Premio Sacharov 2016 per la libertà di pensiero

Autorità, gentili ospiti, carissime ragazze e carissimi ragazzi,

desidero augurarvi il più cordiale benvenuto alla Sala Koch del Senato della Repubblica per la cerimonia di conferimento del “Premio Sacharov 2016” che oggi si tiene in diretta streaming con il Parlamento europeo a Strasburgo, dove si trovano le due destinatarie del premio, Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, con i Vice Presidenti Tajani e Sassoli e gli altri colleghi parlamentari europei.

Per prima cosa vorrei chiedervi un applauso per queste due straordinarie giovani donne, Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, che attraverso l’esempio della loro vita, della loro sofferenza e del loro coraggio sono diventate interpreti dei diritti e della dignità della minoranza di religione yazida e tutti coloro – donne, bambini, uomini – che per causa del terrorismo e di regimi illiberali e liberticidi soffrono atrocità e privazioni dei diritti, ovunque nel mondo. Oggi noi ci stringiamo a Nadia e Lamiya per dire a voce alta che rigettiamo tutte le ideologie abominevoli che per motivi egoistici e immondi attaccano persone inermi trasformandole da individui in cose, in numeri, in strumenti. Noi crediamo che la persona umana con la sua dignità e i suoi diritti debba essere sempre un fine in sé, mai un mezzo, e ci opponiamo con ferma determinazione a ogni forma di discriminazione, odio e violenza. Questo è il senso più profondo del Premio Sacharov per la libertà di pensiero che l’Unione europea ha conferito nella prima edizione del 1988 a Nelson Mandela e Anatolij Marchenko, e in seguito a dissidenti, attivisti della società civile, politici, avvocati, pacifisti, all’Organizzazione delle Nazioni Unite e tanti altri. A quasi sessant’anni dal Trattato di Roma (che a marzo celebreremo al Parlamento italiano), viviamo in questi giorni con amarezza e preoccupazione il riemergere di egoismi, di nazionalismi e di xenofobie che la storia sembrava avere superato per sempre.

La debolezza politica dell’Unione, messa a nudo dalle divisioni sulla crisi economica, sui flussi migratori e sulle azioni per contenere l’instabilità geopolitica ai nostri confini, ci impone di rifondare culturalmente e politicamente la nostra Europa ripartendo dalla nostra comune storia e identità che è anzitutto identità di sentimenti e di valori. I principi consacrati nel Trattato sull’Unione non sono frutto di un’opera creativa, ma esprimono il dovere della memoria, il comune e assoluto ripudio per le guerre, le atrocità, le persecuzioni, le offese alla dignità umana che tutti gli europei hanno vissuto e sofferto. Il primato del diritto e dei diritti fondamentali è il fondamento della costruzione europea. Io credo che tutti i nostri cittadini, anche coloro che spinti dalla paura si avvicinano a movimenti antieuropei e nazionalisti, abbiano chiaro che il nostro codice genetico è espresso nelle parole che risuonano in più punti del Trattato: dignità, libertà, democrazia, eguaglianza, diritti umani, diritti delle minoranze, pluralismo, giustizia, solidarietà. Lo dimostra la reazione ferma e commossa di tutti i cittadini europei, specie i più giovani, di fronte agli attentati e alle violenze che colpiscono esseri umani indifesi ovunque nel mondo. Fra le innumerevoli nefandezze di cui è responsabile il sedicente Stato Islamico, vi sono le violenze orrende che hanno subito Nadia e Lamiya e le persecuzioni contro la minoranza yazida, che non esito a definire con una parola precisa: genocidio.

Il terrorismo è il risultato della debolezza istituzionale che in Medio Oriente e altrove ha lasciato spazio a poteri informali, criminali e appunto terroristici. Per questa ragione, noi dobbiamo contrastare questo fenomeno con strategie politiche utili a costruire un futuro politico nelle aree più instabili, favorendo l’emersione di istituzioni pluraliste che rappresentino gli interessi di tutte le componenti sociali, etniche e religiose. Agli interventi militari, investigativi, di intelligence e finanziari, che sono comunque necessari, noi dobbiamo affiancare azioni che incidano sulle cause profonde del radicalismo ideologico e del terrorismo. Penso per esempio a progetti culturali ed educativi nelle scuole e università per favorire la conoscenza delle religioni e della storia; a programmi per rafforzare il pluralismo politico, l’associazionismo, il ruolo dei partiti politici e dei sindacati; ad azioni per sostenere la vita quotidiana dei cittadini, le piccole imprese, i servizi sociali nelle zone più permeabili al fondamentalismo e all’illegalità; infine penso a progetti per assicurare la tutela delle minoranze etniche, religiose e culturali e la riduzione delle aree di marginalizzazione. Concludo.

Care ragazze e cari ragazzi, mi rivolgo a voi: L’Europa, che qualche volta vedete come un’entità distante e difficile da capire, è una grande utopia che è divenuta realtà e vivete ogni giorno: è nella vostra libertà di essere e pensare, è nei livelli di sicurezza e di tutela che sperimentate ogni giorno da studenti, cittadini e consumatori, che non hanno precedenti nella storia mondiale o eguali altrove nel globo. L’Europa è nelle grandi battaglie per la pace e per i diritti umani, nel lavoro silenzioso di funzionari e di volontari che sostengono la libertà e i diritti. L’Europa è anche in questo premio che oggi viene attribuito a due grandi donne che noi, tutti insieme, abbracciamo e ringraziamo di cuore per quello che sono e per quello che rappresentano. Viva la libertà, viva i diritti, viva l’Unione europea! Grazie.

He-For-She: insieme verso la parità di genere

Autorità, cari colleghi, gentili ospiti, ringrazio la neo Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli per aver promosso per il secondo anno consecutivo questa iniziativa, che sono lieto di ospitare ancora una volta nella Sala Zuccari del Senato. Colgo l’occasione per augurarle ogni successo nel nuovo e impegnativo incarico e per esprimerle tutta la mia gratitudine per il lavoro che ha svolto da Vice Presidente del Senato in questi quasi quattro anni di legislatura.

Quando la Ministra Fedeli, più di un anno fa, mi ha invitato ad aderire alla campagna dell’Onu dedicata agli uomini che si intendono impegnare per la parità di genere, ho aderito con sincero entusiasmo. Sono sempre stato convinto, infatti, che questa non debba essere una battaglia esclusivamente delle donne ma, al contrario, una battaglia comune con lo scopo di arrivare a una maturazione traversale, che incida sia sul piano normativo che su quello culturale.

