Conferenza del Presidente della Repubblica di Tunisia Beji Caid Essebsi

Signor Presidente della Repubblica Tunisina, Autorità, cara Presidente Boldrini, cari colleghi, Signore e Signori,

desidero augurare il più cordiale benvenuto al Senato della Repubblica a lei, Presidente Essebsi, alla sua delegazione e tutti voi. Per me è un grande onore e un piacere potere ricevere nella storica Sala Koch, per oltre un secolo la sede centrale della Biblioteca del Senato, il Presidente di un Paese cui l’Italia e gli italiani sono legati da sincera amicizia e da profondo rispetto.

Io, Signor Presidente, sento un affetto molto particolare per il suo Paese e il suo popolo perché da bambino, dal balcone di casa nella mia Sicilia, vedevo la costa tunisina, potevo quasi toccarla con la mano, e sono cresciuto considerandola parte della mia stessa terra, della mia stessa vita. Anche per questa ragione tre anni fa (era esattamente il 7 febbraio del 2014) volli condividere con voi le celebrazioni in Parlamento della nuova Costituzione, la palingenesi della Tunisia.

La nuova carta fondamentale simboleggiava la rinascita di un grande Paese, edificando le regole della convivenza collettiva sulla libertà, sui diritti, sul pluralismo e sulla giustizia. La Costituzione segna anche la maturità di un popolo che ha scelto il dialogo, lo Stato di diritto e la democrazia per comporre pacificamente le ideologie e le visioni diverse e per coniugare tradizione e futuro, memoria e modernità in un Paese che vanta un’ineguagliabile storia e procede avanti a testa alta. Una Costituzione lungimirante e coraggiosa che sta progressivamente trovando compimento, anche con il prossimo insediamento della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura.

Signor Presidente, noi ammiriamo la tenacia e la saggezza con cui in questi primi due anni del suo mandato, lei ha saputo unire il Paese in questa delicata fase di transizione politica e istituzionale caratterizzata da un quadro di sicurezza, economico e geopolitico complesso e impegnativo. La ringraziamo di cuore, Signor Presidente, per la considerazione e l’amicizia verso il nostro Paese, che dimostra oggi con la sua presenza al Parlamento italiano, la sede della nostra democrazia.

L’Italia è sempre stata al fianco delle istituzioni e del popolo tunisino. Ha pianto le vittime del Bardo e di Sousse; è il principale sostenitore della Tunisia in Unione europea e svolge un ruolo chiave nello sviluppo economico e sociale del Paese, tanto con gli aiuti, già in atto e offerti alla Conferenza Tunisia 2020, quanto con il lavoro delle sue aziende che operano con impegno in tutti i settori dell’economia tunisina.

Il Parlamento italiano è fortemente impegnato a sostenere la democrazia tunisina e lavora al fianco del Parlamento tunisino, insieme ad altri paesi europei, nell’ambito del progetto di Gemellaggio per formare i funzionari parlamentari e per scambiare esperienze nei servizi legislativi, nella gestione amministrativa e delle risorse umane, nella comunicazione e nella diplomazia parlamentare.

Il Senato coordina in particolare le attività relative al rafforzamento delle capacità e delle competenze dell’Assemblea tunisina in tema di iniziativa legislativa, emendamenti ai progetti di legge e controllo all’azione di governo e ha da pochi giorni presentato al Presidente dell’Assemblea un manuale di procedura dei servizi legislativi. L’auspicio è che gli eccellenti rapporti bilaterali fra Tunisia e Italia possano essere il volano di un impegno comune nel Mediterraneo: il Mare che per tutti noi è padre e madre, il luogo della contaminazione di civiltà, lingue, religioni, culture, pensiero che ha segnato la storia dei nostri due Paesi.

Il Mediterraneo oggi è preda di poteri criminali e terroristici; in molti Paesi si sgretolano le istituzioni mentre le alleanze politiche internazionali e sovranazionali perdono forza e legittimità lasciando così il campo all’unilateralismo e al nazionalismo. La crisi economica, i flussi di rifugiati e di migranti, il terrorismo, i fallimenti istituzionali chiamano Italia e Tunisia a gran voce a una responsabilità non più rinviabile. Noi, Signor Presidente, auspichiamo che prosegua l’eccellente e vitale cooperazione fra i rispettivi comparti di sicurezza contro il terrorismo internazionale, anche riguardo al fenomeno dei foreign fighters di ritorno. Speriamo che possa approfondirsi con determinazione il lavoro comune sul tema migratorio e la prevenzione del traffico di persone, secondo le linee che i Ministri degli Esteri Alfano e dell’Interno Minniti hanno proposto nelle loro recenti visite a Tunisi. Crediamo infine che debba mettersi in campo un’azione diplomatica comune per avviare una soluzione al comune problema della Libia. Signor Presidente, nel ringraziarla ancora per la sua visita la prego, anche a nome della Presidente della Camera Boldrini e di tutti i parlamentari italiani, di rivolgere al popolo tunisino il nostro augurio affettuoso di pace, diritti e prosperità. Grazie.

Giorno del Ricordo. Celebrazione a Palazzo Montecitorio

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, interverrà alla Celebrazione del Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo Giuliano-Dalmata, in programma venerdì 10 febbraio, alle ore 11, a Palazzo Montecitorio. Il Presidente Grasso ha preso parte alla Celebrazione del Giorno del Ricordo ogni anno, a partire dalla sua elezione. La prima volta il 10 febbraio del 2014, la cerimonia si svolse nell’Aula di Palazzo Madama, alla presenza del Presidente della Repubblica e della Presidente della Camera Laura Boldrini. Al termine della cerimonia, il Presidente Grasso si recò a Trieste, deponendo una corona al Monumento nazionale della Foiba, visitando il Museo di Basovizza, incontrando le Associazioni e intervenendo alla seduta solenne del Consiglio Comunale di Trieste. In quell’occasione ha ricevuto la riproduzione del monumento del Sacrario di Basovizza, che da allora è nel suo studio a Palazzo Madama. L’anno dopo, il 10 febbraio 2015, il Presidente Grasso partecipò alla cerimonia di Palazzo Montecitorio. L’anno scorso, la Celebrazione si è tenuta di nuovo a Palazzo Madama, in diretta televisiva, con la partecipazione della Presidente della Camera, Laura Boldrini.

