Visita ufficiale a Belgrado

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Inizia domani, giovedì 12 novembre, la visita ufficiale a Belgrado del Presidente del Senato, Pietro Grasso. Incontrerà il Presidente della Repubblica, la Presidente dell’Assemblea Nazionale e il Primo Ministro.  Il programma completo della visita prevede una intensa serie di incontri ed eventi pubblici.

Il primo appuntamento è alle ore 16 di giovedì, presso la Camera di Commercio, per un intervento al convegno “Investing in Serbia: Opportunities, Regulations, Regional Potentials”, alla presenza del Primo Ministro e di imprenditori italiani e serbi.

Alle ore 17 è prevista la visita al Mausoleo di Tito e al Museo di Storia Jugoslava. In serata, presso la Residenza dell’Ambasciatore d’Italia a Belgrado, il Presidente del Senato incontrerà la Comunità italiana e i funzionari italiani delle organizzazioni internazionali.

La mattina del giorno dopo, venerdì 13, in agenda il colloquio con la Presidente dell’Assemblea Nazionale della Repubblica Serba, Maja Gojković, al termine del quale è previsto un incontro con la stampa. Quindi, al Palazzo della Presidenza, Grasso sarà ricevuto dal Presidente della Repubblica, Tomislav Nikolić.

Successivamente, al Palazzo del Governo, avrà luogo l’incontro con il Primo Ministro Aleksandar Vučić.

Nel pomeriggio, nel Palazzo del Tribunale Speciale per la Criminalità organizzata, il Presidente Grasso si incontrerà con il Ministro della Giustizia Nikola Selaković, il Presidente del Tribunale Aleksandar Stepanović e il Procuratore Speciale Miljko Radisavljević.

Tutte le Autorità si recheranno nell’Aula dedicata a Giovanni Falcone, dove il Presidente Grasso scoprirà una targa in memoria del Giudice italiano assassinato nel 1992.

Al termine della cerimonia, è previsto un incontro con la stampa.

 

 

 

 

“Geronimo Stilton. La Costituzione italiana raccontata ai ragazzi”

Cari ragazze e ragazzi,

benvenuti! Sono molto felice di avervi qui oggi e di accogliervi a Palazzo Giustiniani. E’ bello poter passare un po’ di tempo con voi, darvi l’occasione di conoscere da vicino le nostre Istituzioni e parlare insieme della “legge più importante di Italia”, la Costituzione.

Qualche giorno fa, il 4 novembre, abbiamo festeggiato la giornata dell’Unità Nazionale. Come sicuramente avrete già studiato, l’Italia non è stata sempre libera e unita come oggi: ci sono voluti decenni di sacrifici, di lotte e anche di errori per renderci ciò che siamo. La Costituzione, insieme al nostro inno nazionale e al tricolore, è il simbolo di questo lungo e faticoso cammino iniziato dai nostri antenati e giunto fino a noi. Nel 1946, una volta terminata la seconda guerra mondiale e proclamata la nascita della Repubblica, occorreva stabilire delle nuove regole in grado di garantire il buon funzionamento dello Stato e, soprattutto, i diritti  e i doveri  di ciascun cittadino.

I cosiddetti “padri costituenti” – e con questa definizione troppo spesso dimentichiamo il grande contributo che diedero le 21 “madri” costituenti in quell’Assemblea – riuscirono in questo arduo compito e diedero vita ad un sistema di principi, di idee e di comportamenti da applicare ogni giorno: a scuola, in famiglia, quando fate sport o vi divertite con gli amici. Erano uomini e donne che avevano alle spalle la guerra, venivano da tradizioni culturali diversissime e sostenevano idee politiche talvolta antitetiche: erano avversari ma seppero unirsi nel comune obiettivo di definire una formula di convivenza in grado di dar vita a quel “processo in continuo svolgimento” che è l’esercizio della democrazia. Fecero un lavoro difficilissimo: misero da parte le differenze e gli egoismi, personali e di parte, nel nome dell’appartenenza ad una stessa base di valori.

In questo sforzo furono guidati da tre grandi principi: l’utopia, l’ambizione, la responsabilità. Fateli vostri ora che state crescendo e ogni volta che sarete chiamati a scegliere della vostra vita: abbiate l’utopia di realizzare grandi obiettivi, anche se chi vi sta intorno dice che non è possibile, coltivate l’ambizione di riuscire dove altri hanno fallito e di esprimere tutte le vostre potenzialità, ma non dimenticate mai che siete responsabili di ciascuna vostra azione, nei confronti di voi stessi e di chi è toccato dalle vostre scelte.

Sono davvero contento che Vincenzo Spadafora, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, vi abbia regalato questo libro utile e divertentissimo, l’ultima avventura di Geronimo Stilton, “La Costituzione italiana raccontata ai ragazzi”.  Perché è molto importante che voi siate consapevoli delle regole del nostro stare insieme: solo così potrete infatti diventare bravi e  onesti cittadini, realizzare i vostri sogni e, insieme, rendere più bella e giusta la nostra Italia. Voi siete molto giovani, avrete tutto il tempo di conoscere approfonditamente la storia e il significato più complesso della nostra legge fondamentale. Già da ora però potete, anzi dovete, iniziare ad avventurarvi, magari in compagnia di un simpaticissimo topo, nella sua anima, racchiusa nei primi 12 articoli, quelli che definiamo “Principi Fondamentali”.