Sono felice quindi che negli ultimi mesi gli uomini che hanno aderito abbiano superato il milione, perché questo limite non potrà essere superato senza la partecipazione piena, attiva e consapevole degli uomini. Gli interventi di carattere legislativo sono senza dubbio necessari ma l’arma vincente è rappresentata dal cambiamento culturale. Sappiamo infatti che non sarà uno strumento giuridico, una convenzione, una nuova Carta dei diritti, a farci raggiungere questo obiettivo. La parità tra i generi è una meta di civiltà rispetto alla quale nessuno può abdicare. Deve essere il frutto di una progressiva ed inesorabile azione di maturazione delle coscienze di tutti, che vada anche “oltre le regole”.

Da uomo delle istituzioni e da servitore dello Stato suona quasi come una sfida dire che la parità tra i generi debba essere conseguita andando “oltre le regole”, oltre quel concetto di quote di genere previsto attualmente dalle leggi. Anche perché sappiamo che dove si viene nominati le percentuali premiano gli uomini, mentre dove si accede per regolare concorso sono le donne a prevalere. Andare “oltre” le regole non significa andare contro le regole. Tutt’altro. Significa rendere le scelte realmente sentite, metabolizzate, frutto di un processo di maturazione ampio che deve interessare tutti gli strati della popolazione, un processo che deve coinvolgere tutti gli ambienti, tutti i luoghi rilevanti della vita e del confronto pubblico, a partire dalla politica e soprattutto dalle scuole, sin da quelle primarie.

Al riconoscimento delle doti e delle qualità del mondo femminile, non è ancora seguito in modo completo quel salto di qualità ulteriore che è costituito dal raggiungimento di posizioni di vertice, in completa parità con l’universo maschile, anche perché permane un divario retributivo inaccettabile per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.  Nell’attuale momento di crisi che investe mercati, Stati, società civile, non è un caso che i Paesi a più alta occupazione siano quelli dove la partecipazione femminile al mondo del lavoro è stata garantita in modo efficace. Qualche settimana fa ho avuto l’onore di fare l’orazione funebre di Tina Anselmi. Ho voluto ricordare soprattutto una donna che si è sempre fatta alfiere di battaglie spigolose ma decisive per il futuro della nostra allora giovane democrazia: diritti dei lavoratori, diritto alla salute, questioni sociali relative al ruolo della famiglia e in modo particolare al ruolo della donna.

La parità di genere, tanto nella società quanto nella politica, tardava a realizzarsi sebbene fosse stata solennemente sancita con l’articolo 3 della nostra Costituzione. Quarant’anni fa, pensare una donna a capo di un dicastero, per di più rilevante e decisivo come quello del Lavoro e delle politiche sociali, sembrava quasi inimmaginabile. Ancora oggi non abbiamo tenuto completamente fede al disegno costituzionale ma fu anche grazie a Tina Anselmi che iniziammo ad assestare colpi decisivi a quel “soffitto di cristallo” che impedisce alle donne di concorrere pienamente alla vita politica del nostro Paese. Sono certo che le capillari iniziative sorte intorno alla campagna “He-For-She” offriranno nuove opportunità di incontrarsi, di rinnovare l’impegno per rilanciare la volontà politica e di mobilitare l’opinione pubblica.

Ci sono ottime premesse ma molto dipenderà anche dalla nostra perseveranza, dalla capacità di diffondere una nuova cultura e trasmetterla alle nuove generazioni.  Molto è stato fatto, penso anche alla ratifica della Convenzione di Istanbul, molto resta ancora da fare. Ogni donna di qualunque età e in ogni parte del mondo deve vedere riconosciuti e tutelati i propri diritti: il diritto di vivere libere dalla violenza, il diritto all’istruzione, il diritto di partecipare al processo decisionale e il diritto di ricevere parità di retribuzione per lo stesso lavoro. La parità di genere è una meta di civiltà che tutti dobbiamo perseguire con determinazione e convinzione. Partendo anche dall’impegno degli uomini.

Grazie e buon lavoro

Progetto Articolo 9 della Costituzione

Caro Professor Rovelli, Autorità, care ragazze e cari ragazzi,

è sempre una grande emozione per me vedere l’Aula piena di giovani appassionati e partecipi in occasione di cerimonie come quella di oggi. Sono profondamente convinto che aprire le porte del Senato alle scuole serva a far crescere il rapporto tra le Istituzioni e i cittadini di domani e, quindi, a far entrare il futuro in uno dei luoghi più importanti della nostra democrazia. Grazie a tutte le realtà – Parlamento, ministeri, fondazioni, media – che hanno permesso al progetto “Articolo 9 della Costituzione” di rinnovarsi di anno in anno e giungere così alla sua quinta edizione, un percorso che ha saputo coinvolgere decine di migliaia di studenti. E’ un risultato straordinario: sono davvero fiero della strada che abbiamo fatto finora, e molto curioso di vedere i risultati dell’edizione che si apre oggi.

Quando leggiamo la prima parte della Costituzione emergono con forza i tre valori che guidarono la mano dei Costituenti, tre principi che dobbiamo seguire per realizzare ogni progetto, per raggiungere ogni obiettivo in campo sociale e politico: l’ambizione, l’utopia e la responsabilità. L’ambizione intesa come continua ricerca, volontà di superare le sfide che la vita ci pone, di impegnarsi a fondo nel proprio campo e di arrivare a raggiungere grandi obiettivi senza cedere a scorciatoie o compromessi; l’utopia, che significa sognare in grande e immaginare il futuro, è la spinta che ci muove in ogni cammino, l’orizzonte cui deve rivolgere il cuore e lo sguardo chi inizia la grande avventura della propria vita adulta; la responsabilità di andare avanti senza tradire gli ideali e i principi che ci legano, quelli che sono espressi nei primi 12 articoli della Costituzione, valori in cui credere e che ci danno la forza nei momenti di difficoltà.

L’articolo 9 recita: “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione“. Fateci caso, parla soprattutto di bellezza: la bellezza della cultura, della ricerca scientifica, del nostro patrimonio storico e artistico, e chiede di impegnarci tutti a custodirla, accrescerla e promuoverla.

I padri costituenti vollero inserire questo articolo proprio nei principi fondamentali perché racchiude in sé il nucleo della nostra comunità nazionale, cresciuta grazie alla ricchezza della sua terra e grazie al talento delle sue donne e dei suoi uomini. Dobbiamo essere consapevoli della nostra fortuna. Possiamo infatti godere – da nord a sud – dello spettacolo impareggiabile dei nostri mari, delle montagne, delle isole, di città uniche e di borghi che il mondo intero ci invidia. Non solo. Abbiamo anche contribuito, e continuiamo a farlo, al progresso e al sapere dell’umanità in tutti i campi della cultura: dalla fisica alla letteratura, dal teatro alla conquista dello spazio, dalla medicina alla musica.

Con l’articolo 9 i padri costituenti vollero ribadire il profondo legame che la neonata Repubblica avrebbe dovuto mantenere con le sue nobili radici e, al tempo stesso, indicare proprio nella tutela e nell’accrescimento di quel patrimonio la strada maestra da percorrere.

