Incontro con Jean Claude Juncker Presidente della Commissione Europea

0

Il  Presidente  del  Senato  Pietro  Grasso  ha  ricevuto oggi, a Palazzo Giustiniani, il Presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker. Al  centro  del  cordiale colloquio l’Agenda Europea sulla Migrazione, la governance  economica  europea  e  le  prospettive del referendum nel Regno Unito sull’appartenenza all’Unione Europea, il cosiddetto Brexit.

Incontro con il Presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia

0

Oggi il Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha  ricevuto  il nuovo Presidente  della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI), il pastore battista Luca Maria Negro,  accompagnato  dal  responsabile comunicazione  e  rapporti  istituzionali  della FCEI,  Gian Mario Gillio. Durante  l’incontro  sono  stati  affrontati  i  temi relativi alla libertà religiosa e all’emergenza profughi. Il  pastore  ha  illustrato  al  Presidente Grasso il progetto dei corridoi umanitari  promosso  dalla  Federazione  delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI)  in  collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e con il sostegno della Tavola valdese attraverso i fondi otto per mille.

La lotta alla mafia che non si arrende mai

di Emilia Costantini per il Corriere della Sera 

Sono trascorsi 30 anni dal maxi processo, che ha segnato il primo importante capitolo nella lotta alla mafia. Qual è il bilancio che il Presidente Grasso fa di questi anni?

Per varie ragioni, il maxi processo ha rappresentato e continua ancora a rappresentare una svolta epocale nella lotta alla criminalità organizzata. Sotto il profilo giudiziario era una sfida, erano infatti tantissime le trappole procedurali che avrebbero potuto minarne il percorso, eppure le intuizioni di Falcone si rivelarono vincenti: per la prima volta si dimostrò l’esistenza di Cosa nostra come organizzazione unitaria e verticistica e centinaia di suoi membri vennero condannati a pene durissime. La lotta alla mafia da allora è andata avanti, giorno dopo giorno, con grandi successi fino all’annientamento della struttura di comando. Abbiamo percorso tantissima strada ma non possiamo ancora dirci totalmente soddisfatti.

La vicenda personale che Lei racconta nel libro ‘Per non morire di mafia” che cosa intende comunicare alle giovani generazioni?

Tante volte ricordo a me stesso che la mafia non si arrende mai e che dobbiamo rimanere vigili e continuare a darci da fare. La criminalità organizzata si batte con un lavoro collettivo, serve l’impegno di tutti. Ripeto spesso che all’antimafia della repressione, va affiancata quella della speranza: nessun magistrato, poliziotto, politico può infatti ottenere risultati decisivi se la sua azione non è sostenuta, condivisa e partecipata da ogni cittadino. Ai più giovani chiedo di essere consapevoli, di non essere indifferenti ai piccoli e grandi soprusi, di conoscere la storia di uomini e donne che hanno dato la vita per la giustizia e la legalità.

A suo avviso i giovani di oggi, spesso frastornati tra social network e mancanza di punti di riferimento familiari, rappresentano comunque una speranza per il futuro?

I giovani sono la nostra più grande speranza: una comunità che non crede in loro rinuncia al proprio futuro. In tutti questi anni, prima da magistrato e ora da Presidente del Senato, ne ho incontrati a migliaia: nei loro occhi ho sempre visto il desiderio di rendere migliore il nostro Paese, di essere utili. Nella mia personale esperienza ogni volta che ai ragazzi è stata data l’opportunità di esprimere i propri talenti e la propria visione del mondo, con l’entusiasmo e la passione di cui sono capaci, i risultati sono stati straordinari. Le Istituzioni, a partire dalla scuola, devono accompagnarli, sostenerli, dargli gli strumenti per potersi realizzare come cittadini di oggi e di domani. Se non faremo tutto il necessario per permettere a ogni ragazza e ragazzo di trasformare in realtà i propri sogni e concorrere così al bene comune avremo drammaticamente fallito: il risultato sarà avere una nazione meno coesa, più povera, più intollerante.

Quale può essere il ruolo delle donne di oggi nella lotta alla mafia. E mi riferisco soprattutto a quelle figure di donne emancipate, libere, autonome che purtroppo, molto spesso, finiscono vittime di femminicidi.

