Commemorazionedel Presidente Carlo Azeglio Ciampi

Signor Presidente della Repubblica, Signora Franca, Famiglia Ciampi, Autorità, Onorevoli Colleghi,

il 16 settembre è scomparso un grande italiano e un grande europeo: il Senatore Carlo Azeglio Ciampi, Presidente Emerito della Repubblica. E’ un onore per il Senato della Repubblica aver annoverato tra i suoi membri un uomo che ha reso, nel corso della sua lunga e prolifica esistenza, un altissimo servizio all’Italia. Le tappe della sua vita sono legate alla storia del nostro Paese. Ricordarlo con questa cerimonia solenne significa riconoscere l’intreccio tra biografia personale e storia, tra vita vissuta e attese, speranze, aspirazioni di un Popolo che con lui ha imparato a riconoscersi Nazione.

Permettetemi di rivolgere un caloroso saluto agli studenti e alle studentesse dell’Istituto Crispi di Roma, che il 4 ottobre hanno celebrato con noi il “giorno del dono”. Su proposta dell’allora senatore Ciampi, il Parlamento ha istituito in questa Legislatura una giornata per invitare tutti i cittadini a prendersi cura del prossimo, al fine di ricordarci che siamo tutti parte di un’unica grande famiglia. Voi, care ragazze e cari ragazzi, siete il segno di un passaggio ideale di testimone tra Carlo Azeglio Ciampi e le future generazioni: da ora è anche compito vostro diffondere i principi di solidarietà e unità che il Presidente ha testimoniato nel corso della sua intera vita. Il quaderno che racchiude il vostro lavoro, i vostri sogni per il futuro del Paese e dell’Europa, lo doniamo oggi alla carissima signora Franca, che non è stata solo compagna di vita del marito, sin da quando si sono conosciuti a 18 anni alla Normale di Pisa, ma che negli anni al Quirinale è riuscita a entrare nel cuore degli italiani con il suo carattere energico e spontaneo.

Sarebbe impossibile racchiudere il percorso umano e intellettuale del Presidente Ciampi nei pochi minuti di questo intervento. Pertanto, piuttosto che ripercorrere tutti i passaggi di una biografia ricchissima e di un curriculum prestigioso, vorrei delineare i tratti della straordinaria e profonda eredità ideale e civile. Per farlo partirò da alcune parole che pronunciò nel suo ultimo messaggio di fine anno agli italiani. In quella occasione racconta che, giunto al Quirinale – cito – “ho iniziato senza avere un preciso disegno, né esperienza di contatti diretti con la gente. Proprio questa mancanza di preparazione mi ha spinto a presentarmi a Voi come sono, come un italiano che si rivolge a ogni altro italiano. E con Voi è avvenuta una sorta di scambio”.

Queste parole descrivono, nella loro sinteticità, lo stile con il quale egli affrontò ogni fase della sua vita e ciascun ruolo di responsabilità cui è stato chiamato: sobrietà, coerenza, dialogo come metodo, orgoglio di essere italiano, amore per la Patria. Carlo Azeglio Ciampi, senza avere in tasca alcuna tessera di partito, ha contribuito all’affermazione, ancora non del tutto realizzata, di una dimensione etica della politica, di un impegno per i valori basato sulla preminenza dell’interesse della collettività su quelli particolari; ha preso per mano il Paese quando era disorientato e ferito mettendolo a riparo da rischi incalcolabili; ha operato scelte importanti, difficili e coraggiose, perché non sempre unanimemente condivise, sapendo ricomporre laceranti fratture ed esercitando così una profonda e duratura influenza. È stato, in breve, un uomo che ispirava fiducia, credibile tanto agli occhi dei cittadini quanto a quelli delle Istituzioni internazionali. Ci ha insegnato, col suo tratto rigoroso e al tempo stesso umano, ad amare l’Italia sopra ogni cosa, a difenderla, ad onorarla. Lo ha fatto con un cristallino esempio di servizio sempre orientato al bene del Paese e mai al tornaconto personale. Celebre la sua ritrosia nell’assumere i prestigiosi incarichi che ha ricoperto: accettò comunque la nomina di Governatore della Banca d’Italia così come quella di Presidente del Consiglio, che avvenne in un momento drammatico tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello sociale e politico; era scettico sulla sua eventuale elezione a Presidente della Repubblica e fu molto deciso nel rifiutare un secondo mandato che pur gli venne richiesto da più parti politiche.

