Incontro con i genitori di Giulio Regeni

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Il  Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi, nel suo ufficio a  Palazzo  Madama,  i genitori di Giulio Regeni, accompagnati dal senatore Luigi  Manconi,  Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Il  Presidente  Grasso  ha  espresso  a  Paola  e Claudio Regeni la propria vicinanza,   assicurando  la  massima  attenzione  di  tutte le Istituzioni italiane competenti affinché venga fatta al più presto piena luce sui fatti drammatici che hanno portato alla morte del ricercatore italiano.

 

Arresti di Palermo: segnale importante per chi è impegnato in affermazione legalità

L’operazione  di  oggi  nel palermitano, ad opera dei Carabinieri del Ros e del  Gruppo di Monreale, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, può  rappresentare un segnale di autentico cambiamento per tutti coloro che non  soggiacciono  al  ricatto  della  mafia e sono impegnati in prima fila nell’affermazione della legalità. 

Le associazioni come Addiopizzo e gli operatori economici che rispettano le regole e si ribellano alla criminalità devono avvertire la presenza forte e costante  al  loro  fianco delle Istituzioni.

La scelta della denuncia è la scelta  giusta, per questo invito gli operatori economici a farsi avanti ed aiutare le attività investigative. Desidero  infine  inviare  un ringraziamento alla magistratura e alle forze dell’ordine  che  hanno  condotto  l’operazione  odierna, consapevole delle difficoltà e dei rischi che accompagnano il loro lavoro quotidiano.

 

 

In memoria di Marco Biagi

Autorità, gentili ospiti,

con emozione il Senato torna ad ospitare un Convegno dedicato al professor Marco Biagi in occasione del prossimo anniversario della sua morte. Come l’anno scorso, desidero innanzitutto ringraziare l’Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazioni Industriali, fondata nel 2000 da Biagi, l’Associazione Amici di Marco e il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promotori di questa iniziativa, e tutti i relatori presenti. E’ di estrema attualità il tema del lavoro come questione cruciale della fase che il Paese sta attraversando. La crisi economica influenza la crisi di un diritto: il diritto al lavoro. Lavoro inteso come realizzazione, crescita, emancipazione, sicurezza ma anche dignità per la persona e per la sua libertà nel senso più ampio, dato che senza una concreta libertà economica non ci potrà essere una vera libertà politica.

Il lavoro quindi è costitutivo di democrazia sostanziale e di eguaglianza, ma anche di integrazione sociale di sempre più larghe fasce sociali. La attuale carenza di lavoro soprattutto giovanile al contrario innesca drammaticamente un meccanismo inverso, quello della esclusione sociale, con fasce di generazione che, rimanendo fuori dal sistema produttivo privato o pubblico, finiscono ai margini della società. Marco Biagi fu vittima di una ripresa del terrorismo negli anni a cavallo tra il secolo soccorso e l’attuale, nel corso della quale, prima di lui, era caduto un altro giuslavorista: il professor Massimo D’Antona. Marco Biagi fu ucciso a colpi di pistola la serata del 19 marzo 2002, a Bologna, mentre si accingeva a rientrare a casa dopo avere svolto la sua attività didattica presso l’Università di Modena. I suoi assassini appartenevano all’organizzazione eversiva recante la sigla BR – Partito comunista combattente, che rivendicò il delitto. I responsabili furono identificati, arrestati e condannati. Il gruppo armato fu debellato a partire dal 2003, anno in cui il 2 marzo, a bordo di un treno, si verificò l’ultimo episodio funesto di quella stagione: una sparatoria tra il personale della Polizia Ferroviaria e i terroristi, durante la quale persero la vita il sovrintendente di PS Emanuele Petri ed il brigatista Mario Galesi, mentre rimase ferito un agente della Polfer, Bruno Fortunato. Nella circostanza fu arrestata una terrorista che viaggiava con Galesi, Nadia Desdemona Lioce, e dal materiale informatico in possesso della donna trassero rilevantissimo impulso le indagini sull’omicidio Biagi. La tragica morte di un professore impegnato a migliorare il proprio Paese resta un esempio e un monito da trasmettere anche alle generazioni più giovani.