Le “donne di mafia” hanno svolto un ruolo fondamentale nel denunciare la natura, i “valori” e la struttura delle cosche. L’immaginario collettivo e alcuni errati luoghi comuni le hanno sempre considerate subalterne, tanto nella famiglia che nella società. Nel bene e nel male le cose stanno cambiando: da un lato sono sempre più numerose le donne che assumono ruoli chiave nella gerarchia criminale, dall’altro sono sempre più i casi di collaborazione con le forze di polizia e con la magistratura. Le donne possono svolgere un ruolo fondamentale nell’affermazione della cultura della legalità. Più in generale, sulla parità di genere e i femminicidi, sono necessari, ancora grandi sforzi anche se nel corso degli ultimi decenni le cose sono sicuramente migliorate. Recentemente ho aderito alla campagna mondiale “He for she” che si pone come obiettivo quello di coinvolgere gli uomini nel processo di consolidamento dei diritti e del ruolo delle donne: sono davvero convinto che gli uomini debbano essere i primi protagonisti di questo cambio di prospettiva.

Lo spettacolo tratto dal suo libro viene rappresentato in giro per l’Italia da cinque anni. Cosa aggiunge il teatro, cioè la comunicazione con il pubblico dal vivo, alla storia da Lei raccontata in forma letteraria?

Devo dire che non mi aspettavo una risposta così numerosa da parte del pubblico e un successo tanto duraturo. Ciò significa che le persone hanno voglia di sapere e conoscere a fondo le storie di mafia, di interrogarsi e anche di riflettere su come la mafia possa costituire la metafora del potere. Il grande merito è senza dubbio di Sebastiano Lo Monaco, del regista Alessio Pizzech e degli autori, che dal mio libro intervista hanno tratto uno spettacolo che emoziona e coinvolge il pubblico.

Io ho saputo che Lei con la sua famiglia frequenta le sale teatrali. In particolare ho saputo che è spesso tra gli spettatori estivi al Teatro Greco di Siracusa. C’è un motivo particolare legato alla scelta del teatro classico? E tra gli autori del grande repertorio quali predilige e perché?

Vado ogni anno a Siracusa sin da quando ero studente, ho sempre pensato che il teatro classico potesse continuare a svolgere nell’attualità il ruolo che già aveva nell’era antica e cioè una funzione sociale ed educativa, oltre che artistica. Euripide, a mio modo di vedere, è il più moderno degli autiori greci.

Frequenta altre forme di Teatro? Segue anche gli autori contemporanei? Se si, può fare qualche nome?

Mi piacciono tutte le forme di teatro, dall’Opera lirica al monologo.

 

Quando accettai l’incarico di giudice a latere del maxiprocesso sapevo come sarebbe cambiata la mia vita: pressioni, minacce, una vita blindata, la paura di ritorsioni sulla famiglia, tentativi di legittimazione, la fine della privacy. . Guardandomi indietro vedo ostacoli che sembravano insormontabili, momenti di profondo sconforto, frustrazione e dolore ma anche soddisfazione per i risultati raggiunti. Da più di tre anni mi sono ‘spostato in politica’ ma non ho abbandonato gli obiettivi e gli ideali che mi hanno sostenuto e guidato nel corso di 43 anni di magistratura. Farò tutto quello che è possibile per continuare a cercare la verità sulle stragi e su tutti i misteri che avvolgono i fatti di mafia: lo devo ai colleghi e agli amici che hanno pagato con la vita la  fedeltà alle Istituzioni.

Sussidiarietà, better regulation e dialogo politico

“Ringrazio i relatori che hanno partecipato al Convegno di oggi. Tutti hanno dato un importante contributo di riflessione sulla partecipazione dei Parlamenti e delle Assemblee Legislative Regionali al processo decisionale dell’Unione Europea”. Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in relazione al convegno “Sussidiarietà, better regulation e dialogo politico. Prospettive e sfide” che si è tenuto oggi nella Sala Koch di Palazzo Madama. “Iniziative come queste – precisa il Presidente Grasso – rappresentano un prezioso momento di confronto e approfondimento, anche a livello internazionale, su cui fondare le basi di un nuovo e costruttivo rapporto politico e istituzionale tra Regioni, Stati e Unione Europea”.