Geronimo Stilton è sicuramente più bravo e divertente di me nello spiegarveli; a dire la verità sono un po’ invidioso perché quando avevo la vostra età non ho potuto contare su un amico così simpatico che mi raccontasse la Costituzione. Nonostante questo mi piacerebbe potervi dire perché, a mio parere, ognuno di quei principi, che non possono essere in alcun modo modificati, è così bello e importante. Non voglio essere troppo lungo, quindi vi citerò solamente 2 dei 12 articoli di cui parla il libro.

L’articolo 2 ci pone subito di fronte al tema dei diritti inviolabili, che la Repubblica riconosce e garantisce, ma – attenzione – non senza citare immediatamente dopo i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”I diritti non vengono da soli, vengono subito messi in relazione ad alcuni doveri cui un cittadino non può sottrarsi. E’ come se la nostra carta fondamentale volesse subito darci una lezione che possa essere applicata a tutti gli aspetti della nostra vita: non esiste diritto senza dovere, non esiste risultato senza sforzo, non esiste vittoria senza impegno.

Ho sempre trovato poi emozionanti le parole e la chiarezza dell’articolo 3, quello in cui si dice che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Sapete cosa vuol dire? Che non importa se avete dei vestiti più belli o di che colore sia la vostra pelle, o, ancora, cosa pensate e in cosa credete: siamo tutti uguali e tutte le opinioni hanno pari dignità; significa che dobbiamo far tesoro della diversità di ognuno, senza farci spaventare, tutti i giorni. Forse penserete che non sia così facile andare sempre d’accordo con tutti o arricchirsi delle differenze che ci sono tra le persone. Per questo l’articolo 3 ha una seconda parte, quella in cui si dice che ” è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“. Anche se sembrano parole simili, differenze e disuguaglianze non sono la stessa cosa. Le prime appartengono alla personalità, alle radici e alla storia di ciascuno di noi, e vanno conosciute e valorizzate, le seconde invece sono dettate da differenze economiche o da pregiudizi, e per crescere e migliorare vanno ridotte o eliminate, al fine di essere davvero una comunità plurale ma al tempo stesso unita.

Guardandovi vedo ragazzi molto giovani che sono a metà nel loro percorso di formazione scolastica e altri invece che sono già all’università. La Costituzione si rivolge a ciascuno di voi: l’Italia di domani dipenderà da voi e dalla vostra capacità di rafforzare e difendere i valori della nostra Carta. Spero che la giornata di oggi e questo viaggio in compagnia di Geronimo Stilton rimangano impressi a lungo nella vostra mente e nei vostri cuori anche quando sarete diventati adulti. Ciascuno di voi avrà un ruolo nella società: ingegnere, astronauta, medico, meccanico, magistrato, operaio, commerciante,  calciatore, giornalista, politico, chissà che cos’altro. Non importa: qualunque cosa sarete da grandi non potrete mai fare a meno dei diritti che vi sono riconosciuti, ne tanto meno ignorare i doveri da rispettare. La Costituzione e i suoi principi fondamentali vi appartengono, tocca a voi applicarli nella vita di tutti i giorni, custodirli se qualcuno li minaccia, farli conoscere ai vostri amici e, perché no, ricordarli ai vostri genitori. Il Senato, così come le altre Istituzioni, è la vostra casa, qui sarete sempre i benvenuti. Anzi, per rendere questa giornata ancora più importante, vi invito a visitare una sala particolare che si trova proprio in questo palazzo: il luogo dove la nostra Costituzione è stata firmata. Ci andremo dopo insieme.

Cari ragazzi vi auguro il meglio e vi ringrazio per essere qui oggi, con la vostra allegria, i vostri sorrisi, le vostre speranze.

 

Incontro con il Presidente della Bolivia Evo Morales

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha ricevuto questa mattina a Palazzo  Giustiniani   il  Presidente della Repubblica dello Stato Plurinazionale della Bolivia,  Evo  Morales.  Al  centro  del  cordiale colloquio,  lo  sviluppo  dei  rapporti culturali ed economici tra Italia e Bolivia.

Giovanni Spadolini. Giornalista, storico e uomo delle istituzioni

Gentili ospiti, Signore e Signori,

Per me è un vero piacere aprire i lavori di questa giornata di studi su Giovanni Spadolini promossa dal Senato della Repubblica e dalla Fondazione Spadolini, ed è particolare motivo di orgoglio farlo proprio qui, nella Biblioteca del Senato, che gli è intitolata perché fu lui a idearne e a volerne la realizzazione, con tenacia e passione. Questa Biblioteca è così in qualche modo il simbolo di quella sintesi unica di politica e cultura che caratterizzò la sua vita e la sua storia personale, perché egli volle che Palazzo della Minerva divenisse la sede di una biblioteca non solo più grande e più efficiente ma soprattutto aperta a tutti, perché solo persone informate possono esercitare la cittadinanza con consapevolezza.

Spadolini entrò in politica nel 1972, dopo una straordinaria carriera giornalistica e accademica. Da giornalista iniziò a collaborare a ventidue anni al Messaggero, diretto da Mario Missiroli; a ventinove divenne direttore del Resto del Carlino, dove rimase fino al 1968, quando passò alla direzione del Corriere della Sera. All’università Spadolini insegnò alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze, prima come professore incaricato dal 1950, a soli 25 anni; poi divenne nel 1961 titolare della prima cattedra italiana di Storia contemporanea. Nel frattempo aveva pubblicato diversi libri che ne avevano consolidato la fama e il prestigio di studioso: Il ’48. Realtà e leggenda di una rivoluzione; Il Papato socialista; L’opposizione cattolica; I radicali nell’800; I repubblicani dopo l’unità.

