Presentazione della biografia a fumetti di Rita Levi Montalcini

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Un fumetto che racconta la lunga e intensa esistenza della Senatrice a vita e Premio Nobel, Rita Levi Montalcini. Come esempio da seguire. La pubblicazione, nata dalla collaborazione tra il Senato della Repubblica e la Fondazione scientifica internazionale EBRI (European Brain Research Institute), sarà presentata giovedì 26 gennaio, alle ore 15, nella Sala ‘Caduti di Nassiriya’, a Palazzo Madama. Interverrà il Presidente del Senato, Pietro Grasso. Saranno presenti, inoltre, i vertici della Fondazione EBRI. Il volumetto racconta la vita, il coraggio, le difficoltà del periodo delle leggi razziali antisemite e i successi scientifici della Senatrice a vita. La pubblicazione ha come obiettivo quello di sensibilizzare e motivare i giovani allo studio scientifico. Sarà distribuito nelle scuole e ai ragazzi che visiteranno Palazzo Madama.

 

Terremoto Centro Italia. Informativa del Presidente del Consiglio

Il Presidente del Senato ha trasmesso ai Capigruppo la lettera con la quale il Presidente del Consiglio dei Ministri ha comunicato la disponibilità del Governo a riferire alle Camere sulla drammatica emergenza che ha colpito il centro Italia.

Come vincere la sfida dell’immigrazione?

Discorso all’incontro su “accoglienza, inclusione, lavoro: le riforme necessarie a partire dai Comuni e dal superamento della Bossi-Fini”

Cari colleghi e amici, cari Sindaci, Signore e Signori,

Ho accolto davvero con molto piacere la proposta di Emma Bonino ed Enzo Bianco di ospitare in Senato questo incontro sui temi dell’immigrazione nel nostro Paese – accoglienza, inclusione, lavoro – visti attraverso la prospettiva del territorio, vale a dire alla luce delle esperienze delle amministrazioni locali. La materia, come tutti sappiamo, è molto complessa perché si intrecciano sfide geopolitiche, economiche, istituzionali, sociali, di sicurezza. Per questo credo sia necessario confrontarsi in momenti di riflessione come questo, perché il nostro primo sforzo è comprendere la realtà fuori dai falsi miti e superando demagogie, semplificazioni, luoghi comuni, steccati ideologici e pregiudizi politici. Le demagogie e i populismi si scontrano sempre con la necessità di dare risposte concrete, di governare le tante urgenze delle realtà che riguardano la quotidianità e la vita delle persone. In questo senso, credo che il contributo che possono dare i Sindaci, la prima linea dello Stato sul territorio, sia determinante perché misurarsi con i problemi concreti dal terreno dell’ideologia vuota riporta a quello dell’umanità, dei suoi bisogni e fragilità, da un lato, e al confronto con la legittima richiesta di sicurezza dei cittadini.

Prima di lasciarvi agli interessanti interventi del pomeriggio, vorrei proporre alcune brevi osservazioni. Io penso che per occuparsi davvero di migrazioni, bisogna per prima cosa abolire la parola “emergenza”, che richiama l’idea di fatti passeggeri destinati a non durare nel tempo. Al contrario, sono coinvolti fenomeni strutturali complessi, come le destabilizzazioni in Medio Oriente, in Africa e nel Mediterraneo. Conflitti, violazioni dei diritti, povertà e assenza di prospettive hanno prodotto un universo di sessanta milioni di persone senza identità, senza volto e nazionalità, sballottati fra barconi, frontiere, manganelli, odio, campi profughi. Servono quindi strategie geopolitiche, coniugate ad appropriate misure organizzative e adeguate politiche legislative. Mi pare che questa forte necessità di visione complessiva del fenomeno sia presente nel lavoro del Presidente Gentiloni e del Ministro Minniti in queste poche settimane di governo. L’Unione è purtroppo rimasta sostanzialmente assente dal quadrante meridionale, paralizzata da egoismi e distratta dall’interesse sull’asse orientale, e si deve all’intenso lavoro italiano a Bruxelles il fatto che solo di recente nel lessico europeo sia finalmente entrata la parola “Africa” e si stia facendo strada progressivamente la consapevolezza della necessità di investire politicamente ed economicamente nei Paesi in difficoltà. Quanto al soccorso e all’accoglienza dei migranti, vorrei rispondere alla sostanziale indifferenza di alcuni Paesi europei e alla freddezza di altri, con le parole di Papa Francesco, che ha detto che l’Europa è “la patria dei diritti umani e chiunque vi metta piede.. deve poterlo sperimentare”. Io ripeto di continuo, l’ho fatto più volte anche nelle sedi multilaterali europee, che l’accoglienza dei profughi non è un atto di liberalità, non è un gesto di generosità, una manifestazione di buon cuore: è un doppio dovere morale e giuridico: dovere di soccorrere chi è in difficoltà in mare e dovere di fornire a chi fugge da conflitti e da persecuzioni la protezione cui ha diritto in base alle norme internazionali. Uno dei problemi più urgenti è garantire ai richiedenti asilo un esame rapido delle loro istanze e a questo fine io considero importante rivedere i relativi procedimenti in modo da assicurare il riconoscimento dei diritti in modo più snello e veloce, come il governo si appresta a fare. Concordo anche con l’intento di abrogare il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato che costituisce un ostacolo alle misure amministrative e un appesantimento inutile del sistema giudiziario e carcerario senza aumentare né diritti né sicurezza.

In secondo luogo, a proposito di accoglienza, ho avuto modo di osservare in varie aree del Paese esperienze molto positive di impegno e interazione dei Comuni con le prefetture, le forze dell’ordine, le altre articolazioni territoriali del governo e le popolazioni. Penso che le pressioni cui il sistema è sottoposto (ad oggi 176.000 gli immigrati ospitati nelle varie strutture) e la contingenza economica richiedano la razionalizzazione delle risorse anche grazie alle buone prassi di accoglienza diffusa che saranno illustrate dai Sindaci: modelli che riescono a contemperare in modo trasparente gli interessi dei rifugiati, quelli delle comunità e quelli dei territori. In terzo luogo, io credo che il declino demografico del Paese e la determinante quota di ricchezza che in Italia è prodotta dagli immigrati debbano spingere la politica a riflettere con maggior attenzione sulle sfide dell’integrazione degli immigrati nel tessuto sociale, anche attraverso politiche lungimiranti sulla concessione dei diritti politici e di cittadinanza. Il Parlamento sta finalmente cominciando ad affrontare i problemi e in Senato sono stati calendarizzati per la prossima settimana due provvedimenti importanti: quello sulla protezione dei minori non accompagnati, un fenomeno gravissimo se si pensa che nel 2016 sono giunti in Italia 26.000 minori non accompagnati e altrettanti ne erano sbarcati fra il 2014 e il 2015, e quello in tema di cittadinanza.

Io penso che il nostro Paese abbia una responsabilità speciale di fronte a questa umanità dolente, una responsabilità che deriva da quello che siamo, da dove veniamo, dalla nostra storia millenaria. Credo che questa consapevolezza debba indurci a pensare i problemi (che sono tanti e di soluzione non certo semplice) diversamente, lavorando a un progetto di futuro nel quale la coesione sociale non si costruisce attorno alla religione, la nazionalità, la lingua o l’etnia, ma attorno alla solidarietà e alla capacità di ciascuno di impegnarsi per il bene comune. Vi auguro dunque buon lavoro e vi ringrazio.

