Caro Giovanni, sei sempre con me

Un brano tratto da Storie di sangue, amici e fantasmi. Ricordi di mafia (Feltrinelli) pubblicato su La Stampa

Caro Giovanni, scriverti non è facile, mettere ordine nei tanti pensieri e nelle innumerevoli cose che ho da dirti. C’è quel lieve imbarazzo tipico di quando due vecchi amici, abituati a condividere la quotidianità, fatta di cose grandi e piccole, si rincontrano dopo essersi persi di vista per qualche anno: basta un saluto, uno sguardo, un abbraccio per ritrovare subito l’antica confidenza.In realtà, in questi venticinque anni non c’è stato giorno in cui non ti abbia parlato, in cui non ti abbia chiesto consiglio, in cui non abbia raccontato a un interlocutore un aneddoto o un episodio su di te. A volte me lo chiedo, a volte me lo fanno notare: perché parli sempre di lui? Perché racconti continuamente le grandi sfide che ha affrontato ma anche il suo spirito ironico e le sue piccole debolezze?La verità è che mi manchi moltissimo. Prima di essere Falcone, il mito, il simbolo che viene ricordato e commemorato da milioni di italiani con rispetto, amore e riconoscenza — a volte anche con qualche ipocrisia —, per me eri soprattutto Giovanni, all’inizio il collega, poi, con il passare dei giorni, soprattutto l’amico. (…)

Nei momenti di maggiore sconforto mi trovo a pensare a un paradosso: per portare a termine quel Maxiprocesso da cui tutto è cominciato, abbiamo dovuto superare centinaia di ostacoli. Come giudice a latere ho dovuto inventarmi soluzioni innovative per problemi mai presentatisi prima, anche banali di procedura: i verbali d’udienza da redigere in tempo reale, l’appello nominativo degli imputati da trasformare in un registro delle presenze, l’impossibile lettura degli atti, la fretta di scrivere da solo le settemila pagine di sentenza prima che scadessero i termini, e tanti altri. Ci siamo riusciti, anche grazie all’aiuto di tutti gli organi dello Stato, finalmente uniti per un risultato comune: il ministero di Grazia e giustizia, come si chiamava allora, il Parlamento con la legge Mancino-Violante, l’impegno straordinario di tanti funzionari e uomini comuni ci ha portato a quel monumento giuridico. Ma se solo uno di quegli ostacoli ci avesse fermato, che sarebbe successo? Se per un qualsiasi motivo fossero riusciti a fermarci, se avessimo fallito, mi chiedo, tu, Paolo e tanti altri sareste forse ancora vivi?In quei momenti al senso di colpa per essere sopravvissuto — nonostante il fallito attentato ai miei danni a Monreale, un altro «colpettino» partorito dalla folle mente di Riina per il suo ricatto allo Stato — si aggiunge quello di essere riuscito a portare a termine quel processo.

Eppure, alla fine ho trovato una risposta a questo dramma interiore. Se il Maxiprocesso fosse saltato, sono certo, avremmo continuato la nostra battaglia. Non ci saremmo fermati. Altri processi erano andati in fumo, altre volte il risultato che sembrava vicino si era allontanato. Avremmo ripreso con ancora più forza, avremmo approfondito le indagini, cercato riscontri, sentito collaboratori e testimoni, costruito un altro processo e continuato, sotto la tua guida, fino a farcela. Perché tu eri così. Perché chi ti stava intorno e condivideva i tuoi valori era così. Perché nonostante la consapevolezza dei rischi che correvamo, degli interessi che stavamo toccando, della rabbia che cresceva fino a esplodere, non ci saremmo tirati indietro.

Ne sono certo, Giovanni: pur sapendo di morire, rifaresti tutto quello che hai fatto. Il tuo credo era racchiuso in una frase di John Fitzgerald Kennedy, che ripetevi sempre ai tuoi nipoti e ai ragazzi che incontravi: «Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana». Mi è rimasto in tasca da allora il tuo accendino d’argento, quello che mi hai dato il giorno che hai deciso di smettere di fumare, sorridendo e specificando: «Guarda che è solo un prestito, se ricomincio me lo devi restituire». Lo tengo sempre con me, e quando sono in dubbio su cosa fare mi basta toccarlo per sentire la tua forza e il tuo consiglio, e non avere alcuna incertezza sulla decisione da prendere. In un’intervista che mi capita di rivedere ogni tanto — non dura nemmeno un minuto — a un certo punto ti chiedono chi te lo fa fare, tu fai quel tuo sorriso carico di sottintesi, e rispondi: «Soltanto lo spirito di servizio». Ma alla domanda successiva — «Ha mai avuto la tentazione di abbandonare questa lotta?» — diventi improvvisamente serio e replichi perentorio: «No, mai». In quelle due risposte è racchiuso il sentimento più alto che prova chi ha giurato sulla Costituzione e tiene fede fino alla fine a quel giuramento: il senso dello Stato.

