25 anni della Direzione Investigativa Antimafia

Autorità, gentili ospiti,

è davvero un piacere per me ospitare oggi la celebrazione dei 25 anni della Direzione Investigativa Antimafia (D.I.A.).

Come spesso accaduto nel nostro Paese, le intuizioni migliori sono rimaste a lungo in incubazione per poi diventare realtà in breve tempo a seguito di una qualche emergenza, come ad esempio avvenuto per la Legge Rognoni – La Torre e quella istitutiva dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia, approvate entrambe a seguito degli omicidi La Torre e Dalla Chiesa. Dopo l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di associazione di tipo mafioso e dopo le esperienze del pool antimafia di Palermo, che culminarono nel maxiprocesso, si prese esatta consapevolezza che, di regola, i delitti riconducibili alla criminalità organizzata si inquadrano nell’ambito di un programma di attività criminali che non si esaurisce nel compimento del singolo reato e permane ben oltre l’arresto di taluni degli associati. Ciò significa che tali delitti, frutto spesso di un’unica strategia, hanno connessioni tra di loro ed implicano relazioni fra i vari associati, con la conseguenza che solo rilevando e verificando tali collegamenti e rapporti è possibile cogliere la trama nella quale essi si inseriscono e risalire alla consorteria criminale che li ha realizzati ed ai loro autori. Non può sfuggire il fatto che la prova possa essere ricostruita solo attraverso le tessere di un mosaico costituito da elementi indiziari sparsi in varie parti del territorio nazionale ed estero.

L’esigenza inderogabile concretizzatasi dopo anni di stragi, omicidi eccellenti e guerre di mafia era quella di evitare la frammentazione delle indagini – principalmente dovuta alla molteplicità degli organi investigativi ed ai ridotti ambiti territoriali di loro operatività – introducendo nell’ordinamento forme stabili di coordinamento e di accentramento. Questo modello di lavoro condiviso e insieme coordinato era, per Giovanni Falcone, la trasposizione sul piano nazionale dell’esperienza del pool antimafia di Palermo, ed era maturato negli anni: si pensi solo che il primo importante collaboratore di giustizia, Tommaso Buscetta, incomincia a rendere le sue dichiarazioni al giudice Falcone nel 1984, e che per ben 7 anni si dovettero gestire i numerosissimi collaboratori di giustizia senza un quadro normativo di riferimento.

Il 1991 è un anno chiave per questo tanto auspicato salto di qualità. Nel gennaio del 1991 fu infatti emanato un decreto, poi convertito in legge, che prevedeva, con il blocco dei beni, la “linea dura” per il sequestro di persona a scopo di estorsione e, finalmente, misure di protezione per i collaboratori di giustizia. A maggio, sempre per decreto, fu istituito l’obbligo per gli enti finanziari – in seguito esteso ad altri operatori economici e commerciali ed a taluni professionisti – di segnalare le operazioni finanziarie sospette di nascondere fatti di riciclaggio o di impiego di denaro od altre utilità provento di delitti. Sempre per decreto, a maggio sono stati costituiti i Servizi centrali ed interprovinciali di polizia giudiziaria, a ottobre l’istituzione della DIA e a novembre della DNA. Un salto di qualità che, unito alla sentenza definitiva del Maxiprocesso del 30 gennaio 1992, non sfuggì alle organizzazioni criminali, che nei mesi successivi risposero con ferocia disumana.

La DIA, dai giornali subito accostata ad una sorta di F.B.I. italiana, nasce come gruppo interforze (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) con uno specifico compito: essere il terminale privilegiato di tutte le acquisizioni informative in materia di criminalità organizzata, in sinergia con i Servizi centrali delle tre Forze di Polizia, da porre nella disponibilità della funzione di coordinamento e dell’attività d’impulso investigativo della DNA. Questa volontà di ricondurre a fattor comune tutte le informazioni investigative per un contrasto efficace alla criminalità, purtroppo, non ha trovato le condizioni per una sua completa ed esclusiva valorizzazione, perdendosi così l’occasione di mettere a frutto rapidamente il patrimonio informativo via via accumulato da tutti gli apparati di sicurezza dello Stato.

Anche se non compiutamente realizzato, questo intento ha aperto però la strada a modelli di collaborazione che hanno trovato comunque il raccordo da parte delle Procure distrettuali antimafia che, ai sensi dell’art.109 della Costituzione, hanno potuto disporre direttamente della polizia giudiziaria, rappresentata sia dalle tre forze di polizia sia dalle sezioni distrettuali della DIA. Ciò ha costituito un supporto all’attività della Procura nazionale antimafia, che ha potuto incrementare e monitorare negli anni tutta l’azione antimafia inserendo nella banca dati Sidda-Sidna non solo l’esito delle indagini, ma anche il relativo sviluppo processuale attraverso le sentenze di tre gradi di giudizio, nonché le misure di prevenzione personali e patrimoniali e le informazioni autonomamente acquisite attraverso i colloqui investigativi. Lascio ad altri il bilancio di 25 anni di attività della DIA che, se si guarda ai 20 miliardi di euro di beni sequestrati o alle 10.000 ordinanze di custodia cautelare eseguite, non può che essere senz’altro positivo e insostituibile.