La legislatura arrivi al 2018 per recuperare il tempo perduto

di Massimo Franco

«Credo che i problemi del dopo-terremoto confermino l’esigenza di sfruttare questo scorcio di legislatura per sbloccare una serie di misure, a partire dal riordino della Protezione civile. La vita del governo di Paolo Gentiloni non è legata solo alla riforma del sistema elettorale. E come presidente del Senato mi debbo augurare che la legislatura duri fino al 2018 per approvare provvedimenti importanti». Pietro Grasso siede nel suo studio a Palazzo Madama, mentre continuano ad arrivare le notizie sulla vicenda dell’hotel abruzzese sul Gran Sasso. E mentre scorrono le immagini dei soccorsi, e le polemiche sul ruolo del commissario Vasco Errani e del capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, Grasso scuote la testa. «Non capisco queste polemiche. Tra loro esiste un’intesa perfetta. Lavorano in accordo e con grande efficacia. L’ho potuto constatare di persona, accompagnandoli per un giorno intero nelle zone terremotate, qualche settimana fa».

È la prima intervista che la seconda carica dello Stato rilascia dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre: una consultazione che doveva di fatto svuotare e poi accompagnare verso l’irrilevanza il Senato e il bicameralismo; e che invece consacra Grasso e il suo ramo del Parlamento come i grandi sopravvissuti, di più, i vincitori simbolici di una fase costituente finita con una sconfitta netta del governo di Matteo Renzi. «Diciamo che il risultato ha riabilitato i cosiddetti gufi», sorride. «Ma soprattutto, ha archiviato un lessico e un bestiario che a volte tradivano una punta di violenza verbale. Per fortuna questo appartiene al passato, ormai»

Si sente un sopravvissuto o un vincitore?

«Nessuna delle due cose. Soprattutto, non mi piace l’immagine di un Senato trionfante. Certo, è un dato di fatto che l’esito del referendum gli restituisce piena legittimazione».

Per mesi siete stati raffigurati dal Pd come membri di un ramo quasi inutile del Parlamento. Come dimostrerete che non è così?
«Lavorando molto, se ci faranno lavorare. Mi sono guardato bene dall’intervenire nel dibattito sul referendum. Ma mentre le riforme erano in itinere avvertimenti e segnali ne avevo mandati. A gennaio del 2016 avevo messo l’accento sul rischio di trasformare il referendum in un plebiscito su Renzi. E a luglio consigliai di riflettere sui toni esasperati e gli allarmismi smentiti dai fatti, le promesse e le minacce che il fronte del Sì e del No stavano usando, e che non promettevano bene. La mia posizione era chiaramente desumibile».

Nel senso che non le piaceva la riforma?
«…Che alcuni punti mi lasciavano perplesso. Ormai parliamo di cose passate sulle quali si è espresso con chiarezza il popolo italiano».

Lei come ha votato?
«Mi sembra inutile dirlo adesso. Ero stato chiaro su alcune criticità. Poi, una volta definita la riforma, non mi sono esposto per non essere strumentalizzato né da una parte né dall’altra, vista la carica istituzionale che rivesto».

Già, ma ora il rischio è che il partito che l’ha eletto, il Pd, faccia cadere il suo terzo governo in tre anni subito dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale. Come vede una simile prospettiva?
«Credo che questo governo debba lavorare a prescindere dalla riforma elettorale. Il Parlamento si occupi di questo, e approvi una legge condivisa e omogenea per Camera e Senato, come ha chiesto il capo dello Stato. E il governo vada avanti sul resto. Ci sono provvedimenti sospesi e bloccati da mesi. Parlo, e sono solo alcuni esempi, delle modifiche al sistema penale, del delitto di tortura, della concorrenza, del contrasto alla povertà. Bene, si riprendano in mano e vengano approvati. Dobbiamo sfruttare al massimo il tempo residuo della legislatura. Non vorrei che rimanessero ancora fermi, sacrificati sull’altare della legge elettorale».

Scusi, ma perché li avete bloccati?
«Li hanno bloccati perché in vista del referendum erano considerati divisivi».

Divisivi per la maggioranza?
«Esatto. Si temeva che discutendoli la maggioranza si potesse rompere. Ma adesso evitiamo di passare dalla paralisi pre-referendaria a quella pre-elettorale, bloccando di nuovo tutto. Sarebbe grave perpetuare questa stasi. Si nomini il presidente della commissione Affari costituzionali e poi…»

Già, perché non è stato ancora eletto?
«Bisogna chiederlo ai partiti».

La sua impressione?
«Forse si aspetta la decisione della Corte costituzionale del 24 gennaio».

Che cosa c’entra?
«Si preferisce aspettare che la Consulta dia un’indicazione sul tipo di sistema elettorale da plasmare. Anche se a mio avviso la sola pronuncia non chiarirà la situazione: occorrerà aspettare le motivazioni».

Non è paradossale? Si rivendica il primato della politica e si rimane appesi alla Corte.
«Temo che sia così: aspettare le scelte altrui prima di prendere l’iniziativa finisce per accreditare la supplenza di altri organi costituzionali rispetto al sistema politico».

Una volta fatta la legge elettorale, crede che Gentiloni riuscirà a resistere alle spinte del vertice del Pd verso il voto anticipato?
«Il governo deve governare, è nella pienezza del potere. Stimo molto Gentiloni: ha grande esperienza e un buon carattere. Lavorerà come capo del governo finché sarà legittimato dal Parlamento e avrà la sua fiducia. Le pressioni per andare alle urne sono più nei retroscena. La posizione ufficiale del Pd è di andare al voto senza ansia e senza fretta».

Lei crede alle posizioni ufficiali?
«Io ho fiducia in Gentiloni. E comunque alla fine la decisione di sciogliere le Camere spetta al presidente della Repubblica».

Per la grande partecipazione e per il risultato referendario, non ha l’impressione di una sconnessione tra Pd e Paese?
«Il segnale dato dall’affluenza al referendum è che gli italiani credono alla partecipazione democratica. Emerge una mappa del nostro Paese dove la divisione principale è tra chi ce la fa ancora e chi non ce la fa più. Dopo la lunga crisi economica è esploso il tema della diseguaglianza. Sono le fasce economiche più deboli ad avere mandato un messaggio chiaro, le zone del Sud che soffrono di più, e le generazioni esposte a prospettive precarie. Questo ha prevalso sull’adesione ideologica ai partiti, Pd compreso. Finora un’analisi vera del risultato non si è vista. Credo dovrebbe esserci un’autocritica sullo scollamento tra politica e cittadini. Il Pd è stato sconfitto nelle periferie, e dovrebbe ricucire il tessuto sociale del partito».

Significa che nessuno può annettersi le percentuali del Sì e del No.
«Di certo, le scelte sono state trasversali».

Condivide la tesi secondo la quale dopo il No le riforme non si faranno più?
«Non lo penso affatto, anzi. Bisogna riprenderle, ma condividendole con l’opposizione. E senza pretendere di risparmiare comunque, a scapito del funzionamento delle istituzioni. Per esempio, si potrebbe in poco tempo rendere omogenea la base elettorale delle due Camere, concedendo anche ai diciottenni il voto per il Senato, in modo da ridurre il rischio di maggioranze diverse tra le Camere».

Non sarebbe anche il caso di dire parole di verità su un voto all’estero a forte sospetto di brogli? Pensare perfino di abolire la legge?
«Mi basterebbe che fosse rivista in modo da garantire il rispetto della segretezza e della correttezza, e cancellare il sospetto che il voto per corrispondenza possa essere inquinato».

In tema di sospetti: non le viene quello che, negli ultimi due anni e mezzo, la velocità del governo abbia finito per far perdere tempo?
«Purtroppo, per quanto riguarda le riforme costituzionali e una legge elettorale approvata a colpi di fiducia, l’esito è stato questo. Su altre riforme, credo ci sia tempo e modo di recuperarle e di correggerle, se necessario. Il compito del governo Gentiloni è questo, a mio avviso: ricucire il Paese, recuperare il tempo perduto, e calamitare i consensi che si sono dispersi. C’è maggiore disponibilità, oggi, a trovare accordi: la mutazione è questa. È il vantaggio di un governo di transizione che porta alle urne».