Il progetto che per i prossimi mesi vedrà impegnati gli studenti più giovani intende dare l’opportunità di confrontarvi con le grandi invenzioni del passato ed i loro autori. Gli studenti più grandi saranno invece chiamati a esplorare i percorsi della ricerca scientifica contemporanea, a interrogarsi sui temi più rilevanti per il futuro del nostro Pianeta, a prendere coscienza delle domande alle quali speriamo di dar presto risposta.

Usate questa esperienza per sorprendervi nello scoprire e coltivare i vostri talenti, per alimentare la vostra curiosità verso il mondo. Tra di voi può esserci il prossimo Guglielmo Marconi o Carlo Rubbia, la prossima Rita Levi Montalcini o Elena Cattaneo: uomini e donne di scienza che hanno dato lustro all’Italia e che per questo sono stati nominati senatori, sedendo sugli stessi banchi sui quali siete seduti voi oggi.

Le Istituzioni – dalla scuola ai ministeri fino al Parlamento – sono e saranno sempre dalla vostra parte. Dobbiamo farlo se abbiamo a cuore il benessere e il futuro del nostro Paese; dobbiamo farlo per dare piena attuazione all’articolo 34 della Costituzione, che impone allo Stato il compito di assicurare il diritto ai “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi” di “raggiungere i gradi più alti degli studi”.

Ancora una volta, quindi, il progresso si può realizzare solamente attraverso l’unione di intenti e la condivisione di obiettivi e strategie. Non esiste altra strada se non quella di essere, sentirsi e agire come una comunità coesa e solidale: studenti, famiglie, professori, Istituzioni. A proposito di docenti: lontano dai clamori mediatici, con grandi difficoltà e sacrifici, troppo spesso non riconosciuti, fate un lavoro straordinario. Grazie davvero.

Oggi assisteremo ad una lezione speciale, quella del professor Carlo Rovelli, che ringrazio per aver accettato il nostro invito. Le sue “sette brevi lezioni di fisica” sono state un successo editoriale straordinario, e ci hanno aiutato a rompere il vecchio muro tra scienza e cultura, viste troppo spesso come mondi separati.

Un libro che spiega anche a chi non ha competenze specifiche la bellezza di un’equazione in grado di illuminare un pezzo di conoscenza in più sul nostro mondo, la difficoltà di avere a che fare con l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, la necessità di essere visionari per essere grandi scienziati e, insieme, l’umiltà che hanno avuto alcuni grandi geni nel proporre le loro scoperte. Due cose soprattutto possiamo trarre dal suo sforzo di divulgazione. La prima è la consapevolezza che più scopriamo più c’è da scoprire, che ogni risposta ci espone a mille nuove domande. La seconda è che anche i migliori, quelli che cambiano il corso della scienza, ad esempio Einstein, affrontando grandi sfide vanno incontro a grandi delusioni, ad anni di studi pazzi, tentativi ed errori.

Fate tesoro di questi insegnamenti. Abbiate il coraggio di provare, di fallire e ricominciare da capo, di mettere anima e cuore nelle vostre idee, di rischiare. Fatelo esprimendo al meglio il vostro talento, mettendo in gioco la competenza di cui disponete con la stessa ambizione, utopia e responsabilità dei padri costituenti. Solo così sarete davvero protagonisti della vostra esistenza e non spettatori di quella altrui, solo così potrete un giorno costruire un’Italia e un mondo migliori.

Ripongo in voi una grande speranza, sono sicuro che come sempre saprete stupirci.  Buon lavoro e buona ricerca!

Un paese di Calabria

Presidente Manconi, autorità, gentili ospiti,

è un grande piacere intervenire alla proiezione di  “Un paese di Calabria”, il docufilm  di Shu Aiello e Catherine Catella che racconta di questo gioiello che è il comune di Riace.

Vorrei partire da una considerazione che, ancora in troppi, si rifiutano di fare propria. Le nostre città, le nostre famiglie, le classi dei nostri figli e nipoti, sono destinate a colorarsi di altre realtà, a generarne di nuove, a fare i conti con tradizioni profondamente differenti. Lo ha capito Domenico Lucano che, dal primo arrivo di richiedenti asilo curdi nel lontano 1998, ha costruito le basi di un progetto oggi studiato e ammirato in tutto il mondo. Mi ha fatto sorridere sapere che quando si è candidato per la prima volta a Sindaco non fu votato da suo padre, oggi orgoglioso dei risultati dell’Amministrazione di Riace. E’ un esempio di come occorrano uomini capaci di sognare in grande e in grado coinvolgere altre persone, giorno dopo giorno.  Con lui i suoi concittadini hanno colto una grande occasione facendo rinascere, sia sotto il profilo economico che sotto quello sociale e culturale, una comunità destinata altrimenti a spegnersi lentamente. Fino a pochi anni fa, infatti, questo piccolo comune contava 900 abitanti, oggi ne ha 2100.

Non voglio privare nessuno di voi del piacere di guardare il film ma vorrei comunque riflettere insieme a voi su due scene che mi hanno particolarmente colpito. La prima. Una classe di una diecina di studenti e studentesse, nessuno nato nel nostro Paese. A Riace stanno imparando la nostra lingua e si esercitano anche cantando l’inno d’Italia. C’è chi si distrae, chi canta convintamente, chi a causa di un precedente “litigio” con una compagna di classe se ne sta in disparte, chi stenta a tenere il ritmo o sbaglia qualche parola. Ognuno ha una storia, un passato e delle tradizioni ma si sentono già un  po’ italiani: impareranno ad amare la nostra cultura e la arricchiranno con la propria. E’ a scuola che, più di ogni altro luogo, si creano le condizioni migliori per poter realizzare una integrazione di successo. Lo scambio che ogni giorno si realizza in quella classe è un immenso patrimonio: del resto per secoli la nostra terra è stata uno straordinario crocevia di civiltà che, proprio in virtù delle loro diversità, sono prosperate e cresciute.

La seconda. Viene intervistato un ragazzo che racconta della terribile esperienza dell’attraversamento del Mar Mediterrano. Un fiume di parole raccapriccianti, i dettagli di una tragedia nella quale decine di persone rimangono per giorni prigioniere di questa piccola barca alla deriva senza viveri e senza acqua; i più deboli muoiono lì, tra le onde di questo mare che dalla terra ci appare sempre bellissimo. Per tutta la durata del racconto l’inquadratura indugia sull’uomo che ricorda l’incredibile dramma che ha vissuto. Le parole stridono con l’espressione del suo viso: in nessun momento  smette di avere un sorriso imbarazzato, quasi si sentisse in colpa per essere sopravvissuto ad un’esperienza destinata a segnare la sua anima per sempre.