Nell’ottobre del 1979, in un momento difficilissimo della vita della Banca Centrale, iniziò il suo periodo da Governatore, una carica che ricoprì fino al 1993 quando, in un momento tra i più drammatici della storia nazionale, il Presidente Scalfaro chiese a Ciampi, uomo al di sopra dei partiti e di sicura fede democratica, di guidare il governo del Paese. Da Presidente del Consiglio dei ministri, Ciampi si trovò ad affrontare una delicata fase di transizione politica ed economica, tra inchieste giudiziarie, crisi del sistema dei partiti, terrorismo mafioso, oscure manovre contro le istituzioni democratiche, attacchi speculativi contro la valuta nazionale e rischi di destabilizzazione dell’economia, ma il suo governo tecnico riuscì ad offrire, come ci ha ricordato il Presidente Mattarella nei giorni scorsi, <<una risposta felicemente molto “politica”>>.

Entrando in Aula per la prima volta il 6 maggio del 1993, in qualità di Presidente del Consiglio, volle aprire il suo discorso testimoniando “il rispetto profondo, l’amore civico mai venuto meno, l’orgoglio degli italiani per le istituzioni rappresentative”, dichiarando la sua fiducia morale nel Parlamento e indicando “la via parlamentare come unica via per il rinnovamento civile, per il riscatto morale”. Ma il banco di prova più difficile rimane quello del varo della nuova legge elettorale, conosciuta come “Mattarellum”, realizzato tra luglio e agosto del ’93 con un serrato lavoro del Parlamento. Come Ciampi ebbe modo di scrivere nel suo diario, “l’approvazione della legge elettorale è una manifestazione della vitalità e della solidità delle istituzioni repubblicane; ancora una volta si conferma che il Paese ha una capacità di rinnovarsi con la semplice applicazione delle vigenti regole”. Nel corso della XIII Legislatura Ciampi tornò a ricoprire incarichi di governo svolgendo la funzione di Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica nei Governi Prodi e D’Alema, dall’aprile del 1996 fino al maggio del 1999: un impegno legato profondamente all’ingresso dell’Italia nell’area Euro. Il suo fu un contributo decisivo. Seppe vincere i tanti sospetti sulla capacità del nostro Paese di rispettare i difficili doveri che la partecipazione alla nuova moneta imponevano. Il suo credito personale, la sua solida autorevolezza, la fiducia che ogni interlocutore attestava verso la sua persona, la certezza che avrebbe mantenuto ogni singolo impegno, furono tra i fattori decisivi del successo della strategia italiana. Quella di Ciampi fu una scelta innanzitutto politica, per garantire coesione e forza al Paese: un passaggio necessario per permettere all’Italia di contribuire da protagonista al processo di integrazione politica e istituzionale del nostro continente.

Il 13 maggio del 1999 venne eletto, al primo scrutinio, con una larga e trasversale maggioranza, decimo Presidente della Repubblica italiana. E da Presidente della Repubblica, nel succedersi dei governi, portò avanti le istanze e le soluzioni più avanzate per il progresso dell’integrazione dell’unità europea, a partire dell’esigenza del superamento di quella che lui ha efficacemente chiamato “zoppìa” di un’Europa unita sotto il segno della moneta, ma priva ancora di un governo comune dell’economia. Una costruzione incompiuta che oggi vediamo plasticamente preda degli egoismi nazionali, soprattutto davanti alla crisi umanitaria rappresentata dai migranti. Per chi, come lui, aveva vissuto la dolorosa esperienza del secondo conflitto mondiale non esisteva altro orizzonte se non quello europeo: l’Europa non era ai suoi occhi solo un mercato comune ma, soprattutto, una garanzia di pace, prosperità e progresso.

Nel viaggio che ha voluto compiere in tutte le province italiane, Ciampi è riuscito a risvegliare l’amore per le istituzioni e la Patria, l’orgoglio di essere italiani, eredi di un antico patrimonio di valori, fondamento della nostra identità nazionale. Era convinto che fosse indispensabile riscoprire le ragioni della grandezza del nostro popolo per poter affrontare le sfide del nostro tempo e del futuro, convincimento che ha rappresentato la stella polare del suo servizio nelle Istituzioni. Non poteva essere altrimenti per chi, giovanissimo, si era unito alla Resistenza per liberare l’Italia e riconsegnarle la dignità perduta. Fu lui a restituire a tutti noi, dopo più di mezzo secolo dalla fine della dittatura, tante espressioni di giusto patriottismo. E’ a lui che dobbiamo la riscoperta e la valorizzazione dei simboli della nazione nata nel Risorgimento, risorta con la Resistenza e prosperata con la Repubblica: il tricolore, espressione “di una volontà e di un destino comune”; la Costituzione, che amava definire “la mia bibbia laica”, quale progetto ideale di comunità cui tendere; l’inno di Mameli, la musica e le parole che accompagnano la realizzazione di quel progetto; la Festa della Repubblica tornata ad essere un momento condiviso sia attraverso il ritorno alla data del 2 giugno, sia mediante il ripristino della tradizionale parata militare lungo la Via dei Fori Imperiali, a partire dal 2001, in occasione del 140° anniversario dell’Unità d’Italia.