L’Anm annuncia che diserterà l’inaugurazione dell’anno giudiziario, per protesta contro gli impegni non mantenuti dal governo.
«Ma era quello di prima (sorride, ndr). Come ha detto il ministro Orlando, questo è un altro esecutivo».

…Definito governo-fotocopia.
«È vero che l’orchestra ha cambiato pochi elementi. Ma il direttore è diverso, e il direttore vuole dire molto. Gentiloni deve poter lavorare sfruttando al massimo l’anno che ci porta alla fine della legislatura. Nella prospettiva proporzionale servono leader inclini più a cucire che a strappare».

Che pensò quando Renzi definì i senatori «tacchini felici» per avere votato la riforma che doveva sancire la loro fine politica?
«Non mi parve una frase felice. Ma il referendum ha archiviato anche un lessico e un bestiario che definirei discutibili. E ha riabilitato i cosiddetti gufi».

Si sente un gufo riabilitato?
«Non so se sono un gufo. Una volta, al Quirinale, Renzi indicò al presidente della Repubblica la mia cravatta con dei piccoli uccelli disegnati. Scherzando, disse che rappresentavano dei gufi. Mattarella si avvicinò, esaminò la cravatta e precisò: “A me sembrano civette”. Aveva subito trovato la mediazione».

Vittime e responsabili della lotta armata a confronto

Discorso alla presentazione del “Libro dell’incontro” 

Caro Ministro, Autorità, gentili ospiti, ragazze e ragazzi,

quando, settimane fa, il presidente Manconi mi ha invitato per un saluto introduttivo a questo incontro, le mie perplessità erano molto alte. I miei valori e la mia precedente professione mi portano ad avere come punti di riferimento la giustizia e la verità. Nel discorso che tenni in Aula in occasione della Giornata della memoria delle vittime del terrorismo il 9 maggio 2015 ho ribadito che “sappiamo molto ma non tutto: bisogna insistere, impegnarsi maggiormente per illuminare con la verità gli angoli ancora nascosti di queste vicende, nelle quali si sono intrecciate trame internazionali e nazionali, tradimenti e depistaggi. Questo è il compito più alto delle Istituzioni e delle parti politiche, pretendere chiarezza oltre ogni convenienza”.

Mi sono quindi avvicinato a questo libro con diffidenza, la stessa che, leggendo, ho capito che voi avevate chiaramente previsto e messo in conto quando, dopo anni di percorso riservato, avete scelto di dare alle stampe il “Libro dell’incontro” e di partecipare ad iniziative pubbliche. Polemiche che, legittimamente, hanno contrassegnato nei giorni scorsi anche questo appuntamento. Dico legittimamente perché, da parte delle vittime e dei loro familiari, di fronte al dolore, alla perdita, all’ostinata ricerca di verità e di senso, ogni tipo di reazione è comprensibile, anche il rifiuto di percorsi diversi dai propri.

Per questo “dovere di comprensione” ho iniziato a leggere, e quella mia diffidenza iniziale si è andata sciogliendo mentre proseguivo la lettura. Il libro, lo dico per chi non lo conosce, racconta di un percorso iniziato molti anni fa in cui vittime, familiari delle vittime, ex appartenenti ad organizzazioni armate, garanti (oggi con noi c’è Gherardo Colombo, tra gli altri ricordo il prof. Valerio Onida) e persone completamente estranee a quel periodo, i cosiddetti “primi terzi”, si sono incontrati insieme a tre mediatori: il teologo padre Guido Bertagna, il criminologo Adolfo Cerretti e la penalista Claudia Mazzuccato.

Un tragitto lungo, sostenuto finché era in vita dal Cardinale Carlo Maria Martini, alla ricerca di spiegazioni e risposte che esulano dal percorso penale e riguardano in primo luogo quello personale e relazionale. Si può poi compiere un passo ancora più forte e deciso: quello di cercare un “sentire collettivo, che riguardi appunto l’intera nazione, in grado di non relegare più alla sola dimensione privata il dolore subito e provocato in quei difficili anni. Tra le prerogative fondamentali identificate dai mediatori per questo cammino ci sono: libertà, volontarietà, discrezione, gratuità. E’ molto importante ribadirle, perché chiariscono che chi ha partecipato è partito da un bisogno condiviso e senza aspettarsi nulla in cambio. Di cruciale importanza in questo senso è un passaggio della lettera che gli “ex”, come vengono definiti nel gruppo, mandano alle vittime:

“Riteniamo valore supremo e inviolabile il riconoscimento della persona e della vita umana e rifiutiamo ciò che in passato ci aveva portati a negarla […] L’incontro con voi ci ha permesso di raggiungere, su questo, un’irreversibile consapevolezza. Questo cambiamento è stato anche per noi frutto di percorsi sofferti, scelti in piena libertà dopo aver pagato tutti i nostri debiti giudiziari”. Anche la risposta delle vittime ha alcuni passaggi imprescindibili:

“Ci sembra importante che voi abbiate riconosciuto che la vostra è una responsabilità individuale, personale; e che anche il clima ideologico di quegli anni non vi ha obbligati a fare ciò che avete fatto. […] sono state scelte personali, individuali, di cui, oggi, vi assumete la responsabilità. E vi fa onore.

[…] Pensiamo che abbiate il diritto a essere riconosciuti per quello che siete oggi, e per la vita che vi siete saputi ricostruire; il riconoscimento di questo diritto è, in fondo, il motivo per cui si sono battuti e sono morti i nostri cari”. In un altro passaggio ho letto: “se mio papà fosse ancora qui, sono sicuro che sarebbe qui con noi”.

Grazie a queste lettere, e a tutte le numerose altre testimonianze citate nel volume, sicuramente sofferte e difficili, ho trovato i motivi profondi che vi hanno portato a far parte del gruppo, ne ho capito le ragioni. Il vostro percorso, che non è alternativo ma complementare e successivo al percorso penale, ha il pregio di mettere al centro tutto ciò che di importante resta fuori dai processi. Se la giustizia è chiamata alla fondamentale azione di repressione penale dei delitti, a sanare il passato, a individuare i responsabili dei reati e a condannarli alla pena corrispondente, il vostro “incontro” guarda al futuro, alla ricomposizione di vite segnate e di una memoria che, senza mai confondere i piani, possa essere pienamente condivisa. Soprattutto, allarga il concetto di “responsabilità”: “non solo responsabilità per il fatto attraverso la pena, bensì responsabilità verso qualcuno”.

E’ stato, e continua ad essere, un percorso coraggioso, soprattutto per le vittime e per i familiari: “che cosa dirà la gente alle vittime quando le vede vicino a noi? Loro rischiano ben più di noi” dice a un certo punto uno dei partecipanti al gruppo. Eppure se dopo anni questo gruppo è cresciuto, se ha avuto momenti di grande impatto emotivo sul Paese (penso al raccoglimento sulla tomba di Aldo Moro), è perché credo sia stato necessario per tutti voi andare alla ricerca di quell’umanità cui i colpevoli avevano rinunciato e che era stata negata alle vittime, ridotte a “funzioni” da eliminare.

Se il “perdono” e il “pentimento” sono e devono restare, come è ben spiegato, un fatto intimo e personale, sciogliere quell’elastico che ci lega all’orrore e alla morte di cui parla Agnese Moro “delicatamente, senza perdere nulla né di ieri né di oggi” è una necessità per tutti al fine di costruire una memoria solida, “consapevole delle complessità e delle debolezze di quella storia”, capace di seminare un futuro libero dall’odio politico e dalla violenza.

