contesti più difficili e dove c’è bisogno di esempi positivi e tenaci come lui sa essere – un’altra alla presentazione dell’Enciclopedia delle mafie. I vostri allenatori sanno bene infatti che i valori positivi dello sport sono i valori di rispetto delle regole, legalità, impegno, dedizione, disciplina, sforzo fino al limite delle proprie possibilità per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Avete scelto una disciplina dura, le vostre famiglie hanno avuto una grande fiducia in voi – quanti genitori si sarebbero fatti spaventare al loro posto! – e sono certo che grazie a questa preparazione saprete affrontare tutte le difficoltà della vita con grinta! Non posso scordare le parole che proprio Pino mi ha detto mesi fa quando vi ha accompagnato da me: “la prima cosa che insegno loro è come cadere. Per poter vincere bisogna essere allenati e pronti a perdere”. Sono parole che condivido in pieno e di cui dobbiamo fare tutti tesoro: per esperienza so che è dalle sconfitte che si impara di più, e che è quando siamo a terra che riusciamo a trovare la forza e la spinta a rialzarci e a combattere di nuovo, fino alla vittoria. Voglio quindi ringraziare per il loro impegno e la loro presenza qui oggi il Segretario Generale del Comitato Italiano Paralimpico, nonché neo Commissario Straordinario della Federazione, Marco Giunio De Sanctis, il Presidente dell’Assemblea Capitolina Valeria Baglio, il Presidente della Fijlkam Domenico Falcone, il Presidente della Fijlkam Lazio Gennaro Maccaro, la deputata Laura Coccia e soprattutto, con grande affetto, gli atleti dell’associazione sportiva dilettantistica “Miriade” Valerio Arancio Febbo ed Emilia Fares e il loro presidente Giovanni Caso.

Vi aspetto tutti nel 2016 per presentare insieme la trasferta degli atleti italiani alle Paralimpiadi di Rio!

 

IV Conferenza mondiale dei Presidenti di Parlamento

Cari colleghi,

molti fattori rendono oggi la realtà profondamente diversa da quella in cui furono elaborati gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Una realtà definita da nuovi attori, come i paesi non-OCSE e il settore privato; da nuove povertà, in paesi in crescita e a medio reddito; dal crescere di diseguaglianze anche nei Paesi più ricchi; dal peggioramento dei cambiamenti climatici; e da equilibri internazionali sempre più incerti, per l’intreccio di crisi di sicurezza, finanziarie, economiche, sociali, geopolitiche.

Si impongono quindi linee di intervento nuove e diversificate. La nostra più grande priorità è perseguire al tempo stesso lo sviluppo economico, l’inclusione sociale e la sostenibilità ambientale. Questo richiede, per prima cosa, un’azione più determinata per assicurare lavoro a condizioni dignitose, a tutti e senza discriminazioni. Non si tratta solo di economia, ma di democrazia e di diritti. Per riprendere una bella espressione della Costituzione italiana, il nostro comune compito è rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di ciascuno alla vita politica e sociale del proprio Paese. In secondo luogo, dobbiamo fare in modo che la questione ambientale non sia più relegata ai margini dei modelli di sviluppo, perché i danni ambientali e alla salute umana sono costi inaccettabili della crescita economica.

Non a caso l’Italia ha dedicato EXPO Milano 2015 al tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, concependo l’Esposizione Universale come luogo e momento di dialogo fra i protagonisti della comunità internazionale sulle principali sfide dell’umanità. Noi crediamo che perseguire lo sviluppo richieda di confrontarsi con le questioni politiche più drammatiche e urgenti del nostro tempo, che colpiscono i territori più deboli e condannano milioni di persone alla povertà, all’emarginazione e alla discriminazione costringendole a cercare fortuna altrove. Mi riferisco al terrorismo e all’estremismo, al crimine organizzato, alla corruzione, ai conflitti, all’instabilità geopolitica, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente in particolare.

Mi riferisco alle migrazioni epocali di profughi che ne sono la conseguenza. Questi sono nodi da affrontare non solo con strumenti di sicurezza, ma soprattutto promuovendo istituzioni e luoghi della politica, e perseguendo il progresso sociale, culturale ed economico dei territori. A ben riflettere trovare soluzioni condivise, eque e durature a questi problemi è la chiave per offrire nuove prospettive alle Nazioni Unite e realizzare i grandi pilastri che ne sono il cuore: pace e sicurezza, diritti umani e libertà, sviluppo ed eguaglianza sostanziale.

In tempo di crisi i Parlamenti svolgono una funzione strategica nella lotta contro le diseguaglianze e negli interventi per lo sviluppo, perché sono gli interpreti dei diritti e dei principi su cui abbiamo edificato le nostre civiltà.

