Cura della Repubblica, rispetto delle regole e spirito di collaborazione per un rinnovato impegno comune

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Commento al discorso di fine anno del Presidente Mattarella

“Tutti siamo chiamati ad avere cura della Repubblica”. L’auspicio migliore e più importante per il 2016 è che questa frase del Presidente Mattarella diventi consapevolezza comune, convinzione profonda, ispirazione e punto di partenza per le nostre azioni. Nel suo discorso di fine anno, il Capo dello Stato si fa interprete delle difficoltà e delle speranze della vita di ogni giorno, invitando alla “comprensione reciproca” e ricordando le doti di coraggio, di spirito d’impresa, di dedizione agli altri, di senso del dovere e del bene comune, di capacità professionali ed eccellenza nella ricerca di cui molti italiani danno prova e testimonianza, non solo nel nostro Paese.

“L’Italia è ricca di persone ed esperienze positive”.

Dobbiamo partire da questi esempi per un rinnovato impegno, senza mai dimenticare, come dice il Presidente della Repubblica, che “la prosperità, il progresso, la sicurezza di ciascuno di noi sono strettamente legati a quelli degli altri”.

“E’ necessario che prevalga lo spirito di collaborazione”, per uscire da una lunga crisi economica che ha lasciato cicatrici profonde nella società. Per difendere la pace, la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone, contro le minacce del terrorismo e dei fanatismi. Per accogliere, nel rispetto delle regole, chi fugge da guerre e fame o è alla ricerca di un futuro migliore. Per affermare il valore della legalità, contro mafie, malaffare e corruzione.

“Rispettare le regole vuol dire attuare la Costituzione, che non è soltanto un insieme di norme ma una realtà viva di principi e valori”. Abbiamo tutti bisogno che le parole del Presidente Mattarella non restino inascoltate. Ma questo, appunto, dipende da ciascuno di noi.

Natale 2015, gli auguri al Capo dello Stato

Discorso rivolto al Presidente della Repubblica alla presenza delle alte cariche dello Stato

Signor Presidente della Repubblica, per me è un onore e un piacere formularle gli auguri più sinceri in occasione delle feste del Santo Natale e fine anno, anche a nome della Presidente della Camera, del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Corte Costituzionale, delle Autorità civili e militari, e di tutti i presenti. Noi tutti le siamo profondamente grati per avere assunto il 3 febbraio la gravosa responsabilità di Capo dello Stato, grazie all’ampia convergenza di forze politiche sulla sua storia personale e istituzionale, e riponiamo assoluta fiducia sulla sua capacità di incarnare i valori della Costituzione e l’unità del Paese.

L’anno che volge al termine è stato segnato da iniziali e parziali segnali di ripresa dalla gravissima crisi economica, che confortano sulla correttezza del percorso intrapreso dal Governo, internamente e nell’ambito dell’Unione europea, e che al tempo stesso impongono un impegno stringente, coerente e corale per ridurre le diseguaglianze, sottraendo alla marginalità e all’incertezza chi è rimasto indietro, e per restituire prospettive e speranza in particolare ai più giovani. In questa direzione, è essenziale ridare vigore al processo di integrazione per fare uscire l’Europa (sono sue parole, Signor Presidente) “da una logica emergenziale che la rende debole e meno credibile” perché storicamente “non c’è mai una stata crescita democratica separata da una crescita del lavoro e delle opportunità di sviluppo”. Nella stessa direzione è urgente anche rafforzare la partecipazione democratica ai meccanismi decisionali dell’Unione, secondo rinnovati equilibri fra Stati membri, istituzioni europee, corpi sociali e cittadini europei; e incrementare sostanzialmente il peso geopolitico dell’Unione nel mondo, perseguendo unità di intenti e solidarietà fra i Paesi membri.

L’anno in corso è stato importante e fruttuoso, sotto diversi profili. Penso al pieno successo dell’Esposizione Universale di Milano, che come lei ha ricordato è stata prova di unità nazionale, e che ha proposto politiche globali di distribuzione delle risorse più eque e coerenti con il futuro del pianeta e delle prossime generazioni.

L’attività parlamentare, condizionata da un lato dalla forte frammentazione politica e dall’instabilità nella composizione dei gruppi, e dall’altro dall’esteso ricorso agli strumenti della decretazione d’urgenza e delle questioni di fiducia,  ha visto l’approvazione di una serie di importanti riforme. Fra queste è di particolare rilievo il procedimento costituzionale in corso, di revisione del bicameralismo paritario, che conferisce al Senato della Repubblica nuove vesti e nuove funzioni. Accogliendo i suoi condivisi appelli, finalmente mercoledì notte il Parlamento ha eletto i tre nuovi giudici della Corte costituzionale, ai quali auguriamo di cuore buon lavoro. L’auspicio è che in futuro prevalga fra le forze politiche il senso di responsabilità, e che la libera espressione delle posizioni politiche non debba più tradursi in stalli così prolungati da mettere a rischio il funzionamento di organi costituzionali cruciali nella vita della nostra democrazia.

Di quest’anno conserviamo purtroppo anche due serie di immagini drammatiche. Quelle delle vite spezzate di migranti e profughi in fuga da guerre e persecuzioni e quelle delle vittime di feroci atti di terrorismo che hanno colpito l’Europa e molti altri luoghi. A proposito dei flussi di rifugiati, l’Italia è stata di esempio al mondo, unendo al turbamento delle coscienze azioni concrete per affermare nei fatti il dovere, morale e giuridico, di accogliere coloro che hanno diritto alla protezione internazionale, con il concorso delle articolazioni centrali e periferiche dello Stato. Al tempo stesso il Governo ha promosso un nuovo corso politico dell’Unione, già lungamente atteso, basato sulla solidarietà e sulla responsabilità che grava su ciascun Paese e tutti collettivamente, coerente con i valori iscritti nei Trattati e nella storia dell’Europa.