Il nome del professor Biagi è legato alla riforma oggi all’attenzione di questo vostro Convegno, riforma che nasceva dalla considerazione che lo sviluppo dell’economia richiedesse una nuova definizione, anche a livello giuridico, delle varie forme di lavoro e intese procedere, da un lato, alla rimodulazione delle varie tipologie contrattuali di lavoro ed all’introduzione di nuove, come il “lavoro a chiamata” e il “lavoro accessorio” e, dall’altro, alla definizione di una disciplina dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, al fine di garantire le tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei lavoratori. Prendeva così concretezza un sistema cosiddetto di cerchi concentrici, conforme alle tendenze già in atto negli altri Paesi europei. Possiamo dire che la recente revisione della disciplina dei contratti di lavoro, operata con il decreto legislativo n. 81 del 2015, si muove nell’ambito del solco tracciato dalla riforma Biagi. Infatti, il decreto conferma le tipologie di contratti istituite da quest’ultima, pur prevedendo varie modifiche alle relative discipline, ed opera una restrizione dell’ambito possibile dei rapporti di collaborazione – con conseguente ampliamento della sfera dei rapporti di lavoro dipendente – sviluppando in tal senso, a distanza di quasi quindici anni, il criterio di conciliazione tra flessibilità e tutela del lavoro a cui si ispirava la riforma Biagi. Segno questo della perdurante utilità dell’insegnamento e del pensiero del professor Biagi che continua ad essere – come la sua figura umana di intellettuale impegnato nel progresso civile del Paese – un riferimento essenziale nella nostra vita istituzionale e la sua tragica morte resta un monito e un esempio da trasmettere anche alle generazioni più giovani.

Giubilei chiave di lettura dei tempi

Intervento all’inaugurazione della mostra “Antiquorum habet, I Giubilei nella storia di Roma”

Eminenza Reverendissima, Autorità, Signore e Signori,

con grande soddisfazione il Senato inaugura oggi la mostra sui Giubilei e la città di Roma, con un percorso espositivo che attraversa i tempi e gli spazi cittadini, dal 1300 fino a giorni nostri. Ringrazio in modo del tutto particolare la Biblioteca Apostolica Vaticana che ha concesso il prestito della Bolla di Bonifacio VIII, di indizione del primo Giubileo, nonché incisioni, riproduzioni, medaglie e monete di alto valore rappresentativo. Un ringraziamento rivolgo inoltre al Museo della Zecca dell’Istituto Poligrafico dello Stato, all’Ufficio Filatelico e Numismatico del Vaticano, all’Istituto Luce e alla RAI, per aver messo a disposizione materiali unici e straordinari per l’occasione. Infine, esprimo gratitudine per l’impegno profuso dal personale del Senato, che comprende per questo evento anche i pensionati. L’assistenza continua ai visitatori sarà garantita ogni giorno, anche festivo, dalle ore 10 alle ore 18, fino al 1° maggio.

La parola chiave di questa mostra è: gratuità. Non solo chi vi ha lavorato e vi lavora offre il proprio contributo su base del tutto volontaria, ma anche e soprattutto chiunque desideri visitare l’esposizione potrà accedere a Palazzo Giustiniani senza alcuna prenotazione, senza alcun costo di ingresso. Il Senato intende rivolgersi sia a un pubblico esperto sia ai cittadini italiani e stranieri che raggiungeranno la città di Roma in occasione del Giubileo della Misericordia. Dal 1300 ad oggi ogni Giubileo ha rappresentato un momento di profondo sentimento religioso ma anche di crescita della città di Roma e della sua cultura, attraverso il coinvolgimento delle Istituzioni e della popolazione. Il percorso espositivo consente l’approfondimento accurato dell’arte, dell’urbanistica, degli aneddoti, della storia giubilare, ma anche la possibilità di lasciarsi conquistare dai simboli e dalle tracce disseminate nella città, in occasione degli Anni Santi ordinari e straordinari che si sono succeduti nel tempo. Entrambi questi aspetti sono approfonditi nel percorso: da un lato la dimensione sociale, pubblica e partecipata, con al centro la figura del pellegrino; dall’altro la dimensione religiosa, legata ai luoghi e ai riti del pellegrinaggio. Il Senato intende offrire inoltre a quanti non sono in condizione di raggiungere Palazzo Giustiniani la possibilità di consultare da ogni parte del mondo, sempre in forma del tutto gratuita, l’intero patrimonio di immagini, cimeli, stampe, monete, reperti, attraverso un sito dedicato, liberamente accessibile a chiunque.