In questa lettera ho cercato di evitarti delusioni, ma non posso nasconderti che è sempre più difficile spiegare cosa significhi «il senso dello Stato» come lo abbiamo inteso noi. Dal 1992 a oggi sono stati molti i colpi inferti a questo nobile sentimento di appartenenza a un ideale comune: centinaia di indagini e processi, migliaia di articoli, innumerevoli ore di programmi televisivi hanno smascherato punti di riferimento che sembravano intoccabili, dalla politica alla magistratura, dal giornalismo all’amministrazione pubblica, dalla società civile all’impresa privata. Molti che sembravano servitori dello Stato o uomini integerrimi si sono rivelati per quel che erano: semplici profittatori. È difficile quindi per me spiegare, soprattutto a chi non ha vissuto quegli anni, con quale forza e con quale coraggio hai continuato sino alla fine nel tuo impegno. È difficile raccontare che entravi ogni mattina in una Procura piena di veleni contro di te, e che lì, come se niente fosse, portavi avanti il tuo lavoro. È difficile far comprendere lo spirito con il quale aiutasti Antonino Meli, che ti era stato preferito come capo dell’ufficio istruzione di Palermo, a smembrare, seguendo una filosofia opposta alla tua, le indagini di mafia affidando a ciascuno un piccolo pezzo di un puzzle molto più grande, perché per te era il tuo superiore e ti sentivi in dovere di aiutarlo in ogni caso. È difficilissimo far capire lo stoicismo con il quale hai sopportato le invidie e le calunnie per essere andato a lavorare al ministero; ti accusavano di fuggire dalla trincea, ma in quei pochi mesi sei riuscito a disegnare una strategia politico-giudiziaria finalmente efficace contro la mafia.

A distanza di così tanti anni però, Giovanni, il tuo esempio è un simbolo inscalfibile. Da procuratore nazionale prima e da presidente del Senato ora, ho visitato numerosi Paesi, e in molti ho trovato una traccia del rispetto con il quale sei ricordato. In un prato fuori Praga c’è un memoriale con il tuo nome. In un’aula di udienza per i processi contro la criminalità organizzata a Sarajevo ho scoperto una targa intestata a te. Nel giardino della scuola dell’Fbi a Quantico c’è il tuo busto sopra una colonna spezzata. Nel quartier generale di Washington un’intera scalinata è dedicata a te: alle pareti ci sono tue foto e articoli di giornali e in alto, cosa rarissima in America, la bandiera italiana intrecciata a quella a stelle e strisce. Quando sono andato in visita, c’era il tuo amico Louis Freeh, che ogni anno, il 23 maggio, prende un volo intercontinentale per venire a Palermo.

Sono certo che lo sai cosa succede a Palermo ogni anno. Quell’aula bunker che tu avevi tenacemente voluto per farci celebrare il Maxiprocesso in Sicilia smette per un giorno i suoi panni di tribunale e diventa il luogo della commemorazione di tutte le vittime di mafia. Si riempie di studenti di ogni età. Quelle gabbie piene di decine di mafiosi si trasformano in gallerie di disegni dei bambini di tutta Italia. Per un giorno, l’antimafia della giustizia lascia il passo all’antimafia della speranza. Le ragazze e i ragazzi intervengono, cantano, recitano per te, per Paolo e per tutti i caduti della nostra guerra. È un momento magico, al quale non sono mai mancato, che viene preparato nelle classi per un anno intero, grazie all’impegno di migliaia di docenti e a quello di tua sorella Maria che, infaticabile, gira per le scuole a raccontare di te. È un impegno strano, il nostro: contribuiamo a costruire il tuo mito e al contempo proviamo a demitizzare il simbolo che sei diventato. Ci piacerebbe far capire agli studenti che sei stato un fuoriclasse nel tuo lavoro, un uomo che non temeva nessuna minaccia, ma anche una persona come tutti: siamo convinti che non ti si debba cucire addosso l’abito dell’eroe, perché porterebbe a crederti inarrivabile, ma quello del cittadino modello, come possiamo esserlo tutti. Solo così infatti il tuo esempio può continuare nell’impegno quotidiano di ciascuno di noi.

 

Premio ISPI 2017 a Emma Bonino

Autorità, Presidente emerito, cari amici,

ho accolto con piacere la proposta che mi ha rivolto l‘Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di ospitare in Senato la cerimonia di conferimento del Premio ISPI 2017 ad Emma Bonino. Un piacere che è dovuto alla profonda considerazione che nutro per la destinataria del Premio e per l’Istituto.

Emma Bonino, nel suo lungo impegno di pensatrice, di politica e di donna delle istituzioni, ha contribuito con passione a autorevolezza alla proiezione del Paese all’estero e allo sviluppo delle relazioni internazionali, particolarmente in materia di diritti fondamentali e democrazia. Con l’Istituto in questi anni abbiamo sviluppato una bella consuetudine di dialogo e collaborazione: proprio in questa sala celebrammo tre anni fa il vostro ottantesimo compleanno, insieme a quello di Limes, e ho anche avuto il piacere di fare visita alla vostra sede a Milano.

In tutti questi anni l’Istituto è stato un interprete attento delle tendenze geopolitiche dei nostri tempi, coniugando elevata qualità dei prodotti scientifici, multidisciplinarità, pluralismo e capacità di parlare a un pubblico sempre più ampio di esperti, di imprenditori, di studenti e di appassionati. Il Paese, in questo momento di crisi, economica, politica, etica e identitaria, ha davvero bisogno di riflessioni, strategie e approfondimenti. Vorrei quindi ringraziare i collaboratori e ricercatori dell’Istituto coordinati dal Direttore Paolo Magri, e augurare di cuore buon lavoro al Presidente Massolo che ha assunto la posizione a gennaio e certamente con la sua visione e la sua lungimiranza farà ulteriormente crescere l’Istituto. In questo avete il grande vantaggio di potervi avvalere dello straordinario sostegno del Presidente Emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, che dell’ISPI è Presidente Onorario.

