Decreto giustizia aiuta a risolvere problemi legati alla pandemia

Dichiarazione di voto del 17 giugno 2020, approvazione decreto-legge su intercettazioni, ordinamento penitenziario, giustizia civile, amministrativa e contabile, e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19

Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Giorgis,

dopo lunghi e drammatici mesi il nostro Paese, sconvolto da un’emergenza sanitaria senza precedenti, sta gradualmente tornando alla normalità.

Piangiamo migliaia di morti e siamo consapevoli che il lockdown – il blocco totale – ha prodotto enormi danni all’economia del nostro Paese. Non c’è tempo da perdere; occorrono e sono in discussione misure immediate a sostegno dei lavoratori, delle famiglie, delle persone più deboli e delle imprese. Allo stesso tempo, però, è fondamentale mettere in campo una strategia che non si limiti a ricostruire l’Italia pre-Covid (anche perché sarebbe illusorio pensare di poterlo fare), ma che disegni il futuro del nostro Paese, cambiandolo nelle fondamenta. È una grande opportunità.

Nelle diverse fasi sono stati creati numerosi tavoli, coinvolti decine di esperti e auditi i rappresentanti di molte categorie. Siamo fiduciosi che si possano presto tirare le fila e trasformare le tante idee politiche e fattuali in politiche concrete, attuabili e verificabili.

Dopo mesi difficilissimi in cui, grazie all’impegno di tutti i cittadini, siamo riusciti a contenere il più possibile il virus, si apre davanti a noi una fase nuova.

A questo proposito, voglio congratularmi con il ministro Roberto Speranza per aver firmato un importante protocollo d’intesa sulla ricerca e produzione del vaccino e testimoniargli la mia vicinanza per le minacce e gli insulti ricevuti in questi giorni.

Ora è di vitale importanza consolidare i dati incoraggianti sulla diffusione e implementare tutte le misure necessarie a evitare nuovi focolai e intervenire con tempestività in maniera da circoscriverli.

Abbiamo segnalato ai Ministeri competenti le nostre osservazioni su alcuni aspetti non secondari del funzionamento e dello sviluppo dell’app Immuni. Ci aspettiamo che nelle prossime settimane il Governo faccia quanto necessario per assicurare i più elevati standard di sicurezza dei dati e il massimo dell’efficacia per questo strumento di prevenzione, a mio avviso utile.

Matteo Salvini, che ha recentemente dimostrato pubblicamente di non osservare le basilari regole di distanziamento sociale e dell’uso della mascherina, ha orgogliosamente dichiarato che non scaricherà Immuni, essendo noti la sua riservatezza, il suo riserbo e la sua strenua e costante difesa della privacy.

Se c’è da dare un cattivo esempio, devo dire che non si tira mai indietro. Io l’ho già scaricata la app Immuni e invito tutti a fare altrettanto.

Anche il comparto giustizia ha sofferto e soffre le conseguenze della pandemia, una situazione difficilissima, una stasi che per evidenti ragioni non può più durare e che non può più essere sanata solo con un decreto d’urgenza, non bisogna dimenticarlo. Un Paese in cui la certezza del diritto non è garantita e nel quale la giustizia, penale e civile, non funziona come dovrebbe è un Paese ancora lento, tanto che fa scarcerare persone che dovrebbero stare in carcere e ciò avviene per la lentezza della giustizia; è un Paese che rimane ancora esposto a numerosi problemi di natura sociale, economica e politica. Negli anni l’Italia ha accumulato un gravissimo ritardo in termini di risorse destinate alla giustizia, di incapacità di proporre e realizzare un’ampia e radicale revisione dei codici, di poter anche risolvere una drammatica carenza di strutture e di personale, oltre che di tecnologie innovative.

Ebbene, il decreto-legge in esame deve pertanto considerarsi come un primo e necessario passo per affrontare l’immediatezza della crisi. Io mi auguro che seguirà un più ampio e approfondito lavoro di riforma ormai non più procrastinabile. Mi viene in mente, ad esempio, l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, che la Corte costituzionale, facendo proprio l’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul cosiddetto ergastolo ostativo, ha dichiarato parzialmente incostituzionale.

Ricordo molto bene le ragioni che portarono Giovanni Falcone a ideare il doppio binario per i reati di mafia. Lo ricordo bene perché allora ero al Ministero e si ritenne che i benefici dovessero essere accordati solo a chi dimostrava di aver troncato i legami con la mafia in maniera certa, collaborando con la giustizia. Accetto che a trent’anni da quella stagione vi sia una sensibilità giuridica differente, sostenuta da argomentazioni dotte e sottili. In Commissione antimafia abbiamo lavorato ad una relazione che indica la strada di una riforma complessiva, ma è il momento di passare dalle parole ai fatti.

Con il decreto-legge in esame, al netto della difficile gestazione in sede di Commissione giustizia, credo che la maggioranza abbia conseguito un buon risultato. Abbiamo necessariamente dovuto prorogare al 1° settembre l’entrata in vigore di una parte della disciplina sulle intercettazioni introdotta con la riforma Orlando.

Le intercettazioni – lo ribadisco – rimangono uno strumento di indagine formidabile soprattutto per alcune tipologie di reati, come quelli corruttivi. Tuttavia il cuore del provvedimento riguarda senza dubbio l’ambito dell’ordinamento penitenziario, dell’esecuzione della pena e di come si debba contemperare il diritto alla salute di ciascun detenuto, senza ledere il principio della certezza della pena e tenendo conto delle esigenze di sicurezza sociale. Il diritto alla dignità e alla salute dei detenuti vale certamente quanto quello di tutti gli altri cittadini, qualunque cosa abbiano commesso e, come tutti noi sappiamo, in questo momento nelle carceri del nostro Paese la realtà è ben diversa da questa affermazione di principio.

Non nascondiamoci dietro un dito. L’emergenza Covid ha generato un corto circuito che mina l’immagine dello Stato. È passata l’idea di istituzioni fragili, arrendevoli, incapaci di essere all’altezza della lotta alla criminalità organizzata.

Ci sono responsabilità diffuse che in queste settimane abbiamo approfondito e che stiamo ancora approfondendo ed è soprattutto qui che questo provvedimento interviene, introducendo l’obbligo per il giudice di sorveglianza di valutare in maniera più stringente la concessione sia degli arresti domiciliari per motivi di salute, sia l’effettiva permanenza di quei motivi, venuti meno i quali va ricostituita la detenzione in carcere. Si prevede dunque che la magistratura di sorveglianza debba richiedere, in caso di condannati per reati di stampo mafioso e terroristico, il parere obbligatorio del procuratore distrettuale o, per chi è sottoposto al regime detentivo speciale dell’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario, il parere del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Questo al fine di acquisire e dare alla magistratura di sorveglianza quelle informazioni sulla attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e sulla pericolosità del soggetto, che possano ripristinare l’equilibrio tra salute e sicurezza sociale e, in taluni casi, far rivedere il giudizio emanato nell’emergenza per far ritornare nella cura e nell’assistenza i detenuti e i condannati, nell’ambito sempre di un regime di detenzione carceraria. La speranza è che in questo modo siano attenuate le drammatiche conseguenze connesse al rientro nei territori di provenienza di detenuti considerati pericolosi e che io attribuisco ad una sorta di annebbiamento generale di tutte le autorità coinvolte.

Per questi motivi, annuncio il voto favorevole di Liberi e Uguali.

Un 23 maggio alla finestra

Editoriale del 24 maggio 2020 su La Sicilia

Falcone e Borsellino per me sono stati colleghi, amici, maestri. Maestri di pensiero e di vita, dei fuoriclasse sotto il profilo della competenza e della professionalità, che mi hanno dato tanti insegnamenti, come la loro proverbiale tenacia, la capacità di reagire ad ogni difficoltà e sconfitta con coraggio e orgoglio, senza essere fermati dallo sconforto e dalla paura. Ci sono voluti, infatti, centinaia di chili di esplosivo per riuscirci.