La mostra, infine, vuole essere un dono al Vescovo di Roma, Papa Francesco, a un anno esatto dal suo annuncio, nella Basilica di San Pietro, del Giubileo della Misericordia, che coincide con i tre anni dalla sua elezione al soglio pontificio. I rapporti tra Stato e Chiesa in Italia dimostrano anche agli altri Paesi come la collaborazione sia sempre possibile e soprattutto necessaria, specie quando i valori della solidarietà, dell’accoglienza, dell’assistenza diventano l’obiettivo comune di istituzioni e cittadini. I  Giubilei possono essere interpretati pertanto non solo come storia della Chiesa, ma anche come chiave di lettura del nostro tempo e del nostro mondo, attraversati entrambi da una crisi che non è solo di natura finanziaria ed economica, ma anche di natura morale e culturale. La presenza oggi in Senato del Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, testimonia come la missione della Chiesa nel mondo rappresenti sempre più una risorsa per il soccorso e il riscatto delle umanità più fragili, povere, ferite.

A lui rivolgiamo il nostro ringraziamento per l’impegno che la Chiesa offre alle “esistenze periferiche”, al di là di ogni appartenenza religiosa, con una diplomazia che sempre più chiaramente Papa Francesco interpreta e testimonia come “diplomazia di umanità”.

 

In ricordo di Carlo Donat-Cattin a venticinque anni dalla sua scomparsa

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, colleghi, gentili ospiti,

tra qualche giorno, il 17 marzo, ricorreranno i venticinque anni dalla scomparsa di Carlo Donat-Cattin. Sono molto lieto di aprire i lavori di questo convegno a lui dedicato e che il Senato ospiti questa occasione di riflessione sulla vicenda politica e umana di un uomo che ha contributo in maniera straordinaria alla storia e al progresso democratico del nostro Paese.

Permettetemi di ringraziare la Fondazione che custodisce l’eredità ideale di Donat-Cattin e che è da molti anni un punto di riferimento per studiosi e ricercatori del pensiero economico, sociale e politico del secolo scorso e in particolare del movimento cattolico italiano. Il mio ringraziamento non è mera retorica: sono infatti convinto che gli Istituti di ricerca e le Fondazioni come la vostra siano una formidabile fonte di cultura e approfondimento, irrinunciabili luoghi di elaborazione intellettuale.

Il recente trasferimento della Fondazione all’interno del Polo del ‘900 è un segnale di vitalità: legare dodici centri di cultura ad un’unica area comune rafforza le attività di ciascuno e, allo stesso tempo, attrae un maggior numero di cittadini che possono così avere maggiori opportunità di conoscenza. L’apporto di Donat-Cattin alla modernizzazione del nostro Paese è stato profondo, duraturo, originale. Come sindacalista prima e come parlamentare e Ministro poi, è stato uno dei più autorevoli interpreti del cattolicesimo democratico italiano e ha dedicato gran parte del suo impegno al tema del lavoro come elemento fondante della dignità dell’uomo e di una comunità nazionale. Egli ha fatto della difesa dei lavoratori, dell’ampliamento delle loro tutele e di una maggiore coesione sociale, un obiettivo tanto intellettuale quanto politico che mantenne costante nel corso di un lungo e prolifico impegno, otto legislature, nel Parlamento Italiano.

Alla costruzione di questa Italia ha lavorato con una forza inesauribile, nella ferma convinzione che sarebbe stato possibile costruire un’Italia più avanzata e più giusta. Da Ministro del Lavoro, concludendo il proprio intervento nell’Aula di Montecitorio che avrebbe di lì a poco approvato lo Statuto dei lavoratori disse che, con quel provvedimento, si avrebbe avuta, cito, “una affermazione dura e precisa dei diritti dei lavoratori che, come cittadini, partecipano alla costruzione di una repubblica fondata sul lavoro e vogliono che sia riconosciuta la possibilità di organizzazione e di manifestazione dei loro interessi, che essi sanno, autonomamente, inquadrare nel contesto degli interessi nazionali”. La sua vita, votata sempre all’interesse generale e mai a quello particolare, è stata quella di un grande protagonista della Prima Repubblica: ripercorrerla ci aiuta a comprendere meglio il nostro passato. Ci serve, più di tutto, ad arricchire la nostra visione del presente e il nostro atteggiamento verso il futuro, un futuro che la politica e le Istituzioni devono disegnare e realizzare con l’aiuto di tutte le componenti della società civile.

