Incontro con il Presidente della Repubblica del Camerun

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo Giustiniani il Presidente della Repubblica del Camerun, Paul Biya. Al centro del colloquio, il problema delle migrazioni, la lotta al terrorismo, i rapporti tra Italia e Camerun e il ruolo delle imprese italiane nell’economia del Paese africano.

 

Incontro con il Presidente della Camera dei Rappresentanti della Repubblica di Cipro

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Giustiniani il Presidente della Camera dei Rappresentanti della Repubblica di Cipro, Demetris Syllouris. Al centro del colloquio, i rapporti tra i due Paesi, il futuro dell’Unione europea e il processo negoziale turco-cipriota.

 

Conferenza straordinaria dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione Europea

Autorità, Care colleghe e cari colleghi, Signore e Signori,

anche a nome della Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini desidero rinnovare il cordiale benvenuto del Senato della Repubblica in occasione della seconda sessione della Conferenza straordinaria dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea per il 60° anniversario della firma dei Trattati istitutivi delle Comunità europee. Sono grato agli autorevoli relatori che hanno accettato di intervenire per condividere le loro esperienze e la loro visione della nostra Unione. Rivolgo un saluto affettuoso alle ragazze e ai ragazzi che seguono questo evento dalle tribune: sono certo di interpretare i sentimenti di tutti dicendo che la nostra responsabilità più grande è consegnare loro, che si sentono da sempre profondamente europei, un’Unione più giusta, più coesa e più sicura.

Le conversazioni di ieri sera e il dibattito di questa mattina hanno confermato che la celebrazione parlamentare di quel momento del 1957 non è un esercizio di stile, non è un dovere di protocollo, ma un’opportunità che non possiamo permetterci di perdere. Ricordare come eravamo significa rispettare la sofferenza e il sacrificio di coloro cui dobbiamo la nostra libertà, e concepire insieme il futuro comune. Com’è normale, le nostre opinioni possono divergere, ma credo sia emersa la comune consapevolezza che non possiamo restare dove siamo: dobbiamo andare avanti e dobbiamo farlo insieme. Questo credo sia il senso più profondo del nostro dovere di rappresentare nei Parlamenti i sentimenti, le ambizioni e i diritti dei cittadini.

Tornando con la mente a quei giorni, mi sembra importante rammentare che veri attori di quel momento storico non furono tanto i governi, quanto i popoli europei che chiedevano a gran voce pace, pane, libertà, dignità. Il Secondo conflitto aveva denudato gli istinti più bassi, consegnando alla storia inimmaginabili persecuzioni e violenze. La paura, la fame, la disperazione, lo sgomento, l’incredulità, il terrore dominavano le anime. In questo contesto nacque nel 1950 la Comunità per il carbone e l’acciaio, con una forte impronta economica ma anche un inedito carattere di sovranità condivisa perché il vero obiettivo delle donne e degli uomini visionari e coraggiosi che si fecero interpreti dei sentimenti diffusi era politico. “Noi non stiamo formando coalizioni di Stati, noi uniamo uomini” disse Jean Monnet. A metà degli anni cinquanta si perseguì l’ambizione federale di una Comunità di difesa: si temeva un nuovo, e questa volta definitivo, conflitto. Alcide De Gasperi, come ha ricordato questa mattina la figlia Maria Romana, si fece interprete della sensazione che quella fosse un’occasione che passa e non torna più. Il progetto fallì e tutto sembrava perduto. Il cammino dell’integrazione ripartì invece nel 1955 dalla mia Sicilia, dalla Conferenza di Messina dove si affermò, contro le previsioni, la posizione che perseguiva un’integrazione orizzontale e generale delle economie europee invece di una settoriale e più limitata. L’obiettivo era, nelle stesse parole della Dichiarazione che fu adottata, “mantenere per l’Europa il posto che occupa nel mondo, restituirle la sua influenza e aumentare in maniera continua il livello di vita della sua popolazione”. Su questa solida base si sarebbe progressivamente affermato il sistema sovranazionale socialmente più equilibrato, politicamente più stabile e culturalmente più avanzato che la storia umana abbia mai conosciuto.

L’Unione europea ha mantenuto quelle promesse di pace, diritti e benessere oltre ogni ragionevole previsione, superando persino la creatività di coloro che venivano allora, con una punta di ironia, additati come utopisti. Io, se mi è permessa una nota personale, sono nato alla fine del Secondo conflitto e rammento bene quante speranze si accesero sessant’anni fa negli occhi dei miei, dei nostri genitori, che sognavano per noi bambini un futuro senza odio, senza violenza e privazioni.