Lasciata la direzione del Corriere in prossimità delle elezioni del 1972, Spadolini scelse di candidarsi nelle liste del Partito repubblicano, sottolineando il legame fra la sua candidatura e quella tradizione risorgimentale che era stata al centro dei suoi interessi di studioso. Vedeva l’Italia di quegli anni come quella di un secolo prima: caratterizzata dallo stesso “senso del Risorgimento incompiuto, di una rivoluzione mancata, di un paese che non ha risolto i suoi problemi”. E per uscire dalla crisi e fare tornare l’Italia all’altezza del suo ruolo storico invocava “la tradizione del Risorgimento, la tradizione per cui l’Italia si è trasformata in un paese civile e moderno”: tradizione di rigore morale e di apertura europea.

Dopo essere stato il primo Ministro per i Beni culturali e ambientali e quindi, per un breve periodo, Ministro della Pubblica istruzione, nel settembre 1979 viene eletto segretario del Pri, quasi a raccogliere il testimone da Ugo La Malfa che era scomparso pochi mesi prima. Meno di due anni dopo, quando il governo Forlani fu travolto dallo scandalo della P2, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini gli affida l’incarico di formare il governo, che sarà il primo della Repubblica non presieduto da un esponente della Democrazia Cristiana. Fu il governo delle quattro emergenze: quella morale dello scandalo P2; quella civile della lotta al terrorismo; quella internazionale della crisi degli euromissili; quella economica.

Fu quindi ministro della Difesa nei due governi Craxi della IX Legislatura e nel 1987 fu eletto alla presidenza del Senato. Si dimise subito dalla segreteria del Partito repubblicano, esponendo nel discorso di insediamento motivi di coerenza rispetto a quello che egli considerava un “mandato super partes, di custode del Regolamento, dei diritti della maggioranza e delle opposizioni”. Nel corso della sua attività da Presidente rivendicò orgogliosamente le ragioni costituzionali del primato del Parlamento, che difese contro ogni tentativo di ridurne il valore “a stanza di mediocri e particolaristiche negoziazioni”.

La sua sensibilità politica, affinata dalla pratica ininterrotta della ricerca storica, gli fece avvertire l’urgenza di un’iniziativa riformatrice, in un contesto nel quale già si coglievano i segnali della crisi che sarebbe esplosa nel 1992. La società civile, con le sue esigenze, inquietudini e insofferenze verso la classe politica diventò un punto di riferimento costante dei suoi interventi. Da qui nacque il suo richiamo alla necessaria “capacità di innestare nel procedimento di deliberazione diretti contributi della società civile” e l’iniziativa in favore di riforme istituzionali che, tenendo ben fermo il ruolo delle Assemblee parlamentari, ricongiungessero i tempi della politica a quelli della società civile. Da qui scaturirono le importanti riforme regolamentari del 1988, che aggiornarono la disciplina del voto segreto, della programmazione dei lavori, del contingentamento dei tempi di discussione.

Ne derivò anche la prima proposta di riforma del bicameralismo che, approvata a Palazzo Madama, non superò l’esame della Camera dei Deputati. Spadolini volle orgogliosamente sottolineare che quella era la “prima forma di autogiudizio e autocorrezione che il Parlamento ha dato di se stesso in 40 anni”. Nominato senatore a vita nel 1991, davanti al terremoto politico del 1992, a tangentopoli, al collasso del sistema dei partiti, ribadì le ragioni di quel percorso di riforme di cui aveva saputo intravedere anticipatamente l’ineludibile necessità.

Voglio concludere ricordando le sue parole di fiducia nella Costituzione e nella centralità del Parlamento che pronunciò in Senato il 21 luglio 1992 in memoria del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta: “Può essere questo il segnale che la pubblica opinione attende da tutti noi: la capacità del Parlamento di dare risposte non retoriche, di cogliere il senso delle richieste dei cittadini, di dare alle vittime e ai loro familiari la certezza che il loro sacrificio non è stato inutile perché la forza del Parlamento è nelle istituzioni democratiche, è nel consenso dei cittadini il baluardo supremo per la difesa della Repubblica”.

Grazie.

 

 

 

Suoni, segni, parole: Antonio Michela e l’officina del linguaggio 1815 – 2015

Sono molto lieto di essere presente a questa iniziativa che, ricordando la figura del professor Antonio Michela Zucco, vuole anche esaltare la genialità del nostro Paese.

La sua vita si svolse tutta nel Canavese. Nacque il 1° febbraio 1815 a Cortereggio, frazione di San Giorgio. La naturale inclinazione alla matematica, alla fisica, alla tecnica e al disegno lo indirizzò agli studi che compì presso la Regia Accademia Albertina di Torino e poi all’insegnamento, prima come maestro in varie scuole elementari del Canavese, poi nel piccolo Comune di Quassolo e infine come professore di disegno e architettura presso le Scuole tecniche di Ivrea. Morì a Quassolo il 24 dicembre 1886. Se tutta la sua vita fisicamente trascorse in questi luoghi – tranne alcuni viaggi a Milano per presentare la sua invenzione e un viaggio a Parigi dove partecipò alla Grande Esposizione Universale del 1878 – la sua mente e il suo pensiero spaziavano nel mondo universale dei suoni, delle parole, del linguaggio umano. Il suo scopo era di arrivare ad un’espressione grafica del suono delle parole che fosse comune per tutti i linguaggi, cosi come la scrittura musicale lo è per ogni tipo di musica e di strumento.