I moventi delle stragi di Capaci e via D’Amelio sono complessi e rispondono a una triplice logica: la vendetta, la prevenzione e l’eversione. La vendetta per le attività investigative, per l’azione di rinnovamento legislativo, per il rientro in carcere dei boss condannati nel maxiprocesso; la prevenzione per evitare che i magistrati, come futuro procuratore nazionale antimafia o procuratori di Palermo, potessero proseguire le indagini che avevano portato alla luce il connubio tra imprenditoria, politica e mafia, l’eversione – di tipo conservativo – per evitare che dopo Tangentopoli si potessero innescare mutamenti radicali della politica italiana.

Con la loro vita, prima che con la loro morte, ci hanno dimostrato che quando si crede davvero in qualcosa, niente davvero è impossibile; che anche le cose che si ritengono più difficili, apparentemente senza speranza, si possono realizzare. Chi avrebbe mai pensato all’inizio di questa avventura che un fenomeno centenario come la mafia sarebbe stato destrutturato, ridimensionato; che il maxiprocesso sarebbe arrivato a conclusione con gli ergastoli di numerosi capimafia; che sarebbero stati distrutti miti di invincibilità, impunità, omertà. Con la loro uccisione, le stragi e le bombe la mafia ha fatto un pessimo affare. La reazione dello Stato in tutte le sue componenti istituzionali c’è stata, perché non poteva non esserci dopo l’onda di rabbia e indignazione che attraversò tutto il Paese, e che ci ha lasciato in dote una legislazione contro la criminalità organizzata che tutto il mondo ci invidia, ma molto resta ancora da fare e da scoprire.

Dobbiamo tanto a questi uomini, che vanno portati come esempio, come modello. Uomini che mi piace ricordare anche in quei momenti di vita quotidiana vissuti insieme, nei quali esorcizzavamo la paura e il pericolo con una battuta, con uno scherzo. Alcuni ricordi sono dolorosi, altri mi fanno sorridere, altri sono frustranti, ma tutti mi danno la forza e la determinazione di continuare a seguire quei valori e ideali che hanno guidato la mia vita ed a cercare verità e giustizia fino a quando la mafia avrà una fine… e l’avrà.

Dopo 28 anni le vittime di quella stagione sono celebrate, in Italia e nel mondo, come esempi di rettitudine, di dedizione, di amore per la legalità e la giustizia, per il loro spirito di servizio e senso del dovere.

In queste lunghe settimane di lockdown le finestre e i balconi sono diventate le nuove piazze. Quasi ogni giorno alle 18, in tutta Italia, ci siamo affacciati per applaudire medici infermieri, per ringraziare commessi, cassiere e rider, per far sentire il nostro sostegno a chi ha continuato a lavorare per non far fermare le filiere che hanno concesso a tutti i cittadini di continuare a trovare prodotti nei supermercati e medicinali in farmacia, coloro che hanno consentito, affrontando il pericolo di contagio e col sacrificio della loro vita, la nostra sopravvivenza.

Anche se in ‘Fase due’, nell’impossibilità di manifestare in piazza come ogni anno, ieri ci siamo affacciati alla stessa ora ma con un motivo in più: per ricordare le vittime delle stragi di Capaci e via D’Amelio con il gesto simbolico di appendere un lenzuolo bianco. Lo stesso gesto che nell’estate del 1992 prima a Palermo poi in tutta la Sicilia e nel resto del Paese è diventato un’onda spontanea di indignazione e partecipazione. A distanza di anni abbiamo riscoperto una forma di presenza che nulla ha di virtuale e molto di concreto, che nulla ha di mediatico ma ci riporta alle radici di un impegno che non cerca contropartite, se non la libertà dall’oppressione mafiosa.

È stata una giornata diversa, per me e per tutti, ma è stata comunque una bella giornata.

Contrario alla sfiducia per Bonafede per importanti riforme della giustizia

Dichiarazione di voto sulle mozioni di sfiducia al Ministro Alfonso Bonafede, del 20 maggio 2020

Presidente, Colleghi,

il dibattito di oggi è attraversato da un fastidioso filo di ipocrisie trasversali, che poco hanno a che fare col merito di quanto andiamo discutendo e molto con piccole o grandi guerre di posizionamento politico. Ne cito solo tre, per evidenziarne i controsensi: chi ha sempre tuonato contro l’idea delle mozioni di sfiducia individuali si trova oggi tra i firmatari di una mozione di sfiducia individuale; chi ha sempre criticato il mio amico ed ex collega Nino Di Matteo, si trova oggi a sposarne lancia in resta non solo le idee e le argomentazioni, ma persino le percezioni; chi ha traccheggiato su una seria riforma del Csm per evitare lo strapotere delle correnti oggi balbetta di fronte alla pubblicazione di scambi che coinvolgono non solo numerosi magistrati, ma altrettanto numerosi esponenti politici; infine, a leggere i giornali parrebbe che i principi garantisti di pezzi della stessa maggioranza possano essere oggetto di baratto, voci che ritengo chiaramente false e calunniose, come dimostrano le smentite pervenute alle redazioni.

Liberato il campo da questi macigni, veniamo al merito delle questioni sollevate.
Ha suscitato molte polemiche la cattiva gestione della prima fase dell’emergenza nelle carceri. Io stesso, quando lei, signor Ministro, venne a rendere la sua informativa dopo le rivolte, sottolineai le indecisioni del Capo del Dap, indecisioni e balbettii che hanno reso quelle settimane davvero complicate negli istituti penitenziari. Altre grandi polemiche ci sono state poi per le scarcerazioni di centinaia di detenuti in regime di Alta Sicurezza e, addirittura, di alcuni al 41bis. Sgombriamo immediatamente il campo: le scarcerazioni nulla hanno a che fare con i provvedimenti emanati dal Governo. Come è noto, infatti, è previsto il differimento della pena qualora lo stato di salute non sia compatibile con il regime carcerario. Abbiamo assistito, piuttosto, ad un annebbiamento generale, una somma di errori di valutazione commessi, va sottolineato, in primo luogo dal Dap.

E’ stata proprio una circolare del Dap a trasformare un pericolo virtuale – quello che alcuni detenuti in condizioni di salute più delicate potessero ammalarsi di Covid – in un rischio concreto. La magistratura di sorveglianza è stata in qualche misura indotta a disporre quei provvedimenti, talvolta anche in assenza di specifiche richieste dei detenuti stessi, alla luce della valutazione sul rischio di contagio proveniente proprio dal Dap. D’altro canto non posso non rilevare l’acquiescenza di taluni Tribunali e dei Pubblici Ministeri che avrebbero potuto opporsi nei casi di detenuti per i quali il ritorno a casa, seppur temporaneo, è un rischio troppo grande per la loro pericolosità sociale. Lo sappiamo, le mafie vivono di simboli: quanto accaduto ha causato un grave danno di immagine allo Stato, che ha mostrato un cedimento in tutte le sue articolazioni istituzionali. Sono però certo che i nuovi vertici da lei voluti saranno capaci di inaugurare un nuovo corso nella gestione delle carceri.

Il diritto alla dignità e alla salute dei detenuti vale quanto quello di tutti gli altri cittadini: come tutti noi sappiamo, in questo momento, nelle carceri del nostro Paese la realtà è ben diversa da questa affermazione di principio, qualunque sia il reato da loro commesso.
I colleghi dell’opposizione hanno fatto riferimento al presunto scontro con Nino Di Matteo, sostenendo che il Ministro non lo abbia voluto come capo Dap sulla scorta della trascrizione di dialoghi avvenuti tra boss mafiosi in carcere. È palesemente falso. Ve lo dice un ex Procuratore: quei dialoghi erano chiaramente noti al Ministro prima della iniziale proposta a Di Matteo: quella motivazione, quindi, non ha alcuna consistenza logica e non reggerebbe in nessun tribunale. Conoscendo il rispetto di Di Matteo per le istituzioni, poi, non dubito che la sua esternazione sia avvenuta dopo ben due anni proprio perché all’epoca sarebbe stata letta come una rivendicazione personale.