Concludo. Senza saperlo avevo già incontrato questo vostro percorso. Nel prepararmi a questa presentazione ho voluto rileggere gli interventi delle Giornate della memoria celebrate in Senato. Tra le testimonianze lette in Aula nel 2013 c’era quella di Giovanni Ricci, che conteneva la filosofia del gruppo e che anche oggi è qui con noi. Ne leggo un passaggio: “Ma il dolore e la rabbia, seppur scemati ti rimangono dentro come un demone oscuro. Ecco allora che si sente la necessità intransigente di “Spingere la notte più in là” come recita il titolo dell’omonimo libro dell’amico Mario Calabresi. Ho sentito la necessità di abbandonare la stagione dell’odio e del rancore. Ho sentito in me la necessità di dover ricostruire il film della mia vita, rimettere insieme tutta la pellicola, riappropriarmi della mia intera esistenza, non riducendola a quel singolo fotogramma che per tanti anni ha rappresentato l’unico ricordo di mio padre rimasto in mio possesso.” A quelle parole avevo risposto nel mio intervento conclusivo con queste:

“[…] lo ringrazio per il suo intervento così toccante. Condivido ogni singola parola, ogni singolo passaggio della sua testimonianza. Ma quanto mi rende partecipe il suo voler abbandonare la stagione dell’odio! E’ vero: la stagione del dolore e della rabbia devono cedere il posto ad una nuova primavera che ci liberi dal peso enorme di quegli anni”.

Oggi aggiungo: una primavera fatta di piena verità e, condividendo le parole scritte da Onida nel libro, di “una giustizia che non si fermi all’accertamento dei fatti e delle responsabilità né all’arido conteggio delle sanzioni e dei risarcimenti, e nemmeno all’esteriorità di proclamati pentimenti e perdoni (o non perdoni), ma riesca in qualche modo a “riparare” il tessuto personale e sociale lacerato, a migliorare il futuro di tutti”.

Grazie.

 

 

Congratulazioni Tajani

“Caro Presidente, la notizia della tua elezione è motivo di grande incoraggiamento per il nostro Paese e per tutti i rappresentanti italiani al Parlamento europeo; un riconoscimento del ruolo dell’Italia e dell’impegno dei nostri parlamentari, di tutti gli schieramenti, nelle sedi istituzionali dell’Unione europea”.

Così il Presidente del Senato, Pietro Grasso, nel messaggio inviato all’on. Antonio Tajani, all’esito del voto nell’aula di Strasburgo.

“Sono trascorsi 40 anni – ricorda Grasso – dall’elezione di un italiano, il senatore a vita Emilio Colombo, alla presidenza del Parlamento europeo, allora ancora non eletto direttamente. Oggi, un rappresentante del nostro Paese torna alla guida dell’Istituzione che costituisce l’architrave dell’Europa dei cittadini. Un risultato di straordinaria importanza nell’anno in cui ricorrono i 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma. Sono perciò particolarmente lieto di inviarti le più vive congratulazioni e gli auguri di buon lavoro, a nome mio personale e dell’intera Assemblea di Palazzo Madama. Auguri – conclude il Presidente del Senato – che spero di rinnovarti presto di persona, in occasione della tua prossima visita a Roma”.

90° dalla nascita di Pio La Torre: il suo impegno per la libertà, il progresso e la pace

Signor Presidente della Repubblica, carissimi Franco e Filippo La Torre, Autorità, carissime ragazze e carissimi ragazzi,

sono molto onorato di concludere i lavori di questo incontro in occasione del 90° anniversario dalla nascita di Pio La Torre. Il suo ricordo non deve essere sfiorato dall’oblio, in quanto rappresenta un modello di uomo politico di estremo rigore morale, non influenzabile da lusinghe, pressioni e intimidazioni. A quasi trentacinque anni da quel 30 aprile 1982, quando il gruppo di fuoco, formato da uomini d’onore scelti per la loro abilità e ferocia dai vertici di Cosa Nostra, assassinò uno dei loro più tenaci e valorosi avversari, il lascito morale, giuridico e politico di Pio La Torre continua a costituire una guida per le donne e gli uomini delle istituzioni e per tutti i cittadini che hanno a cuore la giustizia, la pace, la libertà e i diritti delle persone.

Eletto nel 1952, nelle fila del Partito comunista italiano, consigliere al Comune di Palermo, nel 1963 deputato all’Assemblea regionale siciliana, e nel 1973, dopo quattro anni da dirigente di Partito, a Montecitorio, non mancò mai di porre il tema della mafia al centro della sua azione politica, denunciandone con coraggio e fermezza la connivenza con le amministrazioni e i potentati economico-politici locali ed il coinvolgimento nella speculazione edilizia, nel sistema degli appalti pubblici e in specifiche situazioni di malaffare. Fra i suoi incarichi in Parlamento, quello di membro della Commissione Antimafia che espletò ammirevolmente (come la Presidente Bindi ha ricordato), redigendo a fine legislatura una Relazione di minoranza sottoscritta da altri sei membri, il cui valore si è affermato con l’andare del tempo, tanto che la Commissione attuale ha deciso l’anno scorso all’unanimità di ripubblicarla, riconoscendola come la prima relazione parlamentare sul rapporto fra mafia e politica. Il 6 marzo 1980 tenne nell’Assemblea di Montecitorio un ampio e organico intervento sulla lotta alla mafia, seguito dalla presentazione di una mozione che fu votata a scrutinio segreto e approvata. Il 31 marzo 1980 presentò da ideatore e da primo firmatario un disegno di legge recante norme di prevenzione e di repressione del fenomeno mafioso e sulla istituzione di una Commissione parlamentare permanente di vigilanza e controllo. Quel disegno di legge fu l’embrione della futura legge del 13 settembre 1982, n. 646, nota come legge “Rognoni-La Torre”. Provvedimento davvero epocale che ha cambiato il corso della lotta contro la mafia e, io credo, anche la storia del nostro Paese. L’introduzione nel codice penale del delitto di “associazione di tipo mafioso” e la previsione delle misure patrimoniali per sequestrare e confiscare i capitali, sono tuttora il cuore del sistema antimafia italiano che è considerato modello di riferimento nel mondo.

Egli era stato anche il principale artefice di una serie di proposte, presentate nel marzo 1982 al Presidente del Consiglio Spadolini, e al Ministro dell’Interno  Rognoni, da una delegazione del P.C.I. composta dallo stesso La Torre, dal Sen. Pecchioli e dall’On. Rita Bartoli Costa, vedova del Procuratore di Palermo ucciso dalla mafia. Con queste proposte si chiedeva, fra l’altro, l’istituzione a Palermo di un’efficace struttura di coordinamento nella lotta alla mafia, con compiti di indagini permanenti e sistematiche, estensibili anche all’estero; il risanamento del sistema carcerario, con particolare riguardo alla struttura dell’Ucciardone, dove lui fu per oltre un anno ingiustamente detenuto per motivi politici; l’aggravamento delle sanzioni penali e, per converso le riduzione di pena per i c.d. “pentiti”, nonché l’integrazione e una migliore distribuzione degli organici di magistratura e polizia. Insomma egli aveva già ideato ed espresso, con impressionante lucidità e determinazione, quella strategia antimafia che si riuscirà ad attuare nella fase iniziale col maxi-processo contro la mafia ed in maniera più completa anni ed anni  dopo. Ci vollero, infatti, le stragi di Capaci e  di via D’Amelio per risvegliare le coscienze dei cittadini e per rendere ineludibile e improcrastinabile l’intervento del Governo e del Parlamento per una seria e concreta politica antimafia.

La Torre era tornato in Sicilia nel settembre 1981, designato dalla Direzione nazionale del P.C.I. all’incarico di Segretario regionale, compito particolarmente delicato, in un momento di grande difficoltà sia per la situazione politica generale, dopo l’assassinio di Piersanti Mattarella, sia per l’ordine pubblico in particolare, a causa delle centinaia di omicidi connessi alla seconda guerra di mafia. Il generale clima di tensione chiaramente avvertibile in quel periodo in Sicilia, avevano indotto un pacifista come La Torre, preoccupato per l’incolumità sua e del suo autista Di Salvo, ad acquistare una rivoltella, che comunque non portava con se, tanto che fu rinvenuta a casa dopo la sua morte.