L’unità del Paese per lui è sempre stata unione di intenti, abbraccio di culture, reciproco arricchimento di esperienze e tradizioni. Era la stessa idea di incontro che alimentava l’amicizia profonda tra Carlo Azeglio Ciampi e Karol Wojtyla, solo in parte svelata, che restò salda e costante negli anni. Entrambi nati nel 1920 testimoni e protagonisti di un mondo che volevano migliore, forte nelle idee e nei valori e nello spirito di servizio. Di se stesso il presidente Ciampi scrisse: “Ho servito il paese sempre all’interno delle istituzioni: quattro anni nell’istituzione-esercito, due anni nell’istituzione-scuola, 47 anni nell’istituzione-Banca d’Italia, poi l’istituzione-Palazzo Chigi, il Tesoro, il Quirinale. Insomma, io credo fermamente nel valore alto delle istituzioni. Sono il vero ancoraggio del paese”.

L’età avanzata, la malattia e le amarezze degli ultimi anni non hanno mai scalfito la sua inossidabile fiducia nei giovani come interpreti di un futuro di cambiamento. Proprio a loro rivolgeva le sue parole più sentite: “L’Italia sarà ciò che voi saprete essere. Sta a voi far diventare questa nostra Patria più forte e più bella, quella Patria per la quale tanti dei miei compagni di gioventù hanno dato la vita. Nutrite speranze e progetti. Date libera espressione a quanto di nobile, di generoso, anima le vostre menti, i vostri cuori. Soprattutto, abbiate sempre dignità di voi stessi”. Da profondo conoscitore della letteratura classica – non dimentichiamo che a 21 anni si era laureato in Lettere – Ciampi amava citare le Metamorfosi di Ovidio per ricordare a noi tutti che gli animali furono creati con il muso prono e gli uomini con il viso rivolto in alto, verso il cielo e le stelle. Non esiste altro modo di lenire la tristezza della perdita se non quello di impegnarci a tradurre in realtà i sogni e le prospettive di questo grande italiano.

Invito, quindi, l’Assemblea ad osservare un momento di raccoglimento.

Emilio Colombo. Memorie di un Presidente

Autorità, Signore e Signori,

ho accolto davvero con piacere l’opportunità di potere ospitare in Senato la presentazione di questo importante documentario sulla vita e l’opera di Emilio Colombo. Di lui conservo un ricordo personale speciale perché fu lui a presiedere la seduta del 16 marzo 2013 nella quale fui eletto Presidente.

Tanto fu lunga la sua esperienza politica e vasto il perimetro dei suoi interessi che è difficile tracciarne un quadro. Vorrei quindi limitarmi a ricordarne due passaggi significativi. Formatosi nei quadri dell’Azione cattolica, di cui fu vicepresidente, nel 1946 a 26 anni fu eletto deputato alla Costituente avviando una lunga esperienza parlamentare: fu ininterrottamente deputato per undici legislature fino al 1992, fu deputato e presidente del Parlamento europeo e dal 2003 senatore a vita su nomina del Presidente Ciampi. Nel 1948 entrò nel quinto governo De Gasperi, da sottosegretario all’Agricoltura e foreste nel ministero diretto da Antonio Segni. Fu allora che cominciò a occuparsi del Mezzogiorno, nell’ambito del risanamento e del riscatto sociale delle città e delle campagne meridionali intrapreso da Alcide De Gasperi nel 1950. Fu così il padre della legge del 1952 sul risanamento dei Sassi di Matera, che portò “fuori dalle caverne quattordicimila materani”, come amava dire lui, e consentì il recupero e la valorizzazione del patrimonio storico-culturale che poi condusse al riconoscimento dei Sassi come patrimonio mondiale dell’umanità. Si occupò poi della riforma agraria con l’intento di “aprire la strada ai contadini del sud alla partecipazione alla storia dell’Italia”. Quell’impegno profuso per il riscatto sociale del Mezzogiorno, fu determinante nella formazione della sua personalità politica: oltre ad acquisire un bagaglio di conoscenze amministrative, egli affinò la capacità di legare passato e presente, comunità locale e aspirazioni europeistiche, progettualità politica e radici culturali.