La sensibilità e l’intelligenza con la quale Donat-Cattin ha attraversato alcuni dei passaggi più critici della nostra storia sono ancora in grado di generare frutti preziosi che abbiamo il dovere di custodire e valorizzare. In un bel ritratto uscito ieri sul Corriere della Sera, Paolo Franchi lo definisce un combattente duro, grintoso, anticonformista, “che nacque e restò, nell’animo suo fino alla fine, sindacalista”. Lascio allora la parola al Professor Malgeri, ai presidenti Marini, Casini e Sacconi e al caro Macaluso, voci che ci aiuteranno a comprendere meglio la complessità di una figura che ha vissuto intensamente, e a tratti dolorosamente, un lungo cammino di impegno civile e politico. Grazie a tutti e buon lavoro.

La diplomazia della misericordia

Discorso alla presentazione del Volume di Limes “La terza guerra mondiale?”

Cari amici, Autorità, Signore e Signori,

Sono molto lieto di ritrovarmi a Palazzo Maffei Marescotti un anno dopo il dibattito su etica e economia globale con Sua Eminenza il Cardinale Parolin, un pomeriggio del quale conservo davvero un bel ricordo. Ho molto piacere di incontrare di nuovo e di potere ascoltare Padre Spadaro, e ringrazio Monsignor Andreatta, il Direttore Caracciolo, il Presidente Colomba e il dottor Schiavazzi per questa nuova iniziativa. Nell’epoca che viviamo, spesso dominata da approssimazioni e semplicismi, credo che queste occasioni di dialogo e di riflessione sui grandi temi dell’umanità siano preziose perché aiutano a comprendere i fenomeni incrociando esegesi diverse che arricchiscono le prospettive: esegesi religiose, politiche, istituzionali, scientifiche, ideali.

L’occasione di questo incontro è l’uscita del volume dedicato alla “terza guerra mondiale” (per fortuna, con un punto interrogativo) della Rivista Limes, un luogo autorevole e plurale del pensiero geopolitico contemporaneo. Il volume prende spunto dal profondo pensiero internazionale di Papa Francesco, che osservando gli squilibri globali ha ammonito che la terza guerra mondiale è già iniziata, prima spiegando che “si combatte a pezzetti, a capitoli” poi dichiarandone l’effettività: “è proprio una guerra”. Come Padre Spadaro racconta nel suo avvincente scritto su La Civiltà Cattolica, nella diplomazia di Francesco l’antidoto all’apocalisse, morale e politico, è la prospettiva della misericordia. Prospettiva che Papa Bergoglio, con la sua autorità morale e la sua azione pragmatica, incarna al punto di essere egli stesso il Profeta della misericordia. Con una delle sue vivide immagini, il Santo Padre concepisce la misericordia come un potente oceano che inonda il mondo sovrastando il fiume di miseria, di violenza, odio e sopraffazione, dal quale la Terra è attraversata. La presenza misericordiosa di Dio ha per il Papa il potere di condurre dalla miseria alla “pienezza del tempo”, di riqualificare i processi storici. Una rappresentazione che ha valore morale e religioso ma anche profondamente politico e geopolitico quando si traduce in termini di impegno per il bene comune nel mondo, di solidarietà. Così il Santo Padre esorta a pensare un assetto delle relazioni internazionali costruito non sugli interessi ma su principi e valori umani. Francesco però non si ferma ai moniti, costruisce ponti con le sue stesse mani, aprendo le braccia a nazioni e persone spesso demonizzate dal mondo occidentale, raccontati secondo narrative di comodo, a senso unico: Cuba, Iran, Cina, Russia e i loro leader, e molti altri. Egli, che proviene da un Paese che ancora fa i conti con la propria storia, esorta a superare il ricordo del passato e immagina un ordine mondiale più equo, così contribuendo nei fatti a realizzarlo. Mentre da una parte edifica, il Santo Padre dall’altra parte sgretola la vuota retorica dello scontro di civiltà, demolendo tanto le narrative terroriste del sedicente “Califfo”, quanto le fobie occidentali che strumentalizzano l’allarme per respingere migranti e rifugiati.