Ambiente: realizzare obiettivi Agenda 2030

Intervento al convegno “La politica di fronte alla sfida dello sviluppo sostenibile” 

Autorità, colleghi, care ragazze e cari ragazzi,

nel settembre del 2015 ero a New York, con i presidenti dei parlamenti di tutto il mondo, quando sono stati adottati gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: in quella occasione è avvenuta la fondamentale presa d’atto che l’attuale modello di sviluppo non sia più, in alcun modo, in grado di assicurare il benessere e la prosperità al mondo.  E’ chiaro a tutti noi che non sarà semplice cambiare rotta ma anche che non vi è alcuna alternativa possibile per il pianeta se non quella di iniziare un percorso virtuoso, sulla base di questi Obiettivi, per realizzare la pace e la giustizia, rafforzare le istituzioni e ridurre al minimo le diseguaglianze che affliggono milioni di uomini e di donne in tutto il mondo e, non dobbiamo dimenticarlo, anche nei paesi più avanzati. È quindi con molto piacere che partecipo a questo convegno, occasione sia per presentare il primo “Rapporto dell’ASviS su l’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” che per riflettere insieme sui cruciali temi che definiranno il futuro dei nostri figli e nipoti.

Il rapporto è stato il frutto del lavoro e dell’approfondimento di decine di esperti delle associazioni aderenti all’Alleanza Italiana e, per questo, rappresenta un prezioso spunto per aprire un confronto di ampio respiro. L’iniziativa, lanciata circa un anno fa dall’Università Tor Vergata e dalla fondazione Unipolis, sta divenendo un punto di riferimento importante che  interroga in maniera forte e autorevole i partiti, i movimenti e le Istituzioni. Ringrazio il presidente dell’ASviS Pierluigi Stefanini per il lavoro che sta svolgendo e con lui tutte le realtà – davvero tantissime – che hanno scelto di portare il loro contributo e i loro saperi a sostegno dell’ambizioso progetto che l’Alleanza si è dato.

La sfida più grande è quella di orientare tutte le politiche dei prossimi anni – tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello dei diritti, dell’educazione, del risparmio energetico e delle infrastrutture – nell’ottica della realizzazione degli obiettivi individuati nell’Agenda 2030. Sfogliando queste pagine abbiamo l’opportunità di comprendere le difficoltà che stiamo affrontando e, allo stesso tempo, possiamo fare tesoro di alcune interessanti soluzioni che potrebbero, perché no, integrare e arricchire la strategia italiana di sviluppo sostenibile attualmente al vaglio del nostro Governo. L’Italia non ha solo il compito di essere all’altezza degli impegni che ha assunto in seno alle Nazioni Unite ma può e deve anche essere protagonista nel processo che dovrà rivedere la Strategia “Europa 2020” alla luce dell’Agenda 2030.

Ciascuno dei 17 obiettivi è fondamentale ma a me è particolarmente caro il tema dell’educazione. Lo considero – proprio come fa il rapporto – “una precondizione necessaria (ma non sufficiente) per il conseguimento dell’insieme delle mete previste”. È infatti evidente che dare a ogni bambina e bambino la concreta possibilità di realizzarsi sul piano professionale, morale, civico sia determinante per avere, nel prossimo futuro, una società più equa, più inclusiva, maggiormente informata sui rischi ambientali e più consapevole che ognuno, in ogni parte del mondo, deve poter godere degli stessi diritti e adempiere agli stessi doveri. Prima di lasciare la parola ai rappresentanti dell’AsviS, che ci restituiranno un quadro più completo dell’analisi che hanno svolto, e ai relatori che animeranno il dibattito su di esse, auguro a tutti voi buon lavoro.

Grazie.

 