A proposito del rapporto dell’Italia e degli italiani con la geopolitica e con la politica estera, ho avuto spesso modo di rilevare che da noi, a differenza di quasi tutti gli altri grandi Paesi, la politica internazionale sembra ancora incapace di sollevare in modo adeguato l’interesse della pubblica opinione, dei media e delle istituzioni in Italia, di generare spinte ideali soprattutto nei giovani e ispirare progetti strategici per il futuro del Paese. In Italia si continua a pensare poco in termini geopolitici e si fatica a definire l’interesse nazionale e individuare gli strumenti per soddisfarlo: manca una coscienza geopolitica, una realistica visione della nostra identità dentro un sistema mondiale in fortissimo cambiamento.

Si tratta al tempo stesso di un habitus culturale ancora immaturo sul piano geopolitico, e di carenze strategiche della politica, finora incapace di guardare oltre la singola crisi e pensare al medio e al lungo periodo come normale dimensione temporale della politica estera. Non è un ragionamento nuovo, ma a me sembra che nel frattempo siano cambiate le condizioni generali e che al Paese in questo momento siano offerte opportunità geopolitiche che non possiamo lasciare cadere.

La crisi europea, l’uscita del Regno Unito dall’Unione, i flussi migratori, il terrorismo, le turbolenze del Mediterraneo e del Medio oriente, il rapporto dell’Unione e dell’Alleanza Atlantica con la Russia sono in ordine sparso i colori della tavolozza geopolitica sulla quale siamo chiamati a tracciare il disegno strategico italiano. Pena la marginalizzazione. In geopolitica alle opportunità quasi sempre si accompagnano altrettante responsabilità e per noi credo che questo sia particolarmente vero nei nostri due principali orizzonti geopolitici di riferimento: l’Unione europea e il Mediterraneo. Il nostro credo nel multilateralismo, nella diplomazia, nella solidarietà e nel dialogo cristallizzato nell’art. 11 della nostra Carta costituzionale oggi ci chiama ad una politica estera più forte e coraggiosa.

L’Unione europea è stata indebolita da una serie di importanti fenomeni sistemici (la crisi economica e dell’occupazione, le migrazioni e le tensioni geopolitiche alle frontiere meridionali e orientali) che hanno avuto un impatto molto eterogeno sui diversi Paesi europei, e hanno generato in molti casi risposte politiche divisive e sentimenti di sfiducia dei cittadini, nel concorrere di un pericoloso riemergere nel mondo dei nazionalismi. Poi c’è il tema della Brexit.

L’Italia è stata e deve restare un Paese imprescindibile di avanguardia in Europa e sarà un attore fondamentale nell’opera lunga e paziente di ricostruzione di un clima di fiducia politica insieme a Germania, Francia, Spagna e a tutti i Paesi che avranno l’ambizione di costruire più Europa in certe aree fondamentali della cooperazione, senza lasciare solo nessuno ma anche senza arrestare il cammino dell’integrazione che ha bisogno del coraggio degli utopisti per portare progresso, democrazia e libertà a tutti.

Nel Mediterraneo, l’Italia si trova ad esercitare responsabilità ancora superiori. Non lo dobbiamo solo alle eredità di un passato millenario, ma anche all’intensità dei rapporti economici, sociali e politici con i Paesi della sponda meridionale, alla lunga assenza politica dell’Unione come tale nella Regione e all’urgenza di affrontare le gravi crisi in corso, politiche, umanitarie, di sicurezza, economiche e sociali. Il Governo Gentiloni e la Farnesina stanno lavorando bene, a Bruxelles, New York e nei diversi teatri di conflitto: stanno espletando un’azione costante e intelligente per stabilizzare le crisi, a partire dalla Libia; sostenere i Paesi africani in maggiore difficoltà economica; e per favorire soluzioni politico-istituzionali idonee a garantire nei territori più inquieti la rappresentanza di tutte le componenti etniche, religiose e sociali.

La nostra sfida interna è lavorare sulle aree di fragilità e di vulnerabilità e rafforzare gli strumenti, processi e valori che il Paese può mettere in campo sullo scenario internazionale. A questo fine serve una politica più autorevole, generata da partiti più forti, più vicini ai cittadini e più democratici. Una politica capace di unirsi nella comune identità nazionale, una politica che sappia scegliere e prendere posizione nella comunità internazionale. Emma Bonino è una straordinaria interprete di questi temi, dunque mi congratulo ancora con lei per questo riconoscimento e ringrazio tutti voi per la competenza e la passione con cui vi occupate del nostro Paese e del mondo.

Grazie.

Foto: Carmine Flamminio / Senato della Repubblica

Incontro con il comitato di redazione de L’Unità

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricevuto oggi a Palazzo Madama i rappresentanti del Comitato di Redazione del quotidiano “L’Unità”.

I giornalisti Umberto De Giovannangeli, Massimo Solani e Maria Zegarelli hanno illustrato al Presidente del Senato la grave situazione del giornale e lo stato delle relazioni tra sindacato e azienda, evidenziando che “l’amministratore delegato ha sospeso il pagamento degli stipendi fin quando il sindacato non convincerá ex colleghi, che hanno vinto una causa di lavoro, a rinunciare ai propri diritti riconosciuti da una sentenza”.

Inoltre il sindacato ha esposto al presidente Grasso la propria preoccupazione rispetto ad una misura più volte minacciata e senza precedenti nell’editoria: i licenziamenti collettivi di venti giornalisti a fronte di una redazione composta da 28 unità.

Il Presidente Grasso ha espresso la propria solidarietà ai lavoratori che vedono minacciato il proprio futuro, in un contesto di perdurante crisi del settore editoriale.

L’auspicio, ribadito  dal Presidente del Senato, è che il quotidiano l’Unità riesca a superare le difficoltà attuali, ritrovando quel ruolo di rilievo che ha ricoperto per decenni nella pluralità informativa del nostro Paese.