Individuò gli «elementi fonici» necessari alla formazione di tutte le sillabe con le quali possono essere composte le parole, diede ad ognuno di loro un’espressione grafica, un simbolo e un’espressione numerica al fine di stabilirne l’esatta pronunzia in qualsiasi lingua. Quindi ideò un meccanismo per registrare con assoluta precisione simboli corrispondenti a raggruppamenti fonici con la stessa velocità con la quale escono dalle labbra di chi parla. La genialità del sistema, sta nella semplicità e nella chiarezza, caratteristiche che permisero e tuttora permettono alte velocità di registrazione.

Per lunghi anni l’inventore lavorò alla costruzione della macchina stenografica, alle prese con problemi tecnici di quasi impossibile soluzione in quel periodo storico (il telegrafo e il recentissimo telefono erano i mezzi più moderni di comunicazione). Un secolo e mezzo fa la tecnologia era poca cosa applicata a questo tipo di ricerche, per quell’epoca assolutamente d’avanguardia. Eppure, lavorando quasi da solo, Antonio Michela riuscì a creare un capolavoro di tecnologia. Ad ispirarlo c’era la grande idea dell’alfabeto universale, che egli perseguì appassionatamente, anche dopo l’affermazione della macchina stenografica. Un aspetto colpisce dell’attività di quest’uomo. Nel libro «Passeggiate per il Canavese» del 1871, l’autore Bertolotti notava, a proposito del paese di Quassolo: «Non esistono analfabeti ed in ciò ne deve aver merito il già maestro locale Michela Zucco Antonio, infaticabile nell’istruire la gioventù ed ora da parecchi anni professore nella Scuola tecnica di Ivrea». Un successo eccezionale in un’epoca in cui la percentuale d’analfabetismo nelle varie regioni d’Italia superava il 50 per cento della popolazione per giungere a punte del 90 per cento.

Questa citazione illumina gli ideali di Antonio Michela, uomo di vita semplice ma ricco di cultura, di curiosità, di attenzione ai valori più alti dello spirito umano. Mi piace sottolineare  come la molla della sua genialità, la sua continua e appassionata ricerca del nuovo risiede nel suo spirito di “maestro”: trovare la chiave più semplice e gli strumenti che consentissero a tutti di conoscere. Il legame tra questo grande personaggio ed il Senato è strettissimo. Dal 1881 la macchina è in funzione presso il Senato. Legislatura dopo legislatura la storia d’Italia è passata sui suoi tasti: il Regno, la Prima guerra mondiale, il Fascismo, la Seconda guerra mondiale, la Repubblica.

La passione e la duttilità del suo inventore si è trasmessa e rinnovata nel suo sistema: negli anni la macchina si è trasformata ed è stata adattata alle più aggiornate tecnologie informatiche e, mantenendo il suo aspetto tradizionale, continua ancora oggi a realizzare lo scopo dell’inventore, ovvero l’immediata, completa e precisa diffusione della parola anche in una realtà ove la tempestività è divenuta indispensabile e necessaria. Grazie anche alla grande professionalità degli stenografi parlamentari del Senato, oggi tale sistema continua a garantire in modo adeguato e competitivo la pubblicità dei lavori parlamentari attraverso la realizzazione del Resoconto stenografico dei lavori della nostra Aula legislativa, già consultabile con tempi rapidi in corso di seduta.

Possiamo verificare proprio adesso come il sistema permetta una immediata traduzione delle note stenografiche in tempo reale con i due stenografi che stanno riprendendo il mio intervento (in italiano e in inglese): sullo schermo appare la trascrizione immediata. (uno stenografo è del Senato – dott.ssa Torregrossa – l’altro è americano e riprende dalla traduzione in inglese). Una bella occasione questa anche per mettere in evidenza le grandi professionalità che si sono formate in tutto il mondo ed in particolare in Senato. I nostri stenografi parlamentari sono oggi tra i migliori al mondo e costituiscono anche un prezioso tesoro che può essere a disposizione di tutti per la diffusione del sistema e di tale professionalità. Voglio ringraziare l’on. Bonomo che ha voluto fortemente questo incontro, il Presidente del Consiglio regionale del Piemonte ed il Sindaco del comune di San Giorgio Canavese che hanno collaborato per la buona riuscita dell’iniziativa tutti i relatori presenti nonché la famiglia Michela Zucco. In questa occasione la famiglia ha voluto donare al Senato documenti autografi originali che avremo sicuramente cura di conservare degnamente. Tali documenti sono  anche esposti in Sala Garibaldi ove è stata allestita una mostra  che ho appena avuto il piacere di vedere e che sarà a disposizione dei visitatori di Palazzo Madama sia nella giornata di sabato in occasione dell’apertura al pubblico del Palazzo, sia tutta la prossima settimana ai gruppi in visita.

Un modo per mettere in evidenza quanto le idee, il genio, lo studio e la passione di un figlio delle nostre terre ha prodotto a distanza di anni.