 

Egli aveva portato nel nuovo incarico le conoscenze e le esperienze maturate negli anni precedenti, impegnando tutte le sue energie, oltre che verso il rilancio anche organizzativo del partito dopo i deludenti risultati elettorali dello stesso anno, a due temi che riteneva essenziali per un reale sviluppo dell’isola: la lotta alla mafia e l’impegno per la pace, attraverso un movimento contro l’installazione dei missili “Cruise” nella base militare statunitense di Comiso. Egli temeva anche che Cosa Nostra avrebbe potuto accrescere il proprio potere economico traendo vantaggio dagli appalti. Certamente poi il suo porsi come ostacolo al progetto infastidì tanto Cosa Nostra palermitana quanto Cosa Nostra americana. Ad ogni modo, del suo estremo rigore morale non può dubitarsi se si considera che si contrappose anche a quella parte del suo stesso partito e a quelle organizzazioni collaterali, come le cooperative, che in qualche modo si erano avvicinate al malcostume e alle possibili connivenze tipiche di quell’ambiente che egli tanto accanitamente combatteva.

Il delitto La Torre, come del resto l’omicidio Mattarella, sono delitti politico-mafiosi, nel senso che sono la reazione, con connotazioni anche terroristiche o intimidatorie, all’azione di quelle persone che operavano per il rinnovamento e così mettevano in grave pericolo il complesso degli interessi mafiosi collegati con la realtà economico-politica siciliana. Il delitto rientrava del resto nell’ottica della nuova strategia mafiosa che, con il prevalere della corrente dei “corleonesi”, agiva ormai sfidando apertamente il potere dello Stato con un metodo sostanzialmente terroristico eliminando tutti coloro, quindi soprattutto gli uomini delle Istituzioni, che in qualunque modo ostacolavano i fini e gli interessi dell’organizzazione. Tutti i collaboratori di giustizia sono stati concordi nel riferire che la Cupola aveva deciso questo omicidio a causa dell’impegno profuso dal parlamentare contro Cosa Nostra e in particolare a causa della proposta di legge presentata da La Torre riguardante la confisca dei beni illecitamente accumulati dagli uomini d’onore. In merito a questa proposta di legge, Salvatore Greco – detto “il senatore”  per i suoi contatti con gli ambienti politici, nonché fratello di Michele “il papa”, a capo dell’organismo di vertice di Cosa Nostra – aveva appreso dai suoi contatti politici che l’orientamento del Parlamento, originariamente contrario, era divenuto a un certo punto favorevole. Venne riferito ai mafiosi anche che Pio La Torre aveva addirittura preso per il bavero alcuni esponenti politici per indurli energicamente ad approvare la legge. Si era persino sparsa la voce, negli ambienti mafiosi, che alcuni sindacalisti stavano già progettando – dopo l’approvazione della legge – di destinare i beni mafiosi a uffici o civili abitazioni. Il pericolo era considerato così grave e imminente che si esortavano gli uomini d’onore a non indugiare nel trasferire all’estero i profitti del traffico di droga. Salvatore Greco riferì anche che certi uomini politici gli avevano fatto sapere che l’eliminazione di La Torre avrebbe forse impedito l’approvazione della legge o quantomeno ne avrebbe attenuato il rigore riguardo al sequestro dei beni. In effetti, il suo omicidio non provocò affatto come in altri casi un’accelerazione dell’iter legislativo: non bastò la sua morte ma si dovette attendere l’emozione e l’emergenza criminale determinata dall’omicidio Dalla Chiesa, dopo quasi cinque mesi, per spingere finalmente la politica ad approvare la legge Rognoni-La Torre. A distanza di tanti anni, auspico che si dia corso immediatamente alla discussione delle modifiche al Codice Antimafia, che peraltro attengono anche proprio alla materia delle confische dei patrimoni illeciti, e alle riforme che riguardano il processo penale.

 

Dalla mia esperienza di magistrato antimafia e dalle carte processuali mi è rimasta impressa come esemplare la sua figura di uomo politico, capace di guardare con lungimiranza al bene dei cittadini e di prendere per il bavero i politici timidi contro la mafia e la corruzione, per convincerli che contro l’illegalità e le collusioni è necessario un impegno preventivo e repressivo eccezionale. La Torre è stato un uomo concreto, lontano da qualsiasi estremismo ideologico, innamorato dei diritti delle persone e dei valori in cui credeva, che gli conferivano quella fermezza coraggiosa che lo rese subito un pericoloso nemico del malaffare politico-mafioso. La Torre riteneva (sono parole che pronunciò al IX Congresso regionale del Partito Comunista, il 14 gennaio del 1982) che si dovessero “spostare forze decisive su posizioni più avanzate, impegnandole a prendere le distanze dai gruppi conservatori, parassitari e mafiosi, che dall’interno dei partiti bloccano ogni processo di rinnovamento”.

 

Sono convinto, Signor Presidente della Repubblica, cari colleghi e amici, che in questo momento di grave declino etico della politica e di incapacità della classe dirigente di pensare strategicamente il futuro del Paese fuori dalle contingenze e dai personalismi, il messaggio politico di Pio La Torre, di assoluta dedizione agli interessi dei cittadini e la sua capacità di visione strategica, siano un patrimonio prezioso a cui ispirarsi e da trasmettere alle prossime generazioni. Grazie.

Natale 2016, auguri al Capo dello Stato

Signor Presidente della Repubblica,

per me è un onore e un piacere formularle gli auguri più sinceri in occasione del Santo Natale e delle feste di fine anno, anche a nome della Presidente della Camera, del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Corte Costituzionale, delle Autorità civili e militari, e di tutti i presenti. Noi tutti le siamo profondamente grati per come lei incarna i valori della Costituzione e l’unità del Paese, interpretando il suo alto ruolo come quello di un arbitro che regola attentamente e silenziosamente il gioco democratico attraverso una costante opera di persuasione, per usare le sue stesse espressioni.

Dell’anno che volge al termine non potremo mai cancellare le immagini di dolore e di distruzione causate dal sisma che ha colpito a più riprese il cuore del Paese. Allo stesso modo non dimenticheremo le manifestazioni di commossa solidarietà e concreto sostegno degli italiani, l’umanità e la dedizione di coloro che si sono impegnati nei soccorsi e nell’assistenza delle vittime e che si prodigano per fare ripartire la vita economica, sociale e scolastica delle aree colpite. Lei, Signor Presidente, in questi mesi non ha fatto mai mancare la sua affettuosa vicinanza alle popolazioni e le sue continue esortazioni affinché la ricostruzione proceda con determinazione, efficienza e rapidità. In questa direzione, esprimo soddisfazione per il senso di responsabilità di tutte le forze politiche in Parlamento che hanno convertito rapidamente e con la più ampia convergenza il decreto che predispone misure per affrontare l’emergenza. L’auspicio è che la politica impari finalmente a guardare lontano, programmando e realizzando un ampio programma strategico di messa in sicurezza del Paese, per proteggere la vita e la sicurezza dei cittadini e per tutelare l’incomparabile ricchezza delle nostre risorse ambientali, architettoniche, artistiche e culturali e le attività economiche.

