Attentato San Pietroburgo

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha inviato ai Presidenti delle Camere della Federazione Russa una lettera con la quale esprime “affettuosa solidarietà al popolo russo” e la più netta condanna della “violenza rivolta in qualsiasi forma contro civili inermi”.

Il Presidente Grasso ribadisce infine la massima determinazione ad “avversare il terrorismo con le armi del diritto e della cooperazione internazionale”.

Presentazione del film “Tommy e gli altri”

Discorso del 30 marzo 2017, Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo, alla presentazione del libro “Tommy e gli altri”

Caro Gianluca, cari Tommy e Achille, Autorità, gentili ospiti,

è con grande piacere ed emozione che vi accolgo per la presentazione di “Tommy e gli altri”, un film che tocca con delicatezza e profondità una dimensione – quella del rapporto tra genitori e i loro figli autistici – molto intima. Sono qui da uomo – da padre, prima ancora che da presidente del Senato – con l’intenzione di ascoltare più di che parlare. Questo film ha il pregio di smontare le solite narrazioni retoriche sul tema dell’autismo e di affrontarlo senza filtri, con una visuale che non nasconde la difficile quotidianità di moltissime famiglie ma senza cedere alla tentazione di dipingerla in maniera pietistica o eroica. Grazie dunque a Gianluca Nicoletti e Massimiliano Sbrolla che hanno saputo regalarci questa preziosa prospettiva, qualche risata di cuore e, inevitabilmente, alcune amarezze.

Tommy parla poco ma bacia e abbraccia tutti i suoi nuovi amici. Poi, però, in fretta, si pulisce. Per venire oggi in Senato ha dovuto indossare per la prima volta la cravatta e, mi ha detto Gianluca, è subito entrato nel ruolo della persona “seria”.  Damiano ha una voce eccezionale che rende orgoglioso suo papà Mauro ma non è stato ammesso al conservatorio; Lorenzo è attratto dalla tecnologia e si calma, ma giusto un po’, solo con sua mamma Rossana; Martina e Roberta lavorano nell’azienda di famiglia; Roberto scia con la sua pettorina “disabile” insieme ai suoi genitori; Achille faceva preoccupare sua madre Antonella quando imitava le voci dei personaggi della tv e giura di parlare un perfetto inglese, con il tipico accento americano. Gabriella, ormai da anni, si trasforma ogni sera in Harry Potter e scrive lettere a sua figlia Benedetta, che risponde in perfetto inglese: è così che scopre segreti e pensieri che altrimenti sua figlia non le svelerebbe mai, con un pizzico di magia e di inventiva.

Ognuna delle storie raccontate nel film parla di un micro mondo fatto di difficoltà, paure, talenti, limiti insormontabili a cui vengono trovate soluzioni originali, di vite uniche immerse in un limbo dai contorni indecifrabili. Ciascuna descrive il rapporto complicato, misterioso e indissolubile che lega questi ragazzi ai propri genitori: non c’è modo più chiaro e diretto di questo per comprendere quanto ampio sia lo spettro dell’autismo e come le soluzioni da mettere in atto debbano essere flessibili e condivise proprio con le famiglie. Tutte, però, hanno qualcosa in comune. È quello sguardo enigmatico, quel sorriso amaro sui volti di voi genitori alla domanda: “e quando voi non ci sarete più, chi si occuperà di loro?”. L’ordine naturale delle cose vuole che i figli seppelliscano, il più tardi possibile, i propri padri, ma in questi casi il normale ciclo della vita pone interrogativi profondi.

Di fronte ad un simile problema, che si aggiunge a tutte quelle piccole e grandi difficoltà quotidiane che affrontate, le risposte sono le più disparate. C’è chi ha investito tutti i suoi risparmi per organizzare sin da ora il domani dei propri ragazzi. Chi ha pensato di correre il rischio di avere un secondo figlio sperando possa occuparsi un giorno del fratello o della sorella maggiore. C’è chi arriva a capire scelte dolorosissime ed estreme, frutto della paura e della solitudine che troppo spesso circonda le vostre famiglie. C’è chi, come Gianluca, risponde “qualcosa ci inventeremo” e sogna una città ideale. Alcune cose sono state fatte per sollevarvi dall’angoscia e dalla solitudine dei pensieri che avete quando riflettete sul futuro di Tommy e dei suoi amici.

Il Parlamento ha infatti approvato la “legge sul dopo di noi”, la numero 112/2016, che intende operare una vera e propria rivoluzione. Siamo ancora nella fase attuativa e sarà fondamentale mantenere con tutti i soggetti coinvolti una linea di dialogo che eviti sviste, errori strategici e miopie burocratiche.

Le Istituzioni hanno il compito però di accompagnarvi e sostenervi sin dall’inizio. Lo devono fare irrobustendo le proprie azioni sul piano culturale, perché i ragazzi affetti da autismo, anche da adulti, non devono soffrire isolamento e solitudine; economico, perché c’è bisogno di risorse importanti per far fronte alle singole esigenze di ciascuna famiglia; logistico, perché servono spazi e strutture per non relegare i vostri figli a casa; sul piano della formazione del personale sanitario e scolastico perché è soprattutto lì che si possono ottenere importanti miglioramenti. Un’altra buona notizia è stata l’inserimento, dopo oltre 15 anni di attesa, dell’autismo nei Livelli Essenziali di Assistenza garantiti dallo Stato, assicurando diagnosi precoci, trattamenti personalizzati, prestazioni domiciliari, riabilitazione “mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche”.

Sono segnali che voglio interpretare davvero come una nuova consapevolezza sul tema dell’autismo. Il prossimo passo dovrà essere quello di allungare tale attenzione per le ragazze e i ragazzi autistici oltre i 18 anni. Hai ragione Gianluca, “alla fine qualcosa ci inventeremo”. Ma non dovete farlo da soli, questa è la mia speranza e questo deve essere l’impegno delle Istituzioni. Ognuno con il proprio compito, ognuno con le proprie responsabilità, dovremo inventarci qualcosa insieme.