Diseguaglianze e democrazia: quali interventi politico-diplomatici

Caro Presidente Napolitano, Signore e Signori,

ho accolto davvero con molto piacere la proposta del dott. Giorgio Bartolomucci di ospitare nella sala Zuccari del Senato un’interessante sessione della VII edizione del Festival della Diplomazia con l’autorevole intervento del Presidente Emerito Giorgio Napolitano e della direttrice Sarah Varetto. Il Festival si conferma anche quest’anno un luogo di incontro di alto valore culturale, scientifico e politico-internazionale. Il tema cui sono dedicati i tanti eventi di questa edizione (“crescita inclusiva, diseguaglianze e squilibri politici”) e in particolare il taglio che ha scelto il Presidente Napolitano (“quali soggetti e mezzi di intervento politici e diplomatici per combattere le diseguaglianze”) toccano questioni cruciali del nostro tempo sulle quali chi si dedica alla politica, e tutti coloro che vivono consapevolmente la società contemporanea, non possono mancare di interrogarsi.

La crisi degli ultimi anni ha messo in luce l’aumento anche nei paesi più ricchi, fra cui l’Italia e la stessa Germania, delle diseguaglianze e della conseguente esclusione e marginalizzazione di un crescente numero di cittadini. Un fenomeno drammatico, celato dagli indici statistici di ricchezza, che rendono freddi dati medi trascurando le complessità sociali e le gravi difficoltà di vita quotidiana delle persone. Io credo che queste tendenze siano il risultato di un gravissimo fallimento della politica, che ha il dovere prioritario di garantire a ciascuno una vita dignitosa e la partecipazione alla vita collettiva del Paese. Una sfida che bisogna affrontare attraverso strumenti di intervento fiscali, occupazionali, sociali, educativi, per sostenere persone e famiglie in difficoltà e agire sugli squilibri sistemici. L’interdipendenza dei mercati economici e finanziari, ancora di più in ambito europeo, impongono però al tempo stesso anche il ricorso alla diplomazia come modalità per condividere con gli altri Paesi, strategie, obiettivi e azioni al livello internazionale.

Pochi giorni fa abbiamo voluto celebrare in Parlamento il sessantesimo anniversario dell’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite, alla presenza del Segretario Generale Ban Ki Moon, per ribadire la nostra profonda fede nel multilateralismo e il nostro pieno impegno per la realizzazione degli obiettivi primari dell’Organizzazione. E proprio il mese scorso a New York si è registrata ampia condivisione sull’ambiziosa agenda a proposito di uno degli obiettivi più importanti e attuali, lo sviluppo sostenibile. Il nostro Paese, consapevole della portata di questa sfida, si è preparato a contribuire dotandosi di una legge e di strumenti nuovi che costituiscono un “sistema italiano della cooperazione” che agisce con la regia del Ministero degli Affari Esteri riunendo molte anime: amministrazioni pubbliche, autonomie locali, società civile, fondazioni, centri di ricerca, università, settore no profit, imprese, comunità di migranti.

La politica estera italiana è guidata dai principi fissati nell’art. 11 della Costituzione, che fu firmata proprio qui, a Palazzo Giustiniani. Nel corso della storia repubblicana, sviluppando questi principi, l’Italia e la sua diplomazia hanno dato un contributo decisivo a far avanzare grandi cause: l’integrazione europea, la battaglia contro la pena capitale, la creazione della Corte penale internazionale, la protezione dei diritti umani e il mantenimento della pace attraverso le missioni nelle quali le nostre forze armate hanno guadagnato un così grande apprezzamento. Ebbene, io credo che la sfida del futuro sarà quella di contribuire a costituire, oltre a un ordine politico più stabile e pacifico, anche un ordine economico più giusto, sostenibile e umano.

Il sistema economico internazionale è divenuto globale. Le spinte economiche e demografiche del nostro tempo sono destinate a cambiare radicalmente la struttura del sistema mondiale. Mentre la popolazione dei Paesi occidentali, gli europei in particolare, rimarrà sostanzialmente stazionaria e invecchierà, quella dei Paesi più poveri nello spazio di pochi decenni raddoppierà o addirittura triplicherà, con una fortissima prevalenza delle generazioni più giovani. L’Europa che meno di un secolo fa era, per storia, forza economica e dimensione demografica, al centro dell’ordine globale, rischia fatalmente di trovarsi ai margini del mondo contemporaneo, che aveva contribuito così profondamente a plasmare.

Concludo. In Europa abbiamo vissuto anni recenti difficili e, per molti versi, amari. Alla crisi delle economie, della produzione e del lavoro, che tanto hanno inciso sulla vita delle persone, si è accompagnata una profonda malattia del progetto europeo e dei valori che sono iscritti nella sua lunga storia, che ha rivelato egoismi e divisioni e ha drammaticamente indebolito la forza sostanziale e l’immagine dell’Unione nel mondo. Questa situazione ha inoculato nei cittadini il germe oscuro del disincanto, dello scetticismo e dell’anti-politica, alimentando movimenti estremistici. Ma io sono un inguaribile ottimista e sono convinto che questa crisi dovrà costituire un’occasione storica per ridare vigore al progetto europeo, rafforzandolo e aggiornandolo nel quadro dei più ampi orizzonti internazionali. L’Italia in questo percorso avrà un ruolo chiave, in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo: possiede tutte le risorse ideali, istituzionali e umane per affrontare il futuro con l’orgoglio della propria storia e la coscienza della propria forte individualità. Con questa certezza e questo impegno, cari amici, lascio la parola all’illustre relatore. Grazie ancora di essere con noi, Signor Presidente.