La situazione sociale del Paese continua ad essere profondamente segnata dalla crisi che investe l’economia, la produzione e il lavoro, in un quadro internazionale caratterizzato da perdurante incertezza accompagnata da limitati miglioramenti, ancora flebili per quello che riguarda l’Italia. La recente indagine Istat sulle condizioni di vita e di reddito dei cittadini italiani segnala il drammatico aggravamento delle diseguaglianze economiche e sociali, del disagio giovanile e del divario fra ricchi e poveri,  fra il Nord e il Sud del Paese, fenomeni gravissimi che mettono a rischio la coesione sociale e danno origine a pericolose aree di marginalità e vulnerabilità, nelle quali può svilupparsi il radicalismo ideologico e l’illegalità. In questo quadro così preoccupante il primario dovere della politica e delle istituzioni è tendere a realizzare l’eguaglianza dei cittadini, restituendo a ciascuno speranze e prospettive, particolarmente a chi è più giovane e guarda con incertezza al futuro. Nessuno deve essere lasciato indietro.

Il contesto internazionale del 2016 è stato particolarmente travagliato a causa di conflitti, fratture geopolitiche, terrorismo e altri fattori di instabilità che hanno effetti drammatici sulla vita economico-sociale di vasti territori e contribuiscono a quei flussi di umanità dolente, profughi e migranti, che gli italiani accolgono con generosità e solidarietà. Il pensiero corre a ogni vittima di atrocità nel mondo e in particolare a coloro che sono caduti negli attentati di ieri e a quella che lei, incontrando il Corpo diplomatico, ha definito l’agonia di Aleppo: “una ferita per la coscienza di ciascuno di noi e… testimonianza di come davvero il sonno della ragione generi mostri”. Per contrasto, l’Unione europea, il nostro primario e imprescindibile orizzonte di riferimento, è preda di debolezze politiche, egoismi e incomprensioni che rischiano di rinnegare nei fatti quei valori di libertà, democrazia e solidarietà sui quali abbiamo edificato la pace in Europa, dopo le atrocità del Secondo Conflitto. Signor Presidente, come lei ha osservato il Paese avverte, particolarmente nel Mediterraneo, una speciale responsabilità “frutto della consapevolezza che la nostra stabilità e il nostro benessere sono inscindibili da quelli dei nostri vicini.. consapevolezza che ci ha spinto ad assumere da tempo un ruolo attivo e propositivo” (sono sue parole). Questo forte senso di responsabilità deve spingerci a tenere una posizione di avanguardia nella difesa della casa comune europea, persuadendo gli altri Stati membri a promuovere la crescita e il lavoro; ad affrontare le migrazioni in nome di accoglienza, solidarietà ed equa ripartizione degli oneri; a moltiplicare gli sforzi per rispondere con coesione ai problemi e per programmare insieme il futuro dei cittadini europei.

Ciascuno di noi in base alle proprie responsabilità si prepara, Signor Presidente, ad affrontare con determinazione gli impegni internazionali dell’anno venturo, fra i quali la ricorrenza del sessantesimo anniversario dei Trattati europei di Roma, che sarà celebrata da Parlamento e Governo, la presidenza italiana del G7 e la partecipazione come membro non permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Come lei ha osservato ieri, l’azione del Paese nel mondo si deve fondare sul “multilateralismo efficace”, che esalta “le ragioni del dialogo e della comprensione reciproca” (sono sue parole).

Alla consultazione referendaria gli italiani hanno risposto con una partecipazione molto ampia, prova della forte vitalità democratica del Paese. La crisi seguita alle dimissioni del Governo è stata superata, grazie alla sua instancabile opera, con quella rapidità e quella determinazione necessarie per mettere subito l’Italia in condizione di rispettare gli impegni e le scadenze che lei ha giustamente evocato. Al Presidente Gentiloni e al Governo auguriamo buon lavoro e ogni successo. L’auspicio è che le forze politiche, tenendo conto delle decisioni della Consulta, si dedichino alla doverosa approvazione della legge elettorale e, nel contempo, si concentrino sulle tante questioni che hanno un diretto impatto sulla vita quotidiana degli italiani e attendono parimenti urgenti risposte dopo il rallentamento dell’attività parlamentare degli ultimi mesi. Proprio oggi, con la Presidente Boldrini abbiamo convocato per l’11 gennaio prossimo le Camere in seduta comune per l’elezione di un giudice della Corte Costituzionale.

A nome di tutti i presenti, Signor Presidente, rivolgo un augurio riconoscente ai militari, ai civili e ai volontari italiani che nei contesti internazionali più turbolenti, con sacrificio, responsabilità e umanità, onorano il Paese sostenendo la pace, la stabilità geopolitica e la dignità delle persone. Vorrei anche ricordare e ringraziare coloro – forze dell’ordine, lavoratori pubblici e privati, personale sanitario, volontari, religiosi – che, rinunciando allo svago e al riposo svolgono un lavoro silenzioso e indispensabile per garantire la serenità e la sicurezza dei cittadini ed assistere chi ha bisogno di cure, sostegno e calore umano.

 

Signor Presidente, nella sua costante opera per unire il Paese lei ha richiamato “governi, classi dirigenti, forze sociali, intellettuali.. ad anteporre ideali e visioni all’effimera ricerca del consenso ad ogni costo, ottenuto a volte con grandi semplificazioni e con demagogia” (sono sue parole). Sono certo di interpretare il pensiero di tutti, nel confermarle che noi ci impegneremo a raccogliere le sue alte sollecitazioni per servire con orgoglio questo Paese, reso grande dall’ingegno e dall’umanità degli italiani, da istituzioni solide e leali alla Costituzione, da una società civile solidale e moderna, da un’intelligente diplomazia e da forze armate preparate e stimate anche all’estero. Con questi profondi sentimenti di stima e gratitudine, Signor Presidente, a nome di tutti le rinnovo gli auguri più sinceri.

Concerto di Natale 2016

Signor Presidente della Repubblica, Eminenza, Autorità, Gentili ospiti,

l’edizione 2016 del Concerto di Natale segna un importante traguardo per quella che ormai è una felice tradizione del Senato della Repubblica: sono infatti venti anni che l’Aula di Palazzo Madama apre le sue porte alla musica, alla bellezza, alla solidarietà.

Tre anni fa abbiamo avuto il piacere di ospitare il primo concerto dei giovani musicisti del “Sistema delle Orchestre e Cori giovanili e infantili in Italia”, ragazze ragazzi pieni di talento e di passione. Sono felice di poter dare la notizia che da oggi l’Orchestra avrà un nome importante: sarà infatti l’Orchestra “Giuseppe Sinopoli”, in memoria del grande Maestro scomparso 15 anni fa, che fu tra i primi a sostenere l’esperienza del Sistema Abreu nata in Venezuela e ora forte e viva anche in Italia, grazie al lavoro dei tanti volontari guidati dal presidente Roberto Grossi.

A dirigere l’Orchestra e il Coro di Voci Bianche sarà per la prima volta in quest’Aula una donna, il Maestro Gianna Fratta, eccellenza riconosciuta a livello internazionale nel campo della musica. Insieme a loro avremo il Coro delle Manos Blancos diretto da Naybeth Garcìa, che fu tra coloro che ebbero la felice intuizione di far cantare, attraverso la lingua dei segni, coloro che non possono ascoltare i suoni, dimostrando come la musica sia in grado di superare ogni ostacolo e differenza. Giovani promesse della musica, ragazze e ragazzi provenienti da 15 città di 10 regioni diverse del nostro Paese, uniti dal comune amore per l’arte, che sapranno emozionarci e rendere indimenticabile la loro esibizione, arricchita dalla presenza di due grandi artisti, Paolo Fresu e Paola Turci.

A tutti loro il mio più sentito ringraziamento per aver accolto il nostro invito e per aver condiviso con entusiasmo le finalità benefiche di questa iniziativa.

La presenza del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, della Presidente delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, del Segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia, Abdellah Redouane e della Vicepresidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Christiane Schroeder-Werth, testimonia il comune impegno di diverse fedi religiose e culture a perseguire gli obiettivi di amicizia, pace e fratellanza.