L’altro grande interesse della sua vita politica fu l’impegno europeo che perseguì inizialmente da ministro del Tesoro, partecipando alle trattative per associare alla Cee i paesi africani, negoziando le condizioni di ingresso di Regno Unito, Irlanda e Danimarca e svolgendo un ruolo di primo piano nella cosiddetta “crisi della sedia vuota” scaturita dall’opposizione della Francia gollista alla riforma dei processi decisionali delle istituzioni europee e risolta con il compromesso di Lussemburgo. L’impegno europeistico diventò preponderante fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta: dal marzo del 1977 fu Presidente dell’ultimo Parlamento Europeo composto da membri designati dai parlamenti nazionali; due anni più tardi, nella prima assemblea eletta a suffragio universale, fu eletto con oltre 850 mila preferenze; nel maggio 1979 fu il terzo italiano, dopo De Gasperi e Segni, a essere insignito del Premio Carlo Magno per il contribuito all’integrazione europea; da ministro degli Esteri fu autore insieme a Genscher, suo omologo tedesco, di un piano per approfondire il processo di integrazione, accolto dal Consiglio europeo del novembre 1981, che pose le fondamenta dell’Unione economica e monetaria e diede impulso al processo di integrazione dopo la stasi degli anni Settanta. Colombo ha trascorso i suoi ultimi anni fra i banchi del Senato non facendo mai mancare spunti di riflessione costruttiva tratti dalla sua lunga esperienza politica. In occasione dei suoi 90 anni, facendo un bilancio della sua vita, disse: “la politica è stata centrale perché mi ha preso in un momento difficile per il Paese, che richiedeva non una politica per il gusto della politica o una politica per il potere, ma una politica per il paese”, sostenendo che occorreva “saper chiamare i giovani ad animarsi con una passione politica, dietro la quale.. vi siano dei grandi ideali”.

Concludo esprimendo a Emilio Colombo gratitudine, da cittadino e da uomo dello Stato, per la sua opera di statista che seppe tenere insieme onestà, rigore, senso di responsabilità e modernità. Grazie.

Incontro con la Presidente del Consiglio Federale degli Emirati Arabi Uniti

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Giustiniani la Presidente del Consiglio Federale degli Emirati Arabi Uniti, Amal Al Qubaisi. I rapporti tra i due Paesi e l’emergenza rifugiati sono stati al centro del cordiale colloquio. E’ stato espresso l’apprezzamento per le operazioni di soccorso e accoglienza dei rifugiati intraprese dall’Italia e per la posizione del nostro Paese nei negoziati sulla situazione del Medio Oriente.

Incontro con il Presidente della Repubblica di Albania

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Giustiniani il Presidente della Repubblica di Albania, Bujar Nishani, in visita ufficiale nel nostro Paese. Al centro del cordiale colloquio, i negoziati in corso per l’adesione dell’Albania all’Unione europea e gli stretti rapporti politici, economici e culturali tra i due Paesi.

 

Incontro con il segretario generale dell’Onu

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Il Presidente del Senato Pietro Grasso, ha ricevuto oggi, a Palazzo Giustiniani, il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, che si è accomiatato al termine del suo mandato. Al centro del cordialissimo incontro l’accordo sul cambiamento climatico, le migrazioni, il terrorismo, la sicurezza in Africa e Medio Oriente e i diritti umani. Il Presidente Grasso ha ringraziato il Segretario Generale per l’opera che ha espletato a favore della intera umanità nei suoi dieci anni di mandato. Il Segretario Generale per parte sua ha lodato l’Italia per l’impegno profuso nell’opera di soccorso e di accoglienza dei migranti, per il contributo insostituibile alle operazioni di mantenimento della pace, essendo l’Italia il primo fornitore di militari fra i Paesi occidentali nei teatri più difficili del globo. Ha quindi ricordato il ruolo guida dell’Italia nell’affermazione dei diritti umani, nella realizzazione della giustizia internazionale e nella promozione della moratoria contro la pena di morte.

 

Stato di diritto e stato dei diritti

Autorità, cari colleghi, cari amici,

desidero per prima cosa augurare a voi tutti, e in particolare alle delegazioni dei diversi Paesi europei, il mio più cordiale benvenuto a Roma e al Senato della Repubblica. Ho accolto con molto piacere la proposta del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega agli Affari Europei, Sandro Gozi perché i diritti e le libertà individuali hanno primazia tanto nella costruzione europea quanto nei singoli ordinamenti nazionali. L’edificazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e la compiuta realizzazione di una vera cittadinanza europea, comune a cinquecento milioni di persone, non sono affatto responsabilità esclusiva degli esecutivi perché è nei Parlamenti che si garantisce in via prioritaria la conformità degli indirizzi politici e dell’azione dei governi ai bisogni e ai diritti delle persone, nella forma e nella sostanza.