Canta con me

Gentili ospiti, Cari ragazzi e amici,

è per me un grande piacere ospitare nella Sala Koch del Senato questo momento di presentazione del progetto del Teatro dell’Opera “Canta con me!”. Permettetemi di ringraziare e salutare il Sovrintendente Fuortes e tutto il personale del Teatro dell’Opera di Roma che, con grande professionalità e attenzione alla sensibilità dei più giovani, gestisce la Scuola di Canto Corale del Teatro, una realtà artistica che rappresenta un’eccellenza nel panorama musicale italiano. Quest’anno,  nel corso del Concerto di Natale, abbiamo avuto modo di ascoltare la bravura di questi giovani talenti sotto la direzione del Maestro Sciutto, e devo dire che le voci di quei ragazzi hanno toccato il cuore di noi tutti.

Il progetto che oggi presentiamo è un progetto-pilota che rappresenterà una preziosa opportunità di crescita personale, soprattutto per quei bambini e ragazzi che vivono nelle periferie di Roma, quartieri di cui si parla raramente in positivo, ma pieni di risorse e di talenti. L’obiettivo finale, infatti, è quello di creare una rete cittadina di cori di bambini – dai 6 ai 13 anni – che faranno capo al Teatro dell’Opera di  Roma.  Un progetto in collaborazione con il Comune di Roma per l’anno scolastico in corso, che si avvarrà della pluriennale esperienza maturata nel campo della direzione corale di bambini, da parte del Maestro ,presso organismi nazionali e internazionali e che coinvolgerà 4 Istituti comprensivi: “Via Casalbianco” dei quartieri Settecamini/Caserosse, “Via Olcese” dei quartieri Alessandrino/Centocelle, “Pablo Neruda” di Selva Candida e “Via Cutigliano” della Magliana. Lo spunto interessante del progetto, a mio avviso, è quello di portare la musica nelle periferie e poi le periferie al centro, con un’esibizione finale nella solennità del Teatro dell’Opera. Sono certo che questo progetto saprà suscitare l’interesse dei giovani e delle loro famiglie, poiché il valore formativo di questa esperienza trascenderà la formazione musicale in senso stretto. Grazie.

WWF, responsabilità per il futuro dell’ambiente e del clima

Autorità, gentili ospiti, cari amici,

Ho accolto davvero con piacere la proposta del WWF Italia di ospitare in Senato questo Convegno di studi dedicato alla tutela dell’ambiente anche alla luce dei risultati della Conferenza sul Clima di Parigi e dell’Agenda delle Nazioni 2030 delle ONU per la Sostenibilità. Un’occasione preziosa per riflettere su temi sui quali mi capita spesso di soffermarmi perché sul grado di consapevolezza e sulla capacità di azione della politica, ma anche sulla responsabilità di ogni persona si misurano le prospettive delle nostre civiltà, delle generazioni future e del pianeta. Sono molto lieto di potere cogliere questa occasione per festeggiare insieme a voi il cinquantesimo compleanno del WWF Italia, nato cinque anni dopo il WWF internazionale per iniziativa del Presidente Onorario Fulco Pratesi, che saluto con stima. Saluto e ringrazio per la loro presenza la Presidente Yolanda Kakabadse, la Presidente Donatella Bianchi e tutti gli autorevoli relatori. Dobbiamo tanto al WWF: il sistema delle oasi, tanti progetti di conservazione e recupero, campagne di educazione ambientale, proposte normative. Grazie al vostro lavoro il panda stilizzato è divenuto sinonimo di amore e di rispetto per la bellezza, per la natura, per il nostro Paese e per il Pianeta.

A livello politico internazionale gli ultimi mesi segnano importanti passi in avanti, che aprono nuove speranze e inducono a un impegno più forte e determinato. Le Nazioni Unite a settembre hanno definito una nuova e promettente Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile da raggiungere per il 2030. Ho avuto modo di partecipare a New York al processo che ha condotto a questa Agenda, nell’ambito della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti di tutto il mondo. Lì ho portato due ferme convinzioni. La prima è che la questione ambientale non deve mai più essere relegata ai margini dei modelli di sviluppo: i danni all’ambiente e alla salute umana non sono costi accettabili. La seconda è che perseguire lo sviluppo in modo equo richiede di affrontare politicamente le crisi economiche e di sicurezza più drammatiche del nostro tempo, che colpiscono i territori più deboli e che condannano milioni di persone all’emarginazione, alla discriminazione, alla disperazione. Pace, sicurezza, diritti umani, libertà, democrazia, sviluppo ed eguaglianza sostanziale stanno tutti insieme o cadono tutti insieme.