Quanto al terrorismo internazionale, siamo determinati a non cedere alla paura e a combattere la barbarie con gli strumenti dello Stato di diritto e del multilateralismo, rispettando i diritti fondamentali e la libertà di credo di cittadini, residenti, ospiti, profughi e migranti. La via da perseguire è l’unità e la coesione della comunità internazionale per affrontare le fratture geopolitiche all’origine di questo fenomeno attraverso una strategia politica lungimirante per garantire a tutte le componenti etniche e religiose dei Paesi in crisi i giusti diritti. In questa direzione il recente accordo in Libia per la costituzione di un governo di unità nazionale, favorito dalle Nazioni Unite con il ruolo determinante dell’Italia, è un segnale incoraggiante di primazia della politica e della diplomazia.

A nome di tutti i presenti, Signor Presidente, rivolgo un caro augurio ai militari, ai civili e ai volontari italiani impegnati nelle missioni di pace e nei diversi contesti internazionali per sostenere con la propria dedizione e umanità, a nome del Paese, la sicurezza, la pace, la stabilità geopolitica, i diritti fondamentali e la dignità delle persone.

Signor Presidente, il suo forte impegno contro la mafia e la corruzione è motivo di sprone per noi tutti. Anche quest’anno è stato caratterizzato da indagini e processi che svelano inquietanti intrecci di criminalità, politica, amministrazione pubblica e società, cementati da favoritismi, collusione e corruttela e dominati dall’abuso dei fondi e dei beni pubblici. Questi fenomeni sono specchio di degrado etico della politica e del Paese cui dobbiamo fare fronte attraverso un’azione complessa che comprende interventi legislativi, giudiziari e amministrativi ma anche la profonda ricostruzione etica e normativa dei partiti politici, secondo il dettato costituzionale.

Sono certo di interpretare il più fermo e sincero proposito di tutti affermando che noi moltiplicheremo l’impegno personale e delle istituzioni che abbiamo l’alto onore di servire affinché si concretizzino le tante, e fondate, ragioni di speranza e ottimismo. Noi tutti dobbiamo coltivare la consapevolezza di essere un Paese cardine del Mediterraneo, dell’Unione europea e di tutto l’ordine internazionale, che guarda al futuro muovendo dalla storia millenaria di culla del pensiero, dell’arte, del diritto e dei diritti. Un Paese forte di una società civile solidale e matura, di istituzioni democratiche capaci di rinnovarsi e rafforzarsi, di una diplomazia stimata e di forze armate inclini al dialogo e all’umana comprensione.

Signor Presidente, lei ha avuto modo di richiamare “l’esigenza di recuperare il senso dell’unità del nostro Paese che consenta ai nostri concittadini di sentirsi davvero parte di una comunità”, richiamando il dovere che grava anzitutto sugli organi costituzionali. Auspico che questo suo alto impegno induca le forze politiche a superare egoismi, contrapposizioni e particolarismi con la lungimiranza che deriva dalla responsabilità di dovere rappresentare la sovranità popolare e i valori iscritti nella storia della nostra democrazia. Con questi sentimenti di gratitudine, Signor Presidente, le rinnovo a nome di tutti gli auguri più sinceri.

Aula del Senato luogo di unione e di speranza

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“L’Aula  del Senato è stata oggi luogo di unione e di speranza. Di rispetto e  amicizia  tra  le  religioni.  Possiamo  dire  di aver vissuto un giorno importante, a conclusione di un anno particolarmente difficile. La presenza del  Cardinale  Vicario  Vallini,  del Presidente Gattegna e del Segretario Redouane, ha scritto una pagina di profonda concordia”. 

Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, al termine della XIX edizione del Concerto di Natale che si è svolto nell’Aula di Palazzo Madama. “Le  ragazze  e i ragazzi del Coro delle Voci Bianche del Teatro dell’Opera di  Roma  e  l’artista Massimo Ranieri – ha aggiunto il Presidente Grasso – hanno   regalato   a  tutti  noi  un’atmosfera  davvero  speciale  che  non dimenticheremo. Il nostro  modo migliore per augurare a tutti buone feste e buon anno”.

In  Aula  erano  presenti   il  Capo  dello  Stato  Sergio  Mattarella,  la Presidente  della  Camera  Laura  Boldrini,  il  Cardinale Vicario Agostino Vallini, il Presidente dell’Unione delle  Comunità Ebraiche in Italia Renzo Gattegna,  il  Segretario  Generale  del Centro Islamico Culturale d’Italia Abdellah  Redouane,  i  Vice  Presidenti  del  Senato Valeria Fedeli, Linda Lanzillotta  e  Maurizio  Gasparri,  il  Ministro  dell’istruzione Stefania Giannini,  il  Commissario  straordinario  di Roma Capitale Francesco Paolo Tronca,  il  Capo di Stato Maggiore della Difesa Generale Claudio Graziano, il  Capo  di  Stato  Maggiore dell’Esercito Generale C.A. Danilo Errico, il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Ammiraglio di Squadra Giuseppe De  Giorgi,  il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Generale C.A. Tullio  Del Sette, il Comandante Generale della Guardia di Finanza Generale C.A. Saverio Capolupo.