Noi su questa terra che balla … a proposito di terremoti

Eminenza Reverendissima, gentili ospiti,

è per me motivo di profonda soddisfazione rappresentare il Senato della Repubblica in questa meritoria iniziativa di presentazione del libro “Noi su questa terra che balla” il cui obiettivo principale è quello di fornire ai nostri bambini e ragazzi un’occasione di riflessione e di formazione. Eventi naturali ineluttabili, quali appunto i terremoti ed altre calamità in genere, pur nella loro imprevedibilità, rappresentano comunque fenomeni con i quali alcuni Paesi come il nostro possono convivere, gestendone gli effetti dannosi, attraverso lo sviluppo di un’adeguata cultura della prevenzione. A tale riguardo, le Istituzioni hanno il compito di promuovere la diffusione nelle scuole di programmi di educazione civica, intesa non solo come il pur importante approfondimento dell’organizzazione della nostra società, ma anche di una modalità di approccio agli eventi naturali rispettosa delle caratteristiche del territorio. Questo è del resto lo spirito del principio di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione, sancito dall’articolo 9 della Carta costituzionale.

A tale proposito, mi preme ricordare come il 29 settembre scorso, a poche settimane di distanza dagli eventi sismici verificatisi nell’Italia centrale, l’Aula del Senato sia stata impegnata nella discussione del progetto “Casa Italia”, incentrato proprio sulla necessità di programmare l’utilizzo del suolo e l’attività edilizia in maniera rispettosa dell’assetto geomorfologico del territorio, prendendo spunto anche dall’iniziativa lanciata dal senatore a vita Renzo Piano sul cosiddetto “rammendo delle periferie”. Assieme a queste politiche di lungo periodo, sulle quali si registrano attualmente le criticità più profonde, è altresì compito dello Stato attivare gli strumenti per la gestione immediata ed efficiente delle emergenze, garantendo l’incolumità e la sicurezza della collettività.

È proprio su questi aspetti che il nostro Paese è riuscito a dare il meglio di sé, attraverso l’encomiabile lavoro svolto, in questa come in moltissime altre circostanze, dagli operatori e dai volontari della nostra Protezione civile, oltre che delle Forze armate, delle Forze di polizia, dei Vigili del fuoco e di tutti i tutori dell’ordine e della sicurezza pubblica. Il livello di professionalità e di competenza raggiunto in tale ambito ci pone sicuramente all’avanguardia tra i paesi avanzati. Oltre ad essere motivo di orgoglio per tutti noi, rappresenta anche l’adempimento di quei doveri inderogabili di solidarietà sociale sanciti dall’articolo 2 della Costituzione.

Non posso quindi che ribadire la sincera gratitudine mia personale e del Senato per l’iniziativa del “Treno dei bambini“, nata sotto l’impulso di Sua Eminenza il Cardinale Ravasi e realizzata sulla base della collaborazione tra il Cortile dei Gentili e le Ferrovie dello Stato, il cui significato è insito nello stesso titolo, ossia nell’elevare i bambini delle zone terremotate a “Custodi della Terra”.

Saranno infatti i giovani a dover tutelare e valorizzare l’inestimabile patrimonio culturale e naturalistico del nostro Paese, nell’ottica di una rispettosa e diligente custodia volta a trasmetterlo intatto e, se possibile, ancor più valorizzato alle generazioni che seguiranno.  Mi piace sottolineare come i grandi Padri nostra cultura letteraria, da Plinio il Vecchio a Lucrezio, fino al più recente esempio di Giacomo Leopardi, abbiano posto il tema di come la condotta umana possa stemperare gli aspetti di entità “matrigna”, che la natura può alle volte palesare, per ricondurla ad una dimensione di amorevole madre del genere umano: è questo d’altra parte uno dei richiami di Papa Francesco nella recente Enciclica Laudato Si’, nella quale ci ammonisce a non pensare di poter essere proprietari e dominatori della Terra, autorizzati a saccheggiarla, ma al contrario a vedere sempre in essa “una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”.

Legge su ecoreati: riforma di civiltà per tutelare ambiente, salute e imprese sane

Autorità, Gentili ospiti, cari amici,

ho accolto con grande piacere la proposta di ospitare nella Biblioteca del Senato i lavori di questo Convegno. Come ben sanno gli amici di Legambiente nella mia precedente esperienza di magistrato, specie di Procuratore Nazionale Antimafia, mi sono molto occupato di criminalità ambientale particolarmente in connessione ai fenomeni criminali organizzati, tanto che spesso mi è capitato di contribuire ai loro rapporti annuali.

Terra dei fuochi, Ilva, Eternit. Solo alcuni dei dolorosi fatti di cronaca che in questi anni hanno determinato una forte attenzione dell’opinione pubblica e della politica su un problema che andava affrontato con assoluta urgenza. L’approvazione della legge n.68 del 2015 – che commentai in un tweet con un sollevato “finalmente!” – ha rappresentato uno spartiacque importantissimo. Abbiamo oggi nuovi strumenti, più idonei e mirati, per punire reati gravissimi che incidono sulla tutela di un bene comune a tutti noi: il nostro territorio e, di conseguenza, la nostra salute. Si è così potuto superare un approccio che richiedeva la necessità di adattare al contrasto ai crimini ambientali gli strumenti legali, spesso rivelatisi non del tutto adeguati. In particolare, l’auspicio è che le nuove fattispecie di inquinamento ambientale, di disastro ambientale e di omessa bonifica possano migliorare l’attività di contrasto, anche grazie a pene più severe e tempi di prescrizione più lunghi.