La mafia fu il braccio armato ancora non sappiamo per conto di chi

«S’intuisce che Cosa nostra possa essere stata il braccio armato di altri interessi: di una strategia politica; di tipo economico legati agli appalti pubblici; o di entità deviate rispetto alle proprie funzioni istituzionali. Purtroppo però non è stato possibile trovare le prove. Gli elementi perraggiungerle sono a conoscenza solo dei vertici dell’organizzazione, che non hanno collaborato con la giustizia. Né abbiamo avuto collaborazioni da altri settori, esterni a Cosa nostra».
Venticinque anni dopo la sentenza della Corte di cassazione che rese definitive le condanne del maxiprocesso alla mafia, Pietro Grasso ricorda la stagione degli omicidi e delle stragi del ’92. Scaturite proprio da quel verdetto di cui fu in qualche modo protagonista: era stato lui, tra il 1986 e il 1987, nelle vesti di giudice a latere della corte d’assise di Palermo, a scrivere le motivazioni sulle responsabilità della Cupola mafiosa, che poi vennero confermata dalla corte suprema.
Ma l’attuale presidente del Senato non è convinto che dietro quella scossa di terrore ci fosso solo il movente della vendetta: «Come in tanti altri delitti eccellenti di Cosa nostra, credo che ci siano altre possibili causali di contorno, legate ad interessi di altri». L’amara conclusione è che mancano i riscontri: «Ma non dobbiamo mai perdere la speranza di trovare la verità. E continuare a cercare».
Ci vorrebbe la collaborazione di un capo del calibro di Totò Riina, o di un pentito delle istituzioni per fare piena luce sui fatti ancora oscuri del 1992 e — prima ancora — di altri momenti di svolta nell’attacco mafioso allo Stato: «La storia di Cosa nostra è una storia di misteri irrisolti o solo parzialmente risolti. Non solo per le stragi, ma anche per i cosiddetti “omicidi politici” di Michele Reina, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa. Che danno l’impressione di essere stati commessi non solo per le esigenze di Cosa nostra; anzi, l’hanno danneggiata. Molti pentiti hanno fatto questo tipo di riflessioni, senza poter andare più in là. Perché soltanto i vertici potevano essere al corrente di certi contatti con entità esterne». In ogni caso, il terribile 1992 del piombo e del tritolo mafioso prese l’avvio quella sera di venticinque anni fa, 30 gennaio 1992, quando la Cassazione pronunciò il verdetto che ripristinava gli ergastoli per i boss colpevoli dei delitti deliberati dalla commissione mafiosa. «Quando arrivò la decisione mi trovavo al ministero della Giustizia dove lavoravo con Giovanni Falcone — racconta Grasso — e fin dal dispositivo, prima ancora di leggere le motivazioni che sarebbero arrivate in seguito, capimmo che era stato confermato l’impianto del pool e della corte d’assise. Fu motivo di grande soddisfazione, anche perché dopo la sentenza di appello che aveva fatto cadere le accuse contro la Cupola, temevano che la Cassazione potesse andare nella stessa direzione». Nel corso del 1991 dal «palazzaccio» romano di piazza Cavour erano arrivati diversi «segnali negativi», con scarcerazioni e assoluzioni nei confronti dei boss. Ma dopo varie vicissitudini il processo venne assegnato a un collegio diverso da quello che solitamente trattava i fatti di mafia. E l’accusa vinse: «Un risultato storico, perché significava che sul piano giuridico non poteva più essere messa in dubbio l’esistenza della mafia, né la sua struttura unitaria e verticistica. Da quel momento, negli altri processi, bastava acquisire la sentenza del maxi per averne la prova».
La reazione di Riina, come poi avrebbero rivelato i collaboratori di giustizia, furono gli omicidi di Salvo Lima e di Ignazio Salvo, «colpevoli» di non aver saputo garantire l’annullamento del maxiprocesso in Cassazione; e le stragi di Capaci e via D’Amelio in cui morirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino — che avevano istruito quel procedimento — insieme alla moglie di Falcone e agli agenti delle scorte. Anche Pietro Grasso, che aveva collaborato in maniera decisiva al primo verdetto, doveva saltare in aria nell’estate del 1992; per dare un altro «colpettino» allo Stato e farlo scendere a nuovi patti. Alcuni «problemi tecnici» incontrati dagli artificieri di Cosa nostra lo fecero fallire.
«Prima ancora del ’92 — dice il presidente del Senato — con Falcone e Borsellino abbiamo convissuto quotidianamente con il rischio della morte. A volte scherzandoci sopra, come ad esempio faceva Paolo con Giovanni quando gli diceva “finché sei vivo tu io sono tranquillo, perché tanto prima tocca a te”. Era un modo per esorcizzare il pericolo, e andare avanti».
Quanto al fatto di essere scampato a quella stagione di morte, il sopravvissuto Grasso confida: «Certe volte viene quasi un senso di colpa, anche se non ce n’è ragione. È solo un problema psicologico. Una serie di circostanze e coincidenze fortunate hanno fatto sì che io sia rimasto vivo, e questo non ha potuto che rafforzare l’impegno preso davanti alle bare dei miei amici; fare di tutto per accertare le responsabilità dei colpevoli. Con la coscienza mi sento a posto».
Da procuratore nazionale antimafia, Grasso ha raccolto le prime confessioni del pentito Gaspare Spatuzza: «Con le sue dichiarazioni ha provocato la riapertura delle indagini sulle stragi, nonché di processi chiusi con sentenze definitive. Ha fatto anche tornare la memoria a molti, ma la sensazione è che ancora restino delle verità da scoprire».

Incontro con il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani

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Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, accompagnato dal Vice Presidente David Sassoli. Al centro del cordiale colloquio, la situazione generale dell’Unione Europea e i rapporti tra il Parlamento Europeo e il Senato della Repubblica.

Rita Levi Montalcini. Una donna di frontiera

Discorso in occasione della presentazione della biografia a fumetti di Rita Levi Montalcini

Autorità, gentili ospiti,

sono davvero felice di presentare con voi questa splendida iniziativa dell’EBRI (European Brain Research Institute) e del Senato della Repubblica, nata allo scopo di portare la storia e la personalità di Rita Levi Montalcini alle generazioni più giovani attraverso questo splendido fumetto. In questo modo le ragazze e i ragazzi potranno conoscere una piccola grande donna, la cui immagine e personalità hanno impresso un segno indelebile nei campi della cultura, della scienza e dell’impegno politico e sociale. Rita Levi Montalcini affascinava per l’eleganza, incantava per l’intelligenza, la tenacia, lo slancio verso il futuro a dispetto dell’età.

