Più corridoi umanitari, l’UE si scuota

Intervista rilasciata ad Avvenire

«Invito i politici italiani ed europei che vogliono alzare i muri a venire qui a comprendere parlando con i lampedusani, il prefetto, le forze di polizia, i medici, i militari, i soccorritori, i volontari. Li sfido a guardare negli occhi donne, uomini e bambini tremanti che hanno subito violenze indicibili e visto i propri cari morire: li sfido a chiamarli invasori…».

Dal molo dell’isola di Lampedusa, avamposto d’Europa per centinaia di migliaia di migranti, il presidente del Senato Pietro Grasso traccia la linea di demarcazione fra l’Unione attuale, in preda a una crisi identitaria e di valori, e la speranza di ciò che potrebbe essere:

«O siamo capaci di essere europei sin dal primo attimo in cui una persona in difficoltà bussa alla nostra porta, o siamo destinati ad un rapido declino, geopolitico e morale…», ammonisce Grasso. Prima del colloquio con Avvenire, ha visitato l’hotspot dell’isola e ha voluto accogliere di persona 125 migranti, ancora frastornati e indeboliti dalla traversata: «Più corridoi umanitari, meno barconi e meno traffici di esseri umani», più «ricollocazione dei profughi» negli Stati Ue, meno muri di egoismo, è il suo accorato appello all’Europa e alla comunità internazionale.

Presidente, la generosità degli abitanti di Lampedusa stride con la realtà di un’Europa lenta, in cui diversi Stati alzano barriere di fronte alla migliaia di esseri umani in difficoltà…

A Lampedusa, mi sono sentito orgoglioso di quest’Italia che soccorre e accoglie chi ha bisogno, un esempio di forza delle istituzioni e di umanità delle persone. Visitando la Porta dell’Europa e poi assistendo allo sbarco di 125 migranti ho capito che l’Europa o inizia a Lampedusa, o finisce. Qui ci sono persone che colpiscono per la loro capacità di aiutare il prossimo. Penso fra gli altri al sindaco Giusi Nicolini, che con intelligenza, passione ed energia si dedica ai suoi cittadini, ai migranti e ai turisti. E al medico Pietro Bartolo, che dal 1991 ha visitato e curato personalmente oltre trecentomila migranti. La sua umiltà, la sua competenza e la sua umanità mi hanno commosso.

L’anno scorso è approdato un milione di migranti in Europa. Un numero cospicuo, ma certo non capace di mettere in difficoltà una Ue in cui vivono quasi 500 milioni di persone. Perché allora tanti intoppi nel far funzionare la ricollocazione europea dei profughi in arrivo in Italia e Grecia? 

Il primo ostacolo è il ritardo con cui l’Europa ha capito che questo è un fenomeno di lunga durata, non un’emergenza temporanea: per anni, ha guardato alle crisi alle nostre frontiere meridionali come a problemi passeggeri e periferici, mentre serve una strategia lungimirante per il Mediterraneo. Il secondo intoppo è dovuto alle modalità di funzionamento della ricollocazione. Molti Paesi si dicono disposti ad accogliere una certa quota di profughi, ma in concreto pongono mille condizioni e ostacoli e rigettano molte proposte: così è impossibile per i migranti sapere la propria destinazione in anticipo e soddisfare il comprensibile desiderio di riunirsi ai propri familiari già in Europa. Servono, insomma, nuove norme e insieme più solidarietà.

Da più parti si chiede il superamento del regolamento di Dublino in favore di un “asilo comune europeo”. Qual è la sua opinione?

Io lo ripeto da anni: Dublino va modificato. Oggi il Regolamento mette sulle spalle del primo paese di approdo tutto il peso: soccorso, identificazione, valutazione dello status di rifugiato e accoglienza. Tutto si scarica sulla Grecia e sull’Italia. Le parole d’ordine per rivedere il Regolamento di Dublino sono solidarietà e efficienza che significa: equa ripartizione degli oneri fra i Paesi e forte semplificazione delle regole.

Un anno fa, la scioccante fotografia del piccolo Aylan, il bimbo siriano annegato a pochi metri dalla costa turca, commosse il mondo. Ma da allora, altre migliaia di bambini hanno varcato acque e confini, spesso senza adulti ad accompagnarli, per sfuggire a guerre e povertà. Il dramma dei migranti è anche un gigantesco dramma dell’infanzia, che nessuno sembra in grado di risolvere…

Quello choc è durato troppo poco: tutto il mondo ha pianto qualche giorno e poi è passato oltre. Qui a Lampedusa, nel Museo della Fiducia e del Dialogo, ci sono due capolavori che spezzano il cuore: il primo è l’Amorino dormiente di Caravaggio, che ricorda proprio Aylan. L’altro è la raccolta dei disegni fatti da una bambina, la piccola Sharazade, che raccontano le torture subite e le paure provate. Dobbiamo cambiare il modello per i minori non accompagnati, soprattutto per i più piccoli. Nel nostro ordinamento c’è la possibilità di prevedere l’affido familiare, che viene già praticato ma in misura ridottissima. Sono convinto che con una buona informazione in merito, il sostegno delle parrocchie e dei servizi sociali, si possa immaginare un grande piano di accoglienza diffusa per le bambine e i bambini soli. Quale luogo migliore per imparare la lingua e integrarsi che non quello dell’affetto di un ambiente sereno?

La tratta di esseri umani è un mercato criminale lucroso e senza scrupoli. Alcune indagini rivelano perfino episodi di traffico d’organi. Sulla scorta dell’esempio, certo limitato ma assolutamente efficace e positivo, dato in Italia da un’iniziativa ecumenica concordata coi ministeri degli Esteri e dell’Interno, non sarebbe urgente aprire stabilmente “corridoi umanitari”, anzitutto per donne e bambini, per stroncare quel turpe commercio?

Mesi fa la Comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese Evangeliche sono venuti a illustrarmi questo loro progetto, che ha già fatto arrivare in Italia famiglie di profughi attraverso voli dedicati e in totale sicurezza. Credo che questa iniziativa, oltre ad essere elogiata, vada presa ad esempio: più corridoi e meno barconi. Sono tanti i benefici: togliere soldi a criminali senza scrupoli, garantire l’incolumità alle donne e ai bambini, che sono le prime vittime delle traversate, delle violenze, dei naufragi, bilanciare gli arrivi anche sotto il punto di vista del genere: ad affrontare i viaggi sui barconi, sono soprattutto giovani uomini che lasciano le loro famiglie nel paese di provenienza, con la speranza di ricongiungersi in un secondo momento. Se potessero venire direttamente insieme, anche l’impatto sociale e demografico sarebbe diverso.