Dopo  l’esecuzione  dell’Inno  Nazionale   e  i  saluti del Presidente  del Senato, i giovani cantori del Coro delle Voci Bianche del Teatro dell’Opera di  Roma, diretti dal Maestro José Maria Sciutto e accompagnati dai Maestri Germano  Neri  al  pianoforte  e  Agnese Coco all’arpa, il cantante Massimo Ranieri,  accompagnato  dal  pianista  Andrea  Pistilli,  hanno regalato al pubblico  esecuzioni  magistrali  di  brani  natalizi,  classici e moderni, salutati da lunghi applausi. Al  termine  il  Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato e la Presidente della Camera hanno incontrato gli artisti in Sala Pannini.

 

 

 

Concerto di Natale 2015: occasione di beneficenza e dialogo interreligioso

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, gentili ospiti e amici, cari ragazzi e ragazze,

Il Concerto di Natale del Senato, tradizione che si rinnova ormai da diciannove anni, costituisce, da sempre, un momento prezioso di riflessione e di solidarietà. Quest’anno, in particolar modo, rappresenta anche un’occasione nuova di incontro per favorire un dialogo interreligioso, che appare, oggi, ancor più prezioso e indispensabile. Per questo motivo, ringrazio il Cardinale Agostino Vallini,  Vicario  del  Papa  per  la  Diocesi  di  Roma, il Presidente delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, e il Segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Abdellah  Redouane, di essere oggi qui con noi, insieme, a testimoniare che la cultura e la solidarietà uniscono, nel segno dell’amicizia e di un profondo rispetto.

La pluralità di opinioni, di tradizioni culturali e fedi religiose deve rappresentare un motivo di arricchimento e di scambio, di sviluppo della civile convivenza, piuttosto che un pretesto per divisioni e scontri. Come sapete, il concerto si propone fini benefici e quest’anno, in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia, indetto da Papa Francesco, il ricavato della vendita dei biglietti sarà destinato alla Basilica di Sant’Eustachio in Campo Marzio dove, ogni giorno, vengono serviti pasti caldi ai poveri e bisognosi di ogni religione e provenienza.

Oggi avremo il piacere di ascoltare i giovani talenti della prestigiosa Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma, una realtà artistica che rappresenta un’eccellenza nel panorama musicale italiano, diretta dal Maestro José María Sciutto. Insieme a questi ragazzi ci avvarremo della partecipazione straordinaria di Massimo Ranieri, che ha aderito con entusiasmo alla nostra iniziativa di beneficenza e che ringrazio. Per gli stessi motivi di entusiastica adesione ringrazio i musicisti Agnese Coco, Germano Neri e Andrea Pistilli, che accompagneranno l’esecuzione dei brani. Con l’auspicio che saranno di vostro gradimento, porgo a tutti, a nome del Senato della Repubblica, gli auguri più affettuosi e sinceri di un Sereno Natale e di un Felice Anno Nuovo.

Il futuro Senato non sarà un museo

Intervento alla “cerimonia dello scaldino”, tradizionale incontro con la stampa parlamentare

Cari giornalisti, cari colleghi,

come ogni anno ci troviamo a Palazzo Giustiniani in occasione del tradizionale incontro con la Stampa Parlamentare per gli auguri di fine anno, e per tracciare, sulla base delle riflessioni del presidente dell’Associazione Sergio Amici – che ringrazio – una sorta di bilancio .

L’anno che si sta per concludere è stato segnato da eventi tragici in molte parti del mondo, luoghi in cui cittadini inermi sono stati trasformati cinicamente in obiettivi del terrorismo: da Bamako a Beirut, da Garissa a Parigi. Con gli attentati in Francia è stata colpita al cuore l’intera Europa. In questo momento di grande instabilità internazionale – preoccupano anche le tensioni fra Turchia e Russia – il Governo italiano sta mostrando la giusta determinazione, insieme alla necessaria calma e ragionevolezza. La strada dell’unità, sia interna che internazionale, è imprescindibile. Non possiamo correre il rischio di ripetere i gravi errori del passato, quando gli interventi militari sono stati pianificati senza predisporre strategie lungimiranti per costruire alternative politiche e istituzionali tali da unire in pace le diverse componenti etniche e religiose dei Paesi in crisi. Una visione di medio e di lungo termine risparmierà altre vittime, sofferenze, crisi economiche e instabilità. In questa direzione è un segnale molto positivo la firma in Libia l’altro ieri di un accordo fra i Parlamenti di Tobruk e Tripoli per costituire un governo di unità nazionale, grazie al lavoro delle Nazioni Unite e con il contributo determinante dell’Italia. Non possiamo nasconderci che ci sono ancora molte difficoltà da superare per giungere ad un governo unitario effettivo che controlli il territorio, le tante milizie che vi operano e le avanguardie terroristiche che lo stanno infiltrando. Ma si tratta di un passo che va nella giusta direzione, quella del primato della politica e della diplomazia come premesse per la stabilità e la pace.

Più in generale non dobbiamo lasciare che gli atti barbari di alcuni ci possano spingere, per ignoranza, paura, rabbia o strumentalizzazioni, ad accettare la logica dello scontro tra civiltà o tra religioni: questo farebbe il gioco dell’Isis e di tutti i gruppi fondamentalisti. Come già avvenuto nella nostra storia, contro il terrorismo politico interno e lo stragismo mafioso, dobbiamo combattere la barbarie con gli strumenti dello Stato di diritto e della democrazia, proteggendo i diritti fondamentali e la libertà di credo di ogni persona, che sia cittadino, residente, ospite, profugo o migrante. In questa battaglia culturale, per porre l’accento su ciò che ci unisce e non su ciò che ci divide, ho voluto personalmente invitare al tradizionale concerto natalizio il Cardinale Agostino Vallini, Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, il Presidente delle Comunità Ebraiche in Italia Renzo Gattegna e il Segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia Abdellah Redouane, e li ringrazio per aver accettato il mio invito. La loro presenza, accanto a quella del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sarà un segnale di straordinaria unità, di rispetto reciproco e di amicizia, e spero possa interrompere l’uso ridicolo, se non blasfemo, dei simboli religiosi per strumentali battaglie politiche.