A quasi sessant’anni dal Trattato di Roma, viviamo in questi giorni con amarezza e preoccupazione il riemergere di egoismi, nazionalismi, populismi e xenofobie che la storia sembrava avere superato per sempre. La gestione della crisi economica, dei flussi migratori e degli squilibri geopolitici che minacciano l’Europa ai confini orientali e meridionali, hanno rivelato una grave debolezza politica dell’Unione che dobbiamo affrontare con realismo e determinazione. In questo clima a me sembra necessario rifondare culturalmente e politicamente l’Unione ripartendo dalla nostra comune storia e identità, che è per prima cosa identità di sentimenti e di valori. I principi inscritti nel Trattato sull’Unione non sono frutto di un’opera creativa, ma esprimono il comune e assoluto ripudio per le guerre, le atrocità, le persecuzioni, le offese alla dignità umana che tutti gli europei avevano vissuto. Il dovere della memoria ha così imposto moralmente di dichiarare in modo chiaro ed indiscutibile nel Trattato che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle minoranze”. Su questa linea, il Trattato ha poi previsto “l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella struttura fondamentale, politica e costituzionale” e chiarito al tempo stesso che le società dei Paesi europei devono, pur nella diversità, essere caratterizzate dal pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà, la parità di genere.

Il primato del diritto e dei diritti è dunque fondamento della costruzione europea: la legittimità dell’Unione non discende dal monopolio della forza ma dalla forza del diritto e dal primato dei diritti fondamentali. Guardando al presente della nostra Europa, io osservo uno scarto pericoloso fra l’operato della politica e i sentimenti delle persone. Mentre la costruzione europea è bloccata da interessi nazionali e particolari, i nostri cittadini, particolarmente i giovani, sentono di appartenere ad un’unica e vibrante società civile europea nella quale circolano liberamente idee, persone, diritti, beni. Un idem sentire che si è manifestato con forza nella reazione ferma e commossa di tutti gli europei di fronte agli attentati che hanno colpito alcuni dei nostri fratelli, una solidarietà che viene dall’istinto di difesa della nostra comune civiltà di fronte alla barbarie della violenza e dell’odio. Io sono convinto che tutti gli europei, anche coloro che spinti dalla paura per le gravi crisi del nostro tempo si avvicinano ai movimenti antieuropei e nazionalisti, abbiano interiorizzato inconsapevolmente e profondamente l’idea che l’Europa sia per prima cosa fonte di diritti e di garanzie. Ai giovani che mi chiedono “dov’è l’Europa?” io dico sempre che l’Europa è nella libertà di cui godono, è nelle grandi battaglie per la pace e i diritti ma è anche nella vita di ogni giorno, nei livelli di sicurezza e di tutela che viviamo da consumatori, lavoratori, cittadini: livelli che non hanno precedenti nella storia mondiale o eguali altrove nel globo. Per queste ragioni guardo con interesse e apprezzamento all’esercizio di dialogo in cui siete tutti impegnati (e che ha avuto inizio durante il semestre europeo dell’Italia) con l’obiettivo di tenere annualmente un dibattito al Consiglio Affari Generali dell’Unione per analizzare le tendenze e il rispetto dei principi dello Stato di diritto negli ordinamenti nazionali. Credo che sarebbe uno strumento utilissimo a rafforzare la fiducia reciproca e ad assicurare piena fedeltà alla lettera e allo spirito dei Trattati.

Fra le tante possibili declinazioni del tema dei diritti e dello Stato di diritto, vorrei proporre qualche riflessione a proposito di due settori specifici. Il primo è quello della lotta alla criminalità. Il Trattato di Lisbona ha introdotto basi giuridiche per costruire un diritto penale e processuale europeo all’altezza delle sfide poste dalla criminalità organizzata, il terrorismo internazionale e l’economia illegale. Io penso che l’attuazione del principio del mutuo riconoscimento abbia conseguito risultati davvero importanti per la circolazione delle prove e l’attuazione dei provvedimenti investigativi e giudiziari all’interno dell’Unione. Ma ho ben presente il rischio che si determini così un livellamento delle garanzie verso il basso, perché il sistema del riconoscimento reciproco accetta i difetti di tutela che caratterizzano ogni singolo ordinamento nazionale. Credo che ora sia necessario procedere con vigore sulla strada dell’armonizzazione in modo da fissare livelli di tutela comuni più elevati. Io penso che il livello di civiltà dell’Europa si misurerà sulla capacità di affrontare fenomeni di particolare allarme, come il terrorismo internazionale, soltanto con gli strumenti dello Stato di diritto, garantendo pienamente i diritti delle persone sottoposte ad indagini ed imputate. Da un’ulteriore prospettiva io sono convinto (lo ripeto da quando ero Procuratore Nazionale Antimafia) che occorra soprattutto investire negli strumenti di cooperazione fra le autorità giudiziarie, di polizia e di intelligence. La stretta cooperazione fra di noi è la chiave per garantire sicurezza e serenità per i nostri cittadini. Io penso che sia necessario rilanciare le potenzialità offerte dal Trattato a questo proposito e chiedo a voi Ministri e sottosegretari agli Affari europei di impegnarvi a rafforzare al massimo gli strumenti di cooperazione istituzionale:  penso a Eurojust, a Europol e alla Procura europea, sulla quale lo stato dei negoziati è deludente e frustrante.