Spostiamoci brevemente sul linguaggio geopolitico. Non posso addentrarmi troppo sui singoli temi e le diverse linee di faglia del Pianeta che il volume individua come possibile innesco di un conflitto mondiale: Siria e Iraq, Ucraina, Mari Cinesi. Vorrei proporre quindi solo alcune considerazioni sui temi che mi stanno più a cuore.

La prima osservazione è che la parola che descrive in modo più accurato la nostra epoca è frammentazione. Penso alla dissoluzione di diversi Stati: Siria, Libia, Iraq, per citare solo alcuni scenari. Penso alla disgregazione di equilibri geopolitici, che si esprime in conflitti apparentemente interni, nei quali si regolano però complesse competizioni fra attori regionali e potenze extra-regionali. Penso alla crisi della diplomazia, del multilateralismo e delle alleanze internazionali e sovranazionali. In particolare mi preoccupano i gravi rischi che l’Unione europea corre quando non solo si presenta fortemente disunita e polarizzata sui due principali versanti della politica estera comune (Ucraina e Mediterraneo), ma quando certifica la propria debolezza agendo sulla gestione dei rifugiati in modo egoista, divisivo e disumano.

La seconda considerazione è che la deriva anomica e anarchica che ha eroso gli ordini mondiali del passato, che Limes segnala come antefatto del caos, è dovuta principalmente a una crisi politica, all’assenza o alla debolezza di luoghi politici, di istituzioni attrezzate a svolgere il ruolo di garantire i diritti di tutte le persone e, su questa base di legittimità rappresentativa sostanziale, comporre ordinatamente gli interessi nazionali a livello regionale e globale. I conflitti in corso, e questo vale in certa misura tanto per l’Ucraina quanto per la Libia, Siria e Iraq, prima di evolvere in guerre per delega sono stati originati da fallimenti istituzionali. In questo senso, mi riferisco in particolare al teatro mediterraneo e mediorientale, io sono convinto che gli interventi puramente militari, etichettati in genere in termini di “guerra al terrorismo”, si tradurranno in inevitabili fallimenti se non saranno accompagnati da strategie politiche volte a costituire assetti istituzionali idonei a rappresentare ogni componente etnica, confessionale, economica e sociale, ad esempio secondo formule federali. Con riferimento specifico alla situazione della Libia penso anzitutto sia ineludibile continuare a sostenere prioritariamente, come ha sempre fatto il governo italiano, una soluzione politica interna unitaria. Un tale accomodamento deve essere deciso dai libici per permettere una progressiva (e necessariamente lenta) riconquista del controllo del territorio; e a tempo debito dare avvio a un processo di costruzione istituzionale, che tenga in debito conto le complesse dinamiche etniche e di potere nel Paese. Un governo unitario, sebbene non in grado di espletare appieno le sue funzioni, sarebbe un interlocutore importante per la comunità internazionale. In questo percorso gli attori internazionali devono astenere dal privilegiare le parti in causa per propri interessi particolari. Un altro obiettivo è impedire che la Libia occidentale possa divenire un avamposto per destabilizzare la Tunisia, unico Paese della “primavera araba” che, con fatica e a caro prezzo, ha imboccato la via della democrazia. Terzo obiettivo è prevenire l’eventuale controllo di parti del territorio da parte di gruppi terroristici legati allo Stato Islamico, se fossero confermate le iniziali indicazioni in tal senso. Ho piena fiducia nelle capacità e nell’equilibrio del governo e del comparto di sicurezza della Repubblica e sono certo che sapremo definire adeguatamente l’interesse nazionale nei diversi quadranti del Paese e di conseguenza agire con massima cautela e in modo mirato. Sono sicuro inoltre che continueranno a essere garantite tutte le prerogative di conoscenza, deliberazione e controllo da parte del Parlamento, nelle sue diverse articolazioni.