La legge è in vigore da ormai due anni: sono oggi qui riuniti molti degli attori che hanno contribuito a raggiungere questo prezioso risultato e mi sembra importante che con il contributo di tutti (le associazioni, la magistratura, le forze dell’ordine, il governo, il Parlamento) si possa valutare l’efficacia della legge a partire da dati concreti. Il Rapporto Ecomafia di Legambiente nel 2016, che presentaste proprio qui in Senato, dava ad esempio conto di 27.745 reati ambientali, confermando una tendenza che vede le forze dell’ordine impegnate nella repressione di una media di 76 reati al giorno, anche grazie ai nuovi strumenti penali. A questo fine, una fonte di una certa importanza è la relazione della Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che ha svolto un’attività di verifica dell’efficacia dell’intervento normativo di carattere sperimentale che si potrà certo sviluppare e perfezionare, ma comunque ha permesso una prima utile analisi delle prassi applicative nei diversi territori e l’individuazione di criticità emerse in fase di prima attuazione.

In termini generali sono convinto che sia necessario studiare l’impatto delle scelte politiche per verificare, con metodologie scientifiche e idonei strumenti valutativi, l’attuazione delle norme che vengono promulgate dal Parlamento. La criminalità ambientale è una minaccia capitale per i cittadini, il territorio e lo sviluppo sociale ed economico sostenibile del Paese. Perseguire chi attraverso i reati ambientali deturpa la bellezza del Paese, mette a rischio la salute pubblica è un dovere che lo Stato deve assolvere nel migliore dei modi. Per fortuna è ormai finita l’epoca in cui chi indagava su questi fenomeni veniva lasciato solo. Voglio ricordare su tutti il poliziotto Roberto Mancini, simbolo di tutti gli uomini e le donne che nonostante le difficoltà hanno continuato a compiere il loro dovere, consci dell’importanza di quel che facevano.

Vedo per fortuna un’attenzione rinnovata su questi temi, da parte dei cittadini e delle Istituzioni, e una diffusa e sentita esigenza di giustizia e tutela dell’ambiente come bene collettivo e universale ma abbassare la guardia sarebbe un drammatico errore. Gli autorevoli relatori che seguiranno delineeranno un bilancio di questi due anni di quella che mi piace considerare l’epoca di una nuova consapevolezza, della quale voi siete attori insostituibili con la vostra passione e il vostro lavoro.

Grazie a tutti di cuore e buon lavoro.

Foto: Carmine Flamminio / Senato della Repubblica

 

Presentazione del “Treno dei bambini” e del libro “Noi su questa terra che balla…a proposito di terremoti””

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Martedì 16 maggio il Presidente del Senato, Pietro Grasso, interverrà alla presentazione della quinta edizione dell’iniziativa “Treno dei bambini”, promossa dal “Cortile dei Gentili”, e del libro “Noi su questa terra che balla …a proposito di terremoti”. L’incontro sarà ospitato dal Pontificio Consiglio della Cultura, in Via della Conciliazione 5, a partire dalle ore 11.

E’ previsto l’intervento del Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Con l’aiuto del senatore a vita Renzo Piano e di diversi esperti, il libro “Noi su questa terra che balla” cerca di spiegare ai bambini il fenomeno sismico, aiuta a prendere familiarità con termini come “magnitudo”, “epicentro”, “ipocentro”, “litosfera”, e fornisce una piccola guida pratica per affrontare i terremoti. Nell’introduzione, testi del Presidente Grasso e del Cardinale Ravasi. Il libro – che ha ottenuto il Patrocinio del Senato della Repubblica – verrà consegnato a Papa Francesco il 3 giugno dai piccoli provenienti dalle zone terremotate del Centro Italia che partecipano all’iniziativa del “Treno dei Bambini”.

IV Vertice presidenti Assemblea Parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo

Care colleghe, cari colleghi, gentili ospiti,

anche a nome della Presidente Boldrini desidero augurarvi il più caloroso benvenuto nella città di Roma e nell’Aula del Senato, per il IV Vertice dei Presidenti dei Parlamenti dell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo. Saluto e ringrazio il Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni che ci onorerà di un suo intervento introduttivo. La sua presenza, e il costante interesse del governo al lavoro della nostra Assemblea nel corso della presidenza italiana danno la misura dell’attenzione e della passione con cui questo Paese si rivolge al Mediterraneo e a tutti i Paesi che ne fanno parte. Sentiamo la speciale responsabilità di edificare il futuro dei nostri figli insieme a voi perché siamo da sempre cuore geografico, culturale e politico del Mediterraneo e dell’Europa, il luogo di incontro delle grandi civiltà e culture oggi rappresentate in quest’Aula. La storia della cooperazione euro-mediterranea, non possiamo nascondercelo, è un chiaroscuro: spesso è mancata la determinazione politica. Noi pensiamo che si debba ripartire da qui e nutriamo fiducia nelle forti potenzialità di dialogo e azione dell’Unione per il Mediterraneo e dell’Assemblea parlamentare, in particolare in questo momento di conflitti, tensioni e frammentazioni.

Desidero ringraziare di cuore i colleghi Tajani, Aal e Kahraman per il sostegno che il Parlamento europeo, il Parlamento egiziano e il Parlamento turco hanno voluto assicurare al lavoro della Presidenza. Abbiamo inteso concentrarci particolarmente su progetti concreti per incrementare le sinergie con l’Unione per il Mediterraneo e dare alla nostra organizzazione un taglio più pratico ed effettivo. Una importante acquisizione dei nostri incontri è la convinzione maturata insieme dell’assoluta ineluttabilità della coesione e della necessità di imprimere a questo importante esercizio multilaterale nuova energia, senso e slancio politico per avanzare nei numerosi dossier dell’agenda politica, economica, ambientale e sociale trattati nelle commissioni, e costruire fiducia reciproca. La Presidenza italiana ha dedicato una particolare attenzione ai temi migratori, alla prevenzione e repressione del terrorismo, all’istruzione e allo sviluppo sociale e al lavoro, alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile. Mi limito a poche brevi considerazioni. L’Italia, come sapete, sta gestendo i flussi migratori soccorrendo, accogliendo, restituendo a ogni persona la dignità di essere umano.