Siamo davvero orgogliosi di poter di anno in anno rinnovare, attraverso questa iniziativa e grazie alla diretta televisiva della Rai, il legame tra Istituzioni e cittadini, ribadendone la forza e la solidità. Con l’auspicio che l’esecuzione sia di vostro gradimento, formulo a ciascuno di voi i miei più sinceri auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.

 

Dibattito politico no arena di scontro tra personalità ipertrofiche

Cari giornalisti, cari colleghi,

sono davvero felice di essere con voi a Palazzo Giustiniani, come ogni anno, in occasione del tradizionale incontro con la Stampa Parlamentare per gli auguri reciproci e per tracciare, sulla base delle riflessioni del presidente dell’Associazione Sergio Amici – che ringrazio – una sorta di bilancio di un periodo intenso sia a livello istituzionale che politico.

L’ultimo mio intervento pubblico è stato proprio con voi, lo scorso luglio in occasione del ventaglio. Ancora non era stata individuata la data del referendum sulla riforma costituzionale, ma già la campagna aveva acceso gli animi. Ricordo di aver detto che i mesi che ci separavano dall’appuntamento con il voto sarebbero stati “un formidabile banco di prova per valutare lo stato di salute della nostra cultura politica e la qualità della nostra democrazia”. Ora, a votazione avvenuta, possiamo tracciare un bilancio in chiaroscuro: se la qualità della nostra democrazia esce rafforzata da un’imprevista affluenza dei cittadini alle urne lo scorso 4 dicembre, lo stato di salute della nostra cultura politica emerso in questi mesi impone un giudizio severo. La campagna appena finita si è distinta per un’eccessiva lunghezza, per toni esagerati, allarmismi già smentiti dai fatti, slogan vuoti e fuorvianti da entrambi i fronti, promesse e minacce il cui problema non è tanto il non averle mantenute, ma averle fatte.

Il dibattito politico non può essere ridotto all’arena per lo scontro di personalità ipertrofiche, ma  deve essere il campo in cui si confrontano risposte ai problemi reali e visioni politiche che – prescindendo dai singoli protagonisti, dalle singole vicende biografiche – devono emergere da dibattiti aperti all’interno dei partiti, espressione delle sollecitazioni, delle speranze e delle attese dei cittadini. Spero che a livello politico si approfondisca adeguatamente l’analisi sui risultati e soprattutto sui flussi di voto. Partendo dalla premessa che nessuno possa con troppa facilità appropriarsi dei 19 milioni e mezzo di No, come dei 13 milioni e mezzo di Si, i dati emersi sembrano disegnare a prima vista una cartina del nostro Paese dove la divisione principale – oltre che sul merito e sulla qualità della riforma – è diventata quella tra i “sommersi” e i “salvati” dalla lunga crisi economica che ha colpito l’occidente negli ultimi anni.

Sono le fasce più deboli economicamente ad aver mandato un messaggio chiaro, le zone del Paese che scontano maggiori sofferenze, le generazioni particolarmente esposte a prospettive precarie di esistenza, quelle ragazze e quei ragazzi che nel mio discorso di insediamento ho descritto come “giovani che vivono una vita a metà: hanno prospettive incerte, lavori, chi ce l’ha, poco retribuiti, quando riescono a uscire dalla casa dei genitori vivono in appartamenti che non possono comprare, cercando di costruire una famiglia che non sanno come sostenere”. Dal 2013 a oggi la situazione non è, per loro, migliorata molto, se pensiamo ad esempio all’uso indiscriminato dei voucher.

Presidente Amici, lei ha fatto cenno, nel suo intervento, a un voto nella prossima primavera. Io non sono in grado di prevedere quando e come il Presidente della Repubblica deciderà di sciogliere le Camere per le prossime elezioni politiche. Sono tante e varie le riflessioni che la massima autorità dello Stato, unico depositario di questa prerogativa, dovrà affrontare per prendere questa importante decisione. Da parte mia posso riflettere su quello che i partiti sono chiamati a fare in questo momento, per rispettare quegli “impegni e scadenze” evocati dal Presidente Mattarella che sono di fronte a noi e che impongono al Governo e al Parlamento passaggi imprescindibili. Non posso immaginare infatti che a decidere sulla durata della Legislatura influiscano temi estranei al bene del Paese e che riguardino le singole velleità di leader, partiti e movimenti, o addirittura la paura di altri appuntamenti referendari che sembrano profilarsi nei prossimi mesi. Sarebbe irresponsabile e controproducente.

Innanzitutto occorre dotare il Paese di una Legge elettorale coerente per l’elezione delle due Camere. Nessuno può restare insensibile al forte segnale di un’Italia che crede nella partecipazione democratica e che lo ha dimostrato, responsabilmente, recandosi alle urne due settimane fa: si è avvertita forte la richiesta da parte dei cittadini di voler partecipare alle scelte importanti del Paese, e non è da escludere che una delle spinte principali risieda nel legittimo desiderio di poter scegliere i propri rappresentanti, superando quei marchingegni tecnici fatti di listini bloccati e pluricandidature che non facilitano il rapporto fiduciario tra gli elettori e gli eletti. Su come questo debba tradursi in legge il compito è stato rimesso dal presidente Gentiloni, nel pieno rispetto delle prerogative parlamentari, alle due Camere. Un percorso ordinato prevede infatti che la legge elettorale nasca dall’iniziativa dei parlamentari, che le Commissioni e le Aule possano discutere approfonditamente ed emendare la proposta, ed approvarla infine sulla scorta dei suggerimenti della Consulta, arrivando ad un progetto coerente ed equilibrato che riesca a contemperare prima il valore costituzionale della rappresentanza, e poi quello della governabilità.

Non vorrei che si passasse senza soluzione di continuità dalla campagna referendaria a quella elettorale. Le tossine che hanno inquinato l’aria del dibattito politico e pubblico in queste settimane devono ancora essere smaltite, gli animi sovreccitati hanno bisogno di calmarsi prima di gettare il Paese di nuovo in un clima di divisione e competizione elettorale. Mentre leader e parlamentari continuano a parlare di data del voto e di legge elettorale, a mettersi da soli medaglie sul petto, c’è fuori da questi palazzi un Paese in profonda sofferenza. Soffiare su questo fuoco è pericoloso, come ha ben dimostrato il recente e vergognoso attacco squadrista ai danni dell’ex deputato Osvaldo Napoli, cui va la mia solidarietà. Il Paese e i cittadini hanno bisogno urgente di risposte su molti fronti. La recente indagine Istat sulle condizioni di vita e di reddito degli italiani mi ha colpito profondamente. L’aggravarsi delle diseguaglianze, del disagio giovanile, del divario fra ricchi e poveri e fra Nord e Sud, minano la coesione sociale e danno origine ad aree di marginalità e vulnerabilità nelle quali possono allignare il radicalismo ideologico e l’illegalità.

Nessuno deve essere lasciato indietro. Il pensiero corre in particolare agli italiani colpiti dai terremoti. Come il Presidente Mattarella ha più volte ricordato dobbiamo garantire ogni necessaria assistenza alle popolazioni e dare immediato avvio alla ricostruzione. Su questo punto vorrei sottolineare con soddisfazione il forte senso di responsabilità del Parlamento che ha convertito con amplissima condivisione il decreto legge sul terremoto. Adesso occorre continuare con energia ed efficienza il lavoro portato avanti con grande impegno dal Commissario straordinario, dalla Protezione civile e dalle varie amministrazioni centrali e locali. A proposito dei nodi del sistema bancario, spetterà al Governo individuare una soluzione di carattere generale per smaltire le sofferenze creditizie che riducono la capacità delle banche di erogare prestiti e sostenere la crescita dell’economia reale. L’obiettivo di fondo è tutelare il valore costituzionale del risparmio e restituire fiducia a mercati e risparmiatori.