Laureata in medicina e chirurgia a Torino nel 1936, come scoprirete leggendo le pagine che seguono, ha dovuto affrontare gravi difficoltà, alle quali seppe rispondere sempre con coraggio e capacità di resistenza. Fu vittima delle leggi razziali, per meglio dire, razziste del fascismo che le vietarono ogni prospettiva di ricerca, costringendola dapprima a recarsi in Belgio, poi a rientrare in Italia, arrangiandosi un laboratorio attrezzato nella sua camera da letto. E lei – dotata di quello spiccato senso dell’ironia che contraddistingue solo le persone particolarmente intelligenti – ha sostenuto, testuale: “Paradossalmente dovrei dire grazie a Hitler e a Mussolini che, dichiarandomi di razza inferiore, mi preclusero le distrazioni, la vita universitaria e mi condannarono a chiudermi in una stanzetta dove non potevo far altro che studiare”. Lasciatemi qui invece, fuori dalla sua superba ironia, fare una considerazione di carattere generale: di quanta intelligenza, di quanta forza, di quante potenzialità l’Italia si è privata con quelle leggi vergognose che hanno condannato prima all’esilio, poi alla prigionia e alla morte, una parte della sua popolazione?

Rita Levi Montalcini aveva 30 anni e un obiettivo dal quale non l’avrebbero distolta neanche i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Voleva capire come si formano le fibre nervose quali fattori che regolano la crescita del sistema nervoso. In quella stanza, china sul microscopio a studiare i neuroni di embrioni di pollo, avrebbe compiuto esperimenti decisivi per la scoperta che le sarebbe poi valso il Premio Nobel.

Si trasferì successivamente negli Stati Uniti, continuando la sua attività di ricercatrice. Il suo grande e costante impegno è stato quello di trasmettere il suo sapere ai giovani, di formare una nuova generazione di scienziati, lottando contro nepotismi, pressioni politiche, consorterie. La vita, soleva ripetere, ha un valore se non concentriamo l’attenzione soltanto su noi stessi ma anche sul mondo che ci circonda. La sua figura illustre ha sempre costituito un’alta testimonianza delle conquiste del genio italiano nel mondo e un monito a continuare ad investire energie e fondi nella ricerca scientifica, in particolare in quella direttamente rivolta a comprendere i meccanismi di funzionamento del nostro corpo e della nostra mente e a combattere le malattie più gravi. Nel settembre del 2001 fu nominata senatrice a vita dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi per altissimi meriti in campo scientifico e sociale. Il Senato italiano ha in questo un primato assoluto al mondo: nella sua storia sono ben sei i premi Nobel che sono diventati senatori.

Dietro l’apparente fragilità di Rita Levi Montalcini si nascondeva un uragano di idee, di stimoli a fare, a sapere, a conoscere. La sua eredità sopravvivrà al tempo che passa.
Lei non ha mai temuto la morte, diceva sempre che quando muore il corpo rimane quello che hai lasciato, e lei ha lasciato tanto. Come scrisse Primo Levi nel 1986, all’indomani del conferimento del premio Nobel, in Rita Levi Montalcini convivevano “una volontà indomita e un piglio principesco, accanto a quella rara combinazione di pazienza ed impazienza che è propria di grandi innovatori: tutte qualità necessarie ad infrangere la barriera dell’ignoto e ad avvicinare l’umanità alla meta più evanescente e gelosa, quella della mente umana che comprende se stessa”.

Tocca ai più giovani raccogliere il suo esempio e portare avanti le proprie ambizioni con la sua stessa passione e la sua stessa tenacia. Grazie.

La difficile giustizia: i processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943 – 2013

Discorso in occasione della presentazione del volume di Marco de Paolis e Paolo Pezzino

Autorità, gentili ospiti, care ragazze e cari ragazzi,

è con grande piacere che partecipo alla presentazione del primo volume di una collana che si propone l’ambizioso ma importante obiettivo di ripercorrere le vicende storiche e giudiziarie dei gravissimi crimini commessi nel periodo tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945, durante il quale l’esercito tedesco, in ritirata, faceva terra bruciata sul suo percorso, distruggendo paesi e borghi e commettendo stragi atroci e sanguinarie di civili inermi, per lo più di donne, bambini e anziani.

Permettetemi di ringraziare il procuratore Marco de Paolis, che ha seguito decine di processi su queste vicende, e Paolo Pezzino, autori dei primi due volumi e curatori dell’intera collana, e, con loro, tutte le persone che si sono impegnate nella realizzazione di questo progetto. Per me è stato molto interessante leggere la ricostruzione puntuale delle difficoltà, delle omissioni, degli ostacoli di questi percorsi giudiziari, faticosi ma necessari, che hanno un valore non solo nel mondo del diritto ma anche in quello storiografico. Non voglio però entrare nel merito del volume, sarà compito degli autorevoli relatori che interverranno dopo di me delineare un quadro esaustivo. Vorrei piuttosto soffermarmi su alcuni aspetti che suscitano in me riflessioni che ritengo valide per l’Italia di oggi. Per farlo è opportuno partire da un dato che ci restituisce immediatamente la drammatica dimensione dei reati che furono commessi tra l’8 settembre del 1943 e la fine del secondo conflitto mondiale: complessivamente si contano 23479 vittime tra civili, partigiani ed ebrei. Ci sono eventi ormai entrati nella memoria collettiva del nostro Paese: penso ad esempio alle stragi di Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, che hanno assunto un significato di grande rilievo simbolico e segnato per sempre, come una ferita mai rimarginata, i cuori e le menti di tutti noi. Ci sono poi eventi meno noti ma altrettanto dolorosi che attendono da troppo tempo di ottenere il giusto collocamento nella nostra storia.