Ma non ci siamo fermati a questo: lavoriamo con intensità e costanza a Bruxelles, nel Mediterraneo, alle Nazioni Unite per stabilizzare le crisi geopolitiche, a partire da quella libica, per sostenere lo sforzo dei Paesi di transito e per aiutare lo sviluppo dei Paesi da cui provengono i migranti. Un messaggio universale di umanità che noi ci aspettiamo sia raccolto dall’Unione europea ma anche da tutti i Paesi della sponda sud. Quanto al terrorismo internazionale, in seno all’Assemblea è emersa la necessità di una strategia articolata che unisca alle azioni militari, per contenere i gruppi terroristici sul terreno, iniziative politiche per garantire futuro nei territori instabili a tutte le componenti etniche, religiose e sociali; cooperazione nella circolazione di informazioni ed elementi di indagine per prevenire la violenza e punire i responsabili in processi equi. Chiudo con il tema delle diseguaglianze che mettono in pericolo in modo crescente la coesione sociale, allontanano troppe persone dalla cittadinanza attiva e creano le condizioni per l’illegalità e per il radicalismo.

Ciascuno di noi nel proprio Paese si deve adoperare per rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini e impediscono la partecipazione di ciascuno alla vita comune. Ma non basta: dobbiamo proiettare questo dovere nello spazio geopolitico mediterraneo. La responsabilità che compete alla politica, particolarmente a noi parlamentari, è pensare e realizzare un progetto di futuro nel quale la cittadinanza non si edifica sulla religione, sulla nazionalità, sulla lingua o sull’etnia, ma sulla condivisione di valori, sogni e speranze e sulla volontà di impegnarsi per il bene comune. Lascio la parola alla Presidente Boldrini per il suo intervento.

Grazie e benvenuti!

Giornata memoria vittime terrorismo 2017

Autorità, familiari delle vittime, care ragazze e ragazzi,

è con un profondo senso di commozione che prendo la parola dopo aver ascoltato quelle, bellissime, di Francesco Rossi, Silvana Perrone e Andrea Casalegno. Avete consegnato a tutti noi qualcosa di più profondo di una semplice testimonianza, le vostre parole sentite ed efficaci ci hanno dato numerosi spunti per riflettere sul nostro passato, sul presente e sul futuro. Siamo qui, insieme, e dobbiamo avere il coraggio di usare il linguaggio della sincerità: la gestazione delle celebrazioni di quest’anno è stata difficoltosa e siete stati più volte costretti a richiamare alle proprie responsabilità di trasparenza e impegno le Istituzioni. Anni di delusioni, intollerabili omissioni, ritardi nell’applicazione di leggi già emanate e ingiustificabili reticenze hanno logorato molti iscritti alle vostre associazioni a tal punto di prendere in considerazione l’ipotesi di non partecipare a questa giornata. Sarebbe stata una sconfitta per tutti: sono felice invece di avervi qui, sulla base di un atto di fiducia che ancora una volta riponete nelle Istituzioni – che molti dei vostri cari hanno servito – e grazie anche alle risposte e agli impegni che vi sono stati nuovamente garantiti in queste settimane.

Sulla loro realizzazione vigileremo attentamente perché c’è in gioco la credibilità dello Stato nei vostri confronti e nei confronti di tutti i cittadini. So che c’è un diffuso desiderio dei familiari delle vittime di tornare a celebrare questo giorno al Quirinale, la casa di tutti gli italiani: sono felice quindi di dirvi che il presidente Mattarella mi ha incaricato di trasmettervi il messaggio che così sarà il prossimo anno. Non vi nascondo che anche questa volta, come negli anni scorsi, per me e per il Senato della Repubblica è un grande onore accogliervi e aprirvi le porte di Palazzo Madama. Custodirò con cura, in un luogo sicuro dell’anima, le emozioni dell’incontro con voi: i molti anni come magistrato antimafia e le tante volte in cui anche da presidente di questa Istituzione mi sono confrontato con il dolore dei “sopravvissuti”, non hanno in alcun modo reso meno toccante incrociare la forza dei vostri sguardi, attraversati da un incancellabile velo di tristezza. Grazie per la testimonianza infaticabile che offrite, grazie per aver messo la vostra sofferenza privata a disposizione della collettività, soprattutto delle ragazze e dei ragazzi che, per loro fortuna, conoscono il male degli anni di piombo solo attraverso i vostri racconti e i libri di storia, senza doverlo sperimentare in prima persona.