 

 

Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale: seminario della Commissione Sanità del Senato

Domani,  giovedì  29  ottobre,  dalle  14 alle 18, la sala dell’Istituto di Santa  Maria in Aquiro (piazza Capranica 72) ospiterà il seminario promosso dalla  Commissione  Igiene  e  Sanità del Senato della Repubblica, sul tema “La sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Un confronto aperto”. Aprirà  i  lavori  la  senatrice  Emilia  Grazia De Biasi, Presidente della Commissione  Igiene  e  Sanità.  Interverranno  i senatori Luigi D’Ambrosio Lettieri   e   Nerina   Dirindin,  relatori  in  Commissione  dell’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.

Nona edizione del Simposio scientifico Ri.Med

Gentili ospiti, cari amici,

sono molto felice che alcuni cambi di programma mi abbiano consentito di essere con voi per la sessione di apertura del nono simposio della Fondazione Ri.Med, nata ormai quasi un decennio fa dall’unione di intenti di Università, Istituti di Ricerca e Istituzioni regionali e nazionali. Credo che la qualità del lavoro svolto da voi in questi anni sia la più importante dimostrazione di quanto sia necessario incoraggiare e consolidare un confronto costruttivo tra le Istituzioni e la comunità scientifica. Questa edizione del vostro annuale Simposio scientifico è certamente una bellissima occasione per consolidare questo rapporto e sono davvero lieto che il Senato apra, per i prossimi due giorni, le proprie porte a oratori italiani e internazionali di altissimo valore.

Qualche giorno fa abbiamo ospitato, a Palazzo Madama, la “Giornata delle eccellenze 2015”: ottantuno ragazzi e ragazze straordinari, che, con grandi aspettative, qualche preoccupazione e legittime ambizioni si apprestano ad entrare nel mondo universitario. Confrontandomi con loro gli ho augurato di realizzare i propri sogni, anche magari perfezionandosi con periodi di studio o lavoro all’estero, ma di coltivare contestualmente il desiderio e l’orgoglio di mettere un giorno il loro grande talento al servizio del nostro Paese. Consentitemi allora di rivolgere un particolare e  molto affettuoso saluto ai ricercatori che prenderanno la parola questo pomeriggio. Voi siete, a mio parere, l’esempio più nobile da offrire a quei giovanissimi studenti. Avete già maturato un’esperienza di grande valore e so che sarete il futuro cuore pulsante del progetto più ambizioso della Fondazione, quello che vedrà la realizzazione del Centro per le Biotecnologie e la Ricerca Biomedica. Anche da voi dipende il successo di questa straordinaria sfida, rappresentate una grandissima speranza: se si realizza la stessa unione di intenti dal quale scaturisce la Fondazione e se le Istituzioni assolvono pienamente il loro compito è davvero possibile far tornare quelli che troppo spesso siamo costretti a chiamare “cervelli in fuga”.

Sono poi particolatamente orgoglioso che sia proprio la mia Sicilia a essere protagonista di questo ambizioso progetto che, me lo auguro, costituirà in futuro un elemento di grande interesse e di riferimento per la comunità scientifica mondiale nel settore della ricerca biomedica e biotecnologica, un settore ormai sempre più rilevante e in costante crescita. Concludo ringraziando ciascuno di voi per l’importante lavoro che quotidianamente svolgete, tanto nella sempre più ampia diffusione della cultura scientifica quanto nella formazione di figure altamente specializzate che possano proseguire in futuro le ricerche sulle quali siete oggi impegnati. Sono certo che questa due giorni di confronto e dibattito saranno molto proficui, e auguro a tutti voi buon lavoro.

Grazie.

Il Mediterraneo siamo noi

Intervento al convegno “Nuovi paradigmi di cooperazione euro-mediterranea” a vent’anni dalla Dichiarazione di Barcellona

Autorità, Cari colleghi, Signore e Signori,

Desidero per prima cosa augurare un cordialissimo benvenuto in Italia ai colleghi e amici intervenuti da tanti Paesi europei e mediterranei; e ringraziare il Presidente del Consiglio Regionale della Toscana, Eugenio Giani, e il Sindaco della nostra bella Firenze, Dario Nardella, per la straordinaria ospitalità. Sono molto grato al collega Sen. Vannino Chiti, Presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato, per avere promosso questa iniziativa che guarda a diverse dimensioni di quel complesso universo che è il Mediterraneo. Si parlerà infatti del futuro della cooperazione euro-mediterranea ai diversi livelli di governo centrale e locale; della storia e delle prospettive degli scambi economici; della gestione delle migrazioni; dell’importanza dei fattori identitari, culturali, religiosi. Sono tutti temi che credo debbano essere posti al centro del nostro impegno di parlamentari, di politici e di persone che vivono consapevolmente questo tempo e questi luoghi.