In Europa ci sono rigurgiti di xenofobia e razzismo. Nel nostro Paese, desta sgomento la brutale vicenda accaduta a Fermo. Quanto pesano i proclami populisti di chi aizza l’opinione pubblica, sventolando la retorica di una pseudo “minaccia” portata dai migranti?

Pesano molto. Chi ha un ruolo pubblico non può parlare continuamente di invasione, pericolo, minaccia, assedio – contrastando tutti i dati reali – e poi non chiedersi quanto pesino quelle parole sullo stato d’animo dei cittadini. Le parole, diceva Carlo Levi, sono pietre, e a forza di usarle in maniera indiscriminata, si rischia di armare una sottocultura razzista e fascista che, seppure limitata, nel nostro Paese esiste. L’Italia non è un paese razzista, non lo sono i suoi principi costituzionali e le sue leggi – che infatti prevedono il razzismo come aggravante – ma è necessario smettere di soffiare sul fuoco della paura. Ci sono luoghi in cui si prendono decisioni importanti, tipo il Parlamento europeo: sarebbe più utile al Paese se alcuni europarlamentari italiani partecipassero di più a quei lavori e facessero meno i “crociati” da tastiera o da talk show.

In un Paese a bassa natalità come l’Italia, l’apporto delle comunità di immigrati è essenziale per la crescita e lo sviluppo. Ma la mancata integrazione può innescare situazioni di scontro come quella avvenuta in Toscana con la comunità cinese. Cosa ne pensa? 

L’Europa sta invecchiando: Papa Francesco al Parlamento Europeo l’ha definita “come una nonna”. I bassi tassi di fertilità insieme all’aumento della vita media stanno condannando il continente al declino, all’incapacità di rinnovarsi, di creare lavoro, di pagare le pensioni, di innovare. Per questo le migrazioni devono essere considerate come un’opportunità per dare nuova forza al continente che invecchia. Già oggi gli immigrati contribuiscono alle casse dello Stato più di quanto non si spenda per l’accoglienza. E’ evidente che sull’integrazione occorra lavorare di più e meglio, a partire dalle scuole dove i docenti fanno un lavoro eccezionale. L’accoglienza diffusa sul territorio, fatta di piccoli numeri e nuclei familiari, ad esempio, funziona molto meglio di quella dei grandi centri di permanenza, che spaventano le comunità locali e non offrono prospettive di integrazione.

Da Iraq e Siria passando per Parigi e Bruxelles fino a Dacca. L’ombra sanguinaria del terrorismo ispirato al Daesh è ormai globale. Da magistrato, lei ha combattuto lo stragismo mafioso. Cosa la inquieta di più in queste nuove forme di terrorismo estremista?

La difficoltà delle indagini sul terrorismo è data dall’assoluta imprevedibilità della minaccia, che viene infatti definita asimmetrica, dal suo carattere internazionale e dalle modalità di adesione dei terroristi all’ideologia violenta. Giovani normali influenzati dalla retorica folle dei terroristi si trasformano in carnefici e decidono di porre fine alla propria vita riducendo a brandelli ragazzi come loro: un tema che chiama in causa la nostra stessa società.

Presidente Grasso, lei avverte il pericolo che l’Ue, logorata da una crisi economica lunga e dalle molte facce, incapace di affrontare il dramma dei migranti e indebolita dalla Brexit possa disgregarsi?

Certo, il pericolo esiste ma noi lo dobbiamo scongiurare. Jean Monnet nel 1976 ha scritto che “L’Europa si farà nelle crisi, e sarà la somma delle soluzioni apportate alle crisi”. Queste crisi ci hanno messo di fronte a due concezioni di Europa, due idee di futuro. Io non sono con chi si illude di potere preservare la propria sedicente superiorità alzando muri: di mattoni, di odio e di ignoranza. Io penso che da Lampedusa possiamo portare in Europa un progetto di futuro dove la coesione sociale non si costruisca attorno alla religione, all’etnia, alle inclinazioni personali, ma attorno alla solidarietà, all’impegno per il bene comune, alla dignità umana.

Pensa che altri Paesi possano seguire la strada della Gran Bretagna? Cosa resterebbe dell’UE come la conosciamo adesso?

Il Trattato di Lisbona prevede una procedura giuridica di uscita dall’Unione, quella che adesso il Regno Unito dovrà attivare, ma naturalmente l’auspicio politico è di ritrovare le ragioni dell’unità e non sfaldare ulteriormente l’Unione. Nessuno può dire quali saranno gli sviluppi di Brexit, ma l’Unione europea è imprescindibile, politicamente, economicamente e moralmente, e continuerà ad esistere, anche eventualmente in un formato ristretto di Paesi che sentono di condividere davvero la stessa idea di società e di futuro.

 

La Carta di Roma, comunicazione e migranti: l’esempio di Lampedusa

Autorità, cari amici, cari lampedusani,

ho colto con entusiasmo l’opportunità delle belle manifestazioni in corso in questi giorni per tornare sull’isola, per incontrare i cittadini, i migranti e tutto il sistema di istituzioni che lavorano a Lampedusa. Il primo sentimento che ho provato arrivando giovedì sull’isola è stato l’orgoglio. Appena atterrato ho avuto un incontro con il vice direttore esecutivo di UNICEF, che associava al vostro lavoro e alla capacità di accogliere di questa isola una parola bellissima: umanità. Penso che non possa esserci un riconoscimento più alto per un popolo. Per questo ringrazio di cuore tutti coloro che con passione, competenza e.. con umanità a Lampedusa si dedicano ai diritti degli altri.

A Lampedusa in questi due giorni ho vissuto dei momenti molto intensi. Il primo al mio arrivo l’altro ieri, quando ho visitato la Porta dell’Europa: non la avevo ancora vista ed è stata, vi confesso, è stata un’emozione fortissima, il luogo trasmette un carico di amarezza, di speranza e amore. Il secondo stamattina, durante lo sbarco di 125 migranti: nei loro occhi ho visto la sofferenza, la fatica ma anche la luce della speranza. Io credo, cari amici, che a Lampedusa l’Europa o nasce o muore. O siamo capaci di essere davvero europei sin dal primo attimo in cui una persona in difficoltà bussa alla nostra porta, oppure siamo destinati ad un rapido declino, geopolitico e soprattutto morale. Per questo penso che quella di stamattina sia una bella occasione e un bellissimo luogo per riflettere insieme, lontano da strumentalizzazioni mediatiche e politiche, su quello che io considero un fenomeno strutturale, non un’emergenza e che come tale chiama a raccolta le componenti istituzionali e sociali del Paese, l’Unione europea e l’intera comunità internazionale.