Nella prima fase, l’attività della DIA si distinse per una pressante azione repressiva, soprattutto grazie ai contributi investigativi forniti dai collaboratori di giustizia. Successivamente la Direzione ha dedicato un impegno crescente alle indagini finalizzate all’aggressione dei patrimoni mafiosi e illeciti, anche grazie al potere del suo Direttore di avviare in via autonoma proposte di misure di prevenzione antimafia e al potere di accesso agli istituti di credito per gli accertamenti patrimoniali. Un’altra specializzazione di grande rilievo attiene alle attività antiriciclaggio e all’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette che vengono inviate dall’Unità di Informazione Finanziaria presso la Banca d’Italia alla DIA e alla DNA. Infine, più recentemente, la DIA si è distinta nella prevenzione amministrativa antimafia che ha condotto all’elaborazione di un efficace sistema di monitoraggio degli appalti pubblici per prevenire possibili infiltrazioni mafiose. Questo ha riguardato tanto le infrastrutture strategiche quanto grandi eventi.

Concludo sottolineando l’importanza che non venga mai meno l’animo ispiratore della “centralità” delle investigazioni sulla criminalità organizzata, che ha un crescente carattere transnazionale e diviene sempre più globale. Il modello incarnato dalla DIA è il punto di arrivo di una lunga evoluzione e spesso nelle mie visite istituzionali all’estero mi vengono chieste informazioni su tecniche investigative e strumenti di indagine che sul sangue dei nostri martiri costituiscono senza ombra di dubbio un sistema moderno ed efficiente per contrastare i fenomeni di criminalità organizzata nazionali e transnazionali e per affrontare la sfida anche nei confronti di nuovi fenomeni come l’attuale terrorismo internazionale. Per lunghi anni è stato per me un grande privilegio quello di lavorare con uomini e donne dediti ad una costante e intensa lotta alla criminalità come voi, ed è davvero un grande piacere poter rivolgere oggi, in questa sala, alla DIA, che ho visto nascere ed ai suoi attuali componenti i miei più sentiti auguri per  questi 25 anni. Grazie.

Presentazione del foglietto erinnofilo di Poste Italiane

Onorevoli Colleghi, Presidente Todini, gentili ospiti,

presentiamo oggi il foglietto erinnofilo dedicato al Senato della Repubblica, con il quale si apre ufficialmente la serie dedicata agli Organi costituzionali. Oggi, 22 novembre, ricorre l’anniversario di una delle più belle pagine della storia del Parlamento italiano, con l’approvazione e l’entrata in vigore della legge 22 novembre 1888, che sancì l’abolizione della pena di morte in Italia.  La legge autorizzava il Governo a pubblicare un nuovo Codice penale per il Regno d’Italia, il “Codice Zanardelli”, dal nome del Ministro Guardasigilli. Tale codice, il cui testo era stato integralmente approvato dal Parlamento,  definiva all’articolo 10 le diverse tipologie di pena, secondo criteri di particolare modernità, tendenti non solo alla sanzione della condotta criminale, ma anche al recupero e reinserimento nella società del condannato.

La novità più significativa era l’esclusione della pena capitale. La reintroduzione, quarant’anni dopo, della pena di morte nell’ordinamento generale del Regno avvenne con l’entrata in vigore del Codice penale del 1931 (c.d. Codice Rocco). Dopo la caduta del regime, la pena di morte fu nuovamente abolita nel 1944, con un decreto legislativo luogotenenziale. La Costituzione della Repubblica confermò questa scelta di civiltà giuridica prevedendo, all’art. 27, ultimo comma, che “Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”.

Quest’ultima eccezione, già di fatto resa non operante con legge ordinaria nel 1994, fu definitivamente superata dalla modifica, quasi dieci anni fa, dell’articolo 27 della Costituzione, con la legge costituzionale 2 Ottobre 2007, n. 1,  che ha espunto anche il richiamo alle leggi militari di guerra. L’Italia è da sempre tra i principali protagonisti degli sforzi politici e diplomatici, anche in seno alle Nazioni Unite, per abolire, ridurre, o comunque giungere alle più ampie moratorie nel ricorso alla pena capitale su scala mondiale. La scorsa settimana la Terza Commissione dell’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la Sesta Risoluzione per una moratoria universale della pena di morte, in vista del voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, previsto per il prossimo dicembre.

Un ringraziamento particolarmente sentito a quanti hanno reso possibile questa realizzazione di notevole pregio e, allo stesso tempo, alla portata di tutti i cittadini: innazitutto il Collegio dei Questori, Poste Italiane, il Poligrafico dello Stato. Il foglietto erinnofilo raffigura l’attuale Aula del Senato, un’Aula che ha seguito lo spostamento delle capitali e le trasformazioni costituzionali dell’Italia unita. A Torino (dal 1848) l’Aula era rettangolare, a Firenze (dal 1865) ellittica, a Roma (dal 1871) semicircolare. Come è ben descritto nella nota che accompagna il foglietto erinnofilo, la forma dell’Aula si sviluppò in parallelo all’evoluzione delle regole e delle consuetudini delle assemblee legislative. Fu invece il passaggio dal Regno alla Repubblica a segnare il cambiamento di colore: dall’azzurro brillante al rosso porpora (1948). Intatti invece sono rimasti gli architravi dell’Aula, assi portanti di legno pregiato che garantiscono a tutt’oggi un’acustica perfetta. È l’Aula il cuore pulsante del Senato e con la realizzazione artistica di oggi abbiamo voluto dare voce alla meraviglia che attrae sempre studenti, insegnanti, giovani, cittadini quando entrano in una delle sedi istituzionali più rappresentative della memoria storica dell’Italia unita.