A Parigi poi, la ventunesima sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici ha stabilito la necessità di un piano per eliminare il divario fra impegni assunti e azioni effettive; ha determinato di sostenere i Paesi vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico; ed ha fissato obiettivi chiari e a lungo termine per abbandonare i combustibili fossili e per avviare la strada verso l’energia rinnovabile e l’uso sostenibile del suolo. Naturalmente la prova dei fatti sarà determinante ma considero importante che si sia segnata una via di non ritorno nella politica internazionale, che è fondata su una coscienza sociale sempre più forte e radicata. In questo percorso, l’Unione europea e l’Italia hanno un dovere speciale di promozione dei propri valori e modelli di sviluppo.

Io credo che la parola chiave in questa materia sia responsabilità. Quella che grava sui decisori politici, che devono sapere guardare lontano e tutti insieme: senza pregiudizi, egoismi e nazionalismi, in nome della nostra comune umanità. Quella vostra, cari amici, del mondo dell’associazionismo e del volontariato, che deve continuare ad essere sprone della politica e guida per le coscienze. E quella di ogni individuo, che si misura nella vita quotidiana, nel modo in cui educhiamo i nostri figli e curiamo la bellezza che ci circonda. Un dovere di rispetto e di amore che sono certo noi tutti qui indistintamente condividiamo. Grazie.

L’antimafia è sana ma non c’è la verità sulle stragi

Trent’anni fa, oggi, era un giovane giudice palermitano sposato e con un figlio quattordicenne, prescelto per essere il giudice a latere del primo maxi processo a Cosa Nostra. Per la prima volta la direzione strategica, i quadri intermedi e la manovalanza della mafia siciliana erano a processo tutti insieme, pedine di un unico schema decisionale e militare. Un processo che avrebbe cambiato per sempre la storia d’Italia. Per molti versi avrebbe cominciato allora a scriverla. Piero Grasso ha ricordato più volte il peso della responsabilità quando il presidente del Tribunale Francesco Romano lo convocò per affidargli l’incarico. O lo sgomento quando Giovanni Falcone, giudice istruttore, lo portò in una stanza blindata per presentargli «il maxi processo», quattro pareti piene di scaffali da cielo a terra. Ma trent’anni dopo ancora molto c’è da fare nella lotta alla mafia. E ancora di più per scrivere tutta la verità su quello che è successo dopo, dopo il gennaio 1992, quando la Cassazione mise la parola fine a quel processo iniziato il 10 febbraio 1986. Ecco che allora ricordare diventa un’azione declinata sul presente e sul futuro.

Presidente Grasso, quando ebbe la percezione che quel processo sarebbe diventato un capitolo della nostra storia?
«Quando ho iniziato a studiare gli atti, più di 400 mila pagine, e c’era la storia dei delitti di mafia per la prima volta messi in fila, un racconto unico che fino ad allora era stato diviso in tanti rivoli. L’unitarietà di Cosa Nostra era stata un’intuizione di Giovanni Falcone. Portarla a processo, in aula, era una scommessa giudiziaria e processuale. Quel processo è stato un monumento giuridico straordinario. Erano mille le trappole procedurali che lo avrebbero potuto mettere in discussione. Lo Stato era con noi. E ci aiutò».

In che modo?
«Costruì l’aula bunker in sei mesi. Adattò la procedura.  Per l’appello quotidiano, ad esempio: anziché farlo per tutti i 475 imputati ad ogni udienza – equivaleva a non iniziare mai –  m’inventai il registro del processo che gli imputati firmavano ad ogni passaggio dall’Ucciardone all’aula bunker. Gli avvocati denunciarono che non era possibile seguire il processo con 438 capi di imputazione sparsi in 400 mila pagine. Vero. Così organizzai un fascicolo per ogni imputazione che fu incrociato con le singole posizioni e arricchito durante le varie udienze. Per garantire le verbalizzazioni – agli avvocati sarebbe bastato molto meno per chiedere l’annullamento – impiegammo microregistratori con cassette di 30 minuti e gruppi di otto periti con turni di mezz’ora ciascuno. Una perfetta catena di montaggio».

Lo Stato decise di nominare sostituti dei giudici togati e popolari
«Se qualcuno di noi fosse stato ucciso o messo in condizione di non poter più essere in aula, il processo sarebbe dovuto iniziare daccapo. Non si poteva correre questo rischio: a seguire le udienze c’erano 4 giudici togati e 18 popolari. Anche quello fu un segnale straordinario. Insomma, fu già una vittoria poter iniziare quel processo. Figurarsi arrivare alla condanne e alla sentenza definitiva in Cassazione».