Grazie.

Fonte foto: La Repubblica

 

Seminario sul Processo di armonizzazione delle legislazioni contro il terrorismo

Autorità, cari colleghi, Signore e Signori,

ho accolto con molto piacere la proposta del Sen. Francesco Amoruso, Presidente onorario dell’Assemblea Parlamentare del Mediterraneo di ospitare, a due anni di distanza dal lancio del progetto avvenuto proprio qui in Senato, il terzo seminario sul terrorismo promosso dall’Assemblea insieme all’Ufficio delle Nazioni Unite sulle Droghe e il Crimine, con il sostegno dell’Unione europea e in coordinamento con il Comitato Anti-terrorismo delle Nazioni Unite. Saluto in particolare e con cordialità i colleghi dei Parlamenti del Mediterraneo e le personalità degli altri Paesi invitati.

L’intenso programma dei lavori, grazie a relatori autorevoli, coprirà temi cruciali: il ruolo dei Parlamenti nazionali nella lotta al terrorismo, le misure di attuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la condivisione delle informazioni fra comunità, forze di polizia, magistrature e servizi, i fenomeni della radicalizzazione e dei “foreign fighters”, la prevenzione sul web per contrastare l’estremismo e la falsa retorica dello scontro di civiltà.

Credo che sia particolarmente importante che un dibattito di tale livello si tenga fra parlamentari in un Parlamento perché le assemblee elettive e la cooperazione interparlamentare sono i luoghi e gli strumenti più idonei a sviluppare riflessioni pacate e serie, fuori dalle strumentalizzazioni, che non esito a definire irresponsabili, di chi vuole sfruttare a fini elettorali il comprensibile smarrimento dei nostri cittadini, per ingenerare odio contro la diversità e giustificare compressioni inaccettabili delle libertà individuali, così cadendo nelle provocazioni terroriste. Al contrario, penso che ponderare collettivamente le politiche pubbliche comuni ai nostri Paesi sia la via da perseguire per difendere insieme le nostre civiltà, i diritti, la democrazia e la stabilità geopolitica del pianeta.

Il fenomeno che ci troviamo ad affrontare ha caratteri complessi e diversi da quelli cui eravamo abituati. Richiede interventi eterogenei: di carattere militare in modo da ridurre la capacità di attacco simmetrica di ISIS in Medio oriente; finanziari per colpirne le risorse economiche; di carattere giudiziario, informativo, investigativo per reprimere e prevenire attentati di carattere asimmetrico in Europa e nel mondo; interventi politici per favorire la soluzione dei nodi geopolitici che dividono le diverse potenze in gioco nei teatri di conflitto e per costruire istituzioni funzionanti nei territori più instabili in modo da garantire tutela equilibrata e rappresentanza ai diversi interessi etnici, sociali e religiosi. Servono anche interventi di natura sociale per attenuare le gravi diseguaglianze che caratterizzano anche i Paesi economicamente più solidi, e che determinano marginalità e vulnerabilità al radicalismo e all’illegalità.

Rendere la cooperazione politica e tecnica fra i nostri Paesi più rapida, concreta ed efficiente e assicurare un corretto bilanciamento fra sicurezza e libertà sono i due obiettivi da perseguire armonizzando gli strumenti legislativi. Interventi condivisi di carattere legislativo ed operativo si rendono in questo momento più urgenti per due ragioni, di recente espresse dal Ministro dell’Interno Minniti in un’audizione in Parlamento. Da una parte, l’arretramento territoriale di ISIS sta determinando una diaspora di ritorno, vale a dire il rientro dai teatri di conflitto nei Paesi di origine dei combattenti. Dall’altra parte, l’evoluzione della minaccia asimmetrica in forma di atti individuali auto-attivati, come tali non facilmente controllabili dai servizi di prevenzione. Si tratta di fenomeni che richiedono un’attenzione sovranazionale.

Concludo con la considerazione, che so essere condivisa in questa sala, che questo complesso impegno richiesto dal contrasto al terrorismo non è affatto esclusivo dei governi. La responsabilità dei Parlamenti è di vigilare sulle politiche dei governi e di assicurare la rispondenza delle norme legislative e delle politiche governative ai principi dei nostri sistemi costituzionali e del diritto internazionale. Il Parlamento italiano si è molto impegnato in questi mesi per trovare un punto di incontro fra la necessaria riservatezza dalle politiche di sicurezza e l’effettivo riconoscimento alle assemblee legislative di spazi pubblici di verifica dell’operato dei governi e di partecipazione alla definizione degli indirizzi politici. Il Governo è impegnato molto di frequente in informative all’Aula e alle commissioni competenti, mentre un ruolo pregnante è rimesso al Comitato Parlamentare per la Sicurezza, un organo che viene regolarmente informato in dettaglio dell’attività operativa svolta di servizi di intelligence nell’ambito di precise garanzie di segretezza.

Rinnovo dunque a tutti il benvenuto a nome mio e del Senato italiano e vi auguro buon lavoro. Grazie.