Colgo l’occasione per ricordare a chi non lo ha mai fatto che la vicinanza e la solidarietà a un magistrato in pericolo come lui andrebbe dimostrata sempre, non solo quando conviene alla propria parte politica.
Archiviate le polemiche, concentriamoci sul presente e soprattutto sul futuro. Signor Ministro, abbiamo molto, moltissimo da fare.

La recente pronuncia della Corte Costituzionale sull’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario – l’ormai celebre “regime ostativo” – censura l’automatismo che lega alla collaborazione con la giustizia la possibilità di accedere ai benefici. In Commissione Antimafia stiamo lavorando ad una proposta da sottoporre quanto prima al Parlamento.

L’indipendenza, l’autonomia e l’imparzialità della magistratura sono messe in serio pericolo da un sistema di correnti che in passato, attraverso il Csm, ha fatto vittime illustri come Falcone e Borsellino. Appare drammaticamente scontato che il CSM necessiti di una riforma, a partire dalla sua elezione. È la cronaca di questi tempi che lo impone. E su questo il Ministro Bonafede e la maggioranza hanno iniziato un percorso per superare le dinamiche correntizie, ormai diventate un potere interno all’ordine e un veicolo di commistione con il potere politico. Ho anche proposto pubblicamente un’ipotesi di elezione su due livelli, che valorizzi la rappresentanza, la territorialità e il merito, che avvicini il CSM alla base, cioè a tutti i magistrati. L’aver rinunciato alla prima ipotesi (il sorteggio) mi fa capire che c’è la volontà di trovare una soluzione. Si tratta di dare le gambe anche a questo progetto. Ricordi, signor Ministro, che oltre all’azione giudiziaria, che oggi riesca anche a produrre gli anticorpi per far emergere i reati, commessi anche da magistrati, il suo ufficio è titolare anche di un’azione disciplinare.

Vi è poi l’urgente riforma del processo penale, l’unica che possa evitare i rischi da molti paventati di un processo a vita. Non è diminuendo i tempi di prescrizione infatti che si risolve il problema, ma diminuendo il tempo dei processi. Ma su questo aspetto non ho ora il tempo di dilungarmi, come ho fatto in altre occasioni. Concludo. Chiaramente il gruppo di Liberi e Uguali le rinnova la fiducia, signor Ministro. Per onorare tale fiducia, ora che le attività del Parlamento hanno ripreso il loro abituale corso e abbiamo ripreso ad affrontare temi non legati alla pandemia, le chiediamo di continuare con ancor maggior vigore il proficuo confronto e dibattito con la Commissione giustizia e la Commissione antimafia, per intervenire con più rapidità e incisività sui tanti temi che ci siamo impegnati a portare avanti. Buon lavoro.

Europa a un bivio storico. C’è bisogno di coraggio

A 70 anni dalla Dichiarazione Schuman, l’Europa o è unita o, semplicemente, non è. Una mia riflessione nel giorno del suo compleanno

Oggi è la festa dell’Europa. Un compleanno diverso, che arriva mentre il Covid, le migliaia di morti e la durissima recessione incrinano come mai in passato l’ideale che ci ha unito 70 anni fa. Non dobbiamo nasconderci: la pandemia ha mostrato crudamente tutti i limiti dell’Unione.

Siamo ad un bivio storico: l’Europa o è unita o, semplicemente, non è. L’Eurogruppo ha fatto importantissimi passi in avanti per rispondere alla crisi che colpisce i cittadini europei, e forse ancora più duramente proprio noi italiani. E’ chiaro a tutti che gli sforzi fin ora compiuti, seppur fondamentali e apprezzabili, non sono sufficienti.

Se l’Europa unita non sarà il cuore e le gambe della rinascita dopo la pandemia, il futuro di italiani, belgi, francesi, tedeschi, olandesi, lussemburghesi, danesi, irlandesi, greci, portoghesi, spagnoli, austriaci, finlandesi, svedesi, ciprioti, estoni, lettoni, lituani, maltesi, polacchi, cechi, slovacchi, sloveni, ungheresi, bulgari, rumeni e croati è già scritto. Per questo in molti – dentro e fuori il continente – scommettono sulla deflagrazione della nostra unione. Nessuno si illuda che il sovranismo sia la soluzione: nel mondo globale dominato da grandissime potenze come Cina e Stati Uniti non ci si salva da soli; si rischia invece di distruggere le faticose conquiste di civiltà che abbiamo conseguito.

Nei suoi primi 70 anni l’Europa unita ci ha regalato pace, benessere, diritti. Visti da fuori noi europei siamo una speranza, un progetto ambizioso e straordinario. Oggi il mio regalo all’Europa è quello di crederci ancora, nonostante la miopia di alcuni, le difficoltà, gli errori commessi.

Questo è il nostro tempo; questo è il tempo dell’Europa. Coraggio!

Necessario sostenere lavoratori dei settori del turismo e dello spettacolo

Intervento nel corso dell’informativa del Ministro Franceschini del 5 maggio 2020

Ministro Franceschini, colleghi,
l’emergenza Coronavirus ha portato alla ribalta, in maniera inequivocabile, il dramma di milioni di cittadini precari del nostro Paese, in settori altrettanto precari.
Oggi abbiamo l’occasione, signor Ministro, di confrontarci con lei su due tra i settori maggiormente colpiti dall’emergenza in corso: quello dello spettacolo e quello del turismo.

In queste settimane, costretti nelle nostre abitazioni, abbiamo apprezzato con maggiore consapevolezza quanto la cultura sia fondamentale nella nostra vita, colonna portante e irrinunciabile del nostro essere, e meritevole della giusta attenzione nelle decisioni politiche.

Si tratta quindi di mettere in campo politiche, materiali e immateriali di elevatissimo impatto pubblico.

Al mondo dello spettacolo, si lega il destino di nomi prestigiosi e non, attori, autori, musicisti, artisti, ai quali non viene riconosciuto il periodo di formazione e di preparazione. Ma vi è anche e soprattutto una vasta categoria di tecnici, assistenti, costumisti, macchinisti, elettricisti: senza questi professionisti non esisterebbe nessuno spettacolo, evento, concerto, commedia, film.

Migliaia di lavoratori, miliardi di euro di Pil in queste settimane di fermo e sappiamo che lo stop sarà ben più lungo.

Lo spettacolo, soprattutto dal vivo, è stato tra i primi a fermarsi e sarà tra gli ultimi settori a ripartire. La stragrande maggioranza dei lavoratori dello spettacolo ha sempre convissuto, ingiustamente, con un futuro incerto. È infatti un mondo con un’alta percentuale di contratti precari (cosiddetti “a chiamata”), con retribuzioni discontinue e non di rado inadeguate, versamenti previdenziali sporadici, calendari imponderabili, copertura assicurativa a intermittenza.

Il problema è quindi strutturale, ma il COVID 19 ha complicato ed esasperato la situazione. L’emergenza sanitaria e il blocco conseguente, hanno cancellato quasi subito le attività dello spettacolo e le forme di sostegno messe in atto si sono rivelate spesso inattivabili proprio per la precarietà delle tipologie contrattuali in essere. Per esempio, in pochissimi possono ricorrere alla cassa integrazione. Altri vedranno rigettate le proprie domande per il bonus da 600 euro in quanto i parametri previsti non tengono conto dell’intermittenza (nella migliore delle ipotesi) dei loro contratti e della precarietà a cui sono condannati da anni.