Quella del gennaio 1992. A cui poi sono seguiti l’ omicidio di Lima, le stragi di Capaci e via d’Amelio, le bombe fatte esplodere a Roma, Firenze e Milano nel 1993. Ma restiamo ancora a oggi, trent’anni fa. Tre momenti che sono, per lei, significativi del maxiprocesso?
«Il groppo alla gola di quella mattina, trent’anni fa, quando entrai in aula bunker, le gabbie con centinaia di mafiosi, gli avvocati, 600 giornalisti. Gli occhi del mondo erano puntati su di noi. Un’altra immagine che vive sempre nella mia memoria è l’ingresso di Buscetta in aula, il primo pentito che ci avrebbe raccontato Cosa Nostra dall’interno, lo accompagnava un giovane Antonio Manganelli e un silenzio agghiacciante. Quando entrò Totuccio Contorno, invece, i boss nelle gabbie cominciarono ad urlare, non si capiva perchè. Scoprii dopo anni che Contorno faceva loro le corna di nascosto. C’è poi un terzo momento, la protesta dei boss nelle gabbie che speravano di ottenere la scarcerazione allungando i tempi del processo. Era successo che avevo letto un’ordinanza per superare lo scoglio dell’accordo tra le parti necessario per la lettura degli atti. Cosa succede, mi ero chiesto, se qualcuno si oppone alla lettura? Salta tutto. La mia intuizione era stata giusta. La trappola era pronta. L’avevamo anticipata. Una legge dello Stato – Mancino- Violante – superò il problema».

Presidente Grasso, qual è la potenza attuale di Cosa Nostra?
«Dal 1993 non ci sono più stati omicidi eclatanti. La strategia della sommersione, inaugurata da Provenzano, prosegue negli anni. Tutta la struttura di comando, la direzione strategica, non c’è più e i tentativi di sostituirla vengono stroncati. Sotto il profilo militare, possiamo dire che la repressione investigativa è molto valida. Quella che comanda oggi è la mafia degli affari e dei colletti bianchi. E su questo fronte la repressione è ancora più difficile».

Il 10 gennaio 1987, con il maxi processo in corso, Sciascia firmò sul Corriere della Sera il famoso articolo sui professionisti dell’Antimafia. Negli ultimi due anni l’antimafia civile e giudiziaria ha subìto colpi pesanti. Che succede?
«Nel corpo dell’articolo di Sciascia non c’era quell’espressione. Fra gli altri, c’era un riferimento alla nomina di Borsellino a procuratore a Marsala. Esempio assolutamente sbagliato: come si poteva etichettare come carrierista Borsellino che aveva fatto così tanto e concretamente per combattere Cosa nostra? Ripescare quella frase per affrontare alcuni casi accaduti in questi ultimi mesi mi sembra fuori luogo. Alcune inchieste recenti confermano invece che esistono gli anticorpi necessari per isolare chi si avvale di questi ideali per fini personali. In questi giorni ho ricevuto 9 associazioni antimafia che sollecitano la calendarizzazione del disegno di legge che modifica le norme sui beni confiscati. Mi sembra un segnale positivo. Detto questo, i fatti accaduti devono spingere questo mondo, che è il mio mondo, ad una maggiore riflessione e a una maggiore attenzione nel recupero dello spirito originario e di un principio cardine: con l’Antimafia non ci si guadagna, ci si spende».
Sapeva che nel 1982 Sciascia fu convocato da Falcone nell’ambito del falso rapimento di Sindona? In alcune intercettazioni emergeva che ambienti mafiosi ipotizzarono un suo intervento, in un editoriale, in chiave garantista.
«Non lo sapevo. Mi vengono in mente altre intercettazioni fatte nel salotto buono del boss Guttadauro (inchiesta Cuffato, ndr) in cui si ipotizzava, tra le altre cose, di contattare giornalisti importanti per affrontare temi di legalità e diritti che potessero indirettamente favorire Cosa nostra».