Giornalismo, tutelare livelli occupazionali e il pluralismo

Discorso del 29 marzo 2017 alla presentazione del rapporto “Osservatorio sul giornalismo 2016” di AGCOM

Presidente Cardani, Autorità, gentili ospiti,

sono molto lieto di ospitare qui in Senato la presentazione del rapporto “Osservatorio sul giornalismo 2016” realizzato dal Servizio Economico-Statistico dell‘Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

I risultati della lunga e articolata analisi che avete svolto sono utili indicatori dello stato di salute del giornalismo italiano e della capacità di assolvere ai suoi difficili ma indispensabili compiti. Una stampa libera, autorevole e consapevole gioca infatti – lo dico spesso – un fondamentale ruolo nella definizione della cultura di un popolo e nel rapporto che esso istituisce con il potere. Più in generale si potrebbe dire che questo approfondimento – che si colloca in una più ampia attività di monitoraggio svolta dall’Autorità Garante – ci dà un’importante chiave di lettura della qualità della democrazia della nostra comunità, delle minacce cui siamo chiamati a rispondere e dei miglioramenti che dobbiamo realizzare. In queste ultime settimane, per esempio, c’è forte tensione tra le agenzie di stampa e il Governo sul rinnovo dei contratti dei servizi di abbonamento della Pubblica Amministrazione, una tensione che ha condotto sabato scorso allo sciopero generale dei sindacati dei giornalisti dell’informazione primaria. È necessario trovare una soluzione che tuteli i livelli occupazionali, il pluralismo e che, contemporaneamente, riordini questo settore: mi auguro che il necessario confronto tra le parti conduca a soluzioni condivise e soddisfacenti per tutti.

Ciascuna delle cinque parti del Rapporto fotografa in maniera completa, attraverso numeri e statistiche, aspetti molto rilevanti: dalle competenze professionali e culturali dei nostri giornalisti alle modalità con cui lavorano, dalla retribuzione cui possono aspirare ai rischi che corrono, fino ad un’analisi dell’impianto normativo entro il quale esercitano il loro mestiere.

La prima spinta di chi sceglie di raccontare agli altri la realtà è sicuramente la passione ma, anche la più virtuosa delle attività lavorative, necessita di retribuzioni che possano garantire una vita decorosa.  Il 40% degli oltre 35.000 giornalisti attivi in Italia, per lo più under 35, produce annualmente un reddito inferiore ai 5.000 euro: se si guadagna così poco significa che il tema della precarizzazione e della dignità di questa professione impone riflessioni e azioni non più procrastinabili.

Modelli di business, strategie di sviluppo editoriale ma anche e soprattutto deontologia professionale: questi i temi che, ne sono sicuro, animeranno la successiva tavola rotonda. Non è un mistero – e lo stesso rapporto lo sottolinea con dati incontrovertibili – che negli ultimi anni la crisi economica abbia fortemente penalizzato l’intero comparto dell’informazione. Per rispondere alle difficoltà, si è spesso fatto ricorso a soluzioni di corto respiro, che puntano più alla quantità che alla qualità dei contenuti. Nel lungo periodo temo che questo atteggiamento possa essere controproducente, sebbene sia consapevole delle obiettive difficoltà di fare da argine a una deriva globale che premia la velocità rispetto all’accuratezza e il sensazionalismo rispetto all’approfondimento.

Occorre, in questo senso, educare allo sforzo e alla fatica del confronto anche i cittadini, a partire dai più giovani sin dalle scuole. Un pubblico consapevole riconosce il giornalismo di qualità rispetto a quello che rincorre la strumentalizzazione, la polemica o una lettura superficiale di fenomeni invece terribilmente complessi. Non basta un solo giornale né un solo sito o un link pubblicato da qualche amico sui social network per capire il mondo che ci circonda. Serve tutto questo e molto di più. La capacità di assegnare a ciascuna fonte il suo peso, la conoscenza di chi sia l’editore, l’intelligenza di saper unire i puntini e infine la capacità di sintetizzare il tutto in un’opinione, finalmente, davvero informata.

Rischiamo di dimenticare quanto sia importante che i giornalisti siano liberi e indipendenti. Esserlo, d’altra parte, espone a rischi di cui non dobbiamo sottovalutare l’entità. Il mio passato professionale e la mia attuale funzione mi hanno fatto conoscere da vicino le troppe storie di donne e uomini che subiscono minacce, intimidazioni, aggressioni e delegittimazioni proprio per il loro rigore professionale e la loro passione. Ognuno di loro paga un prezzo altissimo per dare un essenziale contributo a tutti noi. Non possiamo rimanere indifferenti, non dobbiamo lasciarli soli. Lo dico spesso: noi abbiamo bisogno della loro voce, loro del nostro abbraccio e del nostro sostegno concreto e ideale. Quando Luca Salici ha promosso una petizione perché si riconoscesse una pensione a Riccardo Orioles, che fondò insieme a Pippo Fava “I Siciliani”, ho immediatamente sostenuto quella proposta, che ha poi incontrato il favore di Istituzioni e cittadini, tutti consapevoli del grande ruolo che Orioles ha giocato nel pungolare la coscienza del nostro Paese. Sono stato molto felice di sapere che, pochi giorni fa, il Governo gli abbia finalmente riconosciuto i benefici della Legge Bacchelli.

Concludo. Momenti di incontro e di riflessione tra i diversi attori del mondo dell’informazione, come questo, devono aiutarci a intervenire con prospettive di lungo termine su due fronti: da un lato per garantire alla professione la sua libertà e la sua dignità, dall’altro sul piano culturale, perché la democrazia ha bisogno di cittadini che non siano semplicemente alla ricerca di una curiosità o di uno slogan ma di una visione originale e approfondita della realtà. Grazie.

 

La legalità per lo sviluppo sociale ed economico del Paese

Discorso del 28 marzo 2017, alla presentazione del protocollo d’intesa tra LUISS, CSM, ANAC e DNA

Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Signore e signori, care ragazze e cari ragazzi,

per prima cosa vorrei ringraziare di cuore l’Università Luiss Guido Carli, la Presidente Marcegaglia, la Rettore Severino, il Direttore lo Storto, per l’opportunità di partecipare alla presentazione del protocollo d’intesa fra l’Ateneo, il CSM, l’ANAC e la DNA che si propone di promuovere la cultura della legalità e della corresponsabilità. Torno sempre con molto entusiasmo in questa Università che sta consolidando la sua importante posizione, anche internazionale, grazie alla guida energica e illuminata della Prof. Severino e all’impegno degli studenti, i grandi protagonisti insieme ai professori del successo dell’Ateneo, ai quali vanno i miei auguri per il quarantesimo compleanno.