Il Cura Italia ha previsto, come requisito essenziale, che un lavoratore dello spettacolo possa accedere al bonus se è iscritto al Fondo pensioni Lavoratori dello spettacolo per almeno 30 contributi giornalieri nel 2019. Ma molti di questi lavoratori, per la situazione atipica descritta, non solo non soddisfano questo limite, ma essendo costretti a svolgere “secondi” lavori (quasi sempre nel medesimo comparto) a partita IVA, prestazioni occasionali assoggettate alla Gestione separata INPS, sono esclusi anche come liberi professionisti.

Dobbiamo fare uno sforzo, su questo come su altri settori, per metterci nella condizione di “vedere” tutti i lavoratori, perché è emersa la difficoltà delle Istituzioni in questo senso. Noi confidiamo che nessuno sia lasciato indietro. Come gruppo politico abbiamo proposto degli emendamenti che sono stati accantonati nella prospettiva del nuovo decreto.

Vorrei quindi indicare al Governo e al Ministro alcune direttrici di intervento per i prossimi provvedimenti. Nell’immediato servono:

● un reddito di emergenza almeno fino ad autunno, con l’inserimento della prestazione occasionale fra le tipologie di lavoro che danno diritto al bonus;
● la riduzione del limite delle 30 giornate, su cui so che sta già lavorando, per esempio riferendolo agli ultimi due anni;
● la copertura dei contributi che non verranno maturati con i bonus.

Per il futuro occorrerà, finalmente, porre mano a:

● una riforma strutturale del comparto che garantisca tutele e continuità economica ai lavoratori (un esempio potrebbe essere l’indennità di disponibilità);
● l’unificazione della contribuzione (Gestione separata e Fondo) per quanti si vedono costretti a svolgere secondi lavori;
● la copertura assicurativa per tutto il periodo in cui si è sotto contratto, e non solo per i giorni in cui si è impegnati fisicamente.

Ministro,
se il settore dello spettacolo vive una difficile situazione, quello del turismo è probabilmente il più colpito in assoluto: è infatti evidente che ci vorrà molto tempo prima che si possa tornare a vedere le nostre città affollate di turisti provenienti da tutto il mondo. Il comparto turismo è fondamentale sotto tutti gli aspetti per il nostro Paese: occupa circa 4,2 milioni di persone; genera il 13% del nostro Pil (ben oltre 232 miliardi); definisce l’immagine dell’Italia nel mondo, unendo idealmente il nostro passato, il nostro presente e anche il nostro futuro. È per questo che occorre un’azione forte, in grado di rispondere alle immediate e non procrastinabili esigenze maturate in queste settimane di lockdown. Nei giorni scorsi, nell’ambito della conversione del decreto Cura Italia, il Parlamento ha approvato un ordine del giorno della maggioranza che indica la strada all’esecutivo sulle misure indispensabili per far fronte alle richieste del settore.

Ministro Franceschini, ci aspettiamo che – ad esempio – il Governo sia tempestivo ed efficace nell’esonerare le imprese turistico ricettive in relazione al pagamento delle imposte sugli immobili, ridurre i canoni dovuti e prorogare tutti i termini per i versamenti.

Sarà importante anche sostenere i lavoratori stagionali, estendendo le tutele nei loro confronti e anche attraverso incentivi alle imprese.
Da ultimo credo che l’idea di incoraggiare gli stessi cittadini italiani a passare le vacanze qui sia non solo molto utile ma anche assolutamente realizzabile.

Ho apprezzato molto l’attenzione che lei ha dato per evitare che strutture turistico alberghiere possano finire nelle mani di chi, italiano o straniero, ha una liquidità di cui non si conoscono le origini.

Allo stesso tempo il nostro Paese ha bisogno più che mai di una strategia che accompagni le imprese del turismo nei prossimi anni e che le renda capaci di incrociare le sfide del futuro. Nonostante le difficoltà, è bene ricordarlo, siamo un Paese con una ricchezza culturale e paesaggistica senza eguali al mondo: mi auguro che, insieme, noi potremo essere all’altezza di questa bellezza.

Abbiamo molto apprezzato le sue parole di ieri in audizione e di oggi in Aula: sappiamo che ha ben chiari i problemi e le possibili soluzioni, sappiamo che purtroppo il Comitato tecnico scientifico non ha ancora risposto alle sue domande, sappiamo che sarà necessario il sostegno di tutto il Parlamento: noi saremo al suo fianco, e faremo da sprone se necessario, affinché le sue proposte di oggi siano realtà già a partire dal Decreto in discussione.

Io non pensavo oggi che su questi temi, in quest’Aula, si sentisse parlare nei suoi confronti di omicidio colposo, addirittura preterintenzionale. Pensavo che i temi fossero altri, perciò le auguro buon lavoro.

Grazie.

Coronavirus. Polemiche ridicole, serve prudenza

Sulle polemiche di alcuni parlamentari che preferiscono perdere tempo alla ricerca di piccole rendite di posizione

Non è detto che l’età porti saggezza, basta vedere miei coetanei spesso ospiti in televisione, ma un po’ di esperienza sicuramente. Ho una formazione giuridica, sono un uomo che ama e rispetta le Istituzioni nel profondo e che è consapevole dell’importanza e della delicatezza che comporta ricoprire una carica come quella di Senatore.

Sono intervenuto con molta parsimonia nel dibattito in merito all’epidemia perché ho ritenuto poco utile unire la mia voce a quella di esperti e specialisti del ramo scientifico e sanitario, figuriamoci inserirmi in polemiche inutili come quelle che non hanno smesso di esistere nemmeno nei giorni più drammatici. Nelle ultime ore però credo si stia superando il senso del ridicolo, fino a toccare livelli che intaccano tutta la categoria.

Ho visto ministri voler spiegare al Papa l’importanza della messa, senatori voler spiegare ai virologi l’andamento dei contagi, deputati ossessionati dal confronto con gli altri Paesi europei. Le notizie di oggi ci spingono ancora una volta a una doverosa prudenza. In Germania, pochi giorni dopo l’allentamento delle misure, il tasso di infezione è risalito in maniera preoccupante, così come il tasso di mortalità.

In Francia, che tutti abbiamo guardato con ammirazione per la decisione di riaprire le scuole l’11 maggio, le scuole non riapriranno a maggio. Potrei continuare con altri esempi, ma basta questo per capire che le quarantene degli altri Paesi non sono migliori delle nostre. L’Italia sta piangendo 27 mila morti, il rischio di aprire e dover richiudere di nuovo tutto e ritornare in piena Fase 1 è molto alto.

Nel frattempo, chiaramente, occorre sostenere economicamente i tanti cittadini che stanno pagando il prezzo della crisi, occorre aumentare la possibilità di fare test ed esami, occorre discutere in Parlamento dell’applicazione di tracciamento, per garantire privacy e sicurezza. C’è molto da fare e poco tempo da perdere alla ricerca di piccole rendite di posizione.

Un passo alla volta: adelante sì, ma con juicio.

Coronavirus. Reddito universale per non lasciare il Sud alle mafie

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Col mare in tempesta servono manovre audaci e coraggiose: estendere il reddito di cittadinanza e patrimoniale sulle grandi ricchezze

Un famoso detto popolare del sud ci ricorda che col mare calmo chiunque può sentirsi un marinaio provetto. In questi giorni invece, per usare le parole di Papa Francesco, il mare è in tempesta. Ciò che fino a poche settimane fa ci sarebbe sembrato impossibile è diventata la nostra realtà quotidiana, perché la salute dei più fragili dipende dai comportamenti di tutti i cittadini: libertà personali compresse, limiti di spostamento sempre più stringenti, distanza sociale imposta per decreto, multe salate a chi esce senza motivo, persone in giro con la mascherina come nei film di fantascienza. Una nuova normalità, che di normale non ha nulla: sappiamo che è necessario, ma non sappiamo quanto durerà e come sarà il mondo quando tutto questo sarà finito.