Ai numeri già spaventosi delle morti dei civili vanno aggiunti i massacri operati contro i nostri militari, brutalmente trucidati in molte parti d’Europa. Solo in due casi, Rodi e Cefalonia, si sono celebrati dei processi. Oltre ai numeri bisogna poi considerare la tipologia dei reati che, senza alcun dubbio, sono da considerarsi tra i più gravi previsti dal nostro ordinamento giuridico. Nonostante siano passati più di 70 anni, sono convito che occorra proseguire, con tenacia e determinazione, sulla strada della giustizia, inchiodando i responsabili alle proprie colpe, siano essi tedeschi o italiani, perché i crimini contro l’umanità non possono essere né prescritti né archiviati. Né, tantomeno, dimenticati. Devono essere perseguiti, non per vendetta, ma per spirito di giustizia, anche decenni dopo che sono stati commessi, per poter consegnare la verità della memoria alle generazioni future. La dedizione e la perseveranza di chi, nonostante tutto, ha continuato a insistere perché fosse fatta giustizia è una lezione di impegno civile e un esempio di adesione morale ai valori della Repubblica di altissimo valore.

La stagione processuale riprese solo nel 1994, dopo il ritrovamento, avvenuto dopo quasi cinquant’anni per motivi mai del tutto chiariti (ma senz’altro vergognosi) di 695 fascicoli d’inchiesta occultati presso l’Archivio della Procura generale militare di Roma, quello che Franco Giustolisi chiamò, coniando una definizione talmente evocativa da entrare nell’immaginario collettivo, l’ ”Armadio della vergogna”. Non si può parlare di queste vicende senza citarlo: fu grazie a lui, al suo battersi fino all’ultimo giorno con invidiabile grinta e passione, che si accese l’attenzione dell’opinione pubblica su un passato colpevolmente taciuto e volutamente occultato. Noi stessi che siamo qui oggi eravamo stati già “convocati” proprio da Franco, nella sua ultima apparizione pubblica, nell’aprile 2014 in questa stessa sala, per affrontare il bilancio dei 70 anni passati da quel periodo.

Giustolisi ha testimoniato, soprattutto ai più giovani, il valore di un’informazione forte e libera, di un giornalismo davvero al servizio dei cittadini e non a quello dei potenti, una ispirazione per tutti gli uomini e le donne che hanno scelto un lavoro difficile, a volte rischioso e troppo spesso scandito da cocenti delusioni che rappresenta però un insostituibile presidio della nostra democrazia, presente e futura. Le inchieste di Giustolisi e la storia dei processi raccontati nei volumi che saranno pubblicati, sono un monito per ciascuno di noi: ci insegnano a non arrenderci mai e a continuare a nutrire la nostra speranza, anche quando si è soli e le possibilità di farcela sembrano ridotte al lumicino.

Nel libro “Il buio oltre la siepe”, Harper Lee fa dire ad uno dei personaggi: “aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede”.

Tenetelo a mente, care ragazze e cari ragazzi: qualche volta succede. Grazie.

Foto: ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Mediterraneo in azione: i giovani per la stabilità e lo sviluppo

Discorso in occasione della Conferenza del Secondo Forum regionale dell’Unione per il Mediterraneo

Autorità, care colleghe e cari colleghi, Signore e signori,

per prima cosa ringrazio di cuore, a nome mio personale e della Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini (con cui condivido la presidenza dell’Assemblea Parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo) il Segretario Generale Sijilmassi per l’invito e il Ministro Dastis per l’accoglienza in questo meraviglioso Paese. Saluto i co-presidenti dell’Unione per il Mediterraneo, la Presidente Mogherini e il Ministro Al Safadi. Ringrazio infine, lei, Ambasciatrice Borione per le sue belle parole e le sue sollecitazioni.

Il Mediterraneo, cari colleghi, attraversa un momento molto difficile. In alcuni Stati le istituzioni politiche si sgretolano e lasciano spazio a poteri criminali e terroristici.  Le alleanze politiche internazionali e sovranazionali perdono forza e legittimità. Nel nostro quadrante del mondo si aprono linee di faglia geopolitiche, economiche, religiose che generano conflitti, povertà, terrorismo, migrazioni.

Questo momento storico ci chiama ad una responsabilità non più rinviabile e io penso che l’Unione per il Mediterraneo e la sua Assemblea parlamentare siano una di quelle occasioni che non possiamo più perdere. Naturalmente non mi nascondo le difficoltà politiche ma penso che possiamo rafforzare questo foro di dialogo con un metodo che privilegi linee di sviluppo settoriali ed azioni puntuali, su quei piccoli e grandi progetti che possono contribuire ad offrire ai cittadini soluzioni concrete ai problemi quotidiani. In questo senso io esorto tutti, a partire dalle istituzioni della nostra Unione europea, ad impegnarsi di più, con più personale, più progetti e più politica nell’Unione per il Mediterraneo.

Credo che in questo la cooperazione inter-parlamentare possa svolgere il ruolo di camera di composizione di interessi e di istanze diverse in modo da favorire e anticipare decisioni e azioni intergovernative. Poiché nei Parlamenti si coniugano ogni giorno unità e pluralismo, questo consente di superare particolarismi e nazionalismi, e di sviluppare un lavoro più pragmatico e settoriale.

Mi sembra che vada esattamente in questa direzione la scelta del Segretariato dell’Unione di incentrare questo evento nel ruolo dei giovani nel Mediterraneo. Io credo anzitutto che solo con i fatti e le strategie trasparenti ed efficaci la politica potrà superare il pregiudizio diffuso fra i cittadini, particolarmente fra i giovani e talvolta confermato dai comportamenti, della sua compromissione etica. I Parlamenti devono, inoltre, interpretare in modo concreto la necessità dei giovani di avere prospettive effettive di realizzazione delle proprie aspirazioni.

Una priorità è dunque la riscoperta del primato della politica anche nella sua dimensione etica, a partire dalle procedure di selezione e formazione dei rappresentanti del futuro. Per convincere i giovani della necessità di non estraniarsi alla politica così da non lasciare ad altri le decisioni sul loro futuro, bisogna partire dal ruolo dei partiti, sostenendone l’importante funzione di intermediari, di cinghia di trasmissione dei bisogni dei cittadini, soprattutto in termini di crescita e di sviluppo, anche per evitare il formarsi di movimenti anti-sistema.