Vi ringrazio.

 

Incontro con il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo Giustiniani il Presidente della Repubblica Socialista del Vietnam, Tran Dai Quang, in visita di Stato nel nostro Paese. I rapporti istituzionali, culturali, economici e di cooperazione tra Italia e Vietnam sono stati al centro del cordiale colloquio. E’ stata anche sottolineata l’importanza delle relazioni con l’Unione europea, in particolare dell’accordo di partenariato e cooperazione tra Ue e Vietnam entrato in vigore il 1° ottobre di quest’anno.

 

Relazione annuale 2016 della Corte dei Conti europea

Autorità, Gentili ospiti, cari amici,

ospito davvero con molto piacere in Senato la presentazione della Relazione annuale della Corte dei Conti europea, una occasione significativa perché permette di coinvolgere il parlamento italiano nelle questioni legate all’esecuzione del bilancio europeo e al controllo sulla gestione dei fondi europei, ambiti che sono anche oggetto di nuove forme di cooperazione fra i parlamenti nazionali e la Commissione Controllo sui Bilanci del Parlamento europeo. La correttezza dei conti dell’Unione è un presupposto fondamentale per promuovere una gestione più efficiente e trasparente delle risorse, particolarmente in un momento in cui i cittadini europei sono spesso critici sull’operato delle istituzioni europee. Io sono convinto che lo scrutinio democratico e il controllo sull’impiego dei fondi pubblici siano necessari per verificare i risultati dei progetti finanziati dall’Unione e la congruenza delle spese rispetto ai benefici. Più in generale è necessario enucleare le priorità su cui impostare le politiche di spesa, nel rispetto del principio di sussidiarietà e sempre per garantire “beni pubblici europei”, nell’interesse dell’Unione e dei suoi cittadini.

La Relazione annuale della Corte dei Conti sull’esecuzione del Bilancio 2015, che verrà a breve presentata dal Presidente Russo, segnala dei miglioramenti nell’impiego e nella gestione dei fondi europei ed esprime un giudizio positivo sull’affidabilità dei conti e la gestione delle entrate. La Corte indica che alcune criticità permangono nella regolarità delle operazioni di spesa, ma registra un progresso positivo dovuto alle azioni correttive delle autorità nazionali e della Commissione europea, impegnata nella semplificazione delle procedure. L’Italia è fra i cinque Paesi membri che incontrano più difficoltà nella capacità di spesa dei fondi europei relativi alla Politica di Coesione e all’utilizzo degli strumenti a gestione concorrente. La Corte segnala che oltre metà del totale degli impegni inutilizzati si concentra proprio nei fondi relativi alla Politica di coesione e che riguardo agli Strumenti Finanziari a gestione concorrente, alla fine del 2014 risultavano inutilizzati 6,8 miliardi di euro, ottanta per cento dei quali dovuti a cinque Paesi membri. Parlamento e Governo sono pienamente consapevoli del tema della capacità di spesa e hanno adottato con ottima sinergia un ampio ventaglio di correttivi al sistema di gestione dei fondi strutturali e d’investimento europei. Penso all’istituzione del Dipartimento per le politiche di coesione e dell’Agenzia per la coesione territoriale, alla riorganizzazione del Nucleo tecnico di valutazione degli investimenti del Ministero del Tesoro, e all’istituzione di una Cabina di regia per le risorse del Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione destinate al finanziamento di grandi progetti strategici, aggiuntivi rispetto all’ordinario finanziamento nazionale ed europeo dei fondi strutturali.

Il Senato, grazie al lavoro della Commissione per le Politiche dell’Unione, ha approfondito le questioni connesse alla partecipazione italiana alla politica di coesione europea individuando diverse criticità, fra cui: la sospensione dovuta a eventuali procedimenti giurisdizionali, la lentezza della fase progettuale, il ricorso esiguo ai servizi di assistenza tecnica ai progetti; la scarsa capacità progettuale e gestionale delle amministrazioni; la frammentarietà delle varie competenze e la complessità dei relativi procedimenti amministrativi; il tasso di imprecisione nella gestione procedurale dei programmi; il disallineamento delle priorità fra autorità centrali e locali e la debolezza del coordinamento centrale. Il Senato continuerà in questo lavoro, vigilando sulla funzionalità dei nuovi meccanismi per assicurare il miglioramento sostanziale delle modalità di investimento e di gestione dei fondi da parte dell’Italia.