Presidente Amici,

il 2015 ha visto il secondo e fondamentale passaggio delle Riforme istituzionali in questo ramo del Parlamento, un percorso che si chiuderà nel prossimo anno con il referendum. Per rispondere alla sua sollecitazione: la strada scelta e votata a maggioranza dai deputati e dai senatori non è quella del “Senato delle garanzie” ma quella di un Senato espressione delle autonomie territoriali. La sfida dei prossimi anni sarà quindi attuare quanto previsto, anche sperimentando nuove forme di esercizio della funzione rappresentativa caratterizzate da un migliore raccordo con i territori e da un’efficace proiezione nella dimensione europea. Il Senato non sarà quindi relegato a una funzione di museo soprattutto se, e ne sono certo, si valorizzerà l’importanza politica delle funzioni non legislative: penso alle funzioni di indirizzo, di controllo e di valutazione delle politiche pubbliche. Sarà interessante seguire questo cammino e vedere come politici, funzionari e studiosi sapranno caratterizzare queste nuove funzioni in termini parlamentari e in una prospettiva evolutiva del nostro sistema.

I senatori hanno saputo affrontare questi passaggi con impegno e passione, mostrando tutti, pur da posizioni diverse, di avere a cuore il futuro del Senato e delle nostre Istituzioni. Non posso nascondere che la passione sia a volte sfociata in situazioni paradossali – ricordo ad esempio le decine di milioni di emendamenti presentati – o in scontri dai toni e dai gesti di infimo livello. Ho sempre cercato di gestire queste situazioni senza drammatizzazioni, proponendo quando necessario le dovute sanzioni. Il dibattito parlamentare è fatto di tante componenti, e il ricorso a ostruzionismo, esagerazioni e atti teatrali fa parte della storia delle Istituzioni, naturalmente all’interno di limiti che non possono essere superati. Se però i gesti e le parole volgari delegittimano chi li utilizza più che le Istituzioni, i 17 mesi di stallo sulla Consulta hanno rischiato di compromettere seriamente l’immagine del Parlamento. Sono felice che ora la Corte Costituzionale abbia raggiunto il suo plenum, e rinnovo ai tre nuovi giudici i miei migliori auguri di buon lavoro. Voglio però invitare tutti i partiti a riflettere sulla necessità di superare in futuro, nell’interesse comune, rigidità eccessive e strumentalizzazioni da un lato e l’utilizzo del voto segreto per sfogare malesseri interni ai Gruppi parlamentari dall’altro.

Sulla mancanza del numero legale per il voto finale sulla riforma della Rai, non penso che si possano imputare responsabilità alla presidenza, che non può certo garantire la presenza dei singoli senatori, ciascuno dei quali deve sentire la responsabilità di partecipare ai lavori parlamentari in ogni fase, sia in Aula che in Commissione, per adempiere agli obblighi del mandato ricevuto dagli elettori con “disciplina e onore”, come previsto dall’Art. 54 della Costituzione.

Presidente Amici,

il Parlamento dovrà affrontare il prossimo anno questioni importanti che necessitano, come ha giustamente rilevato, dell’impegno unitario dei partiti per trovare le soluzioni migliori. Sono contento di poter dire che ieri abbiamo finalmente calendarizzato a gennaio la delega sugli appalti e il Ddl sulle unioni civili. Sulle intercettazioni, la diffamazione e la necessità di una riforma del “sistema giustizia” – che garantisca maggior efficienza e rapidità – non torno nello specifico perché sono argomenti trattati in precedenti appuntamenti con la stampa e sui quali non ho cambiato posizione. Non solo: su questi temi ho speso interventi e indicato proposte sin da prima di spostarmi in politica. Sottolineo che rimangono sempre di grande attualità e che ne va accelerato, quindi, l’iter legislativo. In merito al conflitto di interessi, invece, siamo oltre ogni ragionevole ritardo: una legge chiara in materia metterebbe le Istituzioni al riparo da possibili rischi di abuso, e legherebbe i rappresentanti politici a responsabilità precise e non a polemiche talvolta strumentali.

La sua riflessione sulla necessità che anche la società civile e i corpi intermedi debbano superare corporativismi e rendite di posizione mi trova assolutamente d’accordo. Nel nostro Paese, sin dalle prime proposte di liberalizzazione, si è avuta la sensazione plastica che ciascuno sia pronto a stigmatizzare i privilegi altrui mentre difende strenuamente i propri, anche a costo di sostenere posizioni antistoriche. Un cambio di passo in questo senso è indifferibile: occorre superare gli egoismi di parte al fine di beneficiare tutti di un sistema più libero da vincoli, più aperto alla concorrenza, più competitivo, in grado di creare un ambiente produttivo che possa cogliere velocemente i benefici delle innovazioni e in questo modo favorire la crescita.