Nonostante tutto ce l’ha fatta, è riuscito a raggiungere il nostro Paese, la salvezza: questo gli basta per coltivare la concreta speranza di un futuro diverso e migliore, forse in Calabria, o in qualche altra regione d’Italia o d’Europa. Concludo. “Un paese di Calabria” è un bel film che descrive con un tocco gentile ma profondamente diretto uno spaccato di Paese che dobbiamo guardare con orgoglio. Riace, così come Lampedusa, rappresenta l’Italia capace di dare piena attuazione alle proprie leggi, di tener fede ai nostri principi morali e di interpretare con coraggio e ambizione le grandi sfide che tutti saremo chiamati ad affrontare.

Buona visione a tutti!

Zero Hackathon. Prima maratona di idee per un futuro sostenibile

Autorità, Signore e Signori, carissime ragazze e carissimi ragazzi,

Ho accolto davvero con piacere l’invito del Presidente Frattini a prendere parte alla cerimonia di apertura di “Zero Hackathon. Prima maratona di idee per un futuro sostenibile” e devo ringraziarlo per questa bella opportunità di incontro con giovani brillanti e appassionati provenienti da tutto il mondo.

Proprio a voi cari ragazzi mi vorrei rivolgere in questo mio breve intervento.

Io amo queste occasioni perché la vostra intelligenza, le vostre idealità, i vostri sogni sono per me sempre motivo di ispirazione, di gioia e di speranza per il futuro dell’umanità. Nei prossimi giorni vi sfiderete con il nobile obiettivo di elaborare progetti sulle grandi questioni con le quali si deve confrontare l’umanità: alimentazione, ambiente, clima e quest’anno in particolare il legame fra clima, cibo e agricoltura. Sono sfide esistenziali, perché da esse dipende il futuro del genere umano e del Pianeta. Per usare le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2016 “senza un’azione concertata… milioni di persone rischiano di cadere in uno stato di povertà e indigenza, minacciando di rendere vane acquisizioni fin qui raggiunte a caro prezzo”. Sono sfide che riguardano tutte le generazioni, e questo bel progetto si rivolge alla vostra generazione (dai diciotto ai trent’anni), perché possiate da subito contribuire alle soluzioni dei problemi con il vostro ingegno, la vostra creatività e la vostra capacità di lavorare insieme.

A settembre dell’anno scorso io ero a New York con i presidenti dei parlamenti di tutto il mondo quando sono stati adottati gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che vanno dalla pace, giustizia e rafforzamento istituzionale all’eradicazione della fame e della povertà, dall’uso sostenibile delle risorse alla riduzione delle diseguaglianze alla qualità dell’educazione e del lavoro. Io credo che gli obiettivi possano ridursi a tre grandi priorità: il lavoro e lo sviluppo economico, la sostenibilità ambientale e l’inclusione sociale. A proposito dell’eguaglianza e del lavoro come valori fondanti della vita sociale, vorrei ricordare la norma forse più importante della Costituzione italiana che afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, ma non si ferma qui e aggiunge che è compito delle istituzioni agire per rimuovere tutti gli ostacoli economici e sociali che di fatto limitano quella libertà e quell’eguaglianza e che in concreto impediscono a ciascuno di conseguire le proprie aspirazioni, di sviluppare le proprie potenzialità e di partecipare alla vita politica e sociale.

Lo sviluppo economico quindi è il primo strumento per la crescita personale e sociale del genere umano. Ma (ed è questa la seconda priorità) non è più possibile relegare la questione ambientale ai margini dei modelli di sviluppo, perché i danni all’ambiente e alla salute umana prodotti dalla crescita economica senza controllo sono costi inaccettabili. A proposito del cambiamento climatico, l’auspicio è che lo storico accordo di Parigi (che il Parlamento italiano ha ratificato di recente) segni l’inizio di un percorso di consapevolezza che richiederà coraggio e determinazione.

Vorrei infine ricordare che, anche se per fortuna la povertà nel mondo si è ridotta, anche nei Paesi più fortunati sono cresciute le diseguaglianze: la frattura fra benestanti e poveri si è aggravata e molte persone vengono spinte verso la marginalizzazione e la mancanza di prospettive e diventano vulnerabili al radicalismo e all’illegalità che mettono in pericolo la pace per tutti.

Mi avvio alla conclusione.

Care ragazze e cari ragazzi, le sfide che abbiamo davanti sono immense. Insieme dobbiamo pensare, adesso, a come garantire all’umanità, ad ogni persona in ogni angolo del globo, cibo, benessere, pace, diritti e libertà. Voi provenite da tante nazioni e in questi giorni qui incrocerete lingue, culture e tradizioni diverse: usate questa meravigliosa ricchezza per migliorarvi e lavorare insieme immaginando il Pianeta nel quale vivrete voi, i vostri figli, i vostri nipoti. Il vostro tempo è giunto, è tempo che prendiate in mano il destino dell’umanità. A tutti auguro con affetto di vivere una bellissima esperienza.

Buon lavoro e in bocca al lupo! Grazie.

Fuocoammare, messaggio di libertà e di umanità

Autorità, gentili ospiti, cari amici,

con molto piacere auguro a tutti un cordialissimo benvenuto nella bella Biblioteca del Senato per la proiezione del film documentario “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, che si tiene nell’ambito della manifestazione “Migrazioni: da Marcinelle a Lampedusa. Capire la nostra storia per guardare al futuro”. Come ricorderanno coloro che erano presenti mercoledì scorso all’apertura degli eventi, abbiamo voluto collegare idealmente il Mediterraneo al Belgio e agli altri luoghi di emigrazione italiana per accostare le storie degli italiani che furono costretti allora a lasciare il Paese, e le vicende delle donne e degli uomini che ora bussano alla porta dell’Europa. L’auspicio è che ripensare a come eravamo e come vivevamo ci rammenti il dovere, morale e giuridico, di accogliere con umanità e solidarietà chi giunge in Europa con un pesante carico di paura, di dolore, di fatica e di speranza. Saluto il dottor Pietro Bartolo, protagonista del film, che sono felice di rivedere ancora in Senato, e il montatore Jacopo Quadri, che qui rappresenta il gruppo di lavoro che ha realizzato il documentario. Il registra Gianfranco Rosi oggi si trova all’estero anche per promuovere la candidatura all’Oscar del suo lavoro e noi con orgoglio e affetto gli auguriamo ogni possibile successo.

Al film io sono molto legato sul piano personale anche perché collega due momenti della mia vita intrecciati intorno a Lampedusa. Da Procuratore Nazionale Antimafia mi ero recato più volte sull’isola per le indagini contro gli infami trafficanti di esseri umani. Ancor prima avevo imparato, da visitatore con la mia famiglia, a conoscere e amare Lampedusa, il suo mare, le sue cale, la sua cucina, la sua gente. Poi ho visto il film ed è stato un pugno nello stomaco: nonostante in quarant’anni in prima linea da magistrato abbia visto davvero di tutto, non sono mai riuscito ad abituarmi alla morte, alla sofferenza umana, alla violenza. Dopo avere visto il film ho voluto tornare a Lampedusa per conoscere meglio la macchina del salvataggio e dell’accoglienza e per parlare con le persone, i migranti, gli operatori, i cittadini. E, dopo avere assistito ad uno sbarco, ho maturato la certezza che a Lampedusa l’Europa nasce, o muore, nel senso che o siamo capaci di essere europei sin dal primo attimo in cui una persona in difficoltà bussa alla nostra porta, oppure siamo tutti destinati ad un rapido declino, geopolitico e soprattutto morale.