L’iniziativa di questo protocollo e di questa tavola rotonda sulla legalità vista come motore dello sviluppo economico-sociale del Paese, è opportuna e lungimirante. Opportuna perché l’Italia affronta da tempo una grave e generale crisi che investe le istituzioni, i singoli e la collettività: crisi anzitutto etica. Negli ultimi anni sembra si sia andata smarrendo la consapevolezza del ruolo fondante in ogni Paese delle regole, giuridiche, sociali, etiche.

Sull’osservanza delle norme, non dimentichiamolo, si basa il patto sociale nel quale una comunità si riconosce attorno a valori e principi condivisi, al reciproco rispetto dei diritti e all’assunzione da parte di tutti dei doveri individuali e collettivi. L’iniziativa è anche lungimirante, perché per rifondare il Paese sulla legalità si rivolge soprattutto ai cittadini più giovani. Praticare e tramandare ai giovani la cultura della corresponsabilità significa ispirarsi all’idea che nessuno può sentirsi esentato dal contribuire personalmente al destino comune: ciascuno, anche da ragazzo, deve sentirsi protagonista, e non solo passivo destinatario, del benessere individuale e collettivo, del progresso e del futuro del proprio Paese.

Il tema della legalità riguarda tutti gli aspetti della vita ed investe la dimensione giuridica ma anche quella sociale, educativa e culturale. Quando ero Procuratore della Repubblica a Palermo, cercai di imprimere eguale vigore alla lotta contro la grande criminalità mafiosa e al contrasto delle più piccole illegalità, perché le consideravo il terreno di coltura della mentalità mafiosa, dell’intermediazione clientelare, del mancato rispetto delle Istituzioni e del degrado etico della società. Più di recente indagini e processi hanno svelato il consolidamento, anche nel centro e nel nord Italia, di reti di relazioni che coinvolgono criminali, imprenditori, amministratori pubblici, politici e parti della società; reti basate sulla convenienza, la collusione, la corruzione, il profitto ad ogni costo. Il fattore comune è il disprezzo per il bene pubblico e il prevalere degli interessi individuali su quelli generali. Il Capo dello Stato a questo proposito ha di recente ribadito, parlando a Locri, che “bisogna azzerare le zone grigie della complicità” e “prosciugare le paludi dell’inefficienza, dell’arbitrio, del clientelismo, del favoritismo, della corruzione, della mancanza di Stato”.

Parole che ho voluto ripetere nell’Aula del Senato perché considero  che il Parlamento debba raccogliere questa sfida, garantire le condizioni per lo sviluppo sociale ed economico del Paese e prospettive di lavoro soprattutto per i giovani.  Un impegno che investe primariamente la politica, che deve tornare ad interpretare e dare corpo ai bisogni dei cittadini, perseguendo l’interesse generale piuttosto che facili consensi, fondati su lusinghe elettorali, e deve rifondare la propria etica sulla riscoperta del servizio alla collettività.

Concludo, congratulandomi ancora per l’iniziativa con la convinzione che i giovani che vedo numerosi sapranno essere, anche più di noi adulti, cittadini consapevoli e responsabili e sapranno custodire gelosamente la libertà propria e quella altrui.

Grazie.

Foto © 2017 Archivio fotografico, Senato della Repubblica / Carmine Flamminio

Bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis

Gentile Ministra, Autorità, ragazze e ragazzi, gentili ospiti, benvenuti al Senato della Repubblica. Sono felice di ospitare in quest’Aula la celebrazione del bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis, uno dei più illustri critici letterari del nostro Paese, insigne politico e primo Ministro della Pubblica Istruzione dell’Italia Unita.

Grazie a chi si è impegnato con noi per realizzare al meglio questa giornata: il Ministero dell’Istruzione, la Fondazione De Sanctis, la Rai, che sta trasmettendo in diretta la cerimonia, i relatori Eugenio Scalfari e Giorgio Ficara, che ci guideranno nella complessità e nell’attualità del pensiero di De Sanctis, e Fabrizio Bentivoglio, che leggerà alcune pagine importanti della sua opera. Grazie infine al maestro Veronesi, alla mezzosoprano Anna Maria Chiuri e a tutti i musicisti dell’orchestra del Festival Pucciano: ci avete regalato alcuni minuti di purissima arte e intensa bellezza.

De Sanctis è stato prima di tutto un uomo che ha profondamente amato la sua professione di insegnante, che esercitò sin dalla gioventù e per lunghi tratti della sua vita. Se la sua più importante e celebre opera, la Storia della Letteratura italiana, è un’opera letteraria e storica al tempo stesso, anche la sua vicenda biografica è ugualmente improntata ad un fecondo intreccio tra due attività: «La mia vita – ha scritto lo stesso De Sanctis – ha due pagine, una letteraria, l’altra politica, né penso a lacerare nessuna delle due».

Con l’unificazione dell’Italia, di cui abbiamo pochi giorni fa celebrato l’anniversario, Francesco De Sanctis fu eletto per la prima volta in Parlamento, venendo poi confermato anche nelle successive sette Legislature. Come uomo delle Istituzioni si dedicò profondamente al tema dell’istruzione pubblica.

Mi ha particolarmente colpito un passaggio dell’intervento con cui presentò al Parlamento il suo programma come Ministro: “Dichiaro che l’istruzione popolare sarà la mia prima, la mia incessante cura, e che non poserò insino a che non abbia preso tutti i provvedimenti che potranno acchetare la mia coscienza in questa deplorabile situazione di cose. Enrico IV diceva: io sarò contento quando potrò ottenere che l’ultimo de’ miei sudditi possa la domenica mangiare un pollo. E noi saremo contenti quando in Italia l’ultimo degli Italiani saprà leggere e scrivere”.