Quel mio appello al mondo dell’antimafia, presidente Amici, è stato un grido di dolore. Un dolore enorme, perché io ricordo con precisione il momento in cui la società civile – siciliana prima, e nazionale poi – si scoprì fieramente in lotta contro il dominio mafioso. Quel momento in cui Falcone e Borsellino potevano affermare: “la gente fa il tifo per noi”. Ricordo che non servivano grandi strutture per tappezzare Palermo di lenzuola bianche, per incontrare i cittadini nelle piazze a manifestare o a unirsi in interminabili catene umane, per sostenere anche solo con un abbraccio o un sorriso “le donne del digiuno”, per raccogliere migliaia di firme e dare al nostro Paese la più bella e innovativa legge sulla confisca e l’utilizzo dei beni confiscati. Se quello era il profumo della primavera di Palermo, gli ultimi mesi sono stati senz’altro “l’inverno del nostro scontento”.

Dopo 30 anni di impegno civile, eccezionale per forma, per partecipazione e per risultati, si vedono crepe troppo profonde in questo mondo a tutti i livelli: nella magistratura, nella politica, nell’imprenditoria, nell’associazionismo. Per questo ho voluto richiamare questo mondo, che è anche il mio, ad una profonda riflessione al proprio interno, anche per non prestare il fianco a chi cerca di cavalcare i singoli scandali per delegittimare una lunga storia di riscatto sociale e morale che va invece difesa con orgoglio. Per usare una metafora presa dall’economia, forse è il momento di immaginare una “decrescita felice” nell’antimafia per tornare a privilegiare il contatto umano, l’approfondimento e le proposte concrete al protagonismo, al sensazionalismo, alla corsa ai finanziamenti, che hanno finito per dare l’idea che ci sia stato un allontanamento dallo spirito originario. Per questo spero che nel corso del prossimo anno si moltiplichino le occasioni di incontro e di riflessione, di dialogo e di confronto, non per lanciare accuse l’uno all’altro, ma per ritrovare insieme nuove forme di impegno. Non mi stancherò di ripetere che l’obiettivo è e resta il cambiamento culturale diffuso, la denuncia alle autorità giudiziarie di ogni comportamento illecito, il rifiuto del compromesso, l’isolamento delle mafie, il sostegno alla magistratura che le combatte e la loro definitiva sconfitta con gli strumenti dello stato di diritto.

Sulla base della sua sollecitazione, presidente Amici, commento volentieri le frasi di Vecchioni sulla Sicilia. La premessa è che da un uomo come lui, che da tanti anni vive di parole, le trasforma in arte, in canzoni, in romanzi, e quindi conosce il peso delle frasi e gli usi anche distorti che se ne possono fare estrapolandole da un contesto più ampio, ci si sarebbe aspettata una maggiore attenzione. Mi sembra però riduttivo racchiudere tutto il suo ragionamento in quella singola frase: per essere onesti intellettualmente è giusto concentrarsi sulla sostanza delle sue osservazioni, una volta chiarito che era una dichiarazione di amore verso la Sicilia, un amore tradito e quindi rabbioso. Vi ho letto soprattutto il dispiacere di vederla umiliata dall’indifferenza, dall’approssimazione, dalla sfiducia e, consentitemelo, dall’incapacità di rompere le catene che inchiodano la mia bellissima terra ad un presente molto al di sotto delle sue potenzialità. Ci sono delle responsabilità precise che non possono essere taciute: la criminalità, la corruzione, ma anche lo sperpero delle risorse pubbliche e una politica clientelare hanno danneggiato nei decenni, in maniera profonda, il suo tessuto economico e sociale. D’altro canto troppo spesso come siciliani ci siamo sentiti spettatori del nostro futuro e non possibili protagonisti. Ma, a ben guardare, ogni giorno vive e combatte una Sicilia che non intende arrendersi. Il modo migliore di rispondere a quello che in molti hanno vissuto come un attacco è uno scatto d’orgoglio nel difendere la propria terra anche dalle piccole inciviltà quotidiane che, sommate, danno l’idea di sciupare le mille bellezze artistiche, storiche, culturali che come siciliani abbiamo avuto in dono alla nascita. Non possiamo permettere che quell’inestimabile patrimonio di storia e bellezza sia sottovalutato, denigrato, perduto. Per farlo dobbiamo unirci: ciascuno può essere protagonista e partecipe della riscossa morale per restituire piena dignità alla nostra isola, bella e maledetta. E questo vale non solo per la Sicilia, ma per tutto il meridione.

Permettetemi prima di chiudere di annunciare una novità che può interessare tutti i cittadini. Ogni anno sono più di 50 mila i visitatori di Palazzo Madama. Da oggi questo numero può diventare molto più ampio grazie alla pubblicazione nel sito del Senato di un tour virtuale, con una selezione delle immagini più significative, un’ampia documentazione scritta e una guida audio degli ambienti più importanti. La prossima settimana, il tour sarà disponibile anche come “app” da installare su tablet o smartphone. E nei prossimi mesi, ci auguriamo di poter ampliare la visita virtuale ad altri ambienti, magari ascoltando i suggerimenti degli utenti. Intanto, chi è interessato può vederla oggi stesso, nel computer che è stato predisposto in questa sala.

Nel salutarci voglio rassicurarvi sul fatto che i tabulati delle votazioni, che più volte come Associazione avete richiesto, saranno disponibili da gennaio in tempo reale e secondo modalità che definiremo insieme. Sono certo che questo migliorerà il già ottimo rapporto che, da sempre, unisce il Senato all’Associazione Stampa Parlamentare.  Ringraziandovi per l’attenzione con cui quotidianamente seguite i nostri lavori, rivolgo a voi tutti, e ai vostri cari, i migliori auguri di Buone Feste.