Mancano tanti pezzi di verità sulle stragi del ‘92 e ‘93. Ventiquattro anni dopo sono appese a due processi: a Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio; a Palermo sulla trattativa Stato-Mafia. Lei conosce bene entrambi. Arriveranno le verità mancanti?
«Su quegli anni ci sono ancora domande senza risposta. Finchè ho guidato la Procura nazionale ho cercato in continuazione e con tutti i mezzi a disposizione, la verità, le informazioni per dare nuovi impulsi alle indagini e trovare i necessari riscontri. A volte ci sono intuizioni che non si riescono a far diventare verità giudiziaria. Ma è dovere di chi indaga continuare a cercare gli elementi perchè lo diventino, anche se dovessero risultare scomodi. Oltre agli omicidi di Falcone, Borsellino, dei loro agenti di scorta, ci sono ancora troppe vicende dolorose ma irrisolte, con vuoti da colmare. Penso all’omicidio La Torre, Dalla Chiesa, Mattarella, l’agente di polizia Agostino, Insalaco, Reina”.

Nel 1994, due pm come Ilda Boccasini e Roberto Saieva, denunciarono in tutte le sedi che il pentito Scarantino non era attendibile. Eppure tre processi sulla strage di via D’Amelio, sono arrivati a sentenza sulla base di quelle dichiarazioni fasulle. Perchè abbiano dovuto aspettare lei, nel 2008, per scoprire la verità grazie a Spatuzza?
«Posso solo dire che è stato un privilegio per me, sedici anni dopo e tra lo scetticismo di molti, raccogliere le prime dichiarazioni di Spatuzza, che hanno riscritto completamente dinamiche, responsabilità e moventi, e che poi hanno trovato conferme e riscontri dagli approfondimenti delle procure”.

Oggi uno degli strumenti del controllo mafioso è la corruzione. Trent’anni fa lo Stato era con voi giudici e pm nella lotta alla mafia. Oggi lo è altrettanto nel combattere la corruzione?
“In questi anni governo e parlamento hanno fatto passi avanti. Il problema resta quello di far emergere la corruzione. Servono strumenti e strategie particolari. Ad esempio dare protezione e incentivi a chi denuncia dentro la pubblica amministrazione potrebbe essere un passo avanti ulteriore”.

Il ricordo per guidare la costruzione di un mondo più giusto

Cari ragazzi, Autorità, cari colleghi e gentili ospiti,

ci ritroviamo in quest’Aula, come due anni fa, a celebrare il “Giorno del Ricordo”, istituito dal Parlamento italiano – a quasi cinquant’anni di distanza – nella ricorrenza dalla firma del Trattato di pace tra l’Italia e le Potenze Alleate del 10 febbraio 1947. Con questo provvedimento si è rotto quel velo di silenzio che aveva sino ad allora avvolto la tragedia degli infoibati e dell’esodo italiano dalle terre cedute alla Jugoslavia. Due anni fa ho sentito il dovere di non limitarmi ad una commemorazione rituale, per quanto sentita, ma di recarmi anche a Trieste, sia per rendere omaggio al monumento dedicato al tremendo e silenzioso dramma che vissero tanti nostri connazionali istriani, fiumani, dalmati e del Quarnaro, che per intervenire alla seduta solenne del Consiglio comunale commemorativa di una tra le più tragiche pagine della storia d’Italia. Andare sui luoghi dove ebbero luogo quelle tragedie, parlare direttamente con i sopravvissuti e con i familiari delle vittime, è il modo migliore per dare sostanza, carne e sangue, al dolore di tante famiglie, così vividamente reso dalle parole di Toni Capuozzo.

Rivolgo un saluto particolarmente caloroso ai rappresentanti delle famiglie delle vittime e dei profughi giuliani, istriani, fiumani e dalmati e delle loro rispettive associazioni. E mi complimento vivamente con i ragazzi che hanno partecipato con impegno al concorso bandito dal Ministero dell’Istruzione e dalle Associazioni, e che tra poco premieremo. Abbiamo appena avuto il piacere di ascoltare il “Va’ pensiero” dal coro del Liceo scientifico e musicale “Marconi” di Pesaro, mentre le voci dei ragazzi della Direzione didattica “Novelli” di Monreale chiuderanno questa cerimonia. Se la prima scelta è naturalmente caduta sul brano di Verdi, da tutti riconosciuto espressione universale del dolore di un popolo costretto all’esilio, la presenza di un gruppo di ragazzi della Sicilia costituisce anche la speranza che la memoria di quanto avvenuto nel confine orientale del nostro Paese sia oggi, grazie anche a celebrazioni come questa, patrimonio comune di tutto il popolo italiano e non più tragedia privata di quanti soffrirono l’esilio o trovarono la morte. Questo perché, come ha ben sottolineato il presidente Ballarin, “la Memoria del popolo giuliano-dalmata è viva, feconda, generativa” e “mette in moto azioni di pace e di impensabile ricostruzione”.