I Parlamenti devono imparare ad affrontare le priorità politiche con maggiore concretezza, sviluppando una conoscenza diretta della realtà, anche attraverso un contatto più continuo con la società, con le periferie del Paese, con le aree di emarginazione che generano populismo e radicalismi. Spesso per predisporre strategie di azione non servono altre leggi ma basta verificare l’efficacia di quelle esistenti e semmai semplificare quelle esistenti.

Sono certo che la democrazia parlamentare non potrà mai essere soppiantata dalla democrazia deliberativa, attraverso consultazioni dei cittadini sul web, che lascerebbe i diritti delle minoranze privi di rappresentanza e tutela in un mondo senza regole. Se però i Parlamenti non sapranno adattare il loro ruolo alle sollecitazioni provenienti dalla società, particolarmente dei giovani, il rischio è che la loro delegittimazione diventi irreversibile.

Prima di concludere vorrei dare brevemente conto del lavoro svolto in questi mesi dalla Presidenza di turno italiana dell’Assemblea parlamentare dell’UpM. Abbiamo svolto una ricognizione del lavoro dell’Assemblea, condivisa da tutti i membri del Bureau di Presidenza, i colleghi Presidenti dei parlamenti di Egitto, Turchia e del Parlamento europeo, che colgo l’occasione per ringraziare. La Presidenza italiana ha affrontato alcune criticità di carattere organizzativo, operativo e di bilancio. Sul primo versante, abbiamo individuato delle priorità tematiche che vanno dai flussi migratori al contrasto al terrorismo, alla crescita e all’occupazione, all’energia, ai diritti umani, ai diritti delle donne. Abbiamo quindi chiesto alle cinque commissioni in cui si articola la nostra Assemblea di costruire i programmi di lavoro tenendo adeguatamente conto di queste priorità e lavorando in stretta sinergia con l’Unione in modo da sostenere politicamente alcuni progetti di particolare rilievo.

Devo dire che abbiamo trovato nel Segretario Generale Sijilmassi un interlocutore attento e interessato, e di questo voglio ringraziarlo di cuore. Quanto al tema organizzativo il Bureau ha chiesto con la massima determinazione di sbloccare i fondi di bilancio, finora congelati, in modo da consentire il pieno lavoro delle commissioni. Io penso, cari colleghi, che dobbiamo sforzarci di evitare che le complicazioni burocratiche possano pregiudicare la sostanza, l’efficacia e la tempestività del lavoro comune e confido che tutti si adopereranno per questo obiettivo di nel dialogo in corso sulla riforma dell’Assemblea. A quest’ultimo riguardo, la Presidenza italiana crede che la gestione organizzativa per essere efficiente, continuativa e stabile dovrebbe potere contare su uno snello Segretariato permanente. E anche questo richiederà una forte volontà politica. Grazie.

Foto: ANSA/CLAUDIO PERI

 

 

Foro España Internacional 2017

Relazione al forum promosso dal Nueva Economía Fórum

Autoridades, estimados amigos, por primera cosa quiero agradecer al Presidente del Nueva Economía Fórum, José Luis Rodríguez, para esa oportunidad de dialogo con ustedes y al querido Presidente del Senado de España, Pio García-Escudero Márquez, para su bienvenida ayer en Madrid y su palabras tan amables. Un saludo cordial a todos, particularmente a la estimada Presidenta del Congreso Ana María Pastor Julián quien me recibió ayer en el Palacio del Congreso de los Diputados. Si me permitan, sigo hablando en idioma italiano.

Sono molto onorato di conversare con voi all’interno di questo foro di dialogo, che ha favorito incontri e riflessioni importanti sui grandi temi del nostro tempo, con indipendenza, profondità e con rispetto del pluralismo. Per me è poi un grandissimo piacere potere tornare in Spagna, per la prima volta da Presidente del Senato, un Paese meraviglioso che amo profondamente dove io ritrovo molta della mia Sicilia (nei profumi, nei sapori, nei volti delle persone, nelle parole che sono rimaste nel mio dialetto) e che con mia moglie abbiamo visitato a lungo e più volte. Ieri ho viaggiato da Barcellona a qui in treno proprio per avere l’occasione di ammirare il Paese attraversandolo dalla costa orientale alla Capitale, nel cuore della Nazione. A Barcellona ho partecipato al Secondo Forum Regionale dell’Unione per il Mediterraneo, quale Presidente dell’Assemblea Parlamentare, un compito che condivido con la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini. E nella conversazione di questa mattina vorrei partire proprio dal Mediterraneo: il Mare che per noi è padre e madre, il luogo più fecondo della storia dell’umanità, il laboratorio incomparabile della contaminazione di civiltà, lingue, religioni, culture, pensiero. In questo momento storico nel Mediterraneo assistiamo a preoccupanti fenomeni di frammentazione. Crescono gli Stati falliti, Paesi dove le istituzioni e i meccanismi politici si sgretolano, incapaci di rappresentare gli interessi di società eterogenee, e lasciano spazio a poteri criminali e terroristici. Le alleanze politiche internazionali e sovranazionali perdono efficacia, forza e legittimità, a partire dalla nostra Europa (su cui tornerò), e sul multilateralismo prevalgono l’unilateralismo, il nazionalismo, l’egoismo. Si aprono profonde linee di faglia geopolitiche, religiose ed economiche che determinano conflitti, povertà, terrorismo e flussi umani. Non dobbiamo nasconderci la gravità del quadro ma io penso che sia assolutamente sbagliato drammatizzare il pericolo come ineluttabile e irrisolvibile e cadere nella tentazione di isolarsi, di alzare muri politici, fisici, ideali. Nessuno può sentirsi al sicuro, e nessuno può fare da solo.