Ci attendono poi importanti impegni internazionali. Mi riferisco alla presidenza italiana del G7, del Processo sui Balcani e dell’OSCE-MED e al seggio italiano al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La ricorrenza del sessantesimo anniversario dei Trattati europei di Roma, che verrà celebrata anche al Senato e alla Camera, dovrà poi essere un momento di ripartenza del progetto europeo, preda di debolezze politiche, nazionalismi ed incomprensioni. Non possiamo nasconderci l’estrema complessità della situazione, anche per via delle negative implicazioni delle campagne elettorali di importanti Paesi membri sulla generale atmosfera a Bruxelles. Io penso che al nostro Paese spetti tenere una posizione propositiva e di avanguardia nella difesa della casa comune europea. Mi riferisco alla governance economica, che deve puntare alla crescita e al lavoro; alle politiche migratorie, da rivedere in nome di accoglienza, solidarietà ed equa ripartizione degli oneri; alla politica estera comune, che deve ripartire da una strategia efficace per il Mediterraneo; mi riferisco anche al contrasto e alla prevenzione del terrorismo, del crimine organizzato e dell’economia illegale, attraverso la cooperazione e gli strumenti del diritto internazionale.

Presidente Amici, come lei ha sottolineato importanti provvedimenti sono rimasti bloccati in Senato. Faccio io quel rapido elenco che lei, per educazione, ha omesso: in Aula sono stati già calendarizzati nei mesi scorsi, senza essere esaminati perché giudicati troppo “divisivi” in periodo pre-referendario: le modifiche al codice penale, il delitto di tortura, la legge su mercato e concorrenza, l’istituzione di una commissione d’inchiesta sugli appalti pubblici, il riordino della Protezione civile e la riforma in materia di cittadinanza. Sono all’esame delle commissioni, poi, provvedimenti contro il cyberbullismo, la riforma del codice antimafia, della giustiza civile, il contrasto all’omofobia, le norme sul cognome dei figli, la delega per il contrasto alla povertà ed altro ancora.

Come si può ben capire sono provvedimenti che incidono sulla vita dei cittadini, sulla giustizia, sull’economia, sugli investimenti, sul contrasto alla criminalità, alla violenza, al razzismo. Sarebbe grave se dopo essere rimasti in sospeso per mesi e mesi dovessero rimanere ancora fermi, fino alla fine della Legislatura, per un mero calcolo elettorale. Al di là della diversità di opinioni, sono temi che il Parlamento può e deve affrontare lasciando ai gruppi e all’Aula la decisione finale sulle modifiche e sull’approvazione dei testi, come è normale in democrazia. Non tutti i provvedimenti devono essere vissuti come sfide di una parte contro l’altra. L’approvazione, la modifica o la bocciatura di emendamenti e proposte legislative fanno parte di una sana e non muscolare dialettica democratica.

Presidente Amici, la scelta di merito su possibili future riforme costituzionali spetta alle forze politiche, non certo al Presidente del Senato. Non credo però che il tema sia l’ampiezza di eventuali interventi, piuttosto il metodo. Quale che sia la portata di future riforme, ampie o mirate, è necessario che si tratti di scelte ampiamente condivise dal Parlamento. Le regole della democrazia si cambiano con senso di responsabilità, pensando a chi verrà dopo di noi, non a passeggeri opportunismi. L’unico invito che mi sento di rivolgere alle forze politiche, per il futuro, è di operare tenendo ben distinto il piano del risparmio da quello del funzionamento. Entrambi possono essere migliorati, ma l’uno non può essere usato per giustificare scelte sull’altro.

Nel frattempo, prescindendo da interventi legislativi, io credo che le forze politiche possano perseguire significativi aggiornamenti del sistema attraverso la revisione contemporanea e concertata dei regolamenti parlamentari di Camera e Senato. Penso all’omogeneizzazione di una serie di norme di carattere procedurale, che oggi regolano il procedimento legislativo in modo irrazionalmente diverso nelle due camere. Penso ad una diversa attuazione dell’articolo 72, comma 2, della Costituzione attraverso l’introduzione di una corsia preferenziale per le leggi urgenti, come quelle di attuazione del programma economico del Governo, in modo da disincentivare il ricorso alla decretazione di urgenza, ai “maxi-emendamenti” e alle questioni di fiducia. Penso ancora all’innalzamento della soglia per costituire i gruppi politici in Senato, in modo da ridurre i costi e quella frammentazione e continua mobilità che hanno caratterizzato la legislatura. Penso infine che sia importante tenere in considerazione le proposte presentate dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, in modo da garantire una migliore considerazione da parte del Parlamento degli interessi dei territori.

Io sono poi convinto che occorra portare a termine la piena realizzazione del ruolo unico dei dipendenti del Parlamento e l’unificazione dei servizi e delle centrali di spesa delle due amministrazioni, che io e la Presidente Boldrini abbiamo avviato da tempo. Si tratta di interventi che determinano risparmi di spesa dell’ordine di diversi milioni di euro e razionalizzano il lavoro amministrativo. Credo che la migliore prova dell’efficienza di questo modello sia la qualità dei dossier tecnici che le due amministrazioni già oggi producono congiuntamente per offrire ai senatori e ai deputati strumenti di conoscenza e riflessione fondamentali per il loro lavoro.

Presidente Amici, come lei stesso ha riconosciuto, i temi della libertà di espressione, dell’abolizione del carcere per i giornalisti, di un deciso freno alle querele temerarie e di una vicinanza personale e istituzionale ai tanti giornalisti minacciati sono da sempre considerati prioritari per me. Non ho mai mancato di far sentire il mio sostegno ad Ossigeno per l’informazione, alla Federazione della Stampa, all’Ordine dei giornalisti e ad Articolo 21 in queste comuni battaglie, e continuerò a farlo. Anche il mondo dell’informazione, come quello della politica, soffre di un deficit di comprensione della realtà e di fiducia da parte dei cittadini. Si parla molto in questi giorni di post verità e di notizie false. Siamo tutti chiamati a dimostrare maggiore responsabilità in questo momento. Chi fa informazione è chiamato ad una maggiore cura e verifica delle fonti, magari evitando di sentirne solo una, con il rischio di prestarsi a giochi di sponda con il potere politico od economico. Ai cittadini, specie ai più giovani, rinnovo l’invito ad ampliare il loro panorama: non basta un solo giornale né un solo sito, non basta seguire i link che gli amici pubblicano su Facebook o scorrere i tweet dei profili che seguiamo, non basta un programma televisivo o qualche breve video su YouTube per capire la complessità del nostro Paese e del nostro mondo. Serve tutto questo, e molto di più. La capacità di assegnare a ciascuna fonte il suo peso, l’intelligenza di saper unire i puntini e infine la capacità di sintetizzare il tutto in una opinione, finalmente, davvero informata.

Concludo. Domenica si terrà il tradizionale concerto natalizio di beneficenza, giunto quest’anno alla XX edizione, il cui ricavato andrà in beneficenza per le popolazioni colpite dai terremoti. Sono felice che anche quest’anno, per sottolineare il legame di unità, rispetto reciproco e di amicizia, accanto alla presenza del Presidente della Repubblica ci saranno il Segretario di Stato di Sua Santità, Cardinale Pietro Parolin, la Presidente delle Comunità Ebraiche in Italia Noemi Di Segni, il Segretario generale del Centro Islamico Culturale d’Italia Abdellah Redouane, la Vicepresidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Christiane Schroeder-Werth. Li ringrazio davvero di cuore per aver accettato il mio invito.

A voi giornalisti parlamentari, che seguite con implacabile attenzione i lavori del Senato giorno per giorno, e a tutti i presenti, rivolgo i miei più sentiti auguri di Buone Feste.

(immagine di repertorio)