Vorrei dedicare l’ultima osservazione al tema dei rifugiati, una conseguenza degli squilibri geopolitici che incide drammaticamente sulla vita di milioni di persone che sono costrette a lasciare luoghi e persone amati e mettersi in marcia per sfuggire a conflitti e persecuzioni. Mi è capitato spesso di dire, ma continuerò a farlo finché ce ne sarà bisogno, che accogliere i profughi non è un’elemosina, un gesto di buon cuore: è un dovere giuridico e internazionale cogente di risposta a un fenomeno che non può considerarsi un’emergenza, e che va praticato con l’integrazione nei Paesi d’accoglienza e con politiche solidali nei Paesi di provenienza che ne rispettino sempre cultura e tradizioni. In questi ultimi mesi, in particolare dopo i fatti drammatici di Parigi, qualcuno sfrutta suggestivamente le comprensibili inquietudini dei cittadini per associare le migrazioni al terrorismo e la diversità al fondamentalismo, alimentando così fenomeni di odio religioso, etnico e culturale. Noi rigettiamo con forza queste assimilazioni, che sono infondate in fatto e politicamente irresponsabili. Il nostro dovere è proteggere la vita e la sicurezza dei cittadini con gli strumenti dello Stato di diritto, con le indagini, l’intelligence, la diplomazia, garantendo le libertà e i diritti di tutte le persone, nella cornice della legalità internazionale.

Permettetemi di concludere con una nota personale. Da ragazzo alla domanda su cosa volessi “fare da grande”, rispondevo senza esitazione: il giudice! Osservando violenze, sopraffazioni, ingiustizie avevo sviluppato il desiderio fermissimo di agire in prima persona per affermare nella vita di ogni giorno ideali che avevo imparato ad amare dai libri che leggevo avidamente, per ore e ore: libertà, giustizia, verità, diritto, dignità. Da giudice, pensavo, avrei potuto dare il mio contributo personale. Allora, come ora, credevo che unica alternativa alla rassegnazione, all’indifferenza, fosse l’azione. Ebbene, sono convinto che abbia ragione Caracciolo quando scrive in chiusura del suo editoriale del volume di Limes che la terza guerra mondiale non ci sarà se non la vorremo. Questo è un dovere che grava su tutti. Grava su chi ha assunto il compito gravoso del pastore: curare le anime, educarle a nutrire un sentimento di compassione per l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla, alla riconciliazione tra i contendenti, alla pace. Grava su chi ha scelto l’impegno della politica: curare il bene comune e la realizzazione dei diritti delle persone nella loro vita quotidiana; proteggere i deboli, gli ultimi, i diversi; costruire nelle relazioni internazionali ponti e non muri. Grava su ciascuno di noi, che, senza dar mai nulla per impossibile, deve sentirsi investito di questa missione: far appello al coraggio e all’intelligenza per contribuire a prevenire e a risolvere gli inevitabili conflitti della vita e le numerose crisi geopolitiche ed economiche di oggi. In questo impegno collettivo possono convergere virtuosamente categorie, modelli di relazione e linguaggi eterogenei: religiosi e politici, morali ed etici, purché siano accomunati da un unico filo conduttore, che il Santo Padre definisce misericordia o solidarietà. Parole che da uomo delle istituzioni vorrei tradurre con un’espressione che ho posto alla base della mia vita: impegno e responsabilità per il bene comune. Grazie.

Incontro con una delegazione della Scuola del Partito Comunista Cinese

Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha  ricevuto  oggi a Palazzo Giustiniani  una  delegazione  della  Scuola  del Partito Comunista Cinese, guidata dal Vice Presidente He Yiting, accompagnata dall’Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia, Ruiyu Li. 

I  rapporti  Italia-Cina,  anche a livello di  relazioni interparlamentari, sono  stati  al  centro  del  cordiale  colloquio.  Gli  ospiti  hanno  poi illustrato  al  Presidente  Grasso  gli  obiettivi economici per il periodo 2016-2020,  mettendo  l’accento  sulle  iniziative per aumentare il reddito delle fasce più povere della popolazione e sulla lotta alla corruzione. Il  7  dicembre  dello  scorso  anno, il Presidente Grasso aveva tenuto una lezione  alla  Scuola  Centrale del Partito Comunista, a Pechino, nel corso del  suo  viaggio  in  Cina,  sul  tema  “Etica della politica e lotta alla corruzione”.