Care ragazze e cari ragazzi, guidati dai vostri sensibili e appassionati docenti, avete potuto conoscere una realtà storica a voi lontana ma che certamente vi consentirà di comprendere meglio e apprezzare ancora di più i valori di pace e accoglienza, in modo da costruire un futuro ideale in cui siano bandite violenza, ingiustizia e discriminazione. In questo percorso è fondamentale l’apporto del mondo della Scuola e dell’Università, come ha sottolineato con forza il Ministro Giannini, “una comunità che lavora ogni giorno per tenere aperto il canale fra il passato e le domande delle nuove generazioni sul presente e sul futuro”.

Contro ogni reticenza ideologica, ogni rimozione interessata o anche solo diplomatica, superando le strumentalizzazioni che in passato hanno reso ancora più difficile parlare di questo pezzo importante di Storia, negli ultimi anni si è operato per una riconciliazione con le popolazioni di Slovenia e Croazia, alle quali non si può certo ascrivere alcuna responsabilità per un passato che non hanno vissuto, e con la cui eredità storica, una volta divenuti stati indipendenti, hanno rotto optando per una democrazia di ispirazione europea.

Per giungere a saldare questa frattura storica è stato necessario, prima di tutto, un impegno di verità e lo sforzo, da entrambe le parti, di mantenere una visione complessiva e imparziale di un’epoca storica caratterizzata da opposti totalitarismi; per gli stati ex-jugoslavi è stato necessario riconoscere il calvario patito dagli italiani e le brutalità delle più spietate fazioni titine nei loro confronti;  per quanto riguarda noi, elaborare una severa riflessione sulle colpe del fascismo, sui crimini e sulle sofferenze inflitte alla minoranza slovena e croata negli anni bui della dittatura. Grazie a questo riavvicinamento, adesso possiamo finalmente guardare in avanti riconoscendoci compagni di viaggio nel comune destino europeo.

Nessuna riconciliazione può far dimenticare il dolore subito, ma può consentire alle popolazioni e ai Paesi di superare le ferite reciprocamente inferte in un periodo in cui i nazionalismi e le ideologie hanno prevalso sugli elementi che caratterizzano la nostra identità comune. Siamo oggi consapevoli che i fattori di coesione del nostro continente sono infinitamente più forti di quelli che in passato lo divisero. Per questi motivi abbiamo salutato positivamente l’entrata della Slovenia e della Croazia nell’Unione europea nel 2004 e nel 2013. Trovo, a tal proposito, particolarmente pertinente e significativo un passaggio della dichiarazione congiunta sottoscritta dai Capi di Stato d’Italia e Croazia a Pola il 4 settembre del 2011: “In ciascuno dei nostri Paesi coltiviamo, come è giusto, la memoria delle sofferenze vissute e delle vittime e siamo vicini al dolore dei sopravvissuti a quelle sanguinose vicende del passato. Nel perdonarci reciprocamente il male commesso, volgiamo il nostro sguardo all’avvenire che, con il decisivo apporto delle generazioni più giovani, vogliamo e possiamo edificare in un’Europa sempre più rappresentativa delle sue molteplici tradizioni e sempre più saldamente integrata dinanzi alle nuove sfide della globalizzazione.” Ebbene, se mai qualcuno si chiedesse se abbia ancora un senso coltivare il ricordo di fatti accaduti più di cinquant’anni or sono, non occorre andare indietro di molto per rammentare le pulizie etniche e gli eccidi avvenuti proprio nei paesi che costituivano la ex-Jugoslavia. E allora ci appare chiaro come sia fondamentale continuare a tenere presente che l’esaltazione acritica della propria identità etnica o storica può accendere incendi difficili da estinguere, conflitti che lasciano strascichi di risentimento, disprezzo e odio per intere generazioni. Facciamo, quindi, tesoro di questa memoria, affinché si proietti nel futuro: il Ricordo, che qui celebriamo, di tutte le esperienze negative del passato ci deve guidare ogni giorno nella costruzione di un mondo più giusto. Grazie.