L’Unione europea nel Mediterraneo è uno dei grandi assenti. Distratta da egoismi e dal fronte orientale ha perso l’opportunità di influire positivamente sul corso degli eventi prima delle primavere arabe, quando il cambiamento era in atto e le crisi di oggi cominciavano a dipanarsi. Non abbiamo investito abbastanza, politicamente, nella cooperazione euro-mediterranea. Oggi la crisi economica, i flussi di rifugiati e migranti, il terrorismo, la polverizzazione istituzionale di alcuni Paesi ci chiamano a gran voce a una responsabilità non più rinviabile, di cui l’Italia ormai da tempo sta facendosi interprete a Bruxelles.

Facendo una disamina molto rapida dei temi (che se vorrete potremo approfondire nel corso del dibattito più tardi), vorrei citare tre obiettivi che l’Unione dovrebbe perseguire in un necessario nuovo inizio del processo di integrazione. Il primo è la crescita economica e il lavoro, pensando ai cittadini europei che hanno sofferto la crisi profondamente e hanno spesso smesso di credere in un’Europa che dava di sé stessa solo l’immagine del rigore. Il secondo è affrontare il tema migratorio con un complesso di interventi: geopolitici, attraverso un lavoro di stabilizzazione dei conflitti e la cooperazione con i Paesi di origine e transito; legislativi, rivedendo le regole di Dublino; organizzativo, distribuendo il carico con solidarietà ed equità. Il terzo è conquistare il peso geopolitico che all’Unione spetta nel mondo: con una vera politica estera comune e una nuova politica di difesa comune. Il terrorismo, le instabilità, i conflitti impongono una presenza unitaria ed effettiva dell’Europa.

Passando a parlare del mio Paese, rivolgo anzitutto un pensiero affettuoso a tutti coloro che sono stati colpiti dal terremoto e dai fenomeni metereologici, con gravi conseguenze nella loro vita quotidiana, nei loro affetti, nei loro beni. Il sistema istituzionale e di emergenza, i volontari e tutti gli italiani stanno dando una prova di coesione, umanità e impegno che mi inorgoglisce. A chi oggi fa polemiche e strumentalizza cinicamente la situazione dico che questo è il momento di salvare le persone e di lavorare per offrire a ciascuno soccorso e assistenza e ricostruire e dopo arriva quello delle verifiche, delle indagini sulle responsabilità.

Il mio Paese, come sapete, ha subito pesantemente gli effetti della crisi economica e del lavoro e continua finora a registrare tassi di crescita molto più bassi di quelli incoraggianti dell’economia spagnola, anche se dispone però di un vitale tessuto produttivo, fondato sulle piccole e medie imprese, sulla creatività e l’innovazione, che io penso, se adeguatamente accompagnato da opportune riforme e adeguate politiche europee, permetterà al Paese di tornare a crescere. Una recente indagine statistica ha rilevato l’aggravarsi delle diseguaglianze, del disagio giovanile e del divario fra ricchi e poveri e fra Nord e Sud del Paese. Le diseguaglianze crescono in tutta l’Europa anche nei Paesi che non hanno vissuto la crisi, come la Germania, e segnalano il rischio storico cui tutti siamo esposti, di vedere la coesione sociale ridursi e aumentare le aree di marginalità, vulnerabili al radicalismo ideologico e all’illegalità.

Come sapete in Italia a dicembre si è tenuto un referendum popolare sulla riforma costituzionale che avrebbe profondamente modificato composizione e funzioni del Senato e i rapporti fra lo Stato e le Regioni. Il referendum è stato bocciato con un risultato molto netto. L’affluenza dei cittadini alle urne è stata molto elevata e questo testimonia la qualità e la vitalità della nostra democrazia anche se la lunga campagna elettorale si è svolta cedendo troppo a toni esagerati, allarmismi, slogan vuoti e fuorvianti. I dati emersi dal voto sembrano disegnare una cartina del Paese dove la divisione principale è quella fra i “sommersi” e i “salvati” dalla lunga crisi economica che ha colpito l’Occidente negli ultimi anni. Da questa esperienza penso possano trarsi due ragionamenti di carattere generale. Il primo è che se si lascia che il dibattito politico diventi arena per lo scontro di personalità, cedendo al qualunquismo e alle esagerazioni mediatiche, si alimenta il populismo. La politica deve invece tornare a essere il campo in cui si confrontano risposte ai problemi reali e visioni politiche e si riflettono le sollecitazioni, le speranze e le attese dei cittadini. La seconda osservazione è che, nei diversi Paesi, le fasce più deboli economicamente mandano messaggi chiari, richieste ferme alla politica e alle istituzioni. Penso soprattutto con preoccupazione ai giovani, che si estraniano dall’impegno sociale e politico perché vivono una vita a metà, fatta di prospettive incerte, lavoro assente o mal retribuito, impossibilità di programmare e realizzare l’aspirazione a formare una famiglia e condurre esistenze dignitose.

Oggi, anche per un difetto delle classi dirigenti di visione strategica e capacità di gestire e incanalare i grandi mutamenti economici e politici degli ultimi decenni, viviamo in un’epoca regressiva e immatura, preda di semplicismi e di approssimazioni, con ricadute democratiche molto pesanti. I movimenti populisti, che crescono e si radicano in Europa e tutto l’Occidente, individuano timori reali, sofferenze profonde, un senso di smarrimento sordo che coglie le comunità nazionali di fronte a sfide epocali: le trasformazioni del lavoro, i flussi umani dal sud del mondo verso il mondo più ricco, il terrorismo. Questi movimenti sfruttano le paure per cavalcarle con un sentimento di generica ripulsa verso le istituzioni, ma senza indicare alcuna prospettiva di soluzione. Una situazione che danneggia la funzione affidata nello Stato di diritto alle istituzioni democratiche: e cioè quella di rappresentare, proteggere e promuovere i diritti individuali, il bene collettivo. Tocca alla buona politica disegnare soluzioni convincenti coi fatti, col buon governo, più che con le parole.