 

 

Migrazioni e Sicurezza: un equilibrio difficile

Autorità, Gentili ospiti, Signore e Signori,

Per prima cosa vorrei esprimere la forte preoccupazione con cui seguiamo in queste ore le notizie di stampa relative al possibile coinvolgimento di cittadini italiani in eventi drammatici in Libia. In attesa di conoscere altri elementi ci stringiamo con affetto alle famiglie e a tutte le persone che vivono momenti di ansia e sofferenza. Ho accolto con piacere la proposta del collega Paolo Romani, Presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, di ospitare a Palazzo Giustiniani questo importante incontro nell’ambito dei Security Days dell’OSCE. Saluto il Segretario Generale dell’OSCE, Lamberto Zannier e il neo Segretario Generale dell’Assemblea parlamentare Roberto Montella, complimentandomi per la sua elezione e augurandogli buon lavoro. Il tema di questo pomeriggio, quello dei nessi fra flussi di rifugiati, migrazioni e sicurezza è da mesi al centro del dibattito politico in Italia e in Europa ed è stato oggetto dei recentissimi dibattiti della Sessione invernale dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE, nella quale la delegazione italiana è particolarmente attiva. L’Organizzazione è in prima linea su questi fenomeni soprattutto dopo le decisioni del Consiglio ministeriale di Lubiana del 2005 e di Atene del 2009 che sottolineano come l’efficacia delle politiche migratorie siano condizione per la stabilità e lo sviluppo economico nell’area OSCE. In questa direzione va anche il rapporto straordinario sulla crisi dei flussi migratori presentato pochi giorni fa a Vienna dall’onorevole Isabel Santos. La questione delle migrazioni, particolarmente di quelle di profughi in fuga da conflitti e persecuzioni è molto complessa e può essere compresa e affrontata solo considerando congiuntamente una serie di aspetti interrelati: geopolitici, sociali, economici, etici, giuridici, politici. Vorrei quindi proporre alcune brevi osservazioni su tre di questi profili.

La prima considerazione è che le migrazioni sono un fenomeno epocale, che è sbagliato e controproducente affrontare con interventi di breve termine, come se si trattasse di un’emergenza destinata a cessare in tempi certi e rapidi. Le migrazioni economiche sono il risultato di un processo naturale connaturato all’umanità: le persone da sempre si spostano verso le aree più agiate ed ospitali del Pianeta, alla ricerca di una vita migliore. Un fenomeno che noi dobbiamo regolare ma che non possiamo impedire e che deve essere valutato al tempo stesso con umanità e con pragmatismo, anche sulla consapevolezza che il nostro continente sta invecchiando rapidamente e può trarre grande vantaggio da un’emigrazione virtuosa e ben regolata. Già adesso le comunità immigrate contribuiscono sostanzialmente al benessere delle nostre società. I flussi di rifugiati sono invece determinati dalle gravissime crisi che incendiano il Medio Oriente, che purtroppo non siamo in grado di risolvere rapidamente. Si tratta di persone che vorrebbero vivere nei propri paesi ma che sono spinte via da persecuzioni e violenze. In questi conflitti si intersecano delicatissime questioni di equilibri geopolitici, conflitti etnici e confessionali, pesanti eredità del passato coloniale, fallimenti politici ed istituzionali, dinamiche criminali ed errori della comunità internazionale. Per ridurre i flussi occorre garantire alle persone che fuggono condizioni di vita sicure e dignitose nei propri paesi. A questo fine servirà una strategia geopolitica complessa, con il concorso delle potenze regionali e internazionali, cercando di contemperarne le agende e gli interessi, spesso confliggenti. I conflitti in Iraq, Siria e Libia, solo per segnalarne alcuni richiedono accordi politici per riprendere il controllo dei territori, contrastare anche militarmente il potere terrorista, difendere la vita e i diritti delle persone e soprattutto predisporre accortamente assetti politici ed istituzionali idonei a garantire in modo stabile a tutte le componenti etniche, religiose e confessionali il giusto spazio.