Come sappiamo, in anni recenti l’Unione si è dovuta confrontare con sfide epocali: la crisi economica e del lavoro, le diseguaglianze, le migrazioni, la grave instabilità geopolitica alle frontiere, la paura del terrorismo. Abbiamo reagito ma non sempre con solidarietà e razionalità e alcuni nostri cittadini hanno sviluppato sentimenti di disaffezione e di ostilità al progetto europeo che parte della politica ha sfruttato pericolosamente. Reagire chiudendosi, alzando muri fisici, ideologici e morali è la negazione della nostra storia e non paga: nessuno può sentirsi al sicuro, nessuno può fare da solo. Multilateralismo, solidarietà, diplomazia, pluralismo: questi sono i fondamenti del metodo che ci ha condotto fin qui, l’unico che ci porterà avanti. L’Europa ha una responsabilità che eccede i suoi confini: noi tutti insieme abbiamo segnato nella storia universale nuovi e inimmaginabili parametri di civiltà: nelle relazioni politiche, nella stabilità sociale, nella promozione dei diritti e dello Stato di diritto. Ma la modernità pone nuove sfide e impone di trovare altre e sempre più elevate risposte. Spetterà ai governi, già a partire dalla riunione di Roma del 25 marzo, individuare modalità di lavoro e prospettive adeguate al nuovo status quo: investire nell’occupazione, nella crescita e nell’innovazione; progredire nell’unione bancaria e monetaria; rafforzare la lotta comune contro il crimine organizzato, il terrorismo, la corruzione e i delitti economici, anche istituendo finalmente una Procura Europea; gestire in modo solidale, lungimirante e umano le migrazioni e i flussi di rifugiati. Io ho molta fiducia nella saggezza del Presidente Gentiloni e dei suoi colleghi europei e confido che sapranno comprendere la gravità del momento e fissare un nuovo punto di inizio della storia della nostra Unione.

Personalmente credo che programmare il futuro dell’Europa richieda quattro linee generali di intervento. In primo luogo, è necessario ricostruire un clima di serenità e fiducia fra i governi, per riavvicinare i cittadini alle istituzioni europee e ai valori comuni e per contrastare così il riemergere di nazionalismi ed egoismi, anticamera dei totalitarismi. In secondo luogo, dobbiamo agire contro le diseguaglianze che, anche nei Paesi più solidi, condannano alla marginalità e all’esclusione troppi cittadini europei, rendendoli più vulnerabili al delitto e ai fondamentalismi. In terzo luogo, dobbiamo reagire al rapido declino demografico del continente integrando virtuosamente gli immigrati, cui già oggi dobbiamo molta ricchezza, economica e culturale. Infine dobbiamo ripensare le nostre strategie nel nuovo contesto globale attraverso una vera politica estera comune per tornare a occupare la posizione globale che ci spetta per storia, valori, economia. Il rischio è la marginalizzazione geopolitica dell’Europa. Serve anzitutto una nuova politica per il Mediterraneo e il Medio Oriente dove la nostra colpevole assenza, in questi ultimi drammatici anni, ha contribuito ai fenomeni con cui oggi ci troviamo a confrontarci.

In questa strada dobbiamo procedere tutti insieme, con coesione e con solidarietà, senza mai lasciare solo nessuno ma anche senza frustrare le ambizioni e l’impegno di chi vuole rafforzare la cooperazione in certe aree più rapidamente, perché è alle ambizioni di un pugno di utopisti di sessant’anni fa  che dobbiamo oggi il privilegio di trovarci qui tutti insieme, in pace e nel nome della libertà, della democrazia e della dignità umana. L’Italia è stata e sarà sempre un Paese di avanguardia nell’edificazione della casa comune perché noi ci identifichiamo profondamente negli ideali comuni e siamo orgogliosi della nostra storia millenaria di incontro di civiltà e di cuore geografico, politico e culturale del Mediterraneo e dell’Europa.

Viva l’Unione, viva l’Europa!

Marco Biagi, a 15 anni dalla scomparsa

Intervento al convegno “Un welfar della persona per completare il processo riformatore di Biagi”

Presidente Sacconi, autorità, gentili ospiti,

  consentitemi come prima cosa di ringraziare i promotori di questa iniziativa: l’Associazione “Amici di Marco Biagi”, l’Adapt, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, e, con loro, tutti i relatori. Sono felice di aprire, per il terzo anno, questa giornata di approfondimento e dibattito ispirato alle idee di uno dei più autorevoli giuslavoristi del nostro Paese. Era il 19 marzo 2002 quando il Professor Biagi tornava, come d’abitudine, in bicicletta a casa nella sua Bologna. Quella sera ad attenderlo c’era un commando di terroristi delle Nuove Brigate Rosse che lo uccise. Fu così bruscamente messa la parola fine all’esistenza di un uomo che era ancora giovane e nel pieno della sua vita e, anche, all’impegno di un brillante studioso, stimato ben oltre i confini nazionali.