Da ultimo, desidero ricordare che il Comitato nazionale per la repressione delle frodi nei confronti dell’Unione europea, istituito presso il Dipartimento per le Politiche dell’Unione europea, ha presentato di recente al Parlamento la Relazione annuale 2015 segnalando che i casi di irregolarità e frode nei fondi strutturali e di investimento europei in Italia risultano diminuiti del quaranta per cento rispetto al 2014. Mi sembra che il risultato dimostri che le autorità di controllo al livello nazionale devono agire più in sinergia. Tanto vale anche al livello europeo. Io penso sia urgente e indifferibile dare un contenuto alle previsioni del Trattato di Lisbona istituendo una Procura europea contro i reati che colpiscono gli interessi finanziari dell’Unione, come il Governo italiano sta sostenendo con grande determinazione a Bruxelles. Anche la mia personale esperienza di repressione e prevenzione dei delitti transnazionali mi spinge a dire con chiarezza che sono anacronistiche e pericolose le resistenze a dotare l’Unione dell’unico strumento idoneo a proteggere adeguatamente ciascuno dei Paesi membri dalla criminalità economica, cui si associa la corruzione e la criminalità organizzata. Si illude, cari amici, chi si considera immune dai rischi e pensa di poter fare da solo. Concludo ringraziando la Corte dei conti europea per il lavoro che essa svolge nel garantire la correttezza e l’efficienza nell’uso delle risorse pubbliche della Unione europea, così come la Corte dei conti italiana fa a livello nazionale. Il mio auspicio è che, in Unione europea e nel Paese, ci si concentri sui tanti cittadini europei in difficoltà che la crisi ha spinto verso la marginalizzazione, l’incertezza e l’insofferenza per le politiche e le istituzioni europee. Il nostro dovere è guardare al futuro del Paese e dell’Europa ripartendo dalle persone e in particolare dai più giovani, con i loro bisogni e le loro aspirazioni. Grazie.

Caso Alpi Hrovatin, incontro con direttore e Cdr del Tg3

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi nel suo studio di Palazzo Madama il Direttore del Tg3, Luca Mazzà, e una rappresentanza del Comitato di Redazione composta da Fabrizio Feo, Elisabetta Margonari e Marco Durazzo. Al Presidente è stato consegnato l’appello del Cdr affinché si continui a cercare la verità sul duplice omicidio.

Ventennale dalla scomparsa di Vittorio Emanuele Giuntella

Presidente Zavoli, Famiglia Giuntella, relatori, signore e signori,

è per me un grande piacere aprire i lavori di questa giornata di approfondimento e ricordo della vita e del pensiero di Vittorio Emanuele Giuntella. Ringrazio il Presidente Zavoli per aver voluto ospitare qui questo convegno: del resto, nessun altro luogo sarebbe potuto essere più appropriato per ripercorrere la sua straordinaria esistenza. Vittorio Emanuele Giuntella è stato moltissime cose: funzionario del Senato – prima al Servizio dei Resoconti e poi alla Biblioteca – militare pacifista, storico rigoroso, appassionato docente universitario.

Sarà compito dei relatori che interverranno dopo di me provare a raccontare tutte le sfaccettature di una vita piena e ricca come quella del Professor Giuntella. Io invece tenterò di delineare, nella brevità di questo saluto, alcuni tratti del suo percorso spirituale, umano e intellettuale  a partire dal frammento di una sua poesia. Riflettendo sul valore della durissima esperienza di internato nei campi di prigionia nazisti, egli scrisse: “Invece di chiudermi nella mia personale difficoltà, mi spalancò all’altrui sofferenza. Di quel dolore feci uno studio. Di quell’empietà un motivo di ricerca. Di quell’ingiuria una volontà. E ciò durò tutta la mia vita”.

All’indomani dell’armistizio il Tenente Giuntella si trovò nella condizione di dover compiere una scelta per nulla scontata. Decise di non collaborare con i nazisti e optò per una “resistenza disarmata ma non inerme e inefficace”: accolse l’idea di sopportare fame, privazioni e vessazioni per mantenere intatta la propria dignità di uomo e di militare italiano. Oggi, ed è davvero un dono prezioso questo, si parlerà anche del diario – fino ad ora inedito – nel quale il professore annotò il travaglio di quei mesi. Quell’esperienza lo segnò intimamente, tanto sotto il profilo intellettuale quanto sotto quello spirituale: nei lager infatti cimentò la sua fede e si convinse che alle ingiustizie del mondo bisognasse reagire con il dialogo, l’impegno civile e, soprattutto, con la non violenza.

L’impegno pacifista e, contestualmente, il rifiuto di ogni nazionalismo, fu una delle stelle polari della sua esistenza. In Gandhi e Martin Luther King vedeva la realizzazione di un metodo di lotta che avrebbe avuto ragione delle ingiustizie e delle prevaricazioni, salvando così l’umanità dai suoi istinti peggiori. Fu sincero amico del popolo ebraico e della comunità dei Rom e dei Sinti, proprio perché insieme a loro aveva vissuto l’orrore dei campi di concentramento.

Dal dopoguerra fino alla fine dei suoi giorni non si sottrasse mai al compito, che riteneva ineludibile, di raccontare ciò che aveva visto e  vissuto, di essere vicino agli ultimi, di mettere in guardia dai pericoli di un mai sopito revisionismo storico. La sua fu una fede incrollabile ma mai dogmatica. Era cresciuto nella Fuci e visse con grande speranza gli anni del Concilio. Si spese con entusiasmo per dar voce ai cattolici progressisti: fu uno dei protagonisti di quel movimento nel quale hanno trovato cittadinanza intelligenze e sensibilità che tanto hanno dato in termini culturali e anche politici al nostro Paese.

Nel corso della sua vita visse momenti di profondo dolore – penso per esempio alla sofferenza che gli provocarono gli omicidi di due suoi grandi amici, Aldo Moro e Vittorio Bachelet, o alla scomparsa dell’amata moglie – ma, proprio in virtù di questa purissima fede, non lasciò mai che lo sconforto prevalesse. Per tutta la vita, e credo questa sia la cifra più intima di Vittorio Emanuele Giuntella, rimase fedele ai suoi principi testimoniandoli nel proprio quotidiano, insegnandoli ai propri figli e nipoti, raccontandoli nelle scuole e negli incontri pubblici, rendendoli fondamento delle sue lezioni universitarie.