Il 9 maggio è una solenne occasione per raccoglierci tutti intorno ai principi della nostra Repubblica, quei principi che furono minacciati dalla furia del terrorismo, indipendentemente dalla sua natura o connotazione ideologica; è una giornata utile per comprendere il significato del nostro stare insieme e ricordare chi ha perso la vita in anni oscuri, segnati da violenza, paura e vergognose trame eversive; è un momento nel quale rinnovare l’adesione ai valori costituzionali che preservammo dal furore di chi intendeva distruggere lo Stato di diritto e annientare la nostra democrazia. Ringrazio Mario Calabresi che oggi, a 45 anni dall’uccisione di suo padre – il commissario Luigi Calabresi – ci ha egregiamente delineato i tratti salienti di quella difficile stagione, dandoci la possibilità di contestualizzare le dolorose vicende che abbiamo sin qui ascoltato. Colpisce il racconto del terrorismo sudtirolese, al tempo stesso unico nella sua specificità e paradigmatico del più ampio intreccio tra estremismi politici e apparati infedeli. La soluzione a quella vicenda fu tutta politica, i nodi vennero sciolti con intelligenza e grazie alla capacità dei governi di rispondere alle legittime richieste dei cittadini senza cedere ai terroristi. Ci siamo fortunatamente lasciati alle spalle la lunga e difficoltosa applicazione del “pacchetto”, oltre che le decine di episodi che hanno martoriato una terra che non può dimenticare le profonde ferite che gli furono inferte; rimane però il dovere di ricostruire nella sua complessità l’inestricabile commistione di opachi interessi che hanno avvelenato la vita degli altoatesini. Walter, Claudio, Carlo, Fulvio: nomi ai quali oggi abbiamo associato i tratti della nostra stessa umanità. Nelle loro storie – così come in quelle di tutte le vittime del terrorismo – abbiamo avuto il privilegio di riconoscerci perché loro, come noi, avevano pregi, difetti, sogni, paure, aspettative, una quotidianità improvvisamente spezzata da una raffica di mitra o l’esplosione di una bomba.

Cari ragazzi, Walter Rossi era poco più grande di voi, aveva vent’anni: avrebbe potuto essere un vostro fratello maggiore, un compagno di squadra, un amico, un fidanzato. E’ difficile per voi credere che sia morto per un colpo di pistola alla nuca nel corso di una manifestazione. Provate a immaginare quanto avrebbe potuto dare alla sua famiglia, ai suoi amici, al nostro Paese se quel 30 settembre 1977 il proiettile che lo uccise – partito da un braccio di cui non siamo riusciti a dimostrare l’identità – lo avesse mancato.

Molti ragazzi e ragazze furono vittime di quel clima di dirompente e irragionevole odio. Alcuni di loro facevano politica, partecipando alle attività di gruppi più o meno organizzati o scendendo in piazza a gridare le loro idee; altri, come Claudio Graziosi, indossavano una divisa per garantire l’ordine pubblico e la sicurezza di tutti i cittadini. Silvana Perrone Graziosi ci ha raccontato chi era suo marito e quale immenso dolore ha sofferto. Io voglio sottolineare un aspetto che trovo molto significativo. Graziosi quel giorno era in abiti civili: se dopo aver riconosciuto Maria Pia Vianale si fosse voltato dall’altra parte nessuno avrebbe mai saputo nulla, nessuno avrebbe potuto chiedergli conto del suo mancato intervento. Quanti di noi, al posto suo, avrebbero almeno accarezzato l’idea? Aveva solo 21 anni, una intera vita davanti e un bambino in arrivo. Eppure non lo fece, decise di assumersi la responsabilità che la sua coscienza gli imponeva, e per questo fu ammazzato. Voglio dedicargli un pensiero di profonda gratitudine, rivolgendomi a suo figlio: nessuno potrà certo colmare il vuoto d’amore lasciato da tuo padre ma devi essere orgoglioso di ciò che fece, così come lo siamo noi. Siamo fieri di lui e di tutti gli uomini e le donne delle forze dell’ordine che hanno servito e servono lealmente, ben oltre i confini del loro dovere, il nostro Paese.

Uomini come il Brigadiere Antonio Ferraro, il Carabiniere Scelto Donato Poveromo e il Carabiniere Franco Dongiovanni, vittime del terribile agguato del 31 maggio 1972 a Peteano. La bomba nascosta in una Fiat 500 era una trappola ordita per poter uccidere gli uomini che difendevano lo Stato: la loro memoria, così come quella di tutti gli uomini e le donne caduti mentre svolgevano il loro dovere, non deve essere mai persa.

La vicenda di Fulvio Croce è altrettanto emblematica: i brigatisti rifiutarono di essere difesi persino dagli avvocati d’ufficio, minacciando chiunque avesse osato farlo; ancora una volta, invece, un cittadino che avrebbe potuto fare diversamente scelse di prestare ascolto alla sua morale e alla sua deontologia professionale. É inevitabile per me ripercorrere il filo della memoria personale, ricordare quanti sacrifici hanno compiuto gli uomini di legge per garantire che sempre e comunque – anche quando sul banco degli imputati sedevano assassini della peggior specie – fosse amministrata giustizia secondo le leggi dello Stato. Il Presidente dell’ordine degli Avvocati di Torino, accettando l’incarico che ne decretò la morte, donò a tutti noi un esempio cristallino di adesione ai valori e ai principi che i terroristi volevano umiliare, negare, abbattere.