Da allora sono passati 15 anni. Sono stati anni di dolore per i familiari, i colleghi, gli amici, gli studenti; di processi che si sono protratti fino al terzo grado di giudizio e che hanno individuato e condannato i responsabili di quell’efferato omicidio; sono stati anche anni nei quali gli studi, le idee e le proposte del professore hanno continuato a influenzare il dibattito sul welfare e sul mercato del lavoro. Dalla qualità e dall’ampiezza del diritto al lavoro che uno Stato è in grado di assicurare discende un equivalente e sostanziale livello di democrazia, di integrazione sociale, di libertà, di dignità.

È infatti anche e soprattutto attraverso la propria occupazione che ogni persona si realizza ed emancipa compiutamente, contribuendo, allo stesso tempo, all’arricchimento della società alla quale appartiene. Dove invece, purtroppo, non siamo capaci di garantire tale diritto nella sua più ampia accezione, si fa largo l’esclusione sociale: è ormai chiaro che non possiamo permettere che vengano persi questi patrimoni umani, prima ancora che economici. Il tema del lavoro è quindi centrale nella vita di ciascun cittadino, così come in quello della nazione.

Il perdurare delle difficoltà connesse alla lunga crisi economica che abbiamo affrontato in questi anni da un lato e le trasformazioni determinate dalle nuove tecnologie dall’altro, rendono sempre più necessaria una seria e profonda riflessione sul presente e sul futuro. Le risposte che saremo in grado di elaborare e mettere in campo alle tante sollecitazioni dei cittadini e delle imprese, disegneranno il domani dell’Italia.

È una grande responsabilità che le Istituzioni hanno il dovere di assolvere ampliando al massimo la loro capacità di ascolto e dialogo. Per questo sono particolarmente lieto di vedere intorno ad uno stesso tavolo istituzioni parlamentari e governative, docenti universitari, i segretari generali delle tre più importanti sigle sindacali e rappresentanti del mondo dell’industria e dell’artigianato: è un segnale di una dialettica vivace dalla quale non può che scaturire un ulteriore autorevole sprone alla politica. Prima di lasciare la parola ai relatori consentitemi di aggiungere una cosa. Il convegno di oggi e la vostra presenza qui in Senato è la più bella e concreta dimostrazione del valore del lascito intellettuale, ideale e umano di Marco Biagi. Buon lavoro a tutti voi.

Linee guida e nuove tecnologie per le consultazioni promosse dal Senato

Autorità, gentili ospiti, cari colleghi e amici,

è per me un grande piacere introdurre questa Giornata di confronto organizzata dal Senato nell’ambito della “Settimana della partecipazione”. L’iniziativa di oggi intende valorizzare gli spazi e le opportunità di intervento dei cittadini e dei portatori di interesse nelle attività parlamentari, attraverso strumenti e istituti propri della democrazia partecipativa, in particolare le consultazioni e le petizioni. Le democrazie rappresentative si confrontano oggi con le epocali trasformazioni che la globalizzazione e la rivoluzione digitale hanno determinato e continuano a determinare nella vita delle persone, delle collettività, delle istituzioni.

Lo spazio dello Stato nazionale trova difficoltà nel contenere eventi, rapporti, decisioni che coinvolgono e attraversano, in unità di tempo sempre più brevi, interi continenti, a volte l’intero pianeta. Lo spazio delle relazioni tra le persone, a sua volta, è ormai ben al di là della prossimità fisica ed è sempre più una rete di collegamenti virtuali, nella quale informazioni ed emozioni sono scambiate ad altissima velocità. Quel particolare tipo di democrazia rappresentativa che è il regime parlamentare si trova in prima linea nella sfida portata alle istituzioni da queste trasformazioni epocali perché l’iperaccelerazione del tempo, da una parte, e l’esprimersi degli individui nelle reti sociali create dalla tecnologia digitale, dall’altra, incidono in modo specifico su due assi tradizionali del parlamentarismo.

Il primo asse è costituito dall’integrazione del pluralismo politico e sociale attraverso procedure di mediazione rappresentativa fondate su una discussione che conduce a una decisione; il secondo dall’esistenza di un’opinione pubblica da rappresentare e in nome della quale e davanti alla quale condurre la discussione e assumere la decisione. L’iperaccelerazione del tempo individuale e collettivo fa apparire lenti i tempi delle procedure del confronto parlamentare, mentre la sostituzione dell’opinione pubblica con le opinioni delle individualità, spesso mobili, che si manifestano nella rete sociale, rende complessa l’azione rappresentativa.