Il primo punto su cui vorrei soffermarmi riguarda il carattere strutturale, l’origine e la prevedibilità di questo fenomeno. L’Europa non ha avuto la capacità di capire e agire per tempo, guardando ai fermenti alle frontiere meridionali dell’Europa come a un problema emergenziale e comunque periferico. Io quindi penso, e continuo a ripetere, che serve una vera strategia per il Mediterraneo dell’Unione, riportando qui il baricentro geopolitico dell’Europa unita. Se ve ne fosse stata una credibile ed effettivamente sostenuta dagli Stati membri molte delle attuali crisi avrebbero avuto uno sviluppo diverso. Penso alla guerra in Iraq, alle “primavere arabe”, alla crisi siriana, all’ascesa dei terrorismi organizzati, alla Libia. Questi conflitti e questi squilibri geopolitici sono naturalmente all’origine dei flussi di persone che fuggono dalle guerre e dalla miseria. Nel frattempo la mancanza di una strategia europea ha consentito una vera e propria decimazione delle minoranze cristiane in Medio oriente, che vivono sofferenze e persecuzioni che ho potuto verificare di persona in un recente viaggio in Iraq.

La seconda considerazione che vorrei fare riguarda l’accoglienza. Io ripeto ormai da mesi e mesi che l’accoglienza di chi fugge da conflitti, persecuzioni o fame, non è un’opzione, non è un atto di liberalità, di generosità, una manifestazione di buon cuore: è un dovere morale e giuridico di fornire protezione alle persone che sono costrette a lasciare le proprie case e di soccorrere chi è in pericolo in mare. E gli europei dovrebbero sentire questo dovere più di altri perché, come ha detto Papa Francesco l’Europa è “la patria dei diritti umani e chiunque vi metta piede.. deve poterlo sperimentare”. In Italia, il principio dell’accoglienza è scolpito nella nostra legge fondamentale in modo chiaro ed emozionante: l’art. 10 della Costituzione dice che “lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Dunque non solo chi sia soggetto a persecuzione personale ma chiunque non possa godere, per qualsiasi ragione, delle libertà democratiche previste dalla nostra Costituzione ha diritto all’accoglienza.

Per quanto riguarda il nostro approccio alle migrazioni in genere, io penso che sia importante ricordare anche il fattore demografico. Il giornalista Massimo Franco ha definito il vecchio continente: “nonna Europa”. I bassi tassi di fertilità insieme al progressivo aumento della vita media, in effetti stanno condannando il continente al declino, all’incapacità di rinnovarsi, di creare lavoro e di progredire. Per questo le migrazioni devono essere considerate come un’opportunità per dare nuova forza al continente che invecchia. Già oggi le comunità immigrate in Italia e in Europa contribuiscono al benessere delle nostre società, producendo molto più di quanto gli Stati membri non spendano per accogliere nuovi immigrati.

Un terzo punto di cui ho parlato con il vice direttore di UNICEF, il Sindaco e il Prefetto, e prima di venire qui con la Garante dell’Infanzia  Filomena Albano, è quello dei minori non accompagnati. Sono convinto che il modo migliore per affrontarlo sia attraverso istituti giuridici che già esistono, come l’affido alle famiglie, debitamente formate e seguite. Quale significato migliore di umanità e accoglienza? E soprattutto: quale veicolo migliore per imparare la lingua e integrarsi che non quello dell’affetto di un ambiente sereno e accogliente?

Cari amici, vorrei avviarmi alla conclusione per sentire le vostre opinioni. In questi due giorni a Lampedusa ho avuto modo di osservare un sistema di cooperazione che ha a disposizione straordinarie eccellenze umane in tutti i settori ma che deve essere migliorato dal punto di vista normativo e strutturale. Penso alla revisione delle norme di Dublino, ma anche a quella delle nostre procedure interne relative alla protezione internazionale che sono complesse e lente e poco flessibili. Penso alla bella esperienza dei corridoi umanitari che è nata proprio qui, e che portano avanti le Chiese evangeliche e S. Egidio: un’esperienza da estendere e replicare. Io sono di quella generazione nata durante la Seconda Guerra e sono cresciuto vedendo nell’Europa un’utopia che si è realizzata lentamente davanti ai miei occhi. E sono cresciuto, come voi, guardando dal balcone di casa l’altra sponda e percependola del mare non come un luogo di nemici di cui diffidare, ma come il completamento del nostro stesso essere europei e mediterranei. Io penso che oggi in Italia, in Europa, nel mondo si confrontano due concezioni di Europa, due idee di futuro, due filosofie di vita. Io non sono con chi si illude di potere preservare la propria sedicente superiorità alzando muri, di mattoni, di odio e di ignoranza. Io credo al contrario che il nostro Paese abbia una responsabilità speciale nel Mediterraneo e nel mondo che deriva da quello che noi siamo, da dove veniamo: dalla nostra storia millenaria di crocevia di civiltà, donne e uomini, e idee. Noi dobbiamo portare in Europa un progetto di futuro dove la coesione sociale non si costruisce attorno alla religione, all’etnia, alle inclinazioni personali, ma attorno alla solidarietà, all’impegno per il bene comune, alla dignità umana. E Lampedusa, che è nata da un pezzo di roccia africana e al tempo stesso è italiana, siciliana, europea e mediterranea è il più bel posto al mondo dal quale insieme possiamo fare partire questo messaggio di libertà, pluralità e umanità.

Grazie

(in foto: Pietro Grasso a Lampedusa)

A Lampedusa dal 7 al 9 luglio

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Dal 7 al 9 luglio il Presidente del Senato, Pietro Grasso, sarà nell’isola di Lampedusa  per un intenso programma di incontri e iniziative.  Il primo impegno è nel pomeriggio di giovedì 7, con la visita alla Porta d’Europa insieme al Sindaco Giusi Nicolini, al Prefetto Nicola Diomede e alle autorità civili militari e religiose, e la deposizione di una corona in ricordo dei migranti scomparsi in mare.