 

Ostelli per la gioventù modello di convivenza ed integrazione culturale

Intervento per il 70° anniversario dalla nascita dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù

Gentile Presidente Baldi, cari ragazzi, gentili ospiti,

è con grande piacere che vi do il benvenuto nella Sala Koch del Senato, nella quale sono molto lieto di ospitare questa cerimonia in occasione del 70° anniversario della nascita dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (AIG) e della consegna del Premio intitolato ad “Aldo Pessina”, fondatore dell’Associazione il 19 dicembre 1945. Un giorno speciale che sarà ricordato anche dall’annullo filatelico appositamente realizzato per festeggiare insieme questo importante anniversario. La prima struttura ricettiva creata per i giovani fu realizzata in Germania nel 1909, dal maestro Richard Schirmann, che impiegò le aule delle scuole come camerate, inutilizzate durante le vacanze, con lo scopo di consentire anche agli studenti meno abbienti di muoversi al di fuori del proprio ambiente ed entrare in contatto con altri giovani e culture diverse dalla propria.

Nonostante sia trascorso più di un secolo e gli Ostelli per la Gioventù si siano adattati man mano alle crescenti esigenze dei viaggiatori di tutte l’età, la filosofia è rimasta sempre la stessa: permettere ai giovani di culture diverse di incontrarsi e conoscersi, anche grazie alle caratteristiche specifiche di questo tipo di struttura ricettiva quali l’economicità e la presenza di molti spazi comuni per favorire la socializzazione. Permettetemi di ringraziare l’Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù che dalla sua nascita nell’immediato dopoguerra ha profuso un impegno costante e indispensabile per i giovani italiani e di tutto il mondo, privilegiando la dimensione formativa dell’esperienza turistica, e per la realizzazione e la gestione degli Ostelli per la Gioventù nel nostro Paese, contribuendo a diffondere le tradizioni ed il patrimonio artistico e culturale italiano.

Moltissimi i progetti realizzati e dell’Associazione, e nel corso del 2014 e del 2015 sono stati sottoscritti importanti Protocolli di Intesa tra l’Associazione ed enti pubblici e privati allo scopo di promuovere un turismo sostenibile e consapevole. Di grandissima rilevanza sociale, anche in considerazione dell’emergenza umanitaria in atto in Italia relativa all’ospitalità dei profughi provenienti da aree di guerra o di grave disagio sociale, è il progetto “Accoglienza Solidale”. L’iniziativa prevede, l’accoglienza di 500 giovani rifugiati negli Ostelli per la Gioventù di Palermo, Alghero, Genova, Bologna, Firenze, Napoli e Ancona, e promuove un nuovo modello di convivenza ed integrazione culturale. Il mio auspicio è che la vostre numerose e meritevoli attività possano essere da stimolo per le Istituzioni sulla necessità di incrementare e promuovere il turismo sociale e culturale rivolto ai giovani, desiderosi di conoscere il mondo e di immergersi in nuove culture da viaggiatori consapevoli.

Grazie e buon lavoro.

Corte Costituzionale. Dichiarazione dei Presidenti delle Camere su elezioni

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L’elezione dei nuovi giudici della Corte Costituzionale è motivo di profonda soddisfazione. A loro vanno i nostri più sentiti auguri di buon lavoro. Oggi, dopo aver preso atto di un risultato a lungo atteso e auspicato, sentiamo il dovere di invitare con ancora maggiore forza i Gruppi parlamentari ad una riflessione: è assolutamente indispensabile evitare che in futuro si creino situazioni di stallo così prolungate. La libera espressione delle posizioni politiche non deve mai arrivare a mettere a rischio il funzionamento delle istituzioni. Di questo occorre che tutti siano perfettamente coscienti. Ci auguriamo che l’importante risultato odierno segni un progresso in termini di consapevolezza delle forze politiche e crei i presupposti per abbandonare in futuro, almeno sui temi istituzionali, rigidità eccessive, strumentalizzazioni e veti incrociati.

Incontro con la Stampa Parlamentare

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Il  Presidente  del  Senato,  Pietro Grasso, incontrerà i giornalisti della Stampa  Parlamentare dopodomani, venerdì 18 dicembre, alle ore 12 a Palazzo Giustiniani  per  il  tradizionale  scambio  di  auguri  in occasione delle festività di fine anno.

Nota per le segreterie di redazione

Le  richieste  di  accredito  di  giornalisti non iscritti all’Associazione Stampa   Parlamentare   devono   essere  inviate  al  fax  06.6706.3494,  o all’indirizzo  e-mail  accrediti.stampa@senato.it,  e  devono contenere gli estremi   del  tesserino  dell’Ordine  dei  Giornalisti.  Le  richieste  di accredito  di fotografi e operatori televisivi devono essere inviate al fax 06.6706.2947  o all’indirizzo e-mail accrediti.stampa@senato.it, con i dati anagrafici  completi,  gli estremi del documento di identità, l’indicazione della  testata  di  riferimento  e  un  numero  telefonico  o di cellulare. L’ingresso a Palazzo Giustiniani avverrà da via della Dogana Vecchia 29.

 

 

 

Roma, 16 dicembre 2015

Imperi paralleli. Vaticano e Stati Uniti: due secoli di alleanza e conflitto

Gentili ospiti, Signore e signori,

è per me davvero un piacere partecipare alla presentazione del libro di Massimo Franco “Imperi paralleli. Vaticano e Stati Uniti: due secoli di alleanza e conflitto” insieme all’autore e a relatori così importanti. Sarà, io credo, l’occasione per riflettere insieme sulle due “cupole bianche” che incidono così profondamente negli equilibri geopolitici, quella della Casa Bianca di Washington e quella di San Pietro, sul loro rapporto ma anche sulle possibilità e sui rischi che viviamo in questo momento di forti tensioni internazionali.