Il Mediterraneo è l’epicentro della frammentazione e della disgregazione che oggi investe il sistema globale e che si esprime in una pluralità di fenomeni intrecciati e convergenti. Il fenomeno primario, causa di tutti gli altri, è politico. La debolezza e in alcuni casi la dissoluzione di stati e di istituzioni ha determinato vuoti geopolitici che hanno fatto spazio al caos, all’instabilità e in certi contesti al dominio di poteri informali e illegali: criminali, economici, terroristici. Oggi sono in atto nell’area del Grande Mediterraneo e del Medio Oriente una serie di conflitti intrecciati, che però operano su diversi livelli e che hanno eterogenea intensità e natura: conflitti politici, economici, religiosi, confessionali, etnici. Quasi tutti hanno natura interna agli stati o a quel che ne resta (sono quindi guerre civili), ma si registrano sempre presenze sostanziali e decisive di attori statuali esterni, che sostengono parti in conflitto per perseguire interessi economici e geopolitici e propri nella competizione con le altre potenze. Complessivamente, dunque, conflitti di interesse, non di ideologia. Sono queste valutazioni generali abbastanza condivise. Ma l’analisi sarebbe (e spesso è, nel dibattito politico e sui media) vuota e sterile se mancasse di considerare con franchezza e realismo le ragioni più profonde, immediate e remote, dei fenomeni. Il Presidente Chiti ha giustamente voluto dedicare questo convegno alla necessità di individuare nuove forme di cooperazione fra l’Unione europea e gli altri paesi del bacino Mediterraneo. Su questa linea io vorrei sottoporre alla vostra attenzione alcune considerazioni, che spero potranno contribuire al dibattito.

Per prima cosa dobbiamo riconoscere che noi tutti, europei e mediterranei siamo corresponsabili della situazione attuale, per azione o omissione. L’Unione europea ha dedicato al Mediterraneo politiche troppo esitanti e timide che hanno purtroppo decretato la nostra sostanziale irrilevanza sul corso degli eventi. La Dichiarazione di Barcellona e il relativo Processo avevano tre “anime”, politica, economica e culturale, che hanno prodotto risultati estremamente deludenti. Al perdurare di situazioni di crisi e di forte instabilità di governo sul fronte politico si è unita, sul piano economico, l’incapacità di raggiungere risultati tangibili rispetto all’obiettivo, troppo ambizioso, di costituire una grande area di libero scambio. Di converso, le promettenti esperienze di cooperazione culturale non compensano la sostanziale inerzia che segna il tracciato delle politiche di partenariato euro-mediterraneo.

Così a vent’anni di distanza dall’avvio del Processo di Barcellona, a cinque dalla “primavera araba”, e a tre dall’intervento militare in Libia, la nostra incapacità di governare i fenomeni che ci riguardano direttamente, penso a quello migratorio, mette in crisi lo stesso futuro del progetto europeo. Di fronte a queste emergenze nell’Unione ci siamo scoperti egoisti, divisi e deboli. Intanto, paradossalmente, il Mediterraneo è fra le aree geopoliticamente meno integrate al mondo, nonostante i fortissimi legami storici, identitari, culturali. Da qui, allora, dobbiamo ripartire con determinazione non solo per evitare che il caos che bussa alle nostre porte possa destabilizzare anche la sponda nord del bacino mediterraneo, ma soprattutto per cogliere tutte le opportunità di crescita comune che offre la regione.

E’ in questo ambito che si inserisce la riflessione odierna sul ruolo delle assemblee elettive rispetto alla cooperazione euro-mediterranea. La necessità di appropriate politiche intergovernative per rilanciare quest’area geografica si deve affrontare muovendo dai bisogni, dai valori e dai fattori comuni alla regione. Questa funzione di filtro e di intermediazione degli interessi chiama in causa le assemblee rappresentative in una duplice veste: quella del confronto multilaterale finalizzato alla convergenza su priorità comuni (come nell’incontro di oggi); quella interna di indirizzo parlamentare ai governi per spingere l’azione nell’euro-mediterraneo su obiettivi specifici.

In questo contesto, si inquadra la risoluzione approvata dalla XIV Commissione del Senato sulle Politiche dell’Unione europea il 26 novembre 2014, sulle cui finalità e contenuti credo vorrà soffermarsi Vannino Chiti. Nel complesso l’atto interpreta il ruolo puntuale di indirizzo del Parlamento al Governo. Nella risoluzione si trovano concrete linee guida su come ripensare la cooperazione nell’euro-mediterraneo. Cito il richiamo al modello della cooperazione decentralizzata e multilivello, con il coinvolgimento della società civile insieme ai diversi livelli di governo; le proposte sulla valorizzazione della dimensione sociale e culturale; la possibile istituzione di una banca mediterranea; la promozione di una nuova strategia di sicurezza a livello regionale, in partnership con le autorità locali.

Io credo che la fortuna dell’euro-mediterraneo dipenderà dalla volontà di centrare obiettivi condivisi e dalla capacità di affrontare questa sfida con spirito di realismo, partendo da progetti concreti che offrono ricadute immediate sulle comunità locali. In questa dimensione, si rivelerà essenziale il contributo degli enti territoriali: enti intermedi come le nostre Regioni, ma anche comunità di base, come i Comuni. A questo proposito, mi piace ricordare il ruolo svolto dalla mia terra, la Sicilia, nel nuovo Programma marittimo 2014-2020, uno dei progetti di cooperazione della Politica di Vicinato europea per promuovere l’integrazione economica, sociale ed istituzionale fra cinque province siciliane e sei regioni tunisine.