Il secondo settore che incide anch’esso in modo rilevante sui diritti fondamentali è quello dell’asilo e dell’immigrazione. Fra due ore celebreremo qui in Senato la prima Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, per ricordare chi (cito la legge istitutiva della giornata) “ha perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”. Io ho avuto modo di ripetere tante, troppe volte che l’unica strada per affrontare questo fenomeno strutturale e di lunga durata è pensare e attuare una strategia di medio-lungo termine incentrata sulla responsabilità e la solidarietà, ricordando che il principio di “solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati” è un principio fondamentale e cogente dell’ordinamento europeo. La solidarietà è un nobile sentimento spontaneo dell’animo umano ma è anche un valore fondante dell’Unione e di ogni collettività che persegue comuni interessi e comuni finalità e si fonda sul reciproco sostegno dei componenti. La nostra comune responsabilità oggi consiste nel rispettare, solidalmente fra di noi, il dovere morale e giuridico di soccorrere chi è in difficoltà e accogliere, secondo meccanismi equi, chi ha diritto alla protezione internazionale. A questo fine credo che meritino considerazione le diverse proposte italiane per rivedere le regole di Dublino e intervenire con programmi di sostegno allo sviluppo dei paesi africani di provenienza dei migranti. Naturalmente, nessuno deve sottovalutare l’impatto che l’immigrazione non adeguatamente regolata, può avere sulla sicurezza delle nostre società, sul mercato del lavoro, sulla sanità e sul welfare.

Concludo. L’essenza della democrazia e dello stato costituzionale di diritto è fissare un punto alto di equilibrio e bilanciamento fra i poteri pubblici e i diritti individuali, basato sulla convinzione che la persona umana con la sua dignità, la sua fragilità, i suoi bisogni e diritti debba essere sempre un fine in sé, mai un mezzo. Questo è il dovere specifico dei Parlamenti, che devono farsi motore trainante dell’azione dei governi ponendosi alla guida di una nuova fase costituente dell’Europa nella lucida consapevolezza che le nostre conquiste di pace, di benessere e libertà sono fragili, incompiute e purtroppo reversibili. Come sette di voi hanno scritto in un bellissimo intervento pubblicato stamani sul “Corriere della Sera”, quella dei diritti è l’Europa che vogliamo. Con questo impegno e con questi sentimenti vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.

 

Incontro con il Presidente della Repubblica Federale Democratica di Etiopia

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Il Presidente del Senato Pietro Grasso, ha ricevuto oggi, a Palazzo Giustiniani, il Presidente della Repubblica Federale Democratica  di Etiopia, Mulatu Teshome Wirtu.

Prima Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione

Caro Presidente Manconi, Padre Bianchi, Autorità, Signore e Signori,

come Presidente del Senato accolsi con grande favore l’approvazione della legge n.45 e sento ancora più forte l’esigenza istituzionale e morale di essere qui con voi oggi. Ringrazio chi si è adoperato per realizzare questo incontro, in particolare il Presidente Manconi che ha fatto di questi temi una ragione di impegno politico e civile del quale gli siamo tutti grati.  Sono orgoglioso che il Senato abbia organizzato questa prima celebrazione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, per ricordare chi, cito dalla legge, “ha perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”.

Lo facciamo con questa preziosa iniziativa, che si propone come luogo di ascolto e confronto a dispetto delle troppe strumentalizzazioni che affliggono il dibatto pubblico. È un argomento delicato e molto complesso che, inevitabilmente, ci costringe a fare i conti con le nostre coscienze prima ancora che con le nostre ragioni. Non mi soffermerò in questa occasione su piani strategici o battaglie politiche da compiere in seno alle istituzioni nazionali e comunitarie, temi che sono stati e sono oggetto di profonde riflessioni, ma soprattutto sui valori inderogabili di solidarietà e di dignità di ciascun essere umano.