Come può il parlamentarismo affrontare questa grande sfida? Una prima risposta potrebbe essere quella di ridurre l’ampiezza dell’apertura rappresentativa del Parlamento, la sua capacità di integrare il pluralismo, per puntare tutto sulla capacità di assumere rapidamente decisioni. Si tratterebbe di fare del Parlamento lo strumento di rapida validazione o ratifica di decisioni che calerebbero dall’alto della politica per governare i processi economici e sociali del Paese. Percorrere questa strada significherebbe tuttavia rispondere alla crisi di rappresentatività delle odierne democrazie con una chiusura in sé stesse delle Istituzioni. Il Parlamento diventerebbe davvero un “palazzo della politica”, capace sì di decidere in tempi rapidi, ma solo perché separato dalla società.

Come fare allora per rendere il Parlamento la casa comune dei cittadini, ovvero come far sì che la volontà dei cittadini di contare politicamente si riveli una risorsa a disposizione, anziché un problema da eludere con l’appello a presunte proprietà salvifiche di vecchi e nuovi decisionismi?

La risposta è semplice e a un tempo complessa: portare la partecipazione dentro la rappresentanza per coniugare tempestività e rappresentatività delle decisioni politiche. Un grande aiuto in questa direzione può venire proprio dalla tecnologia digitale, ossia da uno di quei fattori che più ha contribuito a modificare le esistenze individuali e collettive e a mettere in crisi il tradizionale modello della rappresentanza politica. La tecnologia digitale può essere un’opportunità per innestare elementi partecipativi nelle procedure parlamentari, creando le condizioni per una rinnovata centralità parlamentare, che si nutra di un rapporto diretto con la società e con la pluralità degli interessi che la abitano e la vivificano.

Quando nel 1971 le Camere approvarono i nuovi Regolamenti, si proposero innanzi tutto di rafforzare la capacità rappresentativa del Parlamento ancorandola alla capacità di organizzazione del pluralismo propria dei grandi soggetti collettivi dell’epoca fordista, a cominciare dai partiti. Oggi la capacità rappresentativa del Parlamento deve essere irrobustita in un modo nuovo, che tenga conto delle trasformazioni politiche, sociali e tecnologiche nel frattempo intervenute.

In particolare, sul versante del rappresentante, non è oggi pensabile rinunciare alla tempestività del processo decisionale parlamentare. Per rappresentare, il Parlamento deve decidere e deve decidere in tempi compatibili con le necessità dei cittadini. La mediazione parlamentare non deve mai ridursi alla dilazione, al compromesso consociativo, al rinvio delle decisioni. Quanto al versante del rappresentato, è da tempo tramontato il tempo delle identità, individuali e collettive, stabili e ben definite, che ruotavano intorno ai grandi perni dei partiti e dei sindacati. Oggi, invece, è il tempo della società fluida, delle identità mobili e delle appartenenze multiple, che si esprimono in una forma che spesso non si dà come già organizzata e strutturata.

Il Parlamento è sempre più spesso chiamato a confrontarsi con un pluralismo tanto vitale quanto conflittuale nelle sue svariate componenti e deve farlo contando essenzialmente sulla propria capacità di integrazione e di mediazione. Il rapporto con i cittadini e le loro aggregazioni si fa più diretto; nuove procedure e nuovi strumenti vanno a tal fine approntati, impiegando le possibilità offerte dalla tecnologia digitale. Gli strumenti più efficaci per accogliere nel lavoro e nelle proprie procedure parlamentari la complessità e la pluralità delle istanze presenti nella società sono stati da più parti individuati nelle consultazioni e nelle petizioni, rivitalizzate e potenziate proprio attraverso le nuove tecnologie. La consultazione consente di stabilire un flusso di comunicazione a due vie. In una prima fase, si sottopongono ai soggetti interessati questioni relative a una attività programmata o già avviata, allo scopo di ricevere informazioni, evidenze empiriche, commenti o proposte. Successivamente, si forniscono ai partecipanti riscontri relativi ai contributi pervenuti e alla decisione assunta.