L’emergenza sanitaria ha già innescato una pericolosa crisi economica e dobbiamo intervenire prima che si trasformi in una crisi sociale. Vale per tutto il Paese. Il nord è stato colpito prima e più duramente, il sud è entrato ora nella fase più difficile: speriamo non arrivi il collasso di un sistema sanitario storicamente più fragile. Evitare questo collasso dipende anche da quanto rispetteremo le regole che ha suggerito la comunità scientifica, per il tempo necessario: serve uno straordinario sforzo di solidarietà collettiva, come in larga parte sta già avvenendo.

Gli interventi emergenziali decisi dal Governo e ora all’attenzione del Parlamento vanno nella direzione giusta, individuando bene i problemi e le fasce di maggior sofferenza. Bisogna tentare di tamponare, col massimo delle risorse attualmente disponibili, i primi problemi di liquidità. E’ evidente come questo non basti, ed è altrettanto chiaro a tutti che c’è la volontà e l’impegno di fare di più, già dai prossimi provvedimenti. Il Governo avrà tutto il sostegno necessario, e il Parlamento continuerà a fare il proprio dovere come è normale che sia, senza immaginare fantasiosi e complicati traslochi, e con l’utile e necessario contributo non solo della maggioranza ma anche delle opposizioni.

In attesa di diversi e più efficaci sistemi di contenimento del contagio, sui quali sono certo l’Italia farà scuola come è stato finora sul resto, è stato necessario imporre la chiusura della gran parte delle attività produttive: una misura drammatica sotto ogni punto di vista. Dopo poche settimane di serrata il Sud mostra segni di cedimento preoccupanti: i disordini in alcuni supermercati a Napoli e Palermo o davanti alle banche a Bari, sono solo il primo segnale di un disagio molto più esteso e profondo. Sta saltando un equilibrio socio-economico già fragilissimo, in cui purtroppo prosperano micro criminalità e mafie, e basato per un pezzo di popolazione su lavoretti saltuari e in nero.

Non dimentichiamolo: se non interviene con forza lo Stato a sostenere migliaia di famiglie, il potere di infiltrazione sociale della criminalità tornerà ad essere ai livelli degli anni ottanta e novanta. Se lo Stato arretra, le mafie avanzano. Ne conosciamo bene la forza e i metodi: lucrano consenso, complicità e omertà in cambio di poche briciole di sussistenza, rubando futuro e sviluppo. Rischiamo una caduta rovinosa indietro nel tempo, vanificando anni di sforzi, impegno e sacrifici.

Sono cadute certezze e garanzie, ora è il momento di avere ancora più coraggio, ripensare tutto il nostro modello economico e sociale, entrare in una nuova fase. Per farlo, il primo passo è abbattere due tabù che fanno ancora paura a molti esponenti politici, anche della maggioranza. Bisogna innanzitutto estendere il reddito di cittadinanza e farlo diventare un reddito universale, almeno per i mesi che serviranno a ripartire, con meno limiti e complicazioni dell’attuale meccanismo. C’è poi l’urgenza di ripensare la fiscalità per renderla davvero progressiva e in grado di sostenere i ceti più deboli. Potremmo chiamare in molti modi l’intervento per invertire la rotta e investire quanto drammaticamente è apparso in questi giorni necessario nel welfare, nella sanità e nell’istruzione, da contributo di mutuo soccorso a redistribuzione solidale, ma un nome chiaro lo ha già e lo conoscono tutti: si chiama “patrimoniale sulle grandi ricchezze”.

Col mare in tempesta servono manovre audaci e coraggiose, occorre rompere le onde per non finire in acqua. Perché se la barca affonda non si salverà nessuno, e non è questo il momento di difendere piccoli spazi di privilegio.

Rivolta carceri. Condannare violenza, ma cercare soluzioni

Presidente, Ministro, Colleghi,
quanto avvenuto nei giorni scorsi in molti istituti penitenziari del nostro Paese è molto preoccupante. Gravi sono state le rivolte, gravissime le conseguenze. Un ringraziamento sentito e sincero va rivolto alle donne e agli uomini della Polizia penitenziaria in primo luogo, e di tutte le Forze dell’ordine che con professionalità hanno lavorato, anche al di fuori dei propri turni, per far tornare la situazione ad una normalità che di normale, purtroppo, non ha nulla.

Ma voglio sottolineare, signor Ministro, che molto carente è stata soprattutto la gestione da parte del Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. É mai possibile che la sospensione dei colloqui abbia potuto provocare un’ondata di violenza così diffusa e incontrollata? Poteva il peso dell’emergenza pesare soltanto sulla limitazione dei diritti dei detenuti? E agenti, educatori, medici, infermieri, psicologi, direttori, detenuti in semi-libertà che ogni giorno entrano ed escono dal carcere senza alcuna protezione sarebbero immuni per decreto? Perché non sono state date chiare e precise direttive su una comunicazione che rassicurasse detenuti e sindacati nel garantire valide alternative come filtri sanitari, telefonate, colloqui via Skype ed altre soluzioni? Tutte misure genericamente devolute alla discrezionalità dei Provveditori e dei Direttori, lasciati soli ad affrontare reazioni non imprevedibili. Come poteva il vertice della catena di comando essere privo della profonda consapevolezza del delicato equilibrio che regola la vita nelle nostre strutture detentive, carenti sotto numerosi punti di vista, a partire dall’edilizia e dall’affollamento, che rende impossibile misure di prevenzione del contagio come stare ad un metro di distanza, fino alla cronica carenza di personale, non in grado di garantire l’indispensabile vigilanza anche nei turni notturni.

Una situazione risaputa come già al limite, più volte denunciata, al punto che proprio giorni prima dell’emergenza Coronavirus, io stesso, insieme ai rappresentanti di tutti i gruppi di maggioranza, ho firmato un DDL per aumentare le possibilità di colloqui telefonici in carcere.

C’è anche la strumentalizzazione delle rivolte con il tempestivo sostegno esterno di familiari per ottenere benefici generali e individuali, ma è notorio che il sistema penitenziario sia da tempo una polveriera pronta ad esplodere; è bastata, quindi, una scintilla per propagare la deflagrazione rapidamente in tutta Italia.

In questo contesto ci sono stati da parte del Direttore del Dap ritardi, indecisioni, balbettii, carenza di informazione, incapacità di trovare, coinvolgendo Garanti per i detenuti, sindacati e dirigenti locali, una diversa disciplina dei colloqui, rispettosa delle norme di sicurezza sanitaria. Molti ignorano che i colloqui non sono solo l’unico contatto dei detenuti con i propri affetti, ma anche la principale possibilità per ricevere cibo, biancheria pulita, beni di prima necessità. Modificare improvvisamente questo equilibrio, senza dare le giuste informazioni e rassicurazioni, è stato un errore gravissimo. A questo si aggiunga la paura del contagio, in uno spazio in cui centinaia di corpi, tra reclusi e operatori, condividono gli stessi spazi angusti.

In tutto questo l’assenza del capo Dap è stata ingiustificabile. Dove era durante le rivolte?

Ministro, il suo intervento di condanna della violenza lo condivido in pieno, ma non basta. Così come trovo ridicole le parole di chi invoca il “pugno di ferro” senza sapere minimamente di cosa stia parlando.