La mattina di venerdì 8 luglio, alle ore 9, il Presidente Grasso si recherà in Comune, dove avrà un incontro con il Sindaco, il Prefetto e le altre autorità. Subito dopo è in programma la visita all’Hotspot e, a seguire, al Molo Favarolo, dove incontrerà i migranti ospiti, le forze dell’ordine, la Guardia Costiera, le organizzazioni internazionali, le associazioni di volontariato e il personale sanitario. Nel pomeriggio, alle 18.30 circa, il Presidente sarà al Museo della Fiducia. La sera, alle 20.45, il Presidente Grasso assisterà all’apertura della manifestazione “Lampedus’amore. Premio giornalistico internazionale Cristiana Matano”, in Piazza Castello. Il giorno seguente, sabato 9 luglio, è dedicato alle iniziative di “Lampedus’amore”.

L’inizio è alle ore 10, nella sala conferenze dell’Aeroporto di Lampedusa, con il convegno “La Carta di Roma, comunicazione e migranti: l’esempio di Lampedusa, terra di bellezze e crocevia dei popoli”.

Alle 19, al campo sportivo “La Salina”, il Presidente Grasso darà il calcio d’inizio alla partita “Lampedusa – Resto del mondo”, con la partecipazione di migranti ospiti del centro di accoglienza, attori, musicisti, giornalisti, calciatori professionisti. L’appuntamento è patrocinato dalla Lega Calcio di serie B e dal Coni nazionale. Infine, alle ore 22, di nuovo in Piazza Castello, avrà luogo la cerimonia di consegna dei premi “Cristiana Matano”, riservati ai giornalisti che  sono riusciti a raccontare – su carta stampata, tv, radio, agenzie o web – i valori della solidarietà e della convivenza civile.

 

Ecomafia 2016. Le storie e i numeri della criminalità ambientale

Autorità, Signore e Signori,

ho accolto davvero con piacere l’opportunità di ospitare in Senato la presentazione del “Rapporto Ecomafia 2016”, dell’Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente, uno strumento importante di riflessione e analisi che conosco e apprezzo da molto tempo, sin da quando ero Procuratore Nazionale Antimafia e denunciavo la pericolosità e pervasività della criminalità ambientale e le sue connessioni con le mafie transnazionali. Per prima cosa desidero ringraziare la Presidente Rossella Muroni, il Direttore Stefano Ciavani, i curatori del rapporto e tutti gli attivisti di Legambiente. La tenacia, la competenza, la passione con cui operate sono risorse preziose per il Paese e per l’affermazione di una cultura dell’ambiente che è anche cultura della legalità, un binomio (ambiente e legalità) che, ricorda la Presidente Muroni nella presentazione del volume, evoca nella mente degli italiani l’idea stessa di futuro. Saluto gli autorevoli relatori che offriranno le diverse prospettive che derivano dalla propria competenza ed esperienza, anche alla luce del nuovo quadro normativo, e vorrei cogliere l’occasione per ringraziare la magistratura, la polizia giudiziaria e le istituzioni governative e parlamentari del settore per quanto ciascuno sta facendo per contribuire ad una strategia condivisa.

Io credo che il rinnovato e corale impegno del sistema-Paese nel suo complesso in questo campo sia il segnale di un importante cambio di passo, del superamento di quelle convinzioni pericolosissime e infondate, contro le quali combatto da una vita, secondo cui quelli contro l’ambiente sarebbero “reati minori” e la tutela dell’ambiente sarebbe un costo aggiuntivo, un intralcio alla produzione, alla crescita. Io al contrario considero i crimini ambientali veri e propri “furti di futuro” reati gravissimi in quanto privano il Paese e i cittadini della bellezza del territorio e della propria salute. E credo fortemente che la conservazione e l’investimento nel patrimonio ambientale siano straordinari veicoli di sviluppo economico e di civiltà. Per fortuna, all’emersione, nella legislazione e nella giurisprudenza, di un bene giuridico “ambiente” complesso (che tutela salute, incolumità pubblica, l’ecosistema, i beni paesaggistici e archeologici, lo sviluppo economico) si è accompagnata una forte presa di coscienza collettiva che sta progressivamente radicandosi nei comportamenti e nelle convinzioni profonde dei cittadini, soprattutto dei giovani, che dimostrano una consapevolezza e una maturità che lasciano ben sperare per il futuro.

Il Rapporto restituisce un quadro puntuale e dettagliato delle illegalità ambientali nel Paese dal ciclo dei rifiuti all’abusivismo edilizio, dai delitti contro gli animali e la fauna selvatica alle archeo-mafie, dagli incendi alle agro-mafie, ai reati nel settore delle energie rinnovabili. Il volume segnala la diminuzione dell’illegalità ambientale diffusa, ma al tempo stesso la recrudescenza del coinvolgimento della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale, che è evidenziato dal fatto che quasi un reato ambientale su due viene commesso nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, e che ha condotto di recente a gravi attentati e minacce contro gli amministratori pubblici che si impegnano contro gli abusivismi e i crimini ambientali e ai quali rivolgo un pensiero di gratitudine e di solidarietà.

Dal punto di vista degli strumenti giuridici, il Rapporto ricorda la storica introduzione nel codice penale, ad opera della legge 68 del 2015, di fattispecie incriminatrici che puniscono gli eco-reati. I dati segnalati sembrano confortare rispetto all’efficacia della via intrapresa perché indicano, da una parte, che aumentano le denunce e gli arresti (grazie al prezioso lavoro della magistratura e della polizia giudiziaria specializzata) e, dall’altra parte, che diminuiscono gli illeciti ambientali perché le imprese di fronte a un rischio penale consistente sono meno tentate di ricorrere all’illegalità ambientale. Io credo che per completare il quadro della difesa penale sia necessario rafforzare anche gli interventi contro la corruzione che è uno dei peggiori nemici dell’ambiente a causa di quelle collusioni nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di controllo che fanno prevalere gli interessi privati delle imprese e dei corrotti su quelli generali. Sul piano legislativo ricordo altri due recentissimi importanti provvedimenti: il cosiddetto collegato ambientale (legge 221 del 2015), che promuove misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali; e la riforma delle agenzie ambientali regionali approvata dal Parlamento in via definitiva il 15 giugno scorso, che permetterà controlli ambientali più omogenei, trasparenti ed efficaci sul territorio e migliorerà la prevenzione e la repressione degli eco-reati.