Nella legislatura in corso sono state realizzate in Senato alcune consultazioni utilizzando modalità e tecniche di rilevazione e di analisi diverse, in funzione della specifica area di indagine e degli obiettivi di approfondimento dell’organo promotore. I Presidenti Maurizio Sacconi e Giuseppe Marinello, che saluto e ringrazio, illustreranno gli obiettivi, i contenuti e i risultati delle consultazioni svolte, rispettivamente, dalle Commissioni Lavoro e Ambiente e dopo di loro prenderanno la parola alcuni soggetti che hanno partecipato alle consultazioni. Le loro esperienze sono molto importanti perché ci hanno consentito di avviare una riflessione seria e approfondita su questa modalità di partecipazione al processo decisionale e sul suo potenziamento attraverso le nuove tecnologie. L’approdo di questa riflessione è stato la definizione di una Proposta di linee guida sulle consultazioni pubbliche promosse dal Senato. L

a Proposta, che ho l’onore di presentare ufficialmente oggi, individua quattro princìpi e quattro requisiti e definisce le fasi e le principali attività da svolgere nel procedimento di consultazione. Le linee guida recepiscono gli standard e le migliori pratiche adottati a livello europeo e internazionale e si inseriscono nel processo di definizione di Linee guida sulla consultazione pubblica in Italia, promosso dal Dipartimento della funzione pubblica di cui ci parlerà la Ministra Madia, che ringrazio sentitamente per la sua presenza qui oggi.

I princìpi individuati sono quelli dell’imparzialità e correttezza, dell’inclusione e accessibilità, della trasparenza e pubblicità e del riscontro. Ad essi si aggiungono i requisiti della strutturazione e congruità, della chiarezza, della tempestività e della riservatezza. Princìpi e requisiti che dovrebbero guidare la preparazione della consultazione, accompagnarne lo svolgimento e assistere l’elaborazione dei documenti finali, la comunicazione dei risultati e degli effetti sulla decisione da assumere.  A partire da oggi e fino al 30 aprile, la proposta di Linee guida è sottoposta a consultazione pubblica in una nuova  sezione che raccoglierà in un unico punto di accesso tutte le consultazioni svolte dagli organi del Senato, collocata nell’area denominata “Relazioni con i cittadini“. I soggetti interessati potranno inviare osservazioni e commenti che saranno adeguatamente censiti, attentamente valutati e presi in considerazione ai fini della stesura della versione finale. All’esito della consultazione, le Linee guida, integrate e arricchite dai contributi derivanti dalla consultazione pubblica, saranno formalmente adottate dal Senato.

L’altro strumento tradizionalmente utilizzato dalle democrazie parlamentari per consentire ai cittadini di sollecitare un intervento delle Camere su una determinata questione o materia è quello delle petizioni. In altri Paesi e nell’Unione europea l’istituto ha conosciuto un nuovo sviluppo non solo grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie ma anche, e soprattutto, con l’individuazione e la messa a punto di strumenti e procedure che assicurino un effettivo riscontro alle istanze dei cittadini. La dottoressa Koykka, capo unità della Commissione delle Petizioni del Parlamento europeo, ci parlerà dell’esperienza maturata in quell’ambito, alla quale guardiamo come estremo interesse. Il Parlamento europeo, infatti, considera le petizioni uno strumento di partecipazione attiva, in grado di assicurare tanto il coinvolgimento dei cittadini quanto l’arricchimento delle conoscenze dell’istituzione in relazione a questioni specifiche. Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione applicate a questo istituto favoriscono sicuramente l’accessibilità, l’immediatezza e la rapidità nella presentazione della petizione; consentono, inoltre, di rafforzarne la visibilità e di facilitare l’adesione da parte di tutti gli interessati. Tuttavia, la democraticità e l’efficacia delle petizioni dipendono, oltre che dalla facilità nell’esercitare il relativo diritto, anche e soprattutto dalla sua effettiva rappresentatività e dal suo reale impatto nel processo di formazione delle decisioni e delle deliberazioni parlamentari.

Le tecnologie digitali possono facilitare enormemente la raccolta delle firme, la condivisione del testo, l’invio delle petizioni, ma in questa maggiore facilità è insito un duplice rischio. Da un lato quello della superficialità e scarsa rappresentatività dell’istanza rivolta al Parlamento; dall’altro quello di una saturazione da eccesso di petizioni on line difficilmente gestibili dall’organo parlamentare. Devono allora essere pensati e apprestati adeguati strumenti procedurali e organi ad hoc che possano esaminare nel merito, con la dovuta celerità, ma anche con il necessario approfondimento, le petizioni presentate, allo scopo di assicurarne un esito concreto. Credo che da parte nostra una riflessione sul tema sia non solo opportuna, ma indifferibile e mi auguro che nei prossimi mesi sia possibile elaborare una proposta ispirata dagli stessi principi di condivisione e partecipazione che hanno animato l’iniziativa odierna. Sono infatti profondamente convinto che l’apertura del Parlamento ai cittadini e alla società civile rappresenti la nuova ineludibile frontiera delle democrazie parlamentari e che questa apertura vivifichi e rafforzi la rappresentanza, ponendola in contatto diretto con i rappresentati e al servizio delle loro istanze. Le istituzioni parlamentari potranno così affrontare con efficacia e autorevolezza le sfide del presente e del futuro.