Un maestro, dunque. Solo chi vive secondo i principi e gli ideali in cui crede è capace di farli fecondare negli altri. E, senza dubbio, la lezione del Professor Giuntella è ancora viva nel cuore e nelle menti delle tante comunità che ha abbracciato nella sua vita. Quella del Senato gli è ancora grata per la dedizione e la cura con la quale ha contribuito a rendere la nostra Biblioteca un patrimonio culturale dell’Italia intera. Il suo lavoro, così come quello di altri funzionari del Senato (ne cito due legati a lui da stima e amicizia, Pietro Scoppola e Leopoldo Elia) ha dato lustro al Parlamento e costituisce un contributo originale e duraturo allo sviluppo democratico del nostro Paese. Gli sono riconoscenti le migliaia di militari internati, che, anche grazie al suo instancabile impegno, hanno visto riconosciuto il valore della loro difficile e coraggiosissima scelta. Lo sono, infine, gli studenti che hanno avuto il privilegio di nutrirsi del suo sapere e di essere ispirati dalla sua curiosità verso il mondo.

Per queste ragioni la giornata di oggi è una bellissima occasione per ricordare e al tempo stesso celebrare una figura che, a distanza di vent’anni dalla sua scomparsa, ancora illumina il cammino dei suoi tanti allievi.

Auguro a ciascuno di voi buon lavoro.

 

Terremoto centro Italia, visita nei luoghi colpiti

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, visiterà dopodomani, giovedì 17 novembre, le aree del Centro Italia colpite dai recenti eventi sismici. La giornata inizierà con l’arrivo, previsto alle 10, alla Direzione di comando e controllo (Dicomac) di Rieti, dove il Presidente Grasso incontrerà il Commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani e il Capo Dipartimento della Protezione Civile Fabrizio Curcio, insieme ai quali effettuerà poi le visite ai centri terremotati. La prima tappa è in programma alle 11.15, ad Amatrice, dove il Presidente Grasso si recherà nella cosiddetta “zona rossa”. Successivamente, a Norcia, con arrivo previsto alle 12.30, il Presidente Grasso visiterà il centro storico e la scuola allestita in un prefabbricato dove ieri sono riprese le lezioni. Ultime due tappe a Visso, con arrivo alle 14, e a Camerino, dove il Presidente del Senato è atteso dopo le 16.

Maltrattamento e abuso all’infanzia: una questione di salute pubblica

Ministro Lorenzin, dottoressa Giannotta, Autorità, gentili ospiti,

sono molto lieto sono lieto di portare il mio saluto personale e quello del Senato a questa iniziativa di presentazione del dossier “Maltrattamento e abuso all’infanzia: una questione di salute pubblica”. Consentitemi di iniziare ringraziando la Vice Presidente Sandra Zampa e con lei tutti i componenti della Commissione Bicamerale, che svolge un’attività di ascolto e dialogo tra il Parlamento e le Associazioni impegnate sui diritti dell’infanzia. Voglio inoltre rivolgere un sentito ringraziamento alla Fondazione “Terres des Hommes” che svolge da decenni una attività fondamentale in aiuto ai minori maltrattati, sfruttati, abbandonati di tutto il mondo. Grazie davvero: se come dice il Talmud “chi salva una vita salva il mondo intero” questo è ancora più vero quando ci si impegna nei confronti dei bambini, creature innocenti e custodi del futuro dell’umanità.

Troppo spesso si ritiene che gli abusi sui minori riguardino terre lontane,  società e culture completamente diverse dalla nostra. In verità, proprio grazie ad un’indagine condotta nel 2015 dalla vostra Fondazione su impulso dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, abbiamo dati che raccontano di circa 100.000 bambini in Italia presi in carico dai Servizi Sociali perché vittime di maltrattamenti fisici o emotivi.

Dall’intensità e dal tipo di violenza subita da un bambino scaturisce una fragilità che non rimane certo confinata alla sua esistenza ma si riversa inevitabilmente sull’intera società: anche per questo non possiamo voltare le spalle a un fenomeno gravissimo che produce effetti devastanti sui singoli e ancor di più sulla collettività. Abbiamo davvero bisogno di un surplus di approfondimenti e di riflessioni, non solo per conoscere meglio un fenomeno complesso ma anche e soprattutto per definire risposte più efficaci da parte delle Istituzioni nazionali e locali. In questo senso il dossier che viene presentato oggi è un contributo originale e profondamente innovativo, soprattutto perché spiega l’importanza di inquadrare i maltrattamenti sui minori come una questione di salute pubblica. La preziosa collaborazione di cinque autorevoli Centri Ospedalieri – al quale sono grato per il loro incredibile lavoro, fatto di professionalità e umanità – ci restituisce numerosi spunti sulle possibili strade da percorrere per realizzare un sistema di prevenzione sanitaria nazionale. Si tratta innanzitutto di stabilire metodi di approccio comparabili nel tempo e riproducibili in altre regioni e poi di realizzare strutture all’avanguardia, con professionalità solide e percorsi di formazione adeguati. Solo in questo modo possiamo immaginare – spero in un breve futuro – di poter far fronte anche alle situazioni più difficili e di tutelare completamente un bambino o una bambina che si trovano, loro malgrado, a vivere esperienze drammatiche. Nel dossier sono contenuti numeri, percentuali, statistiche utilissime. La parte che mi ha colpito di più – da padre e da nonno prima ancora che da Presidente del Senato – è però quella nella quale vengono descritte le storie di alcuni bambini che sono stati assistiti nelle strutture ospedaliere. Spaccati di vita dolorosi che ci aiutano a comprendere anche le forme più subdole e meno note di maltrattamento, come la mancanza di affetto e di cure, che determinano danni fisici e psicologici enormi. Non vi è alcun dubbio sul fatto che le Istituzioni debbano farsi carico della responsabilità di assicurare ad ogni minore le stesse possibilità di vivere serenamente la propria infanzia e di poter realizzare i propri sogni. Sono sicuro che  gli autorevoli relatori che interverranno nel corso della mattinata sapranno, da prospettive diverse, aumentare la nostra consapevolezza e la conoscenza di questo tema. Auguro a tutti voi buon lavoro. Grazie.