Resta molto da fare. Punire i responsabili dei crimini ambientali è necessario, ma non basta: occorre che l’ambiente ferito sia ripristinato e riportato allo stato precedente. Penso alle demolizioni, che purtroppo in Italia ancora spesso non vengono eseguite, tanto che fa notizia l’iniziativa di quei sindaci o di quei magistrati che ordinano la distruzione di manufatti abusivi a distanza di decenni dalle sentenze. Penso alla necessità di un programma nazionale di bonifica dei territori inquinati che continuano a immettere veleni nell’acqua, nell’aria e negli alimenti. Penso alla difesa del nostro straordinario patrimonio agro alimentare, che è una risorsa ambientale, culturale ed economica per il Paese.

Concludo. Il nostro Paese deve alla natura, alla posizione geografica e alla storia una ricchezza incommensurabile di patrimoni ambientali, di culture, arti e pensiero: una bellezza che in Italia si sente, si vede, si respira ad ogni passo e che ha segnato la civiltà umana indelebilmente. Noi abbiamo il dovere di conservare e trasmettere alle future generazioni questa bellezza: ricostruire un equilibrio fra territorio e società, fra sviluppo e cultura, fra ambiente e diritti della persona è la grande impresa civica a cui è chiamato ciascuno di noi nelle piccole e grandi scelte della vita quotidiana. Ma è naturalmente sulla politica che grava la principale responsabilità: quella di porre tutte le condizioni, normative, strutturali e culturali, per riconvertire ecologicamente la nostra Penisola e costruire una società che riconduca ad unità la pluralità dei territori e delle culture, riunendosi intorno al futuro comune di tutti, alla solidarietà, ai valori condivisi, alle opportunità di crescita e realizzazione dei più giovani. Questo è il mio impegno personale, e questo, sono certo, il sentimento che qui ci accomuna tutti.

Grazie.

 

 

Attentato Istanbul, messaggio al Presidente del Parlamento turco

“Ho appreso con profondo dolore e con preoccupazione dell’attentato terroristico che ieri ha colpito l’aeroporto di Istanbul uccidendo e ferendo molte persone inermi. A nome mio personale e del Senato della Repubblica, desidero stringermi con solidarietà e con amicizia a tutti coloro che soffrono, ai membri della Grande Assemblea Nazionale e al popolo turco”. 

E’ quanto si legge nel messaggio che il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha inviato al Presidente della Grande Assemblea Nazionale di Turchia, Ismail Kahraman. “Vicende come questa – scrive il Presidente Grasso – rafforzano la nostra determinazione a lavorare uniti per i diritti delle persone, contro le violenze, le intolleranze e le discriminazioni di ogni genere”. “Sono convinto – conclude il messaggio – che il comune impegno nell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo, a partire dalla riunione del Bureau del prossimo 11 luglio presso il Senato della Repubblica a Roma, sarà un’occasione preziosa per rafforzare la cooperazione fra i nostri Paesi e nel Mediterraneo in questa materia”.

(Immagine di repertorio)

Relazione del Garante per la Protezione dei dati personali

Autorità, Signori e Signore,

desidero ringraziare il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, le altre tre componenti del Collegio, e i collaboratori dell’Autorità per il lavoro svolto nel 2015. La presentazione della Relazione annuale del Garante è un’importante occasione di riflessione sulla tutela della riservatezza, una materia che sta assumendo nel nostro ordinamento, come negli altri ordinamenti europei, un crescente rilievo pubblicistico.

La disciplina pubblica della riservatezza è sottoposta a molte sollecitazioni. Penso alle continue evoluzioni delle tecnologie informatiche e dei media, alle crescenti istanze di tutela della sicurezza dei cittadini, alle aspettative rispetto a sistemi di assistenza sociale sempre più integrati, all’esigenza impellente di razionalizzazione del funzionamento della pubblica amministrazione. Per conseguenza la tutela della riservatezza è sempre più difficile da realizzare, si rende necessario un continuo adattamento dei modelli legislativi e si richiedono soluzioni giurisprudenziali capaci di bilanciare adeguatamente gli interessi in causa. Fra i tanti compiti cui l’Autorità deve attendere quotidianamente, vi è anzitutto la necessità di monitorare un vasto numero di politiche pubbliche, operando non in astratto, bensì con riferimento ai problemi concreti che i cittadini incontrano nella vita quotidiana e che sono fatti oggetto di segnalazioni di singoli o di associazioni. Le complessità aumentano se si considera che la privacy è uno dei settori nei quali è più forte la compenetrazione della legislazione europea e di quella nazionale.

Nel 2015 e nei primi mesi del 2016 sono state introdotte importanti innovazioni. In primo luogo si è concluso ad aprile l’iter legislativo del regolamento generale sulla protezione dei dati, che aggiorna i principi contenuti nella direttiva del 1995, rendendoli direttamente applicabili a livello nazionale, coerentemente col principio “un continente, una legge”. In secondo luogo, la Relazione richiama la recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, nel caso Schrems nato dal ricorso di un cittadino austriaco sul trattamento dei dati forniti a Facebook. La decisione della Corte di Giustizia, che ha annullato la decisione della Commissione che riteneva adeguato il livello di protezione garantito dagli Stati Uniti rispetto ai dati personali trasferiti verso paesi terzi, apre uno scenario di primario rilievo anche a livello nazionale. Non è casuale che la decisione segua un periodo fecondo di intervento della Corte di giustizia sulla tutela della riservatezza. Nel 2014, due sentenze hanno inciso in maniera significativa sia sulla legislazione di settore, sia sul comportamento di alcuni operatori: quella relativa all’annullamento dell’intera direttiva sulla conservazione dei dati nelle comunicazioni elettroniche e quella sul caso Google Spain sul diritto d’oblio su Internet. Sono tendenze che confermano il crescente intreccio fra normativa e giurisprudenza italiane ed europee. Eppure, gli spazi di azione a favore del Garante non sono ridimensionati, ma amplificati. Come la Relazione ben mette in luce, il Garante svolge una pluralità di funzioni, istruttorie, di vigilanza e di regolazione, rispetto a questioni molto diversificate, che spaziano dalla videosorveglianza al commercio elettronico, dalla gestione dei dati genetici, all’attività giornalistica.