 

 

Incontro con il Premier della Georgia Kvirikashvili

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Giustiniani, il Primo Ministro della Repubblica di Georgia, Giorgi Kvirikashvili. Nel corso dell’incontro si sono approfonditi i temi del rapporto della Georgia con le alleanze Euro-Atlantiche, dell’incremento delle relazioni economiche tra Italia e Georgia e dell’intensa cooperazione culturale in atto.

Incontro con una delegazione di allevatori Coldiretti

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama una rappresentanza di imprenditori agricoli delle zone del Centro Italia colpite dai recenti eventi sismici.
La gravissima situazione degli allevatori è stata illustrata da una delegazione della Coldiretti guidata dal Presidente Roberto Moncalvo, dagli allevatori e dalle loro famiglie.
Il Presidente Grasso ha assicurato che continuerà a seguire con la massima attenzione la situazione delle zone terremotate e in particolare, nell’ambito delle proprie prerogative, l’iter delle iniziative per la ricostruzione.

Articolo 9 della Costituzione: incontro con gli studenti

Senatrice Cattaneo, care ragazze, cari ragazzi,

sono felice di accogliervi qui e rinnovare il sempre fruttuoso incontro tra il mondo della scuola e quello delle Istituzioni. Quella di oggi è una bellissima tappa del percorso intrapreso a dicembre del 2016 quando, nell’Aula del Senato, inaugurammo la quinta edizione del progetto “Articolo 9 della Costituzione”.

L’Italia, lo state imparando bene, è una protagonista assoluta nel campo della ricerca scientifica: nel nostro dna – da Galileo Galilei a Fabiola Gianotti – tramandiamo il talento, la passione e la curiosità che hanno ispirato o contribuito a realizzare alcune delle più importanti scoperte della storia dell’umanità.

Avrete l’occasione di ascoltare la lectio magistralis di una delle più brillanti donne di scienza del nostro Paese e del panorama internazionale, Elena Cattaneo. Come presidente del Senato non posso che essere orgoglioso di annoverarla tra i membri di questa istituzione: dal 2013, infatti, è stata nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica per il lavoro di ricerca svolto nella sua straordinaria carriera al servizio del sapere.

La sua lezione verterà sul rapporto tra “scienza e etica della ricerca”, una complessa relazione che affonda le sue radici nella storia stessa dell’umanità. A dispetto del titolo, che potrebbe ingannare lasciandovi pensare che si tratti di un argomento distante dalla vostra quotidianità, è un tema che riguarda invece molto concretamente la vita di ciascuno di noi, tanto nella dimensione privata quanto in quella di membri della comunità alla quale apparteniamo. Non si tratta solo ed esclusivamente di dirimere questioni su cui – anche in questi giorni – si discute ma soprattutto di disegnare un contesto culturale favorevole ad un dibattito che diventerà sempre più necessario.

La ricerca sta compiendo passi da gigante in molti campi, determinando scenari che fino a pochi anni fa non avremmo neanche potuto immaginare. C’è uno spazio inesplorato che si sta consolidando tra l’evoluzione tecnologica e scientifica e i fondamenti della nostra etica che necessita di essere approfondito, di essere indagato. Diventa quindi di giorno in giorno più urgente un confronto aperto e lontano dai clamori mediatici su come il nostro Paese possa e debba affrontare queste nuove realtà che, inevitabilmente, mettono in discussione le nostre coscienze e i nostri valori. Questa crisi non deve però essere vissuta negativamente ma, anzi, accolta come l’opportunità di porci nuove domande e di elaborare nuove risposte: siete voi, cari ragazzi, i principali protagonisti e depositari di questa sfida.

Ringrazio la senatrice Cattaneo, sicuro che saprà con la sua lezione accendere i vostri cuori e stimolare le vostre menti. Forse tra di voi c’è il prossimo Guglielmo Marconi o la prossima Rita Levi Montalcini: l’obiettivo di tutto il progetto Articolo 9 è proprio quello di darvi l’opportunità di innamorarvi della scienza, farla vostra, mettere in discussione il sapere di cui oggi disponiamo e immaginare nuovi percorsi che migliorino l’esistenza delle persone.