La mafia è dappertutto (Falso!)

Gentili ospiti, cari amici,

ospito con molto piacere nella Sala Koch del Senato della Repubblica la presentazione del libro del Professor Costantino Visconti “La mafia è dappertutto (Falso!)”, che già dal titolo esplicita l’intenzione di sfatare alcune semplificazioni e idee comuni in tema di mafia. L’autore, uno studioso che nel corso della sua carriera scientifica ha approfondito i suoi studi in tema di criminalità mafiosa, propone le sue riflessioni appassionate e originali, che egli stesso definisce con autoironia il frutto dei suoi pre-giudizi  di giurista e del suo vissuto di militante palermitano dell’antimafia civile.

Il volume affronta con linguaggio semplice ed efficace questioni di grande interesse: dallo stato della lotta antimafia, alla qualificazione giuridica delle organizzazioni criminali del centro e del nord Italia; dalle infiltrazioni mafiose nell’economia e nell’imprenditoria, ai rapporti fra mafia e politica; dalla “borghesia mafiosa” alla cosiddetta “area grigia”  sino al concorso esterno nell’associazione mafiosa.

Il Prof. Visconti tratta ognuno di questi temi unendo alla competenza giuridica la sua personale visione, influenzata probabilmente – sono sue parole – da un “germe etnocentrico”, che muove dalle difficoltà interpretative dell’oscura, sfuggente e ambigua realtà di un mondo criminale come quello mafioso, visto “alla luce di una metaforica lanterna che cerca di plasmare e fissare le sagome incerte del male”.

Personalmente, essendomi occupato di mafia per molti decenni, ho maturato alcune convinzioni e colgo questa occasione per tornare a parlare del mio “primo amore”, che in questi anni da Presidente del Senato non mi ha mai abbandonato.

Anzitutto credo che abbia ragione l’autore quando dice nella premessa che la mafia è divenuta un marchio di successo, al punto tale che a volte si vede la mafia dappertutto, anche dove non c’è. Naturalmente, aggiungo io, dobbiamo guardarci dal rischio di non vedere la mafia dove invece c’è e, allargando lo sguardo anche al panorama internazionale, credo sia importante essere consapevoli che il modello mafioso è divenuto un marchio geopolitico, oggetto di ispirazione e imitazione in altre parti del globo, per una ragione specifica: la capacità di questo modello criminale di influenzare la società, la politica, la cultura e l’economia di un territorio e il suo carattere espansivo che giunge a farne un soggetto geopolitico che può controllare interi territori, spostare confini, determinare conflitti, dominare circuiti economici, infiltrare istituzioni locali e globali.

Quando da Procuratore Nazionale Antimafia mi dedicavo a una sorta di “diplomazia penale” coltivando intensi rapporti di cooperazione con le autorità di altri Paesi, mi capitava di spiegare che non ogni organizzazione criminale può dirsi mafiosa e che il dato peculiare distintivo era costituito oltre che dalla particolare coesione della struttura interna, che, secondo le regole, unisce e vincola gli appartenenti per tutta la vita, la sua profonda penetrazione nel corpo vivo della società avvalendosi del metodo mafioso e attuando un dominio esclusivo del territorio fondato anche sul consenso sociale e sulle relazioni con il potere ufficiale.

La mafia è geneticamente una creatura politica che coltiva sempre le interazioni con il potere istituzionale ai fini della conservazione e del rafforzamento della propria supremazia. Se è vero che in Sicilia le organizzazioni mafiose delle origini erano già strettamente legate agli apparati di potere della città, esse diventarono una grave minaccia per la democrazia quando si radicò socialmente una mafia referente e strumento di forze politiche e di amministrazioni pubbliche, che si trasformò naturalmente in una aggregazione del consenso ai fini elettorali.

In secondo luogo, a proposito di antimafia, io vorrei ricordare che la signoria della mafia sulla Sicilia, tranne in alcuni periodi, non è mai stato un dominio incontrastato: la storia della lotta alla mafia è lunga quanto quella della mafia stessa, e ne rispecchia nei tratti salienti le evoluzioni più importanti.