Nel rileggere i discorsi e le considerazioni di De Sanctis è impressionante constatare quanti spunti ancora vivi e attuali si possano rintracciare nelle riflessioni politiche di questo grande pensatore, che pure era prima di tutto un letterato e che più di ogni altro ha contribuito a fissare i caratteri fondamentali della nostra storiografia letteraria così come ancora oggi la conosciamo e la studiamo, nelle scuole di ogni ordine e grado.

Non è un caso, del resto, che le considerazioni storiche, letterarie, politiche e filosofiche di De Sanctis abbiano ispirato e guidato i più importanti esponenti della cultura italiana. Secondo Benedetto Croce nell’ambito della letteratura italiana dell’Ottocento, cito, «la sola opera di De Sanctis per originalità di stile non meno che di pensiero si eleva alla grande arte ed è il monumento maggiore della nostra letteratura» in quanto «narra il romanzo della vita d’Italia, ne rappresenta al vivo il dramma e ne canta la lirica, la grande lirica di aspirazione al rinnovamento spirituale».

In un momento storico come quello attuale, nel quale si manifestano preoccupanti sintomi di crisi dei vecchi modelli politici e culturali, di frustrazione sociale e di ripiegamento individualista, è necessario più che mai confrontarsi costantemente con il pensiero dei grandi intellettuali italiani, capaci di elaborare una narrazione vitale dei risvolti politici, filosofici, letterari delle nostre vicende passate in una prospettiva di evoluzione e di progresso della comunità nazionale.

Care ragazze, cari ragazzi, fate fin da ora tesoro di questa possibilità, andate sempre in profondità e non fermatevi mai alla sola superficie delle cose. Usate al meglio i vostri anni come studentesse e studenti, arricchitevi di conoscenze che un giorno vi aiuteranno a realizzare i vostri sogni e a essere cittadini in grado di rendere migliori la nostra Italia e la nostra Europa. Vedervi riempire questi scranni insieme ai vostri professori – che ringrazio per lo straordinario impegno con il quale svolgono un mestiere difficilissimo – riempie il mio cuore di fiducia per il nostro domani.

Grazie.

Eccidio di Cumiana, non dimenticare mai

Signor Sindaco, Autorità, Senatrice Zanoni, cari familiari delle vittime, cari amici italiani e tedeschi,

per prima cosa desidero ringraziarvi di cuore per questa opportunità di ricordare insieme a voi le vicende drammatiche vissute da queste comunità in un periodo storico del nostro Paese che ancora, dopo più di settant’anni, continua a generare dolore. Sono qui, come uomo, padre e italiano, e come rappresentante delle istituzioni per onorare la memoria delle vittime trucidate dai nazifascisti a Cumiana nell’aprile 1944.

Fra l’8 settembre 1943 e la Liberazione nella primavera del 1945, i nazifascisti in Italia hanno massacrato migliaia di civili troncando affetti, sogni, speranze, ambizioni. Le stime parlano di quindicimila morti, ma le vittime furono molte, molte di più. Padri, madri, fratelli, figli, amici, parenti, conoscenti: coloro che sopravvissero agli eccidi dovettero ricostruire case, paesi e famiglie distrutte con il peso di un dolore incancellabile. Sono qui in nome di tutte quelle persone, una per una, e in nome della democrazia, perché, cari amici, la democrazia ha bisogno della memoria e della verità per crescere e per diventare più forte. E mentre la memoria individuale restituisce a ciascuno di noi il senso della vita, la memoria collettiva è il fondamento più vero e profondo dell’identità nazionale italiana. Il ripudio della violenza e della dittatura, l’amore per la libertà, la democrazia e i diritti, il rispetto della sofferenza di chi si è sacrificato per questi valori sono il patrimonio condiviso di questo Paese.

Ricordare la storia di quei giorni bui è straordinariamente importante. Con la fine della “patria fascista”, la fuga del re e il crollo dell’apparato burocratico-militare, in Italia si aprì un’epoca di grandi sofferenze e tragedie, un “tempo del furore” nel quale ciascuno si trovò a dover scegliere della propria vita e di quella degli altri. Molti decisero di rischiare personalmente mettendosi dalla parte della libertà e della dignità: scioperando nelle fabbriche, aiutando i prigionieri, i disertori, i renitenti, gli ebrei, i partigiani. Altri scelsero invece di combattere in nome di una tragica necessità morale imposta dall’eccezionalità del momento.

Questo fu la Resistenza: una riscossa spontanea e popolare. In quel periodo oscuro, l’esercito nazista e i fascisti repubblicani condussero una vera e propria politica del terrore, rastrellando e uccidendo civili estranei alla lotta partigiana, o partigiani inermi catturati e disarmati. In un primo tempo massacri, razzie, saccheggi, distruzioni, incendi, sfollamenti di interi paesi e deportazioni erano dovuti alla disumana brutalità dei nazifascisti e servivano alle gerarchie a controllare lo spazio. A un certo punto le rappresaglie contro i civili diventano un cinico metodo. Quando la guerriglia partigiana comincia ad essere percepita come una minaccia, la repressione nazista si fa sempre più dura e più sanguinosa: “nessuna pietà per la popolazione civile” dispone in modo secco l’11 settembre 1943 il Comando del XIV Panzerkorps. Con le successive disposizioni le gerarchie ordinano esplicitamente di terrorizzare le popolazioni civili incolpevoli con le rappresaglie per fermare le operazioni partigiane e reagire all’uccisione di soldati tedeschi. Nella strage delle Fosse Ardeatine, che abbiamo ricordato con il Presidente Mattarella pochi giorni fa, il feldmaresciallo Kesselring disse esplicitamente che era necessaria un’azione intimidatoria: il sistema del massacro non era quindi solo un’infame vendetta ma una scelta strategica, funzionale a mantenere il dominio militare sui confini del Terzo Reich. Una scelta nella quale i civili venivano degradati da esseri umani a strumenti, da persone a cose.