Vorrei quindi partire con voi da un numero che credo sia opportuno tenere bene a mente: 368. Il 3 ottobre 2013, non troppo lontano dalla nostra bellissima Lampedusa, sono morte 368 persone. Il 13 ottobre vicino Malta quasi 200. Ad aprile 2015 al largo delle coste libiche in un altro naufragio spaventoso hanno perso la vita più di 700 persone. Purtroppo, quasi ogni giorno è il 3 ottobre 2013. Quasi ogni giorno una piccola e improvvisata imbarcazione o una grande carretta del mare si inabissa nel Mediterraneo, trascinando con sé altri uomini, donne e bambini: un numero sconvolgente di storie, speranze, ideali e paure affondate spesso a pochi chilometri da un porto sicuro, dalla salvezza. Se è vero, come dice il Talmud, che “chi salva una vita salva il mondo intero”, è vero anche il contrario: per ogni singola vita perduta muore la nostra umanità. Davanti ad una tragedia di queste proporzioni qualunque considerazione politica deve essere messa in secondo piano. Non possiamo barattare l’integrità morale di un popolo, il nostro, con un pugno di voti, significherebbe rinnegare interamente la cultura della vita su cui è prosperata la nostra civiltà.

La morte non ha appello, non concede una seconda opportunità, almeno qui sulla terra. Per questo dobbiamo reagire a questa interminabile, insopportabile e a tratti troppo silenziosa strage recuperando il senso delle priorità e delle prospettive. Dobbiamo farlo guardando al passato, ad altre epoche storiche nelle quali l’umanità ha smarrito la propria coscienza nei rivoli delle discussioni o negli anfratti della burocrazia. A tal proposito vorrei condividere con voi le parole che qualche mese fa, proprio qui in Senato, ha pronunciato un grande italiano, Piero Terracina. Grande non per essere riuscito a sopravvivere all’inferno di Auschwitz ma per aver saputo trasformare l’odio subito in semi di speranza: la sua testimonianza e la sua lezione hanno germogliato nelle coscienze di tanti. In quella occasione, riflettendo sul “peccato dell’indifferenza”, ci disse: “la Shoah più che la pietà per le vittime o l’odio per i criminali deve ricordarci quanto il male possa essere “banale” da poter essere confuso con una pratica burocratica, con l’obbedienza ad un ordine – e poco conta che l’ordine sia quello di scaricare in un foro lo zyklon B, l’acido prussico utilizzato nelle camere a gas nei lager nazisti (…), o di respingere una bagnarola affollata di migranti”. Certamente non sfuggiva a Terracina, e neanche a me, la profonda differenza storica tra la Shoah e la tragedia del Mediterraneo. Eppure proprio chi ha subito la violenza di allora ci invita oggi a non cercare scuse perché, come i cittadini europei degli anni ’40, anche noi saremo chiamati a rispondere al Tribunale della Storia e alle domande dei nostri nipoti. E dunque: nel futuro prossimo come spiegheremo loro che l’indifferenza, la paura, l’ignoranza ci hanno impedito di vedere davanti a noi disperati esseri umani e non nemici? Come ci giustificheremo per aver speso troppe parole a sostenere che la crisi economica non ci permette di “sprecare risorse” per salvare queste persone aggrappate con le unghie e con i denti alla speranza di un futuro degno di essere vissuto?

I cambiamenti geopolitici di questa epoca rappresentano il banco di prova della civiltà occidentale. Le nostre città, le nostre famiglie, le classi dei nostri figli e nipoti, sono destinate a colorarsi di altre realtà, a generarne di nuove, a fare i conti con tradizioni profondamente differenti. Più in generale la nostra cultura è dinanzi ad un bivio decisivo: è venuto il momento di fare delle scelte. Dobbiamo scegliere se dare valore concreto agli ideali sui quali abbiamo costruito la pace del nostro continente dopo la II guerra mondiale o se sacrificarli in nome della paura e dell’interesse; dobbiamo scegliere se la vita sia ancora e sempre un bene non negoziabile, e la sua difesa un valore assoluto, oppure no; dobbiamo scegliere se il diritto al futuro di un bambino di Aleppo sia minore di uno di Roma o Berlino. Tocca a noi, siamo moralmente chiamati in causa. Non possiamo voltare le spalle alla più grande sfida del nostro tempo. Dobbiamo mantenere intatta la capacità di guardare questi barconi e riconoscere noi stessi negli stranieri a bordo, Papa Francesco direbbe “i nostri fratelli e le nostre sorelle”. Se non saremo in grado di farlo, e quindi di difendere la dignità dei migranti, falliremo anche nel preservare la nostra; se lasceremo prevalere l’ignoranza e la paura del diverso saremo inevitabilmente destinati al declino.