Le radici dei movimenti risalgono a più di un secolo di lotta e di azioni dirette a contrastare la mafia con l’impegno della società civile. Non posso ripercorrere le tappe storiche del movimento antimafia ma solo ricordare che dai Fasci siciliani ai movimenti contadini ed operai contro la mafia agraria e fino ai nostri giorni, sono nati movimenti di protesta e mobilitazioni politiche sostenuti dalla cittadinanza, da tanti giovani, che diedero vita, ad esempio, alla prima catena umana che, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, unì il palazzo di giustizia di Palermo all’albero dinanzi casa di Falcone, accompagnata dall’iniziativa del “Comitato dei lenzuoli” ovvero, altro esempio che risale al 1995, alla nascita di LIBERA, un’associazione che unisce migliaia di associazioni che promuovono la legalità.

Alcuni di questi movimenti hanno costruito proposte realistiche su cui concentrare gli sforzi e creato un rapporto con le istituzioni, costruttivo e critico al tempo stesso: collaborando con gli sforzi legalitari delle amministrazioni quali portatori di conoscenze e buone pratiche e mantenendo contemporaneamente la vigilanza sul comportamento degli amministratori, dei politici e dei partiti. Nonostante alcuni gravissimi ma limitati episodi emersi negli ultimi anni all’interno di questo mondo, io credo sia giusto rivendicare le conquiste ottenute, il cambiamento culturale, il riscatto sociale. Penso ad esempio alla rivoluzione nata a Palermo del consumo critico, con l’intuizione dei ragazzi di Addio Pizzo di coinvolgere tutti i cittadini con la consapevolezza che anche nelle scelte di acquisto quotidiane si può fare la differenza. Io credo che la strada per superare il momento difficile che ha vissuto e vive il mondo dell’antimafia sia un ritorno alle origini ed ai valori che rappresenta, senza inquinamenti da interessi personali o atteggiamenti di primedonne alla ricerca di visibilità, e con l’unione delle componenti, sociali e istituzionali, per isolare le mafie e l’illegalità ed affermare l’antimafia come fondamento dell’educazione dei giovani e della cultura sociale diffusa.

A proposito del tema della penetrazione mafiosa in aree non tradizionali del nord e del centro Italia, vorrei ricordare che proprio la capacità delle mafie di tessere relazioni economiche, sociali nonché con le amministrazioni pubbliche e con la politica, ha costituito la premessa per il radicamento territoriale e la espansione delle mafie (Cosa Nostra, Camorra e ‘ndrangheta in particolare) nel centro e nel nord del Paese e all’estero, attraverso processi di riproduzione delle specifiche modalità mafiose di penetrazione territoriale, politica ed  economica già attuate nelle tradizionali regioni d’origine.

Un fenomeno non nuovo, che conosciamo esistente sin dagli anni ’50, attraverso presenze e segnali ben precisi, spesso misconosciuti e negati fino a qualche anno fa, dalle fonti ufficiali locali, che invece erano stati correttamente oggetto di analisi e valutati nelle relazioni delle Commissioni parlamentari antimafia, di cui, come consulente ho fatto parte dal 1989 al 1992. Soltanto da qualche anno diverse e più approfondite indagini svolte in centro e nord Italia hanno messo in luce, con alterne fortune sul piano giudiziario, la presenza di organizzazioni mafiose.

Molte di loro, come, ad esempio, l’inchiesta della Procura di Roma conosciuta come “Mafia Capitale”, hanno accertato una nuova pericolosa evoluzione, vale a dire il consolidamento di complesse reti di relazioni fra mafiosi, altri criminali, politici, imprenditori, professionisti e amministratori pubblici: rapporti inquinati all’inizio da intimidazione e violenza che lasciano il posto alla convenienza, alla collusione, alla corruzione, al favoritismo, alla coincidenza interessi diversi. Questo coacervo di collusioni, interessi e affari sembra avere determinato una forma di organizzazione mafiosa nella quale si determina una saldatura fra il “sottomondo” criminale e il “sopramondo” sociale, politico ed economico garantita dalla corruttela, anche se, quando serve, l’organizzazione ritorna come sempre all’uso dei consueti sistemi mafiosi della violenza e dell’intimidazione. Naturalmente, le valutazioni giuridiche sulla riconducibilità di queste forme associative all’art 416 bis c.p. spettano ai giudici, ma io credo che sia possibile per la giurisprudenza adottare prospettive evolutive del modello legale delineato dal codice, anche tenendo conto della mutevolezza e capacità di adattamento che sono iscritte nel codice genetico delle mafie.

Piuttosto credo che le riflessioni scientifiche dovrebbero concentrarsi su modalità opportune per trovare, almeno a livello europeo, un linguaggio giuridico comune che non sia di ostacolo alla cooperazione giudiziaria, come spesso avviene adesso.

Il contrasto alla mafia, alla pericolosa simbiosi tra illegalità, economia e potere, lo ripeto da decenni, è un impegno che riguarda tutti: le istituzioni, la società civile e ciascuno di noi individualmente. Senza condividere la stravagante proposta – riferita dall’Autore ad “antimafiosi populisti” a corto di isteriche richieste alla politica nazionale – di istituire un tribunale speciale per aiutare il Messico a combattere la loro mafia, che, a mio avviso, fa il paio con quella di calare sic et simpliciter il nostro 416 bis c.p. nelle legislazioni europee, da Presidente del Senato vorrei ricordare a me stesso e alle parti politiche la responsabilità primaria che grava sul Parlamento affinché gli strumenti giuridici e operativi di prevenzione e di contrasto siano costantemente aggiornati, seguendo le evoluzioni dei fenomeni criminali, le esperienze applicative, gli obblighi internazionali, la giurisprudenza, le opinioni di operatori ed esperti. Dopo le ottenute modifiche legislative sulla corruzione, sull’autoriciclaggio, sul voto di scambio, sul falso in bilancio, seppur alla fine non pienamente soddisfacenti, da me proposte il mio primo giorno da senatore, ci sono altre fondate richieste alla politica per migliorare il contrasto alla mafia.