Di quel giorno non dimenticherò mai gli occhi dei migranti che sbarcavano: centoventicinque fra donne, uomini e bambini. Vi leggevo storie raccapriccianti di dolore, paura e orrore. Ma man mano che scendevano e venivano accolti (dal dottor Bartolo, dai volontari, dalle forze di polizia, dai militari) con una mano tesa, un sorriso, un tè caldo, negli sguardi si accendeva la luce della fiducia e della speranza, la consapevolezza di essere fra amici e finalmente al sicuro. Un grande miracolo di umanità. Per questo non dimenticherò mai la generosità e la dedizione degli operatori e dei cittadini lampedusani, che hanno fatto dell’isola un avamposto della solidarietà famoso in tutto il mondo.

Mi avvio alla conclusione per lasciare la parola ai due protagonisti e poi alla visione del film, che rende magistralmente lo scorrere della vita quotidiana sull’isola e il dramma di migliaia di persone che affrontano le insidie del mare in cerca di una speranza. Il film mostra al mondo come gli italiani sanno affrontare le loro responsabilità nel Mediterraneo, responsabilità che derivano da ciò che rappresentiamo, da chi siamo e da dove veniamo, in sintesi dalla nostra storia millenaria di crocevia di civiltà, di incontro fra popoli, di scambio di idee. Da siciliano sono cresciuto guardando dal balcone l’Africa e sono diventato uomo con i suoni di un dialetto, i profumi di una cucina e la bellezza di opere d’arte che parlano arabo, ebraico, greco e mille altre lingue. Oggi è il nostro dovere di mediterranei e italiani portare in Europa un progetto di futuro dove la coesione sociale non si edifica attorno alla nazionalità, alla religione e all’etnia ma attorno all’impegno per il bene comune e alla dignità umana. Un messaggio di libertà e di umanità che Fuocoammare da Lampedusa rivolge a tutto il mondo.

Grazie.

 

 

 

 

 

“Parlamento e Politiche Pubbliche”, presentazione del Master Luiss 2016

Caro Professor Manzella, docenti, carissimi studenti,

sono particolarmente lieto di potervi accogliere in Senato per l’inaugurazione del Master in Parlamento e Politiche pubbliche frutto della collaborazione tra la Luiss Guido Carli e questa istituzione parlamentare. Questo appuntamento è ormai una tradizione che si rinnova di anno in anno, di legislatura in legislatura, a conferma del legame profondo fra il Senato e il mondo universitario soprattutto in relazione a quelle iniziative di formazione specialistica che trovano nel Parlamento il proprio principale oggetto di studi. E questa è anche un’occasione importante di confronto sui problemi aperti del parlamentarismo contemporaneo nel dibattito interno ed internazionale. Mi sembra poi particolarmente significativo che l’incontro odierno si svolga in un’aula di commissione, vero motore pulsante dell’attività parlamentare. La capacità di analizzare il funzionamento del Parlamento non solo sul piano teorico, ma nella prassi quotidiana e nell’interazione con le dinamiche politiche, rappresenta, infatti, un valore aggiunto per un percorso di formazione specialistico sugli studi parlamentari.

Molti oggi affermano che siamo di fronte ad una crisi strutturale del Parlamento e addirittura a un problema di identità delle assemblee elettive causato da fattori politici e istituzionali. Sul piano politico, il Parlamento fatica a svolgere il suo ruolo tradizionale di mediazione, per una pluralità di fattori: la frammentazione partitica e il trasformismo parlamentare. La mediazione politica si svolge sempre di più al di fuori degli ordinari circuiti parlamentari e le forze parlamentari sono costrette in un ruolo più passivo che attivo. Le conseguenze di queste tendenze si avvertono non solo nel rapporto fra Parlamento e Governo, ma anche in quello fra elettori e rappresentanti. Alimentato della crisi etica dei partiti, il senso di disaffezione degli elettori nei confronti della politica si ripercuote in maniera crescente sull’istituzione parlamentare e investe la rappresentanza quale interprete e filtro dei bisogni e degli interessi della cittadinanza.

Sul piano istituzionale, il ruolo del Parlamento è sminuito in diversi ambiti. Nella produzione legislativa, le forzature spesso imposte al procedimento parlamentare dal ricorso strutturale alla decretazione d’urgenza e al voto di fiducia mortificano il ruolo primario del Parlamento come sede trasparente e pubblica di dibattito e conciliazione delle istanze politiche, nonché come luogo di ponderazione di soluzioni alternative. Rispetto alle funzioni non legislative, inoltre, i poteri di indirizzo e di controllo del Parlamento sono fortemente limitati dal crescente rilievo di sedi decisionali, quali le Banche centrali e le istituzioni finanziarie, sottratti agli ordinari circuiti di controllo democratico.

In questa difficile fase si registrano anche interessanti segnali di cambiamento che testimoniano la straordinaria vitalità di questa istituzione. Penso per esempio al crescente dinamismo nella gestione degli affari europei del Parlamento italiano, il Senato in primo luogo. Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona le commissioni parlamentari hanno partecipato al controllo preventivo delle proposte legislative della Commissione europea, e hanno quindi discusso nel merito questioni politiche di primario interesse per il Paese. I recenti pareri della nostra Commissione Affari costituzionali in tema di asilo ed immigrazione lo confermano. L’interlocuzione con il Governo sui temi europei è stata rafforzata e resa strutturale, grazie soprattutto allo strumento delle “comunicazioni in aula” del Governo in corrispondenza delle riunioni del Consiglio europeo. Altri cambiamenti si registrano nella partecipazione del Parlamento alla definizione delle politiche finanziarie e di bilancio. I penetranti vincoli di bilancio dell’Unione offrono al Parlamento un parametro oggettivo per valutare le proposte legislative e programmatiche del Governo. Gli strumenti informativi analitici redatti in modo indipendente dall’Ufficio parlamentare di bilancio consolidano l’autonoma capacità valutativa del Parlamento e ne rafforzano i poteri di controllo sull’esecutivo.