Attenzione: non vorrei si pensasse che basta ridurre tutto a qualche dichiarazione di intenti, magari ben confezionata retoricamente. Non bisogna neanche distogliere lo sguardo dai rischi per la sicurezza nazionale, dall’impatto che l’immigrazione ha sul welfare e sul mercato del lavoro, o dalle evidenze che riguardano in casi specifici connessioni con l’illegalità e il crimine. Non si deve neanche colpevolizzare la paura di tanti cittadini ma, piuttosto, “curarla” offrendo soluzioni immediate inserite in strategie di ampio respiro, con adeguate risorse economiche e logistiche. Tocca alla politica e alle Istituzioni farlo, è una responsabilità che hanno davanti ai cittadini e alla storia. Ada Gobetti diceva “io non ho idee politiche, ho solo certezze morali”: affrontiamo il tema dell’immigrazione consapevoli della sua complessità ma senza dubbi su come orientare il nostro cuore. Mettiamo da parte le partigianerie, le boutade i calcoli elettorali che, come abbiamo visto, non sempre sono vincenti e che, in ogni caso, sfibrano il tessuto sociale, rendendolo più fragile.

Mi avvio alla conclusione. Abbiamo quanto mai bisogno di riscoprire le ragioni che ci uniscono piuttosto che quelle ci dividono. Per farlo possiamo ispirarci all’esempio di chi per anni ha intensamente lavorato per salvare vite umane senza domandarsi da che Paese venissero e senza fare troppo caso al colore della loro pelle. Penso agli uomini e le donne delle Forze dell’Ordine e Militari e ai tanti volontari che, con umanità e competenza e nonostante il fardello emotivo che ogni operazione in mare porta con sé, ci rendono orgogliosi di essere italiani; penso a Giusy Nicolini, che guida la comunità di Lampedusa – poco più di seimila cittadini e centinaia di migliaia di persone in cammino – testimoniando al mondo intero che è possibile amministrare una delle più belle mete turistiche del Mediterraneo e assolvere al tempo stesso i doveri di solidarietà e accoglienza. Penso infine a Pietro Bartolo, che ho conosciuto a Lampedusa, dove mi ha raccontato per ore la sua quotidiana attività e commosso con alcuni dettagli raccapriccianti sulla condizione sanitaria e psicologica dei migranti che giungono nei centri d’accoglienza, che avremo modo di sentire dalla sua voce alla presentazione del libro “Lacrime di sale” che faremo la settimana prossima. Il film “Fuocoammare” lo ha consegnato alle cronache internazionali ma è da oltre trent’anni che, lontano da clamori mediatici, presta servizio come medico alla frontiera dell’Europa. Queste persone, ciascuno nell’ambito delle proprie responsabilità e competenze, dimostrano che possiamo essere all’altezza della sfida della contemporaneità, che possiamo vincerla e che, spero presto, non dovremo più piangere la morte di così tanti innocenti.

Grazie.

Incontro con il Presidente della Repubblica Slovacca

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Giustiniani il Presidente della Repubblica Slovacca, Andrej Kiska, in visita ufficiale nel nostro Paese.
Al centro del cordiale colloquio, i rapporti tra Italia e Repubblica Slovacca, la crisi dei migranti, la situazione economica, l’allargamento dell’Unione Europea nei Balcani occidentali e gli impegni della Presidenza di turno slovacca del Consiglio UE.

Iniziativa contro i vaccini

“Ogni giorno le sale messe a disposizione dal Senato ai Gruppi parlamentari vengono utilizzate per iniziative, conferenze stampa e incontri pubblici promossi dai Gruppi stessi o da singoli Senatori. Non è tra i miei poteri di Presidente esercitare controlli preventivi su tali iniziative politiche, che avvengono sotto la esclusiva responsabilità di chi le organizza.

A proposito dell’iniziativa contro i vaccini, personalmente, condivido l’allarme lanciato dall’Istituto Superiore di Sanità, dalla Commissione Sanità del Senato e dalla comunità scientifica internazionale.

In particolare, condivido pienamente il timore sui danni alla salute che potrebbero essere provocati da teorie improvvisate e respinte dalla comunità scientifica internazionale e, senza alcun intento censorio, proverò a convincere gli organizzatori a valutare i possibili rischi per i cittadini di campagne antiscientifiche e di disinformazione come questa.

Io ho sempre seguito i consigli del mio medico di famiglia, e invito tutti i cittadini a fare altrettanto con fiducia”.

Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in una nota.