Penso in particolare al disegno di legge che riforma il codice antimafia, le misure di prevenzione, la confisca, la gestione dei beni confiscati, approvato dalla Camera dei Deputati un anno fa e fermo alla Commissione Giustizia del Senato. Tutti sappiamo che questi ritardi non dipendono affatto dalle procedure del bicameralismo paritario, quindi io richiamo tutti, come ho già fatto in capigruppo sul DDL di riforma della giustizia penale, alla necessità di trovare gli accordi politici per portare in Aula queste norme con la rapidità che la politica sa ben applicare quando lo ritiene necessario. Penso anche alla necessità di dare seguito alle proposte formulate dalla Commissione parlamentare antimafia, come quelle contenute nella relazione del 31 maggio di quest’anno sui comuni sciolti per infiltrazione o per condizionamento mafioso.

Con questi auspici lascio la parola agli autorevoli relatori ringraziando il Professor Visconti per averci dato l’opportunità di dibattere di questioni di grande attualità, sulle quali non si devono mai spegnere i riflettori, ricordando le vittime ma anche i tanti successi che hanno ottenuto le donne e gli uomini dello Stato. Grazie.

2010 – 2016: pietre d’inciampo nella mappa della memoria europea

Cara Senatrice Amati, cari amici, studenti,

è con grande piacere che prendo la parola per aprire i lavori di questa giornata nella quale rifletterete sul valore della memoria come elemento decisivo del nostro essere. Consentitemi di ringraziare la Senatrice Amati, alla quale dobbiamo l’organizzazione di questo momento di confronto. Ogni pensiero, libro, opera artistica, rappresentazione teatrale che è in grado di guardare al passato per illuminare il futuro è fondamentale: per questo vorrei ringraziare anche Adachiara Zevi, che da anni è impegnata su questo fronte con la sua Associazione “Arte in Memoria”. Mai prima della Shoah l’uomo aveva osato immaginare e realizzare una “industria della morte” così efficiente e brutale. L’Italia ha pagato un prezzo altissimo per la follia nazista: solo a Roma, nel “sabato nero” dell’ottobre 1943, le SS strapparono alla capitale 1024 suoi figli; solo in 16 tornarono. I segni di quei terribili anni sono impressi nella mente di chi sopravvisse all’inferno e che si è instancabilmente operato affinché non fosse taciuta la verità; nei cuori di chi perse genitori, figli, nonni, amici, conoscenti; nella memoria collettiva del nostro continente che, proprio dopo la fine del secondo conflitto mondiale, si impegnò nel sogno dell’Europa unita con l’obiettivo di garantire pace, solidarietà e tolleranza alle future generazioni.

Il ricordo non può essere solo un esercizio retorico attraverso il quale si ritiene di aver compiuto il proprio dovere civico, magari partecipando ad uno stanco rituale commemorativo del passato. Deve piuttosto essere un pungolo che spinga l’intera società a interrogarsi su se stessa, sui suoi valori, sulle sue prospettive. In questo senso ho sempre trovato affascinante l’intuizione dell’artista tedesco Gunter Demnig, ideatore delle “pietre di inciampo” che, negli ultimi anni, stanno contribuendo a disegnare “la geografia” delle deportazioni verso i campi di sterminio. Una pietra incastonata nei luoghi in cui uomini, donne e bambini innocenti furono strappati alla vita, privati della dignità e consegnati all’orrore: un simbolo tangibile che racchiude in sé nomi e storie, che testimonia il passato inserendosi nel presente. L’atto – più ideale che fisico – dell’inciampare.  Inciampare non perché ci venga ostacolato il cammino ma affinché ci sia ricordato di guardare con attenzione il nostro percorso; inciampare per ricordare che le strade e le piazze che calpestiamo ogni giorno nelle nostre vite sono state non troppi anni fa teatro della negazione dell’umanità; inciampare perché se si dimentica, si  abbassa la soglia dell’attenzione e si rischia di cadere. Cari ragazzi, è a voi che guardo con speranza, convinto che saprete essere all’altezza delle sfide che il mondo ci pone davanti. Voi non avete vissuto ciò che i vostri nonni hanno visto e provato sulla propria pelle. Anche su di voi, però, ricade una responsabilità importante e decisiva per il futuro del nostro Paese. Siete da ora testimoni della storia, tocca a voi impegnarvi affinché mai più sia umiliata la dignità dell’umanità. Sono certo che le ragazze e i ragazzi che partecipano a questa iniziativa, pieni di entusiasmo e di voglia di incidere sul cambiamento della nostra società, sapranno vedere per tempo e combattere chiunque minacci la libertà e i diritti di ciascun essere umano, non si volteranno di fronte alle ingiustizie e non si faranno indietro quando ci sarà da impegnarsi e fare la propria parte.

Concludo ringraziando gli autorevoli relatori che interverranno, sicuro che sapranno alimentare la vostra conoscenza e ispirare le vostre coscienze. Auguro a ciascuno di voi buon lavoro.