Nell’Italia nord-occidentale, alle esigenze di controllo del territorio dei nazisti si unì l’ambizione dei fascisti repubblicani che rivendicavano un riconoscimento pubblico. Tedeschi e italiani agivano così spesso insieme contro le popolazioni civili per prevenire e per punire le azioni partigiane, in una spirale di violenza: fucilazioni, impiccagioni e l’esposizione pubblica della morte furono il metodo per segnare il territorio indelebilmente. Né ai tedeschi né ai fascisti interessava più la distinzione fra partigiani e civili, che venivano considerati tutti complici della Resistenza e quindi colpevoli. Cumiana, medaglia d’oro al merito civile, è una delle comunità che più drammaticamente ha subito questa strategia del terrore. Questa comunità ha pagato il suo tributo alla barbarie nazifascista con la distruzione dell’intero paese e il massacro dei suoi abitanti come strumento della pedagogia della paura portata avanti dai comandi dai nazifascisti. Una  pedagogia studiata per annientare quello spirito di coesione, solidarietà umana e difesa del territorio che, al di là della militanza partigiana, aveva contribuito a rendere straordinariamente unita e forte la comunità locale.

Sono già stati ricordati i dettagli di quel drammatico 3 aprile 1944: il fuoco dei lanciafiamme, i rastrellamenti, la detenzione degli ostaggi, poi la carneficina a sangue freddo di cinquantuno uomini inermi. Una violenza inconcepibile che produsse un dolore insopportabile, un’esasperazione che un anno più tardi portò anche all’uccisione, dopo un processo sommario, del podestà dell’epoca, che aveva abbandonato il Paese al suo destino poco prima del massacro.

Prima di concludere, vorrei ringraziare di cuore la delegazione di Erlangen, per la loro presenza e le loro parole. Sin dal 2000, quando si seppe che nella città bavarese aveva vissuto Renninger, tenente delle SS coinvolto nel massacro di Cumiana, Erlangen ha manifestato dolore, solidarietà e affetto per gli abitanti di questa città e da allora i rapporti fra Cumiana ed Erlanger sono cresciuti di anno in anno. Nel 2002 il Borgomastro Balleis parlò di un “impegno morale di chinarci in segno di deferenza di fronte ai caduti della strage di Cumiana e al dolore dei loro famigliari” e nello stesso anno il Presidente Scalfaro disse che quanto accadeva fra le due città dimostrava come “dal male possa nascere il bene.. opera di Dio ma anche opera dell’uomo”.

Cari amici italiani e tedeschi, cari cittadini di Cumiana, l’indagine storica, le testimonianze, i ricordi dei singoli permettono oggi di ricostruire una tragedia collettiva che ha colpito insieme a questa comunità il nostro Paese per intero. Un dramma collettivo così immenso che facciamo ancora fatica, settant’anni più tardi, a comprendere perché è impossibile comprendere il male assoluto. La ragione che ci spinge ad essere qui, anche coloro fra voi che sono cresciuti con questo dolore addosso, è raccontare ai nostri figli e ai nostri nipoti quel male, per rendere le voci dei testimoni che non ci sono più voci eterne, affinché non sia mai dimenticata quella sottocultura della morte che prese di mira persone inermi per interessi immondi. Con questi sentimenti, mi stringo con sincero affetto a tutti voi e vi ringrazio per essere qui.

60°anniversario della firma dei Trattati istitutivi delle Comunità europee

Intervento alla cerimonia celebrativa, 22 marzo 2017

Signor Presidente della Repubblica, Signora Presidente della Camera dei Deputati, Care colleghe e Cari colleghi, Signore e Signori,

sono molto onorato di intervenire, anche a nome del Senato della Repubblica, alla celebrazione dei Trattati europei di Roma. Io e la Presidente Boldrini abbiamo dedicato a questa ricorrenza una serie di eventi cui hanno aderito i colleghi delle Assemblee elettive dei Paesi membri, i vertici delle istituzioni europee e altre alte personalità. Mi sembra significativo che le cerimonie e gli incontri parlamentari si chiudano davanti alle Camere riunite del Parlamento, il simbolo e il cuore della nostra democrazia, e alla presenza del Capo dello Stato, che interpreta autorevolmente e instancabilmente l’unità del Paese.

In Unione europea mi sembra che di recente stia crescendo, a livello parlamentare e governativo, la consapevolezza collettiva delle grandi e irrinunciabili acquisizioni dell’integrazione europea, che ha segnato nuovi, finora inimmaginabili parametri di civiltà nella storia universale: nelle relazioni politiche, nella stabilità sociale, nell’effettività dei diritti e dello Stato di diritto. Credo che sia comune a molti anche la convinzione che, di fronte alle sfide interne ed esterne cui dobbiamo tutti rispondere, il lungo cammino dell’integrazione non possa arrestarsi e che è necessario adesso un nuovo slancio, fondato sulla cooperazione rafforzata in certe materie condivise e nell’attuazione di politiche il più possibile unitarie. In gioco sono il futuro del continente e gli equilibri geopolitici globali