Questi segnali che riguardano il Parlamento italiano devono essere contestualizzati ed interpretati alla luce delle tendenze in atto in altri Paesi europei. In Germania, il ruolo del parlamento è stato difeso in modo strenuo, con le sentenze del Tribunale costituzionale tedesco che rafforzano i poteri del Bundestag e del Bundesrat nel processo di integrazione europea. Mi sembra molto interessante la pronuncia della Corte suprema del Regno Unito secondo la quale sarebbe antidemocratico affidare solo al governo il potere di incidere sui diritti individuali come avverrebbe uscendo dall’Unione europea: si tratta di un’importante difesa della sovranità parlamentare e un’affermazione dell’irrinunciabilità della dimensione parlamentare. La politica può cercare negli strumenti di democrazia diretta, come le consultazioni popolari, un supporto rispetto a scelte strategiche, ma solo nel Parlamento risiedono le vere garanzie del pluralismo per la tutela dei valori fondamentali della democrazia, dello Stato di diritto, dei diritti e delle libertà, anche delle minoranze.

In conclusione, anche guardando allo scenario internazionale, il parlamento si conferma più che mai una istituzione strategica nelle dinamiche istituzionali che legano i cittadini a procedimenti decisionali complessi e sempre più globalizzati. Non vi è alternativa alla democrazia rappresentativa e al ruolo dei Parlamenti, che offrono al cittadino strumenti insostituibili per conoscere, comprendere, contribuire alle decisioni che li riguardano. Perché le assemblee rappresentative siano poste nelle condizioni di esercitare al meglio questa funzione, bisogna investire nella riscoperta della partecipazione alla dimensione pubblica che parta dalla base. E cioè che muova dalla formazione politica dei futuri parlamentari, e quindi dal recupero a favore dei partiti del ruolo di autentici intermediari delle istanze provenienti dal basso. E che parta dalla comunicazione politica, che deve abbandonare l’approccio demolitorio dell’anti-politica e degli attacchi alla casta per riappropriarsi del suo ruolo di strumento di informazione e sensibilizzazione. I cittadini devono poter conoscere in maniera sempre più trasparente l’operato degli eletti, coerentemente con quella visione del “Parlamento porticato” che più volte il prof. Manzella ci ha ricordato, riprendendo la celebre definizione hegeliana.

La costruzione di professionalità avanzate a supporto del Parlamento, a cui è diretto questo Master, costituisce un fondamentale tassello di questo percorso. Per fare leggi e costruire politiche pubbliche servono bravi specialisti che aiutino gli eletti a tradurre la propria visione politica in proposte concrete. Il percorso che vi aspetta, cari studenti, richiede impegno e dedizione. Per lavorare in Parlamento servono competenze interdisciplinari e vocazione alla specializzazione, conoscenze tecniche e intelletto politico, autonomia di giudizio e capacità di adattamento ai ritmi del supporto della politica. Sono certo che, guidati anche dall’esempio di studiosi e uomini delle istituzioni come il prof. Manzella e i vostri docenti, saprete proseguire con coraggio e determinazione nel vostro cammino.

A questo proposito, io sono fermamente convinto che i parlamentari abbiano un forte bisogno di informazioni accurate e facilmente fruibili per valutare la coerenza fra obiettivi e risultati delle diverse politiche. L’interrogativo principale riguarda l’efficacia dell’utilizzo delle risorse pubbliche impiegate per determinare un certo cambiamento. Il cambiamento è avvenuto davvero? In caso positivo, è merito delle risorse impegnate o sarebbe avvenuto comunque? A chi è servito? Si sarebbe potuto fare meglio? Sono convinto che anche questo sia il percorso per consentire alla politica, e al Parlamento, di acquisire una rinnovata legittimità attraverso il migliore soddisfacimento delle esigenze del Paese. Come ho già detto, per fare questo è necessario potere disporre di funzionari specializzati nella gestione dei processi parlamentari tradizionali e nelle funzioni di valutazione e controllo.

Io mi sono affacciato da poco tempo all’esperienza rappresentativa ma ho sempre creduto che la missione della politica, quella con la “P” maiuscola, sia interpretare e dare corpo e sostanza ai bisogni dei cittadini, perseguendo l’interesse generale piuttosto che facili consensi e lusinghe elettorali. La sfida futura è nella ricerca di una nuova dimensione etica della politica, basata sulla riscoperta del mandato rappresentativo come servizio alla collettività: un mandato che è libero soltanto se sa superare la ricerca del favore mediatico e incarnare il senso vero e profondo della democrazia. Il primo strumento di questo rinnovamento è ripensare il ruolo dei partiti e la loro regolamentazione interna, anche ai fini della selezione della classe dirigente, secondo il parametro del “metodo democratico” che è richiamato dall’articolo 49 della Costituzione, purtroppo ancora inattuato.

Concludo rivolgendo a voi, cari studenti, l’invito a non desistere mai dal perseguire i vostri sogni e i vostri progetti di vita, continuando ad investire le migliori energie nella passione per gli studi parlamentari che vi ha portato a scegliere questo percorso formativo. Vi ringrazio per l’attenzione e rinnovo a tutti voi i miei migliori auguri per l’inizio del Master.

Stato di diritto e diritto alla conoscenza

Autorità, Gentili ospiti, cari amici,

ho accolto con piacere la proposta del Segretario Generale del Global Committee for the Rule of Law Marco Pannella, Matteo Angioli, di ospitare in Senato un convegno sullo “Stato di diritto e diritto alla conoscenza”, promosso con l’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali, la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale e il Partito Radicale in continuità con la Conferenza internazionale sugli stessi temi che si è tenuta qui in Senato nel luglio dell’anno scorso. Quell’evento era stato fortemente voluto da Marco Pannella e io vorrei cogliere l’occasione per ricordare, a poco più di sei mesi dalla scomparsa, il grande protagonista della nostra storia politica, sociale e civile che ha dedicato il suo impegno, come egli amava dire, al “diritto alla vita e alla vita del diritto”. Ieri ho avuto modo di consultare il corposo documento informativo del convegno e lascio agli autorevoli relatori l’approfondimento dei temi politici, tecnici e giuridici sottesi all’iniziativa per l’affermazione del diritto alla conoscenza. Io mi limiterò a proporre tre ordini di considerazioni, che spero possano contribuire al dibattito.

La prima riguarda l’espressione Stato di diritto, che credo sia importante intendere correttamente, come premessa ad ogni altro ragionamento. In senso formale, tale locuzione identifica gli ordinamenti in cui i pubblici poteri sono conferiti dalla legge ed esercitati nelle forme e con le procedure da questa previste: società sub legem anziché sub hominem, sottoposte alla supremazia della legge e non all’arbitrio dei governanti come nel diritto premoderno. Ma questo non basta perché persino negli ordinamenti più illiberali e liberticidi i poteri pubblici hanno fonte e forma legale: si può realizzare il paradosso di società formalmente democratiche e fondate sullo Stato di diritto, ma di fatto non libere. La storia ricorda per esempio che il primo governo Hitler che sopprimeva la repubblica di Weimar si era insediato attraverso procedure formalmente democratiche, mentre la IV Repubblica Francese, fondata dal generale De Gaulle con un colpo di stato, era democratica di fatto.