Grazie a questo approccio, nel 2015 il Garante ha contribuito a rafforzare i livelli di protezione dei dati personali in molti aspetti della vita quotidiana dei cittadini, dall’accesso alle strutture sanitarie per motivi di cura, all’utilizzo di microcamere di sicurezza per il controllo del territorio, dalle telefonate promozionali indesiderate al tracciamento delle operazioni bancarie. L’approccio concreto che orienta le attività consente al Garante, partendo da casi pratici, di svolgere un contributo di primario rilievo sul piano delle funzioni consultive e di segnalazione al Parlamento e al Governo.

Le sfide future che il Garante sarà chiamato ad affrontare sono molto complesse. Un settore ancora oggi prioritario riguarda la tutela della riservatezza sul web. La materia per natura supera evidentemente i confini nazionali e richiede soluzioni concordate a livello globale; mentre gli strumenti tradizionali che il diritto offre rispetto alla regolazione della libertà di manifestazione del pensiero sono del tutto inadeguati. La difficoltà di individuare soluzioni strutturali e sistematiche rende più strategico ancora l’operato del Garante, a cui spetta di promuovere strumenti e procedure di monitoraggio, di prevenzione e di auto-regolamentazione capaci di evitare irregolarità nel trattamento dei dati e di promuovere adeguata tutela al diritto all’oblio del singolo.

In tale direzione mi sembrano significative, l’adozione delle “Linee Guida sul trattamento dei dati personali per la profilazione online” nel marzo 2015; e l’indagine nell’ambito del “Privacy Sweep Day 2015” concernente la protezione in rete dei bambini fra gli 8 e i 13 anni. Un secondo settore di rilievo riguarda la gestione dei dati personali nelle politiche di sicurezza. A livello europeo, è stato di recente adottato il nuovo regolamento Europol che, nel trasformare in Agenzia l’Ufficio europeo di polizia, introduce nuovi livelli di tutela dei dati personali e nuove procedure.

In questa materia è sempre necessario fissare un punto di equilibrio fra diverse esigenze, la riservatezza dei dati personali e la sicurezza sociale. Da una parte, sono inutili e pericolose quelle forme di sorveglianza di massa che alcuni paesi stanno adottando dopo gli attacchi terroristici in Europa, in modo da accumulare miliardi di metadati sulla vita e sulle comunicazioni dei cittadini. Spiare tutti non è possibile e non serve a niente: si devono invece potere controllare le persone che sono legittimamente destinatarie di indagini, in base a precise regole, di procedura e di sostanza.

Al tempo stesso lo sforzo è costringere i gestori delle piattaforme web a consentire l’identificazione e il controllo di chi commette reati attraverso internet.

Concludo. Un movimento di giuristi sostiene oggi la necessità di fissare un nuovo “patto” per la libertà di manifestazione del pensiero, capace fra l’altro di garantire una più elevata protezione della riservatezza del singolo, di fronte alle minacce della modernità. L’attuazione di questo nuovo patto non potrà però prescindere dall’azione dei “garanti” e io sono certo che voi saprete continuare ad interpretare questo ruolo con il rigore, l’indipendenza e la ponderazione che avete dimostrato in questi anni. Grazie.

La Costituzione e la Bellezza

Intervento alla presentazione del volume di Michele Ainis e Vittorio Sgarbi

Autorità, gentili ospiti, cari amici,

ho colto con molto piacere l’opportunità di ospitare in Senato la presentazione del libro di Michele Ainis e Vittorio Sgarbi “La Costituzione e la Bellezza”, uno dei primi volumi pubblicati da Elisabetta Sgarbi con la sua nuova casa editrice “La nave di Teseo”, alla quale non posso che augurare “buon vento” all’inizio di una navigazione editoriale che, in un momento di crisi della lettura e della cultura, appare come una vera sfida. Saluto e ringrazio Pietrangelo Buttafuoco, intellettuale e eccezionale polemista, e Emilio Casalini, che da anni si occupa della bellezza del nostro Paese e di come farne volano di rinascita culturale.

Il volume è il frutto della collaborazione tra gli Autori, un costituzionalista e uno storico dell’arte, e costituisce un interessante e originale esperimento di rileggere la prima parte della nostra Carta costituzionale con occhi diversi, attraverso l’idea e l’immagine della bellezza. Il libro si muove sul doppio registro delle voci di Ainis e Sgarbi che interpretano la bellezza della Costituzione e nella Costituzione, con riguardo inizialmente ad ognuno dei dodici articoli che pongono i principi fondamentali e poi ai quattro titoli che completano la prima parte della carta. Nei contributi di Ainis è sottesa l’idea che i due elementi che identificano l’identità e la cultura italiana siano, da una parte, i principi posti nella prima parte della Costituzione – che disegnano un “ponte fra generazioni, un collante fra passato e futuro” – e, dall’altra parte, la bellezza, l'”educazione al bello, la capacità di plasmarlo e ricrearlo.. nel passaggio delle generazioni”. Ainis guarda così alla Carta e alla storia dell’arte per ritrovarvi la natura degli italiani. Sgarbi, per parte sua, si propone di navigare attraverso gli articoli della Costituzione alla ricerca del bello che è nelle parole, nei pensieri e nello spirito che le hanno originate, per provare che la bellezza è “un diritto assoluto” garantito dalla Carta.

Ritiene che la bellezza sia “essenza profonda dell’Italia”, come tale riconosciuta dalla nostra Costituzione, che considera un monumento che, cito,  “come ogni monumento è minacciato dall’incuria e perfino dai restauri”. Questo monumento ha una sede, che è nel palazzo qui accanto, a Palazzo Giustiniani: la Sala dove il Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola firmò la Costituzione il 27 dicembre 1947, con la controfirma di Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri e Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, e alla presenza del guardasigilli Giuseppe Grassi. Appena eletto Presidente ho chiesto di aprirla alle scolaresche e ai gruppi di visitatori per vari motivi, che si intrecciano e si rafforzano sul filo di questo bel libro che lega bellezza, arte e Costituzione.