I complessi fenomeni sistemici che hanno investito l’Unione, la crisi economica e dell’occupazione, le migrazioni e le tensioni geopolitiche alle frontiere meridionali e orientali, hanno avuto un impatto molto eterogeneo sui Paesi europei, generando a volte risposte politiche divisive, conseguenti sentimenti di sfiducia dei cittadini ed un pericoloso riemergere nel mondo dei nazionalismi. L’Italia da sempre crede fermamente nel multilateralismo, nella diplomazia, nel dialogo, nella solidarietà fra popoli e istituzioni: questo è il principio cristallizzato nell’art 11 della Costituzione e il tratto distintivo della nostra politica estera. Per generare quella coesione indispensabile per il futuro del continente, bisogna intanto ricostruire un clima di fiducia politica, attraverso la rilettura condivisa delle diverse risposte che l’Unione ha dato alle crisi vissute negli ultimi anni, le prime così gravi e intense dall’inizio della sua storia. Serve insomma un vero, profondo dibattito pubblico europeo i cui attori naturali non possono che essere le assemblee rappresentative, le istituzioni in cui gli interessi, i diritti e le ambizioni dei cittadini trovano rappresentanza, tutela e ascolto. Penso che questo dibattito debba avvenire dentro i Parlamenti nazionali, fra di loro e in seno al Parlamento europeo. Il dibattito parlamentare ed interparlamentare può evitare che i problemi siano ostaggio solo di contingenze politiche ed elettorali interne ai diversi Paesi e può consentire di comprendere meglio i punti di vista altrui e le istanze più profonde dei cittadini, riflesse nel pluralismo democratico delle assemblee elettive. Inoltre credo che la cooperazione interparlamentare possa contribuire a rafforzare il controllo democratico in una Unione che ha un esecutivo frammentato (Commissione, Consiglio, Eurogruppo, Ecofin, Banca centrale), che rischia di sfuggire ai tradizionali canali di controllo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali.

Venerdì scorso il Presidente Mattarella, ricevendo al Quirinale le delegazioni di tutti i parlamenti europei, ha giustamente ricordato quale passaggio fondamentale sia stata per l’integrazione europea la consacrazione democratica dell’Unione, anche con le più recenti evoluzioni che hanno interessato le dinamiche di individuazione del Presidente della Commissione. Ha anche segnalato che le trasformazioni del Parlamento europeo non derivano soltanto dalla prassi parlamentare ma traggono “linfa dalle comuni radici, dalla nostra comune cultura, da un patrimonio di principi e sensibilità condiviso dai popoli” (sono sue parole).

La legittimazione democratica delle istituzioni europee impone la responsabilità di armonizzare il livello nazionale e quello europeo, avvicinandoli sempre di più. Il Parlamento europeo sta dando al dibattito sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea un contributo cruciale: come il Presidente Tajani ha ricordato nell’Aula del Senato, le risoluzioni approvate nelle sessioni di gennaio e febbraio forniscono soluzioni per migliorare l’assetto istituzionale e precise proposte sulla dimensione sociale dell’Unione, sull’articolazione del bilancio europeo rispetto ai beni pubblici comuni e su molti altri punti importanti. Mi sembra che emerga la necessità di ripensare, con apertura, senza schematismi, quali politiche debbano indefettibilmente essere svolte a livello dell’Unione e quali invece possono essere meglio svolte a livello nazionale o regionale. Si contribuirebbe così a colmare quel divario tra promesse e risultati concreti che spesso ha minato la fiducia nell’azione dell’Unione: azione che deve concentrarsi sulle nuove sfide che solo tutti insieme possiamo affrontare.

Il ruolo dei parlamenti nazionali in questo percorso è determinante ed è segnato dal fruttuoso dialogo politico con la Commissione, dal lavoro di vigilanza rimesso alle assemblee elettive attraverso le valutazioni di sussidiarietà, e dai compiti che riguardano le politiche relative allo spazio di giustizia, libertà e sicurezza, il cuore dell’Europa delle persone. Il Parlamento italiano ha sempre interpretato in modo consapevole e con dedizione questi doveri e, da Presidente del Senato, voglio oggi ringraziare le Commissioni e i colleghi che si occupano del settore europeo per la qualità e la quantità del loro lavoro che distingue le nostre camere in Europa fra le più produttive e propositive.

Nei prossimi giorni i Governi dovranno discutere al Vertice di Roma della strada da percorrere per proseguire nel cammino comune. Io credo che la chiave del futuro sarà nella determinazione a procedere con solidarietà e coesione, senza lasciare solo nessuno, ma anche senza frustrare le ambizioni e l’impegno di chi vuole più Europa in certe aree perché nella storia europea le ambizioni delle donne e degli uomini più visionari e coraggiosi hanno sempre portato progresso, democrazia e libertà per tutti. Obiettivo prioritario è il rafforzamento democratico dell’Unione, che può riavvicinare le persone all’Europa e consolidare la loro consapevolezza e percezione della propria cittadinanza europea, che è “la garanzia maggiore della continuità dell’Unione molto più degli intendimenti dei governi o delle opinioni dei commentatori” (sono parole del Capo dello Stato).

La nostra responsabilità più importante, Signor Presidente della Repubblica, cari colleghi, è consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti che sono e si sentono dalla nascita cittadini europei un’Europa più influente, più giusta, più coesa e più sicura. Questo è il nostro impegno e questa la nostra speranza. Grazie.

Foto © 2017 Archivio fotografico, Senato della Repubblica / Carmine Flamminio

Mafia, 1° Giornata nazionale della memoria e dell’impegno

Onorevoli Colleghi,

era il 1996 quando “Libera” di Don Luigi Ciotti scelse il 21 marzo, primo giorno di primavera, per dare pubblica lettura del lunghissimo elenco di nomi di uomini, donne e bambini che hanno perso la vita per mano mafiosa. Da allora, di anno in anno, il 21 marzo è divenuto il momento nel quale, idealmente, l’intera nazione abbraccia i suoi caduti in una battaglia, quella per la legalità, che non possiamo certo considerare conclusa. Il 1 marzo di quest’anno la Camera dei Deputati ha approvato, in via definitiva, la legge che istituisce la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie“: si è voluto, in questo modo, dare ulteriore forza ad una manifestazione che coinvolge – da Nord a Sud – migliaia di nostri concittadini, centinaia di scuole e associazioni e un grandissimo numero di realtà unite nella comune volontà di impegnarsi per la legalità, la giustizia e la verità.