Perché un sistema politico possa essere definito uno Stato di diritto democratico, esso deve fondarsi sulla rappresentanza del popolo in assemblee elettive attraverso elezioni universali; sulla separazione fra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario; sul ricambio e la possibilità di revoca dell’esecutivo; sulla collegialità del governo. In senso sostanziale, Stato di diritto identifica quindi gli ordinamenti nei quali i poteri pubblici sono soggetti alla legge rispetto alla forma ma anche ai contenuti della propria azione: i tre poteri sono vincolati a princìpi sostanziali posti da carte costituzionali rigide fondate sulla separazione dei poteri e la garanzia dei diritti fondamentali rispetto ai poteri pubblici. Lo Stato costituzionale di diritto è il risultato di un’evoluzione culturale che si esprime in un patto sociale a struttura tripartita: la legge limita l’operare dell’esecutivo; la legge prestabilisce cosa è vietato, così escludendo l’arbitrio giudiziario; la legge stessa è vincolata a princìpi sostanziali di giustizia. Realizzare la democrazia sostanziale significa impegnarsi a difendere i diritti sociali primari (istruzione, lavoro, salute, giustizia), i diritti fondamentali, le libertà e i valori universali: eguaglianza, rispetto reciproco, tolleranza, solidarietà, pace, non violenza.

La seconda osservazione riguarda il diritto all’informazione, che è il presupposto per conoscere e formarsi un’opinione consapevole, dunque è condizione essenziale per la democrazia, l’esercizio dei diritti e la partecipazione al processo decisionale. La democrazia, particolarmente nella sbornia informativa che viviamo per causa dell’evoluzione tecnologica, richiede dei mezzi di informazione improntati ad una precisa gerarchia di valori e orientati anzitutto a mettere i cittadini in condizione di concorrere a determinare, orientare e modificare l’indirizzo politico. Come scrisse Joseph Pulitzer “un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema… ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo”.

L’ultima considerazione riguarda il diritto alla conoscenza, oggetto della campagna che state conducendo. Io sono convinto che esso vada pensato e strutturato negli ordinari circuiti istituzionali democratici, non già come alternativa alla democrazia rappresentativa ma come rafforzamento dei poteri informativi e di partecipazione dei cittadini ai processi politici e al funzionamento delle istituzioni democratiche, e nei limiti che la legge pone legittimamente a protezione della riservatezza dei dati personali e degli interessi pubblici coinvolti in ogni data fattispecie. Se è vero che lo Stato di diritto consiste in un patto sociale del quale i diritti fondamentali sono il fulcro, allora è al funzionamento del sistema che bisogna guardare, garantendo in particolare l’indipendenza della magistratura (ordinaria, amministrativa, contabile e costituzionale) che vigila sull’osservanza delle leggi da parte dell’esecutivo e la rispondenza delle leggi ai diritti, alle libertà e ai principi costituzionali. Il Senato per parte sua è stato fra le prime camere al mondo ad avere reso disponibili in formati aperti e accessibili secondo le migliori pratiche internazionali tutti i documenti e tutti i dati sull’attività di questa Istituzione. Noi siamo convinti di garantire ai cittadini la più ampia e chiara conoscenza del patrimonio normativo e giuridico del Paese e anche delle dinamiche politiche. Un impegno che ha un doppio significato: da una parte, garantisce la cognizione delle norme vigenti da parte di tutti e dall’altra favorisce la trasparenza dell’attività parlamentare, assicurando così la pienezza del processo democratico e consentendo uno sviluppo sociale, economico, civico più partecipato da parte dei cittadini.

Vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro dunque un proficuo dibattito. Grazie.

Sorella Morte. La Dignità del vivere e del morire

Autorità, gentili ospiti,

sono davvero felice che il Senato ospiti la presentazione del libro di Mons. Vincenzo Paglia, dedicato a un tema insieme intimo e universale come la morte e il cammino che ciascuno di noi è chiamato a fare nell’avvicinarsi, il più tardi possibile, ad essa. Il tavolo dei relatori è di altissimo livello, e mette insieme diverse sensibilità religiose e politiche, come è giusto fare di fronte al più insondabile dei misteri. Ringrazio di cuore il presidente della Commissione per la Biblioteca, Sergio Zavoli, che ha fortemente voluto questo incontro, l’Autore, che ha accettato il nostro invito, il senatore Lucio Romano, il Rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, l’onorevole Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, il dottor William Raffaeli, medico e Presidente della Fondazione ISAL-Ricerca sul dolore e il moderatore Aldo Cazzullo per la loro presenza.

Questo libro è molte cose diverse: un’analisi dello stato dell’arte delle convinzioni in merito alla morte e all’eutanasia che prende in esame tutte le posizioni in merito, sia laiche che religiose; una profonda riflessione sui valori etici della società attuale, con numerosi contributi filosofici di grande spessore; la presa in carico del compito di svelare alcuni grandi paradossi della modernità; un inno alla dignità della vita di tutti, di tutte le persone, in ogni parte del mondo e in ogni momento della propria esistenza. E’, infine, un punto d’arrivo ma soprattutto un punto di partenza imprescindibile per il dibattito futuro, sia politico che culturale, su questioni in merito alle quali, avverte Gustavo Zagrebelsky, citato dall’autore nelle prime pagine, occorre guardarsi dalla sicumera: “nelle questioni di questo genere la problematicità è un dovere”. Dei paradossi incontrati in queste pagine ne voglio citare alcuni che mi hanno particolarmente colpito. Il primo: l’aver allontanato, nel corso dell’ultimo secolo, la morte dalle nostre case per medicalizzarla e tecnicizzarla ci ha indotto, come conseguenza, un allontanamento dall’idea della morte e, purtroppo, dalle persone che stanno morendo. Con una bella immagine monsignor Paglia, riprendendo Elias, riassume questa condizione in poche parole: dalle mani dei familiari si è passati a quelle degli ospedali e infine a quelle degli “incaricati”, facendo diventare del tutto fuori moda quel momento di dolore e unione rappresentato dalla “Pietà” di Michelangelo: la pietà è stata estromessa, conclude l’autore.

Il secondo paradosso è dato dal progresso della tecnica e dall’emergere di nuove fragilità: se da un lato, grazie alla medicina, si è “allungata” la vita media di molti anni, dall’altro si fa fatica a riempirla di senso. Non solo, la vecchiaia, ci dice l’autore, col suo carico di fragilità, di dipendenza dagli altri e di solitudine, è diventata una nuova forma di povertà che colpisce ogni classe sociale. L’ultimo paradosso, se vogliamo, è il libro stesso.