Il libro parte da lontano, da quella profezia del futuro presidente degli Stati Uniti John Adams che nel 1779 previde che mai il Congresso avrebbe mandato un Ambasciatore in Vaticano se in cambio avesse dovuto accettare un Nunzio a Washington. Una previsione che si è rotta definitivamente molto più tardi, nel 1984, quando vennero annunciate relazioni diplomatiche ufficiali tra Vaticano e Usa. Il libro è nella prima parte, infatti, il lungo racconto delle diffidenze della politica statunitense e della sua opinione pubblica nei confronti del papato e, più in generale, dei rappresentanti della religione cattolica nell’America del nord a maggioranza protestante. Vengono raccontati aneddoti ed episodi poco conosciuti ma di grande interesse per capire l’evoluzione del rapporto tra politica e religione in quello che viene definito “l’impero statunitense”. A me ha colpito moltissimo ad esempio la parte sul “rapporto Bedini” e sulle difficoltà che monsignor Gaetano Bedini incontrò nel suo viaggio esplorativo per valutare la possibilità dell’apertura di una missione diplomatica a Washington.

Saltando dalla storia all’attualità, molto interessante è il capitolo dedicato al “ponte rotto con l’Islam”. Siamo nel 2003 e mentre gli Stati Uniti si preparano alla guerra in Iraq il Vaticano frena, anche con una precisa campagna di controinformazione alternativa alle narrazioni strumentali, e poco riuscite, degli americani. Franco ricorda come la Santa Sede nutrisse tre preoccupazioni: per la pace; per la salvaguardia dei cattolici e delle minoranze cristiane in Iraq e negli altri Paesi a maggioranza islamica; per gli equilibri geopolitici regionali. Si riteneva, purtroppo fondatamente, che l’intervento militare avrebbe prodotto nuovi conflitti fra le confessioni interne all’Islam, e che avrebbe sconvolto gli equilibri di convivenza fra le religioni a danno delle comunità non musulmane, le cristiane per prime. E si pensava che i piani di democratizzazione americani per il cosiddetto “Grande Medio Oriente” sarebbero stati visti come il tentativo di occidentalizzazione della regione e dell’Islam da parte di intrusi invasori, e strumentalizzati per riattivare la pericolosa retorica dello scontro di civiltà. Le preoccupazioni si sono in larga parte avverate. La guerra irachena e le politiche di marginalizzazione della popolazione sunnita da parte del governo successivo al conflitto hanno creato le condizioni per l’affermazione di gruppi terroristici profondamente radicati nel territorio, alimentati dalla vocazione delle giovani generazione cresciute nell’odio di un Occidente che ha spesso sbagliato a fare e a comunicare. Si sono moltiplicate le discriminazioni e le persecuzioni a carattere etnico e religioso e enormi flussi di disperati hanno attraversato terre e mari. Il nostro forte auspicio è che si impari da questi errori per gestire le tensioni seguite alle drammatiche stragi di Parigi con la ragione, con cautela e spirito unitario.

Ma giungiamo ai giorni nostri. L’elezione di Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, rivoluziona profondamente la concezione geopolitica della Chiesa e di conseguenza il rapporto con l’America. La sfida pastorale di Francesco si declina in una visione della missione della Chiesa completamente rinnovata, nella società e nel mondo. Il Papa da una parte spinge energicamente la Chiesa fuori dal recinto istituzionale per riportarla in strada: un cammino deciso che dal centro conduce alla periferia, dalle liturgie del Vaticano alla vita nelle strade isolate e decentrate. Dall’altra parte egli altera la direttrice di comprensione del mondo, che non legge da occidente a oriente ma dal meridione al settentrione: così ripercorrendo i passi di Gesù la cui missione non mosse dal centro, cioè da Gerusalemme, ma dalla periferia, dalla Galilea. E costringe così l’America a fare i conti con una nuova realtà e con una nuova fase del proprio difficile rapporto con il Vaticano e la Chiesa.

Un bel libro quello di Massimo Franco, che fornisce l’occasione di rileggere diversi avvenimenti della storia contemporanea attraverso la chiave di lettura dei rapporti fra Chiesa e America. E che contiene molti elementi di riflessione per comprendere i fenomeni che viviamo in questi giorni, e per agire meglio. Grazie.

 

He-for-she: insieme verso la parità di genere

Autorità, cari colleghi, gentili ospiti,

ringrazio la Vice Presidente del Senato, Valeria Fedeli, per aver promosso in Senato questa iniziativa, che sono lieto venga ospitata nella nostra splendida Sala Zuccari.

Come in precedenti occasioni analoghe, ho accettato molto volentieri l’invito al convegno “HeForShe: insieme verso la parità di genere” perché sono sempre stato convinto e ho ripetuto in ogni occasione, che questo tema non possa essere superato senza la partecipazione piena, attiva e consapevole degli uomini, anche se rimane tra questi ancora troppo diffusa la tendenza ad autoescludersi o a disinteressarsene, non percependolo come problema proprio o, erroneamente, ritenendo di non avere voce in capitolo. La campagna HeForShe ha come principale obiettivo proprio quello di coinvolgere i ragazzi e gli uomini, di renderli più coscienti e partecipi rispetto agli ostacoli che impediscono la piena realizzazione della parità di genere in Italia, in Europa e nel mondo. La giovane attrice Emma Watson, principale testimonial dell’iniziativa, nell’aprire all’Onu la campagna mondiale HeforShe per la parità di genere si è rivolta agli uomini dicendo, in modo molto chiaro e diretto, “la parità di genere è anche un problema vostro” ed ha trovato parole efficacissime per far notare come gli stereotipi costruiti per le donne presentino una doppia faccia della medaglia, come gli uomini stessi vi rimangano intrappolati quando, ad esempio, credono di dover essere aggressivi per essere accettati, quando non si sentono liberi di essere sensibili o non possono concedersi debolezze per paura di apparire meno virili, quando una percezione distorta di cosa sia il successo maschile li rende fragili ed insicuri.