Lo dico con l’esperienza di chi non ha esitato, quando necessario, a infliggere decine di anni di reclusione ed ergastoli: non sono temi su cui fare populismo. Il diritto alla dignità e alla vita dei detenuti vale tanto quanto quello di tutti gli altri cittadini. Mi ha stupito sapere che a ieri non era stato mandato nelle carceri nemmeno una mascherina né un flacone di disinfettante. Siamo una democrazia, e dobbiamo dimostrarlo anche in questo. Prendiamo in considerazione alcune soluzioni, quali ad esempio il permesso temporaneo di restare a casa ai detenuti in semilibertà, che in carcere tornano solo a dormire e potrebbero essere vettori di contagio.

Voglio infine porre all’attenzione del Governo, grazie anche al suggerimento della senatrice Bonino, che in queste ore complesse l’emergenza coronavirus, oltre che nelle carceri, rischia di produrre effetti critici anche all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, così come nei centri di accoglienza per richiedenti asilo: è necessario che il governo predisponga anche in queste strutture presidi idonei ad affrontare la situazione a tutela di ospiti e operatori. In particolare, per quanto riguarda i Cpr il vero punto critico riguarda i nuovi ingressi, che andrebbero evitati perchè potrebbero diffondere il contagio all’interno dei centri.

Ottimo lavoro su intercettazioni. Fiducia al decreto è fiducia a Bonafede

Interventi in Senato sul Decreto Intercettazioni

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Presidente, colleghi,
il decreto oggi in discussione è senza dubbio un buon testo, che interviene dando risposte alle richieste di tutti gli operatori del diritto e tiene conto delle richieste che nel corso delle audizioni sono giunte sia da parte dei magistrati che da parte degli avvocati. Vengono corretti alcuni passaggi tecnici, si delinea la giusta modalità di archiviazione delle registrazioni e si tutela maggiormente il diritto di difesa.

Sento il dovere, nei confronti di tutti i colleghi senatori, di ripercorrere alcuni passaggi della discussione degli ultimi giorni, difficilmente comprensibili non solo a chi è fuori da quest’Aula ma, per certi versi, anche a noi stessi.

La sentenza delle sezioni unite della Cassazione resa nota a gennaio, ovvero dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri del Decreto legge oggi in discussione, stabilisce il principio giuridico per cui il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate, non opera per i reati connessi e per quelli che prevedono l’arresto in flagranza, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità prevista dalla Legge. E’ una sentenza interpretativa: il fatto stesso che si sia resa necessaria dimostra che le norme non erano abbastanza chiare, e per questo abbiamo inteso necessario intervenire.

La proposta che ieri ha bloccato i lavori per un giorno non era una mia iniziativa personale, ma il frutto di un accordo di maggioranza su cui abbiamo lavorato mercoledì scorso negli uffici del ministero della Giustizia, fino a notte fonda, alla presenza di rappresentanti di tutti i gruppi, compresa Italia Viva.

L’obiettivo era giungere al risultato di prevedere l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche – l’emendamento non riguarda infatti l’utilizzo del troyan – rispettando e chiarendo i limiti di ammissibilità, come stabilito nel Codice di procedura penale e dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, per i reati diversi da quelli per cui tali intercettazioni erano state autorizzate.

L’importanza di una norma di chiarimento, a seguito di quella sentenza, era stata prospettata da molti degli auditi, anche perché non intervenire poteva mettere a rischio decine di processi in corso, dal momento che un principio giuridico può essere utilizzato in qualsiasi fase del processo. Abbiamo rispettato il principio di diritto prospettato dalla Cassazione per cui se dalle intercettazioni emerge la prova di un nuovo reato deve sottostare ai limiti di ammissibilità previsti.

Una discussione approfondita, un testo condiviso, un percorso cristallino, fino a ieri mattina. Una normale dinamica di maggioranza, che non prevedeva quanto avvenuto ieri, provocando tensioni e ritardi giustamente stigmatizzati dai colleghi delle opposizioni, a cui chiedo scusa.

Cari colleghi, vi confesso che io per primo ho faticato a comprendere le ragioni di questo strappo, soprattutto alla luce del risultato su cui alla fine abbiamo raggiunto una nuova intesa. Il testo del relatore Giarrusso che è stato votato e il subemendamento che abbiamo tutti firmato e sottoscritto, infatti, non cambia NULLA nella sostanza rispetto a quanto era già previsto dall’emendamento Grasso, testo 2.

Basta confrontare i due testi e avere delle basilari nozioni di diritto per capirlo: sempre di articolo 266 comma 1 si parla, cioè di reati per cui sono previsti i limiti di ammissibilità, e tra cui sono compresi quelli per cui è previsto l’arresto in flagranza – quindi si tratta di un’aggiunta pleonastica. Infine, circa l’ulteriore subemendamento che aggiunge l’aggettivo “rilevante” a “indispensabile”, è evidente che se una prova è indispensabile sarà senza dubbio anche rilevante.

E’ stato quindi un vero teatro dell’assurdo quello cui ho non solo assistito ma, per ovvie ragioni e mio malgrado, persino partecipato nella giornata di ieri. Non di certo il primo, e temo nemmeno l’ultimo.

La necessità di alzare un polverone prescindendo dal merito è solo una buona arma per riempire le pagine dei giornali e gli spazi televisivi. Dal momento che per alcuni questo sembra essere il parametro più importante dell’azione politica, affronteremo con la calma di Cicerone l’abuso della nostra pazienza, finché sarà possibile. (Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?)

La sensazione che quest’Aula venga usata come trailer di partecipazioni a importanti trasmissioni televisive, infatti, non è peregrina leggendo i giornali di oggi, e seguendo le agenzie del pomeriggio. Ma questa è l’aula del Parlamento: per quanto la terza camera di Porta a Porta sia rilevante – non lo discuto – le Istituzioni democratiche lo sono di più, e pretendono più rispetto. Lo dico soprattutto a chi, invece di essere qui, ha appena finito di registrare l’epocale intervista foriera di annunci eclatanti.

Ho presieduto quest’Aula, e non posso che condannare manovre utili solo a dimostrare di poter bloccare a piacimento i lavori parlamentari, ancor più assurde quando provengono dalla maggioranza.

Aggiornando Shakespeare: se, come pare, siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sondaggi, i numeri impietosamente indicano che questo tipo di guerriglia non è la strada per aumentare i consensi. Lo dico da appartenente a una componente del misto che sta comodamente tutta in un selfie, non intendo dare lezioni a nessuno. Ma per rispetto nei confronti di quest’aula offro un consiglio: si faccia chiarezza una volta per tutte, si decida se e come mettere in condizione questa maggioranza di lavorare, per trasformare in atti parlamentari e di governo quel programma che ci ha accomunato a settembre e che viene approfondito in questi giorni nei tavoli convocati dal presidente Conte.

Come ha ben scritto stamattina Mario Sechi nella sua “List”, cito: “Non succede niente, ma si prepara il tutto (che potrebbe tranquillamente finire in niente”).

Ecco, che sia tutto o niente, purchè sia qualcosa di definitivo, e purchè sia presto. Non abbiamo ulteriore tempo da perdere.

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[su_spoiler title=”DICHIARAZIONE DI VOTO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]

Presidente, Colleghi,

Sebbene nelle ultime ore si sia consumato un dibattito lunare intorno a questo decreto legge, mi sembra utile descriverne il merito. E’ innegabile che le intercettazioni telefoniche e ambientali siano una formidabile risorsa per gli investigatori e che – per determinati reati – esse siano il principale se non l’unico strumento attraverso il quale possono essere acquisite prove e riscontri. La necessità di affinarne e perfezionarne l’uso corrisponde all’esigenza dello Stato di essere più efficace nel perseguimento di delitti che hanno un grande impatto sulla società come quelli di natura corruttiva o mafiosa.