Questo libro che è una lunga riflessione sulla malattia, la vecchiaia, la solitudine e la morte, si trasforma sotto l’occhio del lettore, pagina dopo pagina, in uno sfrenato inno alla vita, ad una vita piena e ricca grazie al potere di alcuni grandi spinte, oltre alla fede, naturalmente. Si intuisce, infatti, proseguendo nella lettura, l’enorme differenza tra il curare, che attiene alla sapienza di medici e specialisti, e il prendersi cura, che coinvolge, oltre loro, anche le persone vicine al malato, a partire dai familiari. Superare quella che Papa Francesco definisce “la cultura dello scarto”, che toglie dalla vista i poveri e i malati, ci porterebbe a rivedere non solo i nostri valori ma anche le nostre abitudini.

Ricostruire le relazioni familiari e amicali su basi meno mediate e più dirette, tornare a prediligere il contatto fisico e umano a quello tecnologico, superare la paura della noia e dell’imbarazzo nei rapporti deve diventare un imperativo per noi e soprattutto per i più giovani. Ritrovare il “calore” delle relazioni significa superare il muro dell’autosufficienza, del bastare a se stessi, che toglie più di quanto si riesca a percepire nel breve periodo.

E’ la solitudine, forse, il più diffuso dei mali del nostro tempo: non avere accanto qualcuno disposto a una carezza, a un dialogo, a un gesto di attenzione. Il poeta Dario Bellezza prima di morire solo, abbandonato, parlando della sua condizione, la riassunse in una frase piccola ma spaventosa: “nessuno che mi faccia una spremuta d’arancia”. Nessun servizio di consegna a domicilio, nessuna App potrà mai soddisfare il bisogno di non sentirsi soli perché, come ci ricorda la poesia di John Donne, “nessun uomo è un’isola. […] Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo all’Umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te”. Vado a concludere. Mi ha fatto molto piacere vedere citate dall’autore come particolarmente significative, “una via saggia da cogliere e da proseguire”,  le conclusioni elaborate dal Comitato scientifico della fondazione Cortile dei Gentili intitolate “Linee propositive sulla relazione di cura”, alla cui redazione hanno partecipato credenti e laici e che sono state presentate proprio qui in Senato poco più di un anno fa. In quel documento infatti si sono esplorati i confini delle cure e soprattutto si è definita la necessità di un’alleanza fiduciaria tra medico e paziente per costruire il migliore trattamento sanitario per ciascun individuo, tenendo nella dovuta considerazione anche i suoi convincimenti etici e morali e i principi di dignità, di libertà e di salute della persona, nella ricerca di una autodeterminazione consapevole che possa arrivare fino al rifiuto delle cure.

Nelle ultime pagine mons. Paglia scrive che una legge su questi aspetti è forse necessaria, ma avverte al contempo che nessuna legge potrà da sola dare un senso al passaggio finale dell’esistenza umana. Da parte mia sono convinto, e l’ho ripetuto spesso in questi anni da Presidente del Senato, che non esista tema che il Parlamento non possa trattare, nemmeno il più controverso. La politica deve essere in grado di poter discutere ogni aspetto rilevante che riguardi i cittadini e la comunità, a patto che il dibattito non si irrigidisca in posizioni preconcette e ideologiche ma al contrario favorisca l’ascolto e l’incontro tra idee e valori diversi. Dobbiamo essere consapevoli che quando si cerca di dare una fredda veste normativa a tematiche così dense di significati, di dolore e di speranza, a guidarci deve essere la responsabilità, la reciprocità, l’ascolto. In questo cammino il libro “Sorella Morte” potrà essere di grande aiuto. Grazie.

Amianto, contro morti e malati agire presto e bene

Presidente Fabbri, Onorevoli Ministri, autorità, gentili ospiti,

  esattamente un anno fa, proprio in questa sala, avevamo preso l’impegno di scrivere e portare all’attenzione del Parlamento un Testo Unico che indicasse un nuovo approccio rispetto al delicatissimo problema dell’amianto.

Sono davvero felice che oggi ci ritroviamo qui per presentare i risultati di un lungo e intenso lavoro della Commissione d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, che si è avvalso anche delle competenze dell’Inail e dell’Università degli Studi di Milano. Abbiamo infatti bisogno di unire le forze, di mettere da parte le indecisioni e le contraddizioni che hanno segnato l’approccio dello Stato al tema dell’amianto.

Ringrazio i relatori per aver voluto essere qui oggi. Insieme mandiamo un messaggio inequivocabile assumendoci, tutti, la responsabilità di agire presto e bene. Non è un mistero che il numero delle vittime dell’amianto, delle persone che si ammalano e di quelle che inevitabilmente lo faranno nei prossimi anni stia crescendo. L’impatto sulla collettività, tanto sotto il profilo sociale quanto sotto quello di sostenibilità economica, è impossibile da ridurre a cifre, anche perché riguarda dimensioni che vanno bel al di là dei dati economici. Sebbene sia sicuramente più alta l’attenzione pubblica e la consapevolezza collettiva dei devastanti effetti dati dall’esposizione all’amianto sulla salute, sono ancora molti i cittadini che vivono, lavorano, frequentano edifici o strutture nelle quali è presente questa letale sostanza. Oggi, finalmente, siamo in grado di proporre una revisione normativa complessiva in grado di affrontare tutte le sfaccettature – dalla tutela dell’ambiente alla sicurezza sul lavoro, dalle misure di prevenzione e protezione a quelle previdenziali – di una vera e propria emergenza nazionale.

Finalmente le Istituzioni stanno tentando di colmare questo gravissimo ritardo. In questa Legislatura abbiamo già compiuto alcuni passi considerevoli: penso all’approvazione della legge sugli Ecoreati, all’aumento del Fondo per le vittime contenuto nella scorsa legge di stabilità, ai decreti che a livello ministeriale hanno implementato le norme previste dal “collegato ambientale”. Il mio ruolo istituzionale mi impedisce di entrare nel merito de testo che viene presentato oggi: posso però dire che ritengo profondamente convincente la strategia complessiva indicata. Due anni fa ho incontrato alcuni familiari di vittime dell’amianto: conoscevo il tema come molti cittadini ma mai mi era capitato di toccare con mano la loro tragedia.

Quando Romana Blasotti venne a trovarmi nel mio studio mi disse una frase che non posso dimenticare e che ricordai anche un anno fa, proprio insieme a voi: “ho perso cinque familiari e ormai ho finito le lacrime”.

La sua vita, come quella di tutte le persone che hanno visto soffrire e poi hanno perduto una persona cara, è segnata in maniera indelebile. Agire significa dare dignità al dolore di nonne come Romana e, soprattutto, assicurare ai nostri figli e nipoti garanzie e tutele degne di un Paese civile. Concludo con l’auspicio che nel più breve tempo possibile si possa discutere, approfondire e approvare il Testo Unico. Da parte mia posso assicurarvi che farò tutto quello che il mio ruolo consente perché si possa raggiungere al più presto il risultato auspicato da tutti. Buon lavoro.