Il primo motivo è storico: la stanza dove venne firmata la nostra Carta costituzionale merita di essere vista da quanti più cittadini possibile. Lì ha avuto un nuovo inizio la nostra storia comune, è stata firmata la nostra “carta d’identità” come popolo e come nazione e, come dicono gli autori del volume, lì si sancisce la bellezza come fonte di diritto e insieme come diritto di tutti, unico caso al mondo. Il secondo motivo è artistico. E’ dato dalla Sala stessa e dal suo arredamento, rimasto invariato da allora: c’è il tavolo rinascimentale della firma, tra due finestre che danno su via della Dogana Vecchia; il leggio dove è esposta una copia anastatica della Carta originale; una bellissima libreria in noce che si snoda per due intere pareti e che conserva gli atti parlamentari; una balaustra, anch’essa in legno, che delimita un soppalco a cui si accede da una piccola scala a chiocciola nascosta da una tenda. Una sala piccola ma di rara bellezza. Il terzo motivo è simbolico e discende da quanto si vede alle pareti. A mantenere il filo del dialogo tra l’arte, il diritto e la Costituzione, si può notare che all’atto della firma De Nicola aveva intorno tre vedute: Roma in epoca imperiale, un enorme planisfero sormontato dalla scritta “UBI MUNDUS IBI ROMA” e la carta del Mediterraneo che illustra le conquiste romane. Le opere alle pareti sembrano dirci molto sia sulle nostre origini che sul nostro futuro, esattamente come la Costituzione.

La Roma imperiale ci racconta la nostra genesi, dove affondano le radici del diritto e delle nostre Istituzioni: lo stesso “Senato” nasce a Roma e viene conosciuto nel mondo come collegio di saggi e la più autorevole assemblea dello Stato. Il planisfero ci ricorda che facciamo parte di un grande mondo, pieno di contraddizioni e di opportunità, al quale dobbiamo presentarci forti della nostra storia e della nostra identità, ma aperti e disponibili a farci toccare da forme di bellezza diverse e lontane dalla nostra. La mappa del Mediterraneo ci mostra come noi siamo immersi, sia fisicamente che idealmente, nel Mare nostrum: dobbiamo guardare alla nostra storia millenaria di crocevia di civiltà, di pensiero e di persone come a un modello di futuro costruito attorno all’umanità, alla libertà, al dialogo e alla bellezza, quei valori che donne e uomini lungimiranti – i nostri Padri costituenti – seppero tradurre nelle belle parole della nostra Costituzione. Per questi motivi la sala della Costituzione merita di essere vista da tutti i cittadini.

Concludo. All’eterogeneità, alla complessità, alla pluralità del Paese dobbiamo la meravigliosa ricchezza di culture, arti, patrimoni ambientali e immateriali che sono magistralmente riflessi nella nostra Costituzione: una bellezza che si sente, che si vede, che si respira; una ricchezza incommensurabile, una risorsa inesauribile per il nostro futuro. Senza contaminazioni, senza diversità, senza incontri e scontri il Paese e l’umanità avrebbero perso un patrimonio che ha invece segnato la civiltà del mondo. Per questo dobbiamo ricondurre a unità le diversità di una società che non si riunisca attorno all’origine particolare di ognuno ma piuttosto al futuro comune di tutti: una società che sappia coinvolgere attivamente ogni sua componente, comprese le comunità di immigrati, su valori, intenti, solidarietà e impegno collettivo. La Costituzione è ancora in grado di indicarci il percorso, di disegnare un orizzonte, un ideale, una speranza cui tendere piuttosto che definire soltanto un insieme di diritti da pretendere e di doveri da rispettare. Poiché l’Italia è un Paese fondato sulla bellezza, abbiamo il dovere di imparare a riconoscerla, amarla e tutelarla. Grazie.

In ricordo di Mario Amato

Intervento in memoria del giudice, nel trentaseiesimo anniversario

Autorità, cari amici,

vorrei per prima cosa salutare affettuosamente i familiari di Mario Amato: la moglie Giuliana, i figli Sergio e Cristina, i nipotini, il cognato Piero Mesa. Sono molto grato al Presidente Paolo Bolognesi e al Comitato promotore per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo momento di raccoglimento in ricordo del giudice Mario Amato, ucciso qui trentasei anni fa mentre aspettava l’autobus che avrebbe dovuto portarlo al Palazzo di Giustizia. Mi fa molto piacere anche che Virginia Raggi abbia scelto per uno dei suoi primi atti ufficiali questo luogo, che trasmette la memoria degli anni più bui della città e del Paese, e colgo l’occasione per augurarle di cuore buon lavoro.

La mia presenza qui oggi, non posso nasconderlo, è molto più di un mero dovere istituzionale, a causa dei 43 anni che ho trascorso in magistratura. Non conoscevo Mario – mi sento comunque di chiamarlo per nome – ma, senza saperlo, avevamo molto in comune. Nel 1980 lui era Sostituto Procuratore a Roma e io a Palermo. Lui indagava sulla destra neofascista eversiva romana, mentre io affrontavo la mia prima vera inchiesta di mafia, l’omicidio di Piersanti Mattarella. Entrambi avevamo capito che la chiave per colpire e per prevenire i fenomeni criminali organizzati, mafia e terrorismo, è indagare sui collegamenti fra persone ed episodi criminali.

Nel volantino di rivendicazione del suo omicidio dei Nuclei Armati Rivoluzionari si legge che avevano “eseguito la sentenza di morte contro il sostituto procuratore per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati”. Era proprio vero: da quando nel 1977 era tornato nella Capitale, Amato lavorava a pieno ritmo sul terrorismo nero sebbene prima non se ne fosse mai occupato. Intuì che l’eversione di destra, di cui si occupava sostanzialmente da solo, era un fenomeno complesso; trovò lui stesso prove della riconducibilità alla stessa matrice di diversi episodi avvenuti a Roma; e in due audizioni al CSM (l’ultima pochi giorni prima di essere ucciso) lamentò lo scarso interesse che il terrorismo di destra incontrava tanto nella magistratura quanto nelle forze di polizia. Sapeva di essere un obiettivo ma scelse comunque di andare avanti. Chiese al Procuratore e ai colleghi un sostegno nelle indagini, e la tutela della sua persona, ma le sue richieste non furono accolte. Come molti precursori non fu compreso. Giudicare ora non è facile, ma le ragioni per cui a quel tempo non si indagava sull’eversione di destra come su quella di sinistra sono complesse.