Vi auguro di trovare sempre le ragioni per inseguire i vostri sogni e la forza per realizzarvi. Noi saremo al vostro fianco.

Buona ricerca a tutti!

L’Italia e le vie della seta

Discorso alla presentazione del numero di “Limes” sui rapporti geopolitici tra Cina e USA

Gentili ospiti, caro Direttore Caracciolo, cari amici,

ho molto piacere di potere rinnovare la bella e importante consuetudine di questa legislatura di ospitare in Senato alcuni incontri promossi dalla Rivista di Geopolitica Limes, un luogo autorevole e plurale di riflessione sui nostri tempi e sul ruolo del nostro Paese nel mondo. Il convegno di oggi prende spunto dal numero in edicola della Rivista, dedicato ai rapporti geopolitici fra la Cina e gli Stati Uniti, e intende soffermarsi su un tema estremamente importante per l’Italia: la partecipazione al progetto infrastrutturale lanciato nel novembre 2013 dal Presidente Xi Jinping per la costruzione di una “Nuova via della seta”, ribattezzato nel novembre successivo, “Una cintura, una via”. Com’è noto, il grande progetto si propone di connettere la Cina con i Paesi dell’Asia Centrale e dell’Europa per rinsaldare i legami economici e commerciali con i mercati interessati, attraverso un asse terrestre-ferroviario e uno marittimo che avrebbero entrambi conclusione a Venezia e saranno sostenuti da un fondo di quaranta miliardi di dollari.

Il tema è molto interessante e ho avuto modo di approfondirlo e discuterlo con il Primo Ministro, i Presidenti del Parlamento e altri interlocutori in occasione del mio viaggio in Cina alla fine del 2015, che mi ha anche permesso di conoscere meglio la realtà economica, culturale e sociale di quel grande Paese. Già allora espressi l’apprezzamento e l’interesse italiano per il progetto delle “vie della seta” ed ebbi modo di segnalare che l’Italia è senza dubbio nella migliore posizione, geografica, culturale e storica, per agire da ponte fra la Cina e l’Europa.

Un ruolo accresciuto perché, nel momento attuale, i possibili cambiamenti che nel commercio mondiale si potrebbero determinare con le politiche della nuova amministrazione americana e il tramonto della Trans-Pacific Partnership, chiamano l’Unione europea ad una relazione economico-commerciale privilegiata con il partner cinese. Mi sembra poi di un certo interesse la recente notizia di un’attività di verifica in corso da parte della Commissione europea su un recente accordo siglato fra i governi ungherese e cinese per la costruzione di una ferrovia ad alta velocità fra Belgrado e Budapest che sarebbe uno degli anelli di connessione del porto del Pireo, cuore del progetto cinese, al mercato europeo.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in questi giorni è in visita in Cina e, dopo un ciclo di reciproche visite di alto livello, sta segnando un nuovo capitolo nelle relazioni sino-italiane. Il Presidente della Repubblica ieri ha sottolineato che l’Italia intende concorrere alla costruzione della via della seta e intraprendere una “collaborazione autenticamente a tutto campo” con la Cina, auspicando anche che prosegua una politica di progressiva apertura economica che faciliti l’accesso degli operatori stranieri al mercato cinese. A me sembra che questo sia il momento, non più rinviabile, di operare delle scelte di merito: è necessario individuare un porto italiano che diventi il terminale del grande progetto, lavorando sulla connessione delle reti di trasporto e infrastrutturali. Questa è un’occasione cruciale di sviluppo economico e di consolidamento del rilievo geopolitico del Paese.

Concludo. Nell’atmosfera così turbolenta di questi mesi la politica appare spesso più interessata alle proprie vicende e ai prossimi impegni elettorali, piuttosto che alle difficoltà, ai diritti e alle aspirazioni dei cittadini. La complessità del quadro internazionale e i problemi sistemici interni ci impongono al contrario di pensare strategicamente, approfondendo e analizzando tutte le opportunità di sviluppo e programmando nel medio periodo la nostra posizione geopolitica ed economica in Europa e nel mondo.

Pensare al futuro del Paese è il dovere più importante, ma anche più negletto della politica. Per questo nelle ultime settimane ho sostenuto la necessità che la legislatura si completi nei tempi naturali per discutere e approvare in Parlamento i tanti provvedimenti che riguardano la vita quotidiana delle persone e delle imprese, e una legge elettorale omogenea per le due Camere. Faccio richiamo al senso di responsabilità di tutte le forze politiche perché si dia modo al Governo di lavorare, anche in vista dei prossimi, impegnativi appuntamenti internazionali, con la serenità necessaria a programmare il lavoro in un orizzonte temporale che porti al 2018. L’atmosfera di incertezza che si respira danneggia non solo il Governo, ma soprattutto il Paese e la sua proiezione internazionale. Ribadisco la mia fiducia nelle potenzialità del Presidente Gentiloni e del Governo e auspico che i dicasteri competenti affrontino con determinazione le varie questioni pendenti sul ruolo italiano nel progetto delle “nuove vie della seta”, che concorrerà a definire il nostro futuro economico e geopolitico.