Concludo. Cari amici, noi non solo siamo nel Mediterraneo, noi siamo il Mediterraneo. Di questa regione noi tutti siamo carne, ossa e anima, ma dobbiamo essere anche un cuore che pulsa e polmoni che danno ossigeno, vitalità. Tutti insieme, sia quelli che, come me, sono cresciuti guardando dal balcone di casa la sponda opposta del mare, sia tutti gli altri con cui condividiamo nell’Unione europea e nella regione, storia, valori e speranze. Se noi tutti ripartiremo da Firenze, una città da sempre vocata all’incontro di storie e civiltà, con questa precisa consapevolezza, credo che avremo già fatto qualcosa di molto importante per il futuro delle generazioni che verranno. Grazie.

Relazioni diplomatiche tra Italia e Cina. Celebrare il passato, preparare il futuro

Ambasciatore Li Ruiyu, Sottosegretario Della Vedova, Autorità, Cari amici,

Ho accolto davvero con piacere ed entusiasmo la proposta di ospitare nella bella sala Zuccari del Senato la celebrazione del quarantacinquesimo anniversario dello stabilimento di relazioni diplomatiche fra la Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Cinese. Gli illustri relatori che seguiranno tracceranno la storia di questa fertile collaborazione e, come plasticamente descritto dal titolo di questo evento, ricorderanno i risultati raggiunti e prepareranno i prossimi obiettivi.

Il momento storico che viviamo è particolarmente propizio per un ulteriore salto di qualità nelle relazioni fra i nostri due Paesi. Il continente euro-asiatico è scosso da fratture geopolitiche profonde, tra loro convergenti, alimentate da una pluralità di fattori – politici, economici, finanziari, territoriali, etnici, religiosi, nazionalistici – che rischiano di incidere negativamente sulla stabilità e sicurezza dei nostri Paesi, sulle aspettative di vita e i diritti dei nostri cittadini, sul futuro stesso delle nostre società e dei nostri valori. Ebbene, io sono convinto (non è retorica, ma è politica) che per ricomporre questi squilibri dobbiamo ripartire dalle nostre comuni origini per fare rivivere appieno un continente, l’Eurasia, dove vive il sessanta per cento della popolazione mondiale e dove si registra il sessanta per cento degli scambi commerciali globali. Insieme dobbiamo lavorare per abbattere tutti quegli ostacoli, economici, culturali, politici che oggi inibiscono il pieno sfruttamento delle nostre potenzialità comuni. La nostra priorità condivisa è edificare nuovi ponti fra Europa e Asia, fra Italia e Cina. Ponti anzitutto ideali: umani, di pensiero, culturali, politici, accademici, scientifici. Poi, ponti fisici: reti infrastrutturali, marittime, ferroviarie, aeree; reti di comunicazione; reti energetiche; reti migratorie, programmate e virtuose. L’Italia, che in Europa e nel Mediterraneo è completamente immersa, fisicamente, politicamente e culturalmente, è nella migliore posizione per offrire agli amici cinesi una cerniera di accesso, geografica ma anche ideale, per l’Europa, il Mediterraneo e l’Occidente.

Il Parlamento è un attore centrale in questo percorso politico. Le nostre assemblee rappresentative hanno contribuito nel corso di questi anni ad arricchire conoscenza reciproca e cooperazione e a rafforzare la trama delle relazioni bilaterali attraverso una varietà di incontri. I momenti salienti della cooperazione interparlamentare italo-cinese sono stati segnati dalle visite in Cina di Giovanni Spadolini nel 1994 e di Luciano Violante nel 2000, e da quelle qui in Italia dei Presidenti Li Peng nel 1998 e Wu Bangguo nel 2009. Io stesso ho avuto il piacere di ricevere in Senato il Primo Ministro cinese Li Keqiang e il Vice Presidente del Comitato Permanente dell’Assemblea del Popolo Zhang Ping; e di recente di incontrare alle Nazioni Unite il Presidente Zhang Dejiang.

Ho avuto l’onore di ricevere dal Primo Ministro Li Keqiang e dal Presidente Zhang Dejiang l’invito a una visita ufficiale per incontrare le più alte autorità del Governo cinese, della Assemblea Nazionale del Popolo e della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese. E’ un’opportunità che io ho voluto accogliere con entusiasmo, consapevole che sarà una bella occasione per sviluppare le relazioni fra le nostre istituzioni e i nostri popoli. Il dialogo interparlamentare si dimostra sempre più un formidabile strumento di cooperazione politica fra Stati. Nell’esperienza europea in particolare, ma ormai anche in quella globale, la diplomazia parlamentare investe molti settori del dialogo politico: l’economia, la governance finanziaria mondiale, la sicurezza, la giustizia e la difesa, la cultura, i diritti umani, la sicurezza sanitaria e alimentare, il contrasto alla criminalità e più in genere ai fenomeni transnazionali. Il rapporto fra legislatori e fra legislatori e istituzioni di altri Paesi, aiuta a guardare ai problemi comprendendo meglio, direi “dall’interno”, le ragioni, i limiti e i margini dell’azione altrui, con l’intento di individuare insieme le soluzioni migliori.

Concludo rinnovando ai nostri amici cinesi sentimenti di amicizia, stima e rispetto, certo che su questa solida base sapremo insieme fare le scelte più giuste per il bene delle generazioni che verranno.

Grazie