A me pare che due fenomeni principali concorrano al decadimento della democrazia. Da una parte, la debolezza della politica: mi riferisco all’incapacità della classe dirigente di interpretare i bisogni, le inquietudini e le aspirazioni dei cittadini e programmare adeguatamente il futuro. Dall’altra parte, penso alla seria immaturità della nostra democrazia nel gestire adeguatamente le potenzialità di sviluppo umano offerte dagli strumenti di comunicazione e di informazione, che in questi anni sono stati contemporaneamente medicina e veleno.

La sfida che ora si apre al Parlamento italiano e a molti altri Parlamenti nazionali è relativa alla riscoperta della propria ragion d’essere, del proprio valore aggiunto rispetto a quella che molti definiscono come la democrazia deliberativa attraverso il web. Mi riferisco alle diverse forme di consultazione e partecipazione virtuale dei cittadini che, paradossalmente, potrebbero consentirci oggi di superare i limiti fisici che storicamente hanno imposto la transizione dalla democrazia assembleare a quella partecipativa. Già alcuni movimenti politici, sia in Italia che in Spagna, fanno un uso strutturale del web come strumento di coinvolgimento dei propri iscritti nelle scelte strategiche del partito. Potremmo però andare oltre, e immaginare addirittura che siano i cittadini direttamente, dal proprio computer, a votare le leggi e prendere le decisioni al posto dei Parlamenti.

Bene, io penso che questa prospettiva non possa arrivare mai a sostituire il ruolo dei Parlamenti. Le assemblee rappresentative sono l’unico strumento che garantisce la tutela delle minoranze e permette a un gruppo di opposizione di diventare maggioranza alle elezioni successive. I Parlamenti garantiscono un confronto pluralistico, secondo regole certe, prevenendo il rischio che le decisioni fondamentali, ed in particolare la tutela dei diritti, siano rimesse al dominio della maggioranza.

Non è casuale che proprio ieri la Supreme Court del Regno Unito abbia confermato che è indispensabile coinvolgere il Parlamento britannico sull’attivazione dell’art. 50 del Trattato sull’Unione europea perché solo in questo modo sarebbero tutelati i diritti fondamentali dei cittadini su cui incide Brexit. Il mio auspicio è che anche il Parlamento italiano sappia nei prossimi mesi riaffermare il proprio ruolo rispetto ad alcune scelte strategiche che impegneranno il nostro Paese nei prossimi mesi. Penso in particolare alla legge elettorale, che non può prescindere da una scelta mirata e consapevole del Parlamento idonea a garantire per le due Camere sistemi elettorali coerenti ed omogenei. Penso poi alle tante altre riforme prioritarie che riguardano in particolare, la concorrenza, il contrasto della povertà, la cittadinanza e la tutela dei minori stranieri non accompagnati, che l’Italia sta attendendo e che mi auguro il Parlamento possa concludere entro la fine della legislatura.

Concludo tornando ai rapporti fra Spagna e Italia. Gli interessanti incontri di questi giorni mi hanno confermato che abbiamo rilevanti spazi di crescita comuni in molti settori. Le nostre indiscutibili affinità devono indirizzarci a cogliere l’opportunità di un rilancio della cooperazione politica fra i nostri Paesi, che sono convinto dovrà conoscere nei prossimi anni una intensa rivitalizzazione, nei rapporti bilaterali e in Unione europea. Su diversi temi è richiesta una stretta alleanza italo-spagnola: il rafforzamento della Difesa europea, il completamento dell’Unione Bancaria, un migliore coordinamento delle politiche fiscali, una posizione congiunta in materia di migrazioni, un’energica politica estera europea nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente.

Ringrazio dunque ciascuno di voi per l’attenzione e il Nueva Economía Fórum per questa bella opportunità di incontro. Sono convinto che studiare, approfondire, dialogare equivalga a costruire anticorpi della democrazia, antidoti contro il vuoto di valori e di politica. Borges in una delle sue ultime testimonianze ha detto che la scoperta del dialogo, che avvenne in Magna Grecia cinquecento anni prima dell’era cristiana, è l’avvenimento più bello che la storia universale registri perché oppose a fedi, certezze, dogmi, anatemi, tabù e tirannie, che allora dominavano il mondo, il conversare: dubitare, persuadere, dissentire, mutare opinione. Questa, credo, è la convinzione che ci unisce tutti in questa sala e questo è l’impegno cui dedico la mia vita è la mia azione politica. Grazie (sarò felice di ascoltare i vostri commenti e le vostre domande).

 

 

 

Regeni: messaggio per i genitori di Giulio

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Un messaggio personale, di affetto e vicinanza, ai genitori di Giulio Regeni, Paola e Giulio. Lo ha scritto il Presidente del Senato, Pietro Grasso, e lo ha affidato al Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, sen. Luigi Manconi, che oggi incontra i signori Regeni a Fiumicello (Udine), in occasione del primo anniversario dalla scomparsa al Cairo del ricercatore italiano.

Nel suo messaggio il Presidente Grasso ricorda il recente ed emozionante incontro a Palazzo Madama con i signori Regeni e ribadisce il proprio impegno, nelle sedi nazionali e internazionali, per ottenere verità e giustizia per Giulio e, in suo nome, per tutte le vittime senza giustizia nel mondo.