Le assemblee democratiche devono vigilare sull’operato della comunità internazionale e dei governi nell’applicazione concreta delle agende comuni promuovendo quei valori in cui ci riconosciamo e che ci uniscono qui, nelle Nazioni Unite. Per rafforzare la propria capacità di partecipazione a questo disegno, l’Italia nel 2014 ha costituito un Sistema di cooperazione allo sviluppo che si avvale di strumenti di azione per sostenere nei Paesi partner pace, benessere e stabilità, riunendo le istituzioni pubbliche, il settore privato, la società civile, le organizzazioni non governative, le università e i centri di ricerca e le comunità di migranti.

Cari colleghi, gli obiettivi che ci poniamo sono ambiziosi e il cammino difficile, ma posso assicurarvi che il Parlamento italiano continuerà a lavorare per la tutela dei diritti dei più deboli e dei meno fortunati, ovunque essi si trovino. Questa è la più grande responsabilità cui siamo chiamati, noi che abbiamo assunto l’alto dovere di rappresentare i cittadini e la democrazia. Un dovere verso le generazioni future che sono certo noi tutti qui indistintamente condividiamo. Grazie.

Scomparsa di Luigi De Sena: il cordoglio del Presidente Grasso

“Uomo delle Istituzioni, investigatore di straordinarie capacità, Luigi De Sena è sempre stato in prima fila nella lotta alla criminalità organizzata. Con la sua scomparsa il Paese perde un punto di riferimento importante per la grande esperienza maturata sul campo e la conoscenza approfondita del fenomeno mafioso”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, da New York dove si trova per la Conferenza dei Presidenti di Parlamento, ricorda in una nota l’ex Senatore scomparso oggi. “Luigi De Sena – aggiunge il Presidente Grasso – ha percorso tutti i gradini della dirigenza della Polizia di Stato, fino a diventarne Vice Capo e direttore della Criminalpol. Nell’ottobre del 2005, da Prefetto, fu inviato dal Governo a Reggio Calabria con poteri di coordinamento nel contrasto alla ‘ndrangheta, dopo l’omicidio del Vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno. Eletto Senatore nella XVI Legislatura, De Sena ha messo la sua esperienza al servizio del Parlamento, in particolare della Commissione  antimafia, di cui fu eletto Vice Presidente e dove diede prova di grande impegno, lasciando agli atti numerosi contributi e interventi”. “Sono vicino ai familiari di Luigi De Sena in questo momento di dolore. A loro – conclude la nota del Presidente Grasso – invio i sentimenti del più profondo cordoglio a nome dell’intera Assemblea del Senato”.

A New York la IV Conferenza mondiale dei Presidenti di Parlamento

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro Grasso, parteciperà alla IV Conferenza mondiale  dei    Presidenti di Parlamento organizzata dall’Unione Interparlamentare  (Ipu), in programma a New York, nella sede delle Nazioni Unite,  da lunedì 31 agosto a mercoledì 2 settembre.

Tema della Conferenza: la democrazia al servizio della pace e dello sviluppo sostenibile. L’intervento  del Presidente Grasso è in agenda per mercoledì mattina, alle ore 10 circa, nell’ambito del dibattito generale. I  lavori  della  Conferenza  –  alla quale parteciperà anche la Presidente della  Camera,  Laura Boldrini – avranno inizio alle 10 di lunedì 31 agosto (ora locale). Nel corso del pomeriggio, il Presidente Grasso avrà una serie di  colloqui  bilaterali  con  i  Presidenti  delle  assemblee parlamentari dell’Iran,  Ali  Larijani, del  Mozambico, Veronica Macamo Dhlovo, della Tunisia,  Mohamed  Ennaceur,  con il Presidente  del  Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese, Zhang Dejiang,  e  con  il  Vice  Presidente  della Camera dei Rappresentanti del Marocco, Chafik Rachadi. Martedì  1 settembre, alle ore 11, il Presidente Grasso si recherà al Daily News  Building,  dove  incontrerà  Jean-Paul Laborde, direttore del Counter Terrorism  Executive  Directorate (Cted). Alle ore 12 è invece in programma il colloquio con Jehangir  Khan,  direttore  della  Counter-Terrorism Implementation Task Force (Ctitf). Alle  18.30  di  martedì,  nella sede del Consolato generale d’Italia a New York, il Presidente del Senato interverrà ad un incontro con autorità dello Stato di New York,  professori  universitari,  giornalisti  ed esponenti dell’associazionismo italo-americano.

Cordoglio per la scomparsa Giovanni Conso

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“Desidero  esprimere il mio profondo cordoglio per la scomparsa di Giovanni Conso,  Presidente  emerito della Corte Costituzionale”. Così il Presidente del  Senato,  Pietro  Grasso,  in  una dichiarazione. “Accademico di grande valore, ha proseguito fino all’ultimo ad esercitare un magistero importante nel  campo  degli  studi  di  procedura  penale  e  diritto costituzionale, intervenendo  anche su temi di attualità con rigore e chiarezza di analisi. E’  stato  Ministro  della  Giustizia  e  Giudice  Costituzionale,  fino  a ricoprire  l’alta carica di Presidente della Consulta. Invio ai familiari – conclude il Presidente Grasso – le più sincere condoglianze mie personali e a nome dell’Assemblea del Senato”.