Certamente, come Amato stesso disse, le forze di polizia erano comprensibilmente rivolte verso il terrorismo di sinistra perché più diffuso e articolato. Ma contribuirono anche altri elementi. Il quadro dell’eversione di destra nella capitale era molto cambiato. In momenti precedenti a quello in cui indagava Amato, in relazione soprattutto alle vicende stragiste, erano emerse certe opacità e vicinanze ideologiche alla destra di alcuni apparati dello Stato. I N.A.R. invece erano formati da una giovanissima generazione di fascisti che, a differenza dei loro predecessori, nutriva un forte orientamento anti-istituzionale. Un odio per lo Stato che vollero segnare platealmente, prima uccidendo il giudice Occorsio nel 1976, poi colpendo in sequenza rappresentanti delle forze dell’ordine e dello Stato, edifici pubblici e luoghi istituzionali, quindi Mario Amato; e rivendicando i propri attentati, a differenza della precedente generazione di fascisti eversivi, proprio per segnalare la loro distanza dalle istituzioni.

Amato aveva ragione e, tristemente, solo dopo la sua uccisione arrivarono decine di automobili blindate alla Procura di Roma e fu creato un pool di magistrati contro il terrorismo di destra. A lui dobbiamo, come a Giovanni Falcone nel settore della mafia, e ad altri magistrati coraggiosi, la maturazione di un nuovo metodo di fare le indagini, su terrorismo e mafia, basato sulla condivisione e il collegamento degli elementi probatori e sulla collaborazione intensa e stretta fra magistrati dentro le Procure, fra le Procure, e fra queste e le forze di polizia. Quel metodo che io ho cercato di raccontare in molti Paesi del mondo quando ero Procuratore Nazionale Antimafia.

Va in questo senso anche la scelta operata dal legislatore l’anno scorso, che sostenevo da molti anni, di includere nella competenza della Procura Nazionale Antimafia anche il terrorismo. Sappiamo molto ma non ancora tutto sulle vicende di quei difficili e dolorosi anni. Anche a distanza di molto tempo dobbiamo insistere e impegnarci perché le verità ancora nascoste possano emergere e in Italia non si debbano più piangere eroi che non volevano essere tali, persone che non desideravano essere famose, solo fare il proprio dovere senza compromessi. Per questo ringrazio tutti i presenti e coloro che continuano caparbiamente a coltivare la memoria e mi stringo in un abbraccio affettuoso ai familiari di Mario. Grazie.

Il Fondo Rumor al Senato

Autorità, gentili ospiti,

quello che oggi inauguriamo è un Fondo di eccezionale ricchezza, che copre il lungo arco di tempo 1939-1990 e che raccoglie documenti, lettere, scritti dello statista vicentino sin dal periodo del primo antifascismo e poi della partecipazione alla Resistenza. Rumor ha sempre vissuto il presente pensando al domani e il suo Fondo, con la precisione, l’ordine e la sistematicità che lo caratterizzano, sta a dimostrarlo. Membro dell’Assemblea costituente, deputato dal 1948 al 1979, senatore dal 1979 alla sua morte, avvenuta nel 1990, parlamentare europeo, cinque volte Presidente del Consiglio, più volte Ministro, segretario della Democrazia Cristiana, Presidente dell’Internazionale Democratico cristiana, Rumor è stato uno dei grandi protagonisti dell’Italia repubblicana.

Le vicende relative allo svolgimento di tutti questi importanti incarichi e tutte le diverse fasi della vita di Rumor trovano nel suo Fondo ampie e puntuali registrazioni, testimonianze, espressioni. Così che il Fondo appare, anche perché pensato e progettato dallo stesso Rumor, una sorta di racconto autobiografico. Un’autobiografia politica e culturale, nella quale si rispecchia una grande parte della stessa storia dell’Italia del Novecento.

Non a caso, probabilmente, le prime carte del Fondo risalgono allo stesso periodo dal quale Rumor fa iniziare le sue Memorie: gli anni del suo antifascismo, di origine familiare e cattolica, e dell’impegno nella Lotta di Liberazione. Gli anni in cui scriveva che i partiti antifascisti dovevano prepararsi per il ‘momento della verità’: quando, spazzati via i tedeschi e i fascisti, sarebbe toccato a loro prendere in mano il timone del Paese. «E mi pareva allora anche naturale che lo facessero tutti insieme, ognuno portando le proprie idee», così scrive Rumor.

Il futuro che Rumor immagina con queste parole è quello della Costituente, della redazione della Carta costituzionale repubblicana, dell’accordo tra tutti i partiti per dare agli italiani una Costituzione fondata sui principi della democrazia e della libertà, una Costituzione che doveva affidare agli stessi italiani la realizzazione di un grande programma di emancipazione e di liberazione umana. Le carte del Fondo saranno collocate a Palazzo Giustiniani, accanto ai Fondi Fanfani, Leone, Martino e agli altri che sono già pervenuti al Senato, concorrendo ad arricchire un mosaico archivistico di straordinario valore.

Le carte del Fondo saranno anche digitalizzate, così da poter essere consultate on line in tempo reale, e formeranno oggetto di iniziative di valorizzazione organizzate congiuntamente dall’Archivio storico e dalla Fondazione Rumor. Nel suo testamento, scritto pochi giorni prima della morte, Mariano Rumor espresse la volontà che il suo archivio venisse messo a disposizione degli studiosi interessati a rievocare la sua esperienza umana, sociale e politica. Sono certo che l’Archivio storico del Senato, in collaborazione con la Fondazione Rumor e forte del prestigio e dell’esperienza maturati nel corso della sua intensa attività, saprà realizzare al più alto livello quella volontà e saprà fare del Fondo Rumor un prezioso strumento per la ricostruzione di una parte importante della storia italiana.

“La Costituzione e la Bellezza”: presentazione del libro di Ainis e Sgarbi

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“La Costituzione e la Bellezza” è il titolo del libro di Michele Ainis e Vittorio Sgarbi che sarà presentato domani, giovedì 23 giugno, nella Sala Koch di Palazzo Madama, a partire dalle ore 17. L’incontro sarà aperto dal Presidente del Senato, Pietro Grasso. “Michele Ainis e Vittorio Sgarbi – si legge nel risvolto di copertina – compongono un inedito commento letterario e illustrato alla nostra Costituzione in sedici capitoli, uno per ciascuno dei dodici principi fondamentali e dei quattro titoli in cui s’articola la prima parte della Carta”. La presentazione di domani sarà trasmessa in diretta dal canale YouTube di Palazzo Madama. Interverranno Pietrangelo Buttafuoco e Emilio Casalini. Saranno presenti gli Autori.