Si potrebbe obiettare che l’istituzione di una giornata della memoria possa rappresentare solo una formale occasione di ricordo, simile a tante altre; che essa possa rapidamente trasformarsi in una ipocrita e vuota celebrazione piuttosto che in un momento di vero e sentito cordoglio; che la lotta alle mafie necessiti di ben altro per essere continuata e vinta. Sono osservazioni da tenere nella giusta considerazione che però, a mio avviso, tradiscono il senso più profondo che anima le iniziative che stanno colorando le piazze di tutta Italia.

Nei nomi – quasi mille – che compongono il triste e lungo elenco delle vittime che oggi vengono scanditi, è rappresentata tutta la nostra comunità, ferita e vilipesa in ogni sua parte, in ogni sua porzione. Non solo infatti uomini e donne che hanno giurato fedeltà alla Repubblica come magistrati, poliziotti, carabinieri, finanzieri e uomini delle Istituzioni ma anche cittadini che non hanno voluto chinare il capo davanti alle violenze e alle ingiustizie perpetrate dai mafiosi come le decine di commercianti, imprenditori, giornalisti, uomini di fede, volontari, insegnanti, che, purtroppo, non ci sono più. Ci sono poi tante altre vittime innocenti, spesso studenti o bambini, colpevoli solo di esser state nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

Alcuni nomi, in virtù delle straordinarie vite che hanno vissuto al servizio della nazione, sono unanimemente riconosciuti e ricordati come esempi cui ispirarsi; altri sono invece relegati alla sola dimensione privata del dolore delle loro famiglie. Le loro storie, tutte le loro storie, meritano di essere raccontante e conosciute da tutti noi perché ognuna di esse ha pari dignità e uguale valore; perché ciascuna di queste schegge di privata sofferenza deve essere parte a pieno titolo di un sentimento pubblico; perché chi porta con sé questo insostenibile fardello non deve sentirsi mai solo ma invece deve poter contare su tutti noi. È questo il senso più profondo dell’essere e agire come una comunità.

Sbaglia chi crede che tutto questo non ci riguardi. Le mafie hanno brutalmente spezzato le vite di figli, nipoti, madri, sorelle, colleghi, vicini di casa, compagni di scuola, conoscenti: a volte è stato solo per circostanze fortunate che i loro tragici epiloghi non siano stati i nostri. Le vittime di mafia sono un pezzo enorme di Italia che testimonia, con la crudezza dell’assenza e l’intensità di un dolore mai sopito, quanto urgente e forte debba essere il nostro impegno per sconfiggere la criminalità organizzata. È necessario che tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità e competenze, facciano la propria parte: siamo tutti chiamati in causa, nessuno si senta dispensato, nessuno di senta escluso.

Il Presidente Mattarella, domenica ha detto in Calabria:

“La mafia è ancora forte, è ancora presente. Controlla attività economiche, legali e illegali, tenta di dominare pezzi di territorio, cerca di arruolare in ogni ambiente. Bisogna azzerare le zone grigie, quelle della complicità, che sono il terreno di coltura di tante trame corruttive. Accanto agli strumenti della prevenzione e della repressione, bisogna perfezionare quelli per prosciugare le paludi dell’inefficienza, dell’arbitrio, del clientelismo, del favoritismo, della corruzione, della mancanza di Stato, che sono l’ambiente naturale in cui le mafie vivono e prosperano. I vari livelli politico-amministrativi devono essere fedeli ai propri doveri e, quindi, impermeabili alle infiltrazioni e alle pressioni mafiose”.

Siamo i primi destinatari di queste parole. Quest’Aula ha la responsabilità suprema  di essere e apparire all’altezza della grande sfida che si pone davanti all’intero Paese: sono molte le proposte e le misure legislative che darebbero nuovo impulso alla lotta alla criminalità organizzata e che invece attendono da troppo tempo di essere discusse e approvate dal Parlamento.

La storia dell’antimafia racconta di come i più grandi successi siano stati ottenuti quando le migliori forze del Paese – dalla politica alla magistratura, fino alla società civile – si sono unite nel comune obiettivo di far prevalere la cultura della legalità su quella mafiosa, lo Stato di diritto sulla violenza delle cosche, la forza della giustizia sui soprusi, l’esigenza della verità sulle menzogne e le omissioni. Possiamo fare molto ma servono coraggio e dedizione, quelli che hanno animato gli uomini e le donne che hanno servito l’Italia fino all’estremo sacrificio; quelli che guidano l’azione di chi, a tutti i livelli, fa della buona politica; quelli che ispirano il lavoro quotidiano di tante associazioni, scuole, redazioni, questure, aule di tribunale; quelli che ho visto negli occhi delle persone che stamattina hanno riempito di speranza le strade di Locri; quelli che danno la forza a tanti nostri concittadini di ribellarsi e gridare il loro “No” ai compromessi. Solo insieme possiamo farcela. Tocca a noi, a tutti noi, dare pieno valore al 21 marzo, trasformarlo davvero nel primo giorno di una primavera di legalità: abbiamo il diritto, ma anche il dovere, di realizzare questa ambizione.

Nel ricordo di tutte le vittime delle mafie invito l’Assemblea ad osservare un minuto di silenzio e di raccoglimento.

Foto: ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Incontro con il Presidente del Consiglio di Stato della Libia

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi pomeriggio a Palazzo Giustiniani il Presidente del Consiglio di Stato della Libia, Abdurrahman Swaheli. Al centro del colloquio, la situazione interna della Libia e il governo dei flussi migratori.