A tutti voi auguro buona prosecuzione. Grazie.

Violenza contro le donne, un posto occupato anche in Senato

Cari ragazzi e gentili ospiti,

ringrazio la senatrice Silvana Amati per avermi voluto rendere partecipe di questa iniziativa. Ho avuto numerose occasioni per apprezzarne la grande sensibilità e l’impegno sociale e civile per dare voce a chi non ne ha.

I dati dell’ultimo rapporto ISTAT sulla violenza contro le donne ci danno la dimensione di questo fenomeno: 6 milioni e 788mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, quasi una donna su tre. All’interno di questo dato, va rilevato il fatto che le violenze più gravi vengono commesse da un partner o da un ex. Il 2013, in particolare, è stato un annus horribilis per le donne, con 179 vittime, in pratica una ogni due giorni, e proprio in quel periodo l’idea di “Posto occupato” è scaturita da una riflessione della scrittrice Maria Andaloro: se una donna su tre è vittima di violenza, si tratta “di un problema culturale che tocca tutti, tutte le famiglie, tutte le comunità sia piccole che grandi.”

Ha quindi concepito un modo per mantenere costante l’attenzione sul problema, piuttosto che limitarsi alla sola data, pure importante, del 25 novembre, la Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’originalità e l’efficacia dell’idea risiedono nel fatto che può essere attuata da chiunque, ovunque, in qualunque momento e a costo zero. Eppure una cosa così semplice può avere una grande ricaduta in termini di consapevolezza, perché – inaspettatamente, al cinema o nella redazione di un giornale, in autobus o a scuola, ai giardinetti o in una sala d’attesa – mette a confronto con una assenza, l’assenza di una donna che avrebbe potuto trovarsi in quel posto in quel momento se la sua strada non si fosse incrociata con quella di un uomo indegno. Fa percepire che cosa significhi vivere senza un pezzo della società.

Si tratta di un messaggio potente e immediato. È su questo che si deve lavorare, su una maggiore consapevolezza del problema e, dunque, sulla prevenzione e su una informazione corretta. Bisogna, in primo luogo, aumentare la consapevolezza tra le donne stesse, soprattutto le più giovani, che non debbono sottovalutare ogni singolo segnale di violenza, sia fisica che psicologica. Nessuna giustificazione è possibile, soprattutto se ammantata dalla retorica del “troppo amore”. In queste situazioni parlare di amore è una bestemmia: non si tratta d’altro che di mero senso del possesso ed egoismo sconfinato.

Da queste situazioni a rischio senza aiuto non si esce. Ad ogni grido di aiuto, però, deve corrispondere una risposta immediata; alle vittime deve essere garantita protezione efficace sin dalle prime manifestazioni penalmente rilevanti, in modo tale da bloccare sul nascere ogni possibile escalation di violenza. Agire tardi, punire dopo non serve a chi porterà sul volto per tutta la vita lo sfregio dell’acido, non serve a riportare in vita chi non c’è più. Un’altra forma, parallela, di prevenzione, prevenzione a lungo termine, è il lavoro che si deve svolgere all’interno della scuola e delle stesse famiglie per insegnare il rispetto. A parole e nei fatti.

Sono convinto che, nel lungo periodo, sarà questa la strategia vincente. E forse l’unica possibile. Se, infatti, prima ho riportato dati preoccupanti che ci devono indurre a non sottovalutare mai il problema, a non abbassare mai la guardia, dall’altro il rapporto dell’Istat già citato fornisce alcuni dati confortanti riguardo alla giustezza di questo approccio. Vi leggiamo che emergono importanti segnali di miglioramento rispetto all’indagine precedente, grazie ad una maggiore informazione, al lavoro sul campo, ad un clima sociale di maggiore condanna della violenza. Non basta, ma sta ad indicare che la direzione è quella giusta.

Alla luce di questi incoraggianti risultati non si può che concludere che la strada da percorrere è quella di continuare a mantenere alta l’attenzione sul problema, non solo il 25 novembre ma 365 giorni l’anno. Un impegno che ci deve vedere uniti, donne e uomini, perché non ci siano più posti da tenere occupati.