Gli uomini dovrebbero comprendere che “ci guadagnano” se alle donne vengono effettivamente garantite quelle pari opportunità e quegli uguali diritti che spettano a ciscuno in quanto individuo, perché ciò presuppone una società migliore, dove vi saranno meno abusi e prevaricazioni. Per tutti. Affinché vi sia una piena parità di genere, un vero cambiamento – in primo luogo culturale – deve avvenire nella società maschile. La stessa Millicent Fawcett, fondatrice nel 1872 del movimento delle “suffragette” inglesi, comprese l’importanza di avere al proprio fianco anche gli uomini nel cammino verso l’emancipazione e tentò, senza successo, di coinvolgerli. Una forte determinazione consentì comunque di conseguire il risultato, ma con maggiori difficoltà e in tempi enormemente più lunghi. Se questo è accaduto in un paese con una consolidata tradizione di libertà di espressione come la Gran Bretagna, dobbiamo però sempre tenere presente che nel mondo vi sono molti Stati particolarmente arretrati per quanto riguarda i diritti delle donne, realtà in cui la sottomissione generalizzata della popolazione femminile non consente di poter nemmeno aspirare a conquistarli da sole, neanche in tempi lunghissimi. Pensiamo al recente caso, ad esempio, dell’Arabia Saudita, dove le donne hanno finalmente ottenuto il diritto al voto e ad essere elette – circa una ventina dicono i risultati – ma solo grazie ad un singolo atto di lungimiranza del Re Abdullah – scomparso all’inizio di quest’anno – che lo aveva promesso nel 2011, e a cui si deve la prima università con classi miste del paese nel 2009. Questo ci fa comprendere quanto possa incidere la decisione anche di un singolo individuo che si trovi a ricoprire un ruolo-chiave e quanto, pertanto, sia fondamentale riuscire a sensibilizzare un numero sufficiente di persone in grado di aprire con le loro decisioni la via ad un cambiamento che finisca col coinvolgere strati sempre più ampi di popolazione, fino a cambiare la struttura stessa delle società. Sono gli stereotipi di genere quelli che devono via via venire a cadere, poiché, molto sottilmente e molto subdolamente, finiscono con il condizionare scelte e comportamenti: indirizzano le aspirazioni di carriera delle giovani donne verso le professioni ritenute più “consone”, portano a giustificare retribuzioni differenziate a seconda del genere (cosa, peraltro, di recente stigmatizzata anche da Papa Francesco), inducono sensi di colpa nelle donne che si dedicano al lavoro perché “trascurerebbero” la famiglia… Solo per citare alcuni tra i tanti condizionamenti.

Per non parlare dei luoghi comuni che non si limitano a distorcere la realtà ma ne dipingono una assolutamente opposta a quella effettiva. Più o meno inconsapevolmente, essi concorrono a formare un’idea falsata, un’idea di “inferiorità” della donna, che è ciò che consente di relegarla a ruoli di secondo piano. Rimanendo in casa nostra, lo studio “Stereotipi, rinunce e discriminazioni di genere” presentato dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Istat ci consegna il ritratto di una nazione dove gli stereotipi sessisti sono tuttora duri a morire. Ci dice, infatti, che, nonostante per il 40% dei cittadini le donne subiscano evidenti discriminazioni di genere, un italiano su due ritiene che gli uomini siano meno adatti ad occuparsi delle faccende di casa e la metà della popolazione trova giusto, in fondo, che in tempo di crisi i datori di lavoro debbano dare la precedenza ai maschi. In ambito lavorativo le donne sono più svantaggiate nel trovare una professione adeguata al titolo di studio, nel guadagnare quanto i colleghi maschi, nel fare carriera e conservare il posto di lavoro. Infatti il 44,1% delle donne contro il 19,9% degli uomini ammette di aver rinunciato ad opportunità per essersi dovute occupare della famiglia e dei figli.

Progressi verso la parità di genere se ne sono fatti, soprattutto a partire dalla Dichiarazione e dal Programma d’Azione adottati al termine della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne che si svolse a Pechino nel 1995, ma ben venga ogni azione tesa a ridurre il divario di genere, perché ve ne è ancora estremo bisogno, anche nelle società più evolute. Chistine Lagarde, una delle persone più potenti al mondo e prima donna a guidare il Fondo monetario internazionale, partendo dall’analisi di uno studio condotto dal Fondo stesso sulla disparità economica di genere in cui appare chiaramente che nel 90% delle nazioni del mondo esistono forme di restrizione giuridica che impediscono alle donne di accedere al mondo del lavoro, acquisire proprietà o ottenere prestiti dalle banche, ha lanciato un allarme  importante, facendosi portavoce delle rivendicazioni di genere. Sicuramente la sua è una voce autorevole, ma io spero che, grazie all’iniziativa di UN Women, ad essa se ne aggiungano altre, magari al suo stesso livello e meglio ancora se appartenenti all’altro genere, perché i passi avanti si fanno insieme. Donne e uomini fianco a fianco. Donne e uomini sullo stesso piano. Per quanto mi riguarda, io, naturalmente, aderisco, convinto, alla vostra campagna.

Buon lavoro!