 

 

La democrazia ha bisogno della memoria e della verità per diventare più forte

Intervento alla commemorazione delle stragi del treno Italicus e del treno rapido904 Napoli-Milano

Cari amici,

Per prima cosa voglio ringraziare di cuore il Sindaco di San Benedetto Val di Sambro, Alessandro Santoni, per avermi invitato ad essere qui insieme a voi. Saluto e ringrazio per le loro parole la Presidente dell’Associazione Familiari Strage treno 904 Napoli-Milano, Rosaria Manzo, e il Consigliere metropolitano con delega alle politiche per l’Appennino bolognese, Massimo Gnudi. Saluto con affetto le vittime, i familiari e tutti i cittadini che hanno voluto essere qui oggi stringendosi l’uno all’altro per ricordare insieme due pagine della storia del nostro Paese, pagine immensamente dolorose, e ancora oscure.

41 anni fa, il 4 agosto 1974, nei pressi della Grande galleria dell’Appennino, l’attentato sul treno Espresso “Italicus” Roma – Monaco di Baviera uccideva 12 persone e ne feriva 48. 30 anni fa, il 23 dicembre del 1984, la strage del Rapido 904, stavolta compiuta all’interno della Grande galleria, dilaniava 17 persone, ferendone 267. Poco fa abbiamo ricordato a Bologna le 85 vittime della strage della stazione.

Non sono qui per un dovere di protocollo, ma perché sento dentro un peso amaro e dolente che voglio vivere con voi. E’ un peso che porta il ragazzo che sono stato, che ha deciso da subito, sin dall’età della ragione, che avrebbe dedicato la vita ai diritti delle persone, dei deboli, degli ultimi, dei dimenticati. E’ un peso che porta il magistrato che sono stato, per molti anni, quarantatré, ogni giorno caparbiamente speso a cercare la verità, testardamente dedicato ad affermare la giustizia. E’ un peso che porta l’uomo che sono, il servitore di uno Stato, di un Paese che amo profondamente.

Venendo qui oggi mi chiedevo quale sia il senso vero e profondo di commemorare, di ricordare insieme. Norberto Bobbio ventun anni fa parlando a piazza della Loggia a Brescia ha detto che “la memoria della morte è sempre individuale” perché “la memoria interna soltanto è capace di restituire a ciascuno la propria vita, e quindi la propria morte: rievocando a una a una quelle vittime, e non tutte insieme, la strage appare ancora più orrenda.. si avvicina al male radicale”. Ebbene noi siamo qui, io credo, perché vogliamo sapere e comprendere come e perché degli esseri umani siano stati capaci di concepire questo male. E vogliamo sapere se fra costoro vi sono stati uomini dello Stato, che avevano solennemente giurato di servire il loro Paese, la Costituzione, i diritti e la sicurezza dei cittadini e che invece hanno forse creato le condizioni per attentare alla democrazia, aiutando gli assassini, o, quantomeno, voltandosi dall’altra parte. Io non esito a chiamare chi fa questo con una sola parola: traditore.

Delle stragi dell’Italicus e del 904 si è detto che sono le stragi dimenticate. Ma dimenticate da chi? non certo dalle vittime; non dalle persone perbene; non da chi per tutti questi anni nelle forze di polizia, nella magistratura, in Parlamento, sulla stampa ha sempre continuato a cercare la verità. I due eventi si sono svolti a dieci anni di distanza ma sono accomunati da diversi elementi. Le indagini e i processi sono stati spesso ostacolati da silenzi, da depistaggi, da inquinamenti di cui sembrano vergognosamente responsabili traditori  dello Stato, lo stesso Stato la cui sovversione era l’obiettivo dei vili attentatori. Entrambe le vicende sembrano germogliare dall’humus malato dell’eversione e dell’estremismo politico di destra, da una sottocultura della morte che teorizzava lo stragismo come preciso strumento di lotta politica prendendo di mira non uomini-simbolo dello Stato e della società, invece cittadini inermi. Con lo scopo di alzare la tensione e rendere apparentemente ineluttabile un Governo del Paese non più democratico.

Noi non ci rassegneremo mai. La sentenza del 22 luglio che ha condannato gli autori della strage di Piazza della Loggia a Brescia, ben 41 anni dopo, insegna che non è mai tardi per la verità. Il Parlamento sta facendo la sua parte. Io ho personalmente sollecitato la Commissione Giustizia del Senato per una rapida calendarizzazione  della legge contro il depistaggio, e proprio venerdì il disegno di legge ha cominciato il suo iter con la relazione introduttiva. Lo Stato, la democrazia hanno bisogno della memoria e della verità per diventare più forti, e io vi assicuro che continuerò a lavorare sempre su questa strada.

Con questo impegno e con questo spirito, mi stringo con sincero affetto a tutti voi. Grazie.