Ambiente, presentazione rapporto di ricerca “La montagna perduta”

Cari amici, gentili ospiti,

è per me un grande piacere ospitare in Senato la presentazione del Rapporto di ricerca:”La montagna perduta. Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano”, occasione che ci permette oggi di riflettere insieme su una materia di straordinaria attualità non solo per l’Italia. Ringrazio gli autori del rapporto e i relatori che a breve ci illustreranno i risultati di questa pubblicazione, frutto di una analisi puntuale e precisa che denota non solo una conoscenza approfondita della materia ma una nuova ed attuale consapevolezza che vuole restituire alla montagna un ruolo necessariamente primario e non più residuale.

Una nuova visone motivata non solo da ragioni ambientali ma anche da quell’insieme di valori che la montagna rappresenta, di affetti, di ricordi, di paesaggi, di storie. In una parola, si vuole e si deve preservare “l’anima” della montagna che il rapporto descrive in ogni suo aspetto. La montagna svolge un ruolo fondamentale per la salute ecologica del mondo e il benessere delle persone, ma è stata a lungo abbandonata. L’avere trascurato questo habitat ha avuto ripercussioni non solo sulle comunità che vi abitano, ma sta avendo ricadute negative su molti aspetti del pianeta. Il territorio è estremamente fragile anche a causa degli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Lo dimostrano i fenomeni sempre più frequenti di inondazioni, frane e valanghe. Le montagne si spopolano sempre di più in quanto molti sono costretti a migrare verso le città perché le opportunità diventano sempre più scarse e le risorse sono poco valorizzate. Le dimensioni demografiche dei comuni sono sempre più ridotte, l’età media della popolazione è cresciuta e alcune zone sono ormai da tempo abbandonate stante anche la mancanza di infrastrutture adeguate per le comunicazioni materiali, di carattere ferroviario e stradale. Ne sono un esempio, come si legge nel rapporto, le tante borgate completamente morte, che spesso si incontrano percorrendo le strade dei territori montani. Quale e quanta la ricchezza perduta!

Oggi bisogna attivarsi e recuperare questo immenso patrimonio e sensibilizzare sia le istituzioni sia la società civile ad un maggiore impegno per lo sviluppo sostenibile, in particolare nei confronti dei giovani in quanto saranno loro i futuri attori e fruitori dell’ecosistema mondiale. E’ sbagliato pensare alla montagna come ad un territorio a vocazione esclusivamente agricola o turistica perché anche nelle zone montane ci sono distretti produttivi e industriali molto importanti per l’economia del Paese. Ci sono risorse e opportunità da riconoscere e valorizzare nell’interesse dell’intero Paese e tra queste la montagna è certamente custode di risorse naturali, ambientali, paesaggistiche e culturali irripetibili. Queste risorse rappresentano senza dubbio un investimento per accrescere la competitività del Paese. Si può ridurre l’impatto dei disastri ambientali approntando strategie di adattamento che riducano gli effetti negativi dei fenomeni naturali gestendo il territorio in modo più responsabile. Bisogna lavorare accanto alle comunità locali, dare loro maggiori strumenti, migliorare le loro condizioni di vita. Occorre fornire alle popolazioni montane il sostegno e i mezzi finanziari. La montagna è un nodo strategico dell’economia verde e una risorsa su cui puntare per lo sviluppo del sistema paese. In una società che vede avanzare sempre di più una crisi idrica ed energetica, la tutela dell’ecosistema montano deve essere rispettata con adeguate politiche pubbliche che siano in grado di superare quelle condizioni di svantaggio che limitano quelle enormi e ancora non completamente sfruttate potenzialità.

Grazie e buon lavoro.

Beni confiscati alle mafie: incontro con sindacati e associazioni

Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha ricevuto questa mattina a Palazzo Madama  una delegazione in rappresentanza delle Associazioni Cgil, Acli, Avviso Pubblico, Lega Coop, SOS Impresa, Libera e Centro Studi Pio La Torre. I  rappresentanti  delle  Associazioni  avevano  chiesto  il  colloquio per sottolineare  la  necessità  di  una rapida calendarizzazione dei lavori in Commissione  e  in  Aula del ddl. n. 2134, che contiene norme in materia di beni confiscati alle mafie, tutela dei lavoratori, nomine e incompatibilità degli amministratori giudiziari. Il  Presidente  Grasso  ha  preso atto delle osservazioni e ha garantito il proprio  impegno  a  riferire  le richieste pervenute dalle Associazioni al Presidente  della  Commissione  Giustizia del Senato affinché si discuta al più  presto  il  disegno  di  legge, approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 11 novembre.