La grande debolezza dell’Unione Europea è stata l’assenza di strategia. Negli scorsi anni ha sottovalutato le trasformazioni in atto alla frontiera meridionale dell’Unione e ha omesso di agire in modo unitario per influire positivamente sul corso degli eventi, come avrebbe ben potuto fare. Più di recente non ha compreso la necessità di agire con interventi strutturali e di lungo termine sulla questione dei rifugiati. Pochi giorni fa ho incontrato il Presidente della Commissione Juncker e mi pare che la strada che il Parlamento e il governo italiano da tempo indicano a gran voce sia finalmente quella su cui lavora la Commissione: ottemperare agli obblighi morali e giuridici di accogliere tutti i profughi, condividere il controllo delle frontiere, rivedere in profondità sia il sistema di accoglienza sia le regole di Dublino, con solidarietà e con coesione. L’auspicio è che tutti si rendano conto che su questo tema l’Europa rischia di infrangere la propria storia e ipotecare il proprio futuro.

In secondo luogo io ritengo che sia pericolosa e da rigettare con la massima fermezza quella saldatura mentale fra migrazione e terrorismo, fra diversità e radicalismo, quei meccanismi di sospetto e di rancore nei confronti dell’Islam, degli stranieri, dei profughi che i cittadini smarriti comprensibilmente provano e che alcune forze politiche irresponsabilmente alimentano. Non è un caso che in Europa stiano crescendo i “crimini di odio”, le intolleranze e le violenze motivate da odio religioso, etnico e culturale. Come sappiamo la genesi degli attentati a Parigi è largamente interna all’Europa, dunque è una mistificazione ridurre la questione della sicurezza degli Stati e della lotta al terrorismo al controllo dei flussi di rifugiati e migranti. Certo, il controllo delle frontiere sarà essenziale ma insieme agli interventi di intelligence e di sicurezza, alle azioni diplomatiche e garantendo i diritti di tutti: cittadini, migranti e rifugiati. L’ultimo profilo che vorrei sollevare attiene al modo con cui nel nostro Paese dobbiamo affrontare il fenomeno migratorio e le sue conseguenze sociali. Io credo che se sapremo adottare politiche lungimiranti di attribuzione di diritti e cittadinanza a chi partecipa con lealtà e con il proprio impegno alla nostra democrazia potremo evitare i fenomeni di emarginazione e marginalizzazione delle comunità immigrate nelle quali si annidano le radici dei fatti drammatici di Parigi, ma prima ancora di Londra e di Madrid. L’Italia ha in questo la speciale responsabilità di essere da sempre un ponte, fisico e ideale fra due mondi che si guardano attraverso il Mediterraneo e che da millenni dialogano e si contaminano positivamente a vicenda. Sono profondamente convinto che su questa base noi, che abbiamo l’altissima responsabilità di rappresentare i cittadini nelle assemblee elettive, sapremo affrontare il dovere di proteggere la vita e la serenità dei cittadini, ma difendendo sempre i valori di civiltà nei quali consiste la nostra identità più profonda, quello che noi siamo. Grazie.

 

Nomine Autorità Ganate Infanzia e Concorrenza

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, e la Presidente della Camera, Laura Boldrini, si sono incontrati oggi a Palazzo Madama per decidere le nomine di propria competenza per l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La dott.ssa Filomena Albano è stata nominata titolare dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, organo monocratico istituito dalla Legge n.112 del 12 luglio 2011 che dura in carica 4 anni. Il prof. Michele Ainis è stato nominato componente dell’Autorità Antitrust. Il Presidente e i componenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sono nominati – in base alla Legge n. 287 del 10 ottobre 1990 – dai Presidenti di Camera e Senato e durano in carica 7 anni.

 

Incontro con il Presidente della Consulta Paolo Grossi

Il  Presidente  del  Senato,  Pietro  Grasso,  ha  ricevuto  oggi  il nuovo Presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi. Nel corso del cordiale colloquio,  il  Presidente  del  Senato  ha  espresso al prof. Grossi i più sentiti  auguri  di  buon  lavoro,  anche  a nome dell’Assemblea di Palazzo Madama.