D’altro canto, quando si fa ricorso alle intercettazioni, si sconfina nella sfera privata dei cittadini in maniera profonda e invasiva: ciò impone una approfondita riflessione sul complesso di garanzie nei confronti di chi – in maniera diretta o indiretta – sia intercettato.
Il legislatore è più volte intervenuto su questa delicata materia, ed è nuovamente chiamato ad operare un bilanciamento tra tre esigenze parimenti rilevanti: la segretezza delle indagini, la tutela della privacy e il diritto all’informazione.

La legge Orlando aveva un impianto solido: con questo decreto e con il successivo lavoro in Commissione, abbiamo apportato i necessari correttivi voluti innanzitutto dagli operatori del diritto che ci hanno fornito nel corso delle audizioni numerosi spunti e osservazioni.

Era in primo luogo necessario prorogare l’entrata in vigore della legge Orlando per poter consentire agli uffici competenti di riorganizzarsi in termini di strutture e personale soprattutto in tema di digitalizzazione: come sempre, infatti, non basta scrivere buone leggi se esse non sono accompagnate da un percorso che realizzi in concreto e non solo sul piano teorico gli orientamenti elaborati dal Parlamento.

In secondo luogo, al fine di garantire la correttezza delle operazioni, si è ripristinato il testo del codice di procedura penale vigente prima della riforma, conservando però le norme che regolano l’utilizzo del trojan e la destinazione del materiale intercettivo all’archivio digitale istituito presso le procure. A tal proposito abbiamo esteso la possibilità di utilizzo del cosiddetto trojan anche per le intercettazioni di delitti contro la Pubblica Amministrazione commessi da incaricati di un pubblico servizio oltre che da pubblici ufficiali.

E’ stato inoltre restituito al pubblico ministero il ruolo di dominus della fase di esecuzione delle operazioni, anche per vigilare affinché non vengano trascritte espressioni lesive della reputazione o di dati sensibili. Come forma di garanzia si è ripristinata poi la possibilità che all’udienza di stralcio partecipino anche i difensori, che potranno estrarre copia delle trascrizioni.

In terzo luogo si sono modificate alcune disposizioni delle norme di attuazione del codice di procedura penale che riguardano l’archivio delle intercettazioni e i requisiti tecnici dei programmi informatici per le intercettazioni mediante trojan da definire attraverso decreti del Ministro della Giustizia.

In Commissione Giustizia si sono inoltre introdotte alcune importanti modifiche che non sto ad elencare per brevità del tempo a disposizione. Tra le più rilevanti: l’aver inserito tra i reati per cui sono consentite le intercettazioni quelli commessi con il cosiddetto metodo mafioso o al fine di agevolare associazioni di stampo mafioso. Inoltre va messo in risalto l’inserimento del deposito delle intercettazioni nell’ipotesi, oltre che nel corso della procedura cautelare e dopo la conclusione delle indagini, anche nel caso del giudizio immediato.

Concludo.
Devo amaramente constatare che il battage di queste ultime ventiquattro ore ha oscurato un ottimo lavoro portato avanti dalle forze di maggioranza. Considero questo Decreto come il primo compiuto sforzo per riformare, passo dopo passo, il sistema della giustizia penale del nostro Paese. Per questa ragione annuncio il voto favorevole di Liberi e Uguali.

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Gregoretti. Salvini è andato oltre ‘sicurezza bis’, bene che ci sia processo

Interventi sull’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex Ministro dell’interno Salvini

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Presidente, Colleghi,
siamo ancora una volta chiamati a valutare una richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Salvini. Il Tribunale dei Ministri di Catania, come noto, ritiene che vi siano elementi tali da poter configurare come reato ministeriale il sequestro di persona aggravato nei confronti dei naufraghi portati in salvo da navi militari con operazioni di salvataggio coordinate dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo nel luglio 2019.

Tutti noi – ne sono certo – ricordiamo il contesto entro il quale scoppiò il caso “Gregoretti”. Ricordiamo quei giorni dominati dall’euforia di un Ministro che riteneva di essere al di sopra della legge. Il Senato – però – non è chiamato a giudicare la colpevolezza di Salvini: saranno i magistrati a doverlo fare. Non dobbiamo in questa sede neanche dare un giudizio politico sull’azione del, per fortuna ex, Ministro dell’Interno: il nostro compito è quello di verificare se Matteo Salvini abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo.

Mi concentrerò – per esigenze di tempo – su tre aspetti particolarmente rilevanti:

1. le condizioni di precarietà igienico-sanitarie dei migranti erano assolutamente note al Ministro sin dall’inizio delle operazioni di salvataggio. Furono infatti sin da subito accertati numerosi casi di malattie infettive, tra cui scabbia e tubercolosi. C’era un serio rischio di contagio degli altri migranti e del personale di bordo: in tali condizioni si dovevano far sbarcare immediatamente i naufraghi.

2. La Nave “Gregoretti”, a differenza della Nave “Diciotti”, non era attrezzata per operazioni di salvataggio, perché destinata ad attività di vigilanza pesca, come noto al Ministro sin dal 27 luglio. Era quindi inidonea ad ospitare in sicurezza un numero considerevole di persone per così tanti giorni. Come sottolineato anche dal Comandante Berlano ciò ha determinato che – cito – “i migranti sono, di fatto, ospitati sul ponte di coperta esposti agli agenti atmosferici”. D’altro canto lo stesso equipaggio era composto di sole 30 unità, un numero assolutamente insufficiente a gestire l’elevato numero di naufraghi. I nostri militari – per il divieto di sbarco imposto dal Ministro – sono stati esposti al rischio di ammutinamento oltre che a quello di contagio.

3. Nel caso “Gregoretti” appare chiaro sin da subito che le operazioni di soccorso – pur svolgendosi nell’area Sar di competenza maltese – siano state assunte dal nostro Paese, poiché le autorità maltesi erano contemporaneamente impegnate in altri interventi di stessa natura. Fermo restando che nessuna controversia avrebbe potuto sospendere l’attuazione delle norme internazionali che regolano il salvataggio in mare, come erroneamente motivato sia dal relatore Gasparri che dal ministro Salvini in occasione del caso Diciotti, in questo caso è pacifico sin dai primi momenti che l’indicazione del POS spettava alle autorità italiane, come immediatamente comunicato al Comandante della nave Gregoretti allorché gli si ordinava di dirigersi da Catania verso il porto di Augusta, già ipotizzato come POS.

Non si può neanche sostenere che fu l’intero Governo e non solo lui a gestire il caso “Gregoretti”. Questa ipotesi è stata già scartata a priori dal Tribunale di Catania che ha effettuato ulteriori e approfonditi accertamenti per escludere il coinvolgimento di altri attori istituzionali.

In primo luogo l’individuazione del POS è un atto tipico del Ministero dell’Interno di natura amministrativa e non un atto di natura politica o di alta amministrazione; in secondo luogo l’approdo in un luogo sicuro – così come prevedono le norme internazionali e nazionali – nulla ha a che vedere con le politiche di redistribuzione che, invece, rientrano appieno nell’alveo delle azioni che l’Esecutivo intenda mettere in campo per realizzare il proprio programma. Considerato il poco tempo a disposizione chiedo alla presidenza di depositare agli atti il resto del mio intervento nel quale chiarisco più approfonditamente gli ulteriori e molteplici aspetti di questa vicenda.

Concludo. Il Senato oggi si trova a dover valutare una e soltanto una cosa: il Ministro dell’Interno ha agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante? O, in alternativa, Salvini ha sequestrato decine di persone a bordo di una nave militare italiana senza le necessarie garanzie sanitarie per perseguire un preminente interesse pubblico? In gioco non c’è il futuro di un senatore ma un principio di legalità che è alla base della nostra democrazia.

I fatti, più forti della propaganda e più caparbi della mistificazioni, ci offrono una risposta inequivocabile. Salvini forse si sentiva intoccabile visto il precedente della “Diciotti”; forse si è lasciato inebriare dai sondaggi che lo vedevano in ascesa. Di certo ha fatto quel che ha fatto – dichiarandolo orgogliosamente in quei giorni – andando consapevolmente oltre il perimetro di azioni consentite ad un Ministro. Non erano in pericolo i nostri confini; non era in pericolo la sicurezza nazionale; non c’era una controversia internazionale.

L’unico obiettivo di Salvini era quello di spaventare l’Europa con un ricatto, di battere i pugni sui tavoli comunitari, quelli che ha sempre disertato. Una strategia che non gli ha mai portato risultati. Per farlo era disposto – ancora – a negare i diritti fondamentali di 131 esseri umani. La libertà personale di un uomo vale sempre più di un punto nei sondaggi. Per questa e solo questa ragione, il Senato dovrebbe consentire alla magistratura di andare fino in fondo. Grazie.

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Presidente, Colleghi,
il dibattito di oggi ha assunto per certi aspetti dei tratti surreali, così come surreale è stato lo svolgimento del caso Gregoretti nella Giunta per le elezioni. Motivi estranei al merito della richiesta di autorizzazione a procedere sono intervenuti ed hanno in qualche modo aumentato la confusione e il rumore su una vicenda che è, per altri versi, chiarissima.
E’ stato impedito, per un tempo apprezzabile, ad una nave della Guardia Costiera, una nave militare italiana, nell’ambito di un evento SAR coordinato dalle autorità italiane, di raggiungere un Place of Safety e sbarcare i naufraghi. Ad impedirlo – ripeto, per un tempo apprezzabile – è stato l’allora Ministro dell’interno.
Questi, con una brutale sintesi, i termini della questione.

Come senatori siamo chiamati a decidere se sottrarre o meno un membro del governo al giudizio della magistratura, si badi bene al giudizio e non alla condanna, ragionando esclusivamente su due punti, ovvero se il sen. Matteo Salvini si sia preoccupato di perseguire la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo.

Con questi due aggettivi – rilevante e preminente – il legislatore costituzionale sembra suggerire che il bilanciamento dei valori in gioco debba risolversi a favore della tutela dei più alti valori della Repubblica. E, ancora una volta, consapevoli delle ricadute future, dobbiamo domandarci: quali sono i più alti valori della Carta fondamentale se non il riconoscimento e la garanzia di diritti inviolabili dell’uomo quali la vita, la salute, la libertà e la dignità umana? Sovvertire l’ordine dando priorità ad altri interessi, qualunque essi siano rispetto alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo sarebbe ammettere una una nuova e pericolosa concezione della ragion di Stato.

E’ importante illuminare un aspetto che, per ragioni giuridiche, nella richiesta del Tribunale rimane sullo sfondo, ed è la questione del Decreto Sicurezza Bis. Mentre si consumava la vicenda Gregoretti, infatti, il Decreto era in vigore, con norme che Salvini si è “cucito addosso”: un provvedimento abnorme, che amplia a dismisura i poteri del Ministero dell’Interno e su cui, lo ricordo a me stesso e alla maggioranza di cui faccio parte, è urgente intervenire per correggerne i tanti, troppi aspetti che nulla hanno a che fare con la sicurezza e molto con la propaganda.

Nel dotarsi del potere di bloccare le navi, il sen. Salvini si è infatti ben guardato dal concedersi la possibilità di bloccare anche le navi militari (“salvo che si tratti di naviglio militare”). Lo ha fatto perché sarebbe stato un potere vistosamente incostituzionale. Eppure, proprio nel caso in esame, lo ha fatto.

E’ andato oltre il limite che lui stesso si era dovuto porre, impedendo de facto alla nave militare di portare a termine le operazioni di soccorso in mare con lo sbarco dei naufraghi, come invece prescritto dalle convenzioni internazionali e dai protocolli sul salvataggio di vite umane in mare e sulla concessione del POS.

Il caso Gregoretti riesce ad andare ben oltre il caso Diciotti, proprio perchè se allora non esisteva una norma specifica – ma il giudizio poteva facilmente derivare da norme e trattati ampiamente richiamati – ora una norma c’è, e lo stesso soggetto l’ha prima scritta e poi ignorata!

C’è un dato di contesto che non va sottovalutato. Quelle decisioni abnormi e contraddittorie sono state prese nei giorni che potremmo definire come quelle dell’ “ebbrezza del Papeete”. Mentre il Senato, cui Salvini appartiene, era impegnato nella discussione e votazione di importanti provvedimenti, il Ministero godeva di quella settimana di vacanze al mare di cui i media ci hanno raccontato ogni aspetto.

Dalle spiagge di Milano Marittima fu lo stesso senatore Salvini a dichiarare incessantemente, per prendersi da solo il merito, se così si può dire, del blocco della nave militare Gregoretti. Lo riporta ad esempio Il Corriere della Sera del 27 luglio 2019, che cita questa dichiarazione dell’allora Ministro dell’Interno: “Ho dato disposizione che non venga assegnato nessun porto prima che ci sia sulla carta una redistribuzione in tutta Europa dei migranti a bordo”. Già l’articolo segnalava come non si potesse, nemmeno con le norme del Decreto Sicurezza Bis, trattare una nave militare come fosse una imbarcazione delle Organizzazione non governative. Tema su cui, tra l’altro, saremo presto chiamati ad esprimerci in merito alla nuova richiesta sul caso Open Arms.

Altro punto di novità oggi è stata la fantomatica autorizzazione al savataggio da parte del Ministro Salvini in zone maltesi. Nessuna convenzione internazionale, nessuna norma parla di autorizzazione al salvataggio per il semplice motivo che c’è un dovere al salvataggio che non ha bisogno di nessuna autorizzazione e sopattutto del Ministro dell’interno. Se invece ci si vuole riferire al coordinamento delle operazioni di soccorso e questo spetta al centro nazionale di coordinmento della Guardia costiera che fa riferimento, come noto, al Ministero delle infrastrutture e trasporti e non deve fortunatamente chiedere nessuna autorizzazione prima di salvare qualcuno.

Ci sono tutti gli elementi, di merito e di contesto, per portare ciascun senatore a votare a favore di questa autorizzazione a procedere. Perchè è evidente a tutti che i diritti fondamentali non devono mai essere compressi per esigenze politiche. Ed è altrettanto evidente che non può accadere nuovamente che il Senato, dopo il caso Diciotti, sottragga al vaglio della magistratura un ministro che reitera condotte antigiuridiche, offrendogli un pericoloso e ingiustificato scudo politico.

Votando contro l’autorizzazione a procedere si creerebbe dunque un nuovo, doppio, grave e pericoloso precedente che mina nel profondo il senso stesso della nostra democrazia, il suo complesso, ma al contempo equilibrato, sistema di pesi e contrappesi, di tutele dei diritti inviolabili della persona. Non coniamo, per di più per il tramite di un organo parlamentare, una nuova e pericolosa ragion di Stato capace di derogare ai diritti inviolabili.

Il voto di oggi in qualche modo può bilanciare la pessima decisione di qualche mese fa, e difendere le Istituzioni, soprattutto per il futuro, dal rischio che con un doppio precedente si avalli l’idea che la maggioranza che sostiene l’esecutivo in carica, di qualsiasi colore sia, possa conferire legittimità a qualunque azione, anche la più grave, anche la più spericolata.
Non posso che essere comunque felice della decisione dell’ex Ministro Salvini di sottoporsi al giudizio del Tribunale dei Ministri di Catania, quali che siano le motivazioni. Perchè resterà comunque agli atti del Senato una presa di coscienza da parte di un senatore che rappresenta la Nazione.

In conformità alla decisione adottata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del Sen. Matteo Salvini, annuncio il voto contrario all’ordine del giorno presentato.

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