Carlo Casalegno era un brillante giornalista, una penna acuta, stimata e rispettata per la profondità del suo pensiero. Le Brigate Rosse lo uccisero perché temevano la sua libertà intellettuale, la saggezza delle sue parole, la storia di un uomo che aveva fatto la Resistenza e che nuovamente si ergeva, con la sola forza delle idee, a difesa della nazione e del suo più intimo patrimonio. Nella sua rubrica – significativamente intitolata “il Nostro Stato” –  ribadiva che le Istituzioni avrebbero dovuto continuare nella linea di una solida fermezza nella repressione del terrorismo ma senza arrivare a soluzioni estreme che avrebbero di fatto sospeso lo Stato di diritto. Il futuro della nostra Repubblica, secondo Casalegno, si giocava proprio in questo strettissimo e quanto mai complesso sentiero: difendere la democrazia senza cedere alle lusinghe di soluzioni che la avrebbero poi, nel lungo periodo, maggiormente compromessa. Fu ucciso a Torino pochi mesi dopo l’avvocato Croce. Il ricordo della nostra storia, ancora una volta, può illuminare le scelte per il presente e per il futuro. Nel volgere il mio pensiero a tutti i familiari e le vittime italiane del terrorismo internazionale degli ultimi anni, oggi per la prima volta presenti in quest’aula, non posso non ribadire che dobbiamo affrontare i profondi cambiamenti geopolitici che stanno sconvolgendo il mondo – cambiamenti che determinano insicurezze e paure – con la lucidità della mente, la forza del diritto e il coraggio della speranza. Dobbiamo trovare l’audacia, proprio nel momento di maggiore incertezza e sconforto, di rilanciare il progetto europeo, di difenderlo da chi vorrebbe tornare indietro o tradire i principi che hanno garantito per oltre 60 anni pace e prosperità al nostro continente. La nostra storia ci insegna che abbiamo un comune destino. Lo credeva anche l’uomo il cui rapimento e il successivo assassinio segnò così profondamente la coscienza dell’Italia, che ancora si interroga su cosa sarebbe divenuto il nostro Paese se quello straordinario statista avesse potuto continuare il suo progetto politico. P

er una curiosa coincidenza il 9 maggio è sia il giorno della sua morte – scelto per questo come data simbolo di ricordo di tutte le vittime del terrorismo – sia la Festa dell’Europa, quella che Aldo Moro sentiva essere “nelle cose, una necessità ed un dovere insieme”. Per quanto difficile e tortuosa possa essere questa prospettiva, è l’unica che dia dignità ai nostri più intimi convincimenti. Il disprezzo dei terroristi per la vita, il loro estremismo ideologico e la brutalità con la quale intendevano sovvertire l’ordine democratico della Repubblica non ebbe la meglio. Li sconfiggemmo perché trovammo la forza di unirci, rifiutando di far prevalere la paura sulla speranza, la violenza sul diritto. In quella lunga stagione di odio e di oscuri progetti sovversivi ci riscoprimmo comunità, riuscimmo a sentirci nazione e a dare, così, pieno valore alle conquiste faticosamente ottenute con la Resistenza e la Costituzione. Nella sfida che si diffonde oggi in ogni angolo del mondo a causa delle nuove forme di terrorismo internazionale, dobbiamo rispondere con la stessa forza che usammo allora: la forza della ragione e del diritto. Per il rispetto profondo che dobbiamo alle vittime e al dolore dei loro familiari non arretreremo di un millimetro dai nostri valori di democrazia, libertà, uguaglianza.

Non riusciranno a chiuderci in casa, né ci lasceremo convincere ad alzare muri: sarebbe come cedere al loro ricatto. La vostra sofferenza, quella che purtroppo vi accompagna quotidianamente e per la quale non c’è rimedio, è la nostra sofferenza; il vostro desiderio di giustizia è il nostro desiderio di giustizia; la vostra sete di verità è la nostra sete di verità, quella di tutto il Paese. Per questo non dobbiamo smettere di lottare; per questo dobbiamo, ognuno secondo la propria competenza e possibilità, fare tutto ciò che è possibile per illuminare la “notte della Repubblica” con la luce della verità, senza calcoli di convenienza. Farlo è il più grande segno della nostra speranza, la più grande testimonianza di fede laica in un futuro diverso e migliore per i nostri figli e nipoti. A voi ragazzi, che avete partecipato al concorso “Tracce di memoria”, e ai vostri docenti, che vi hanno accompagnato in questo percorso, va il nostro ringraziamento più profondo.

E’ nel passaggio di conoscenze tra le generazioni che una comunità continua nel tempo e contemporaneamente si rinnova. Per questo il vostro compito, da oggi, è quello di farvi testimoni di quanto avete appreso e non lasciare che queste vicende e queste persone vengano mai dimenticate, insieme al loro più grande insegnamento: spetta a ciascuno di noi difendere i valori della nostra Costituzione, con l’impegno quotidiano e con l’esempio.

Grazie.

Foto di repertorio

Presentazione rivista scientifica “Diritto Penale della Globalizzazione”

Autorità, cari amici,

ho accolto davvero con piacere la proposta del prof. Ranieri Razzante e del dott. Giovanni Tartaglia Polcini di presentare qui in Senato il primo numero della rivista “Il Diritto Penale della Globalizzazione”, edita da Pacini. Voglio complimentarmi con l’editore, i direttori e tutti coloro che hanno dato vita a questo importante progetto, coinvolgendo tanti studiosi di diritto, di fenomeni criminali e geopolitica. La Rivista, anche grazie al suo taglio multidisciplinare, si colloca in un settore scientifico e culturale ancora largamente inesplorato che ha certamente bisogno di essere studiato con quell’attenzione sistematica che giustamente si propongono i direttori nella nota di apertura del primo volume. Mi sembra il più giusto approccio per dare conto della straordinaria complessità ordinamentale multilivello messa in risalto nell’editoriale del Presidente Frattini.

La considerazione internazionale del diritto penale richiama a mio modo di vedere almeno tre diverse dimensioni. La prima è quella dello studio dell’evoluzione in senso transnazionale delle organizzazioni criminali e dei fenomeni criminali, in particolare dei delitti commessi da organizzazioni mafiose o altre strutture criminali, del crimine economico, incluso il riciclaggio, e del terrorismo. La seconda dimensione è quella della cooperazione internazionale fra Stati, istituzioni statali, alleanze internazionali e transnazionali, al livello normativo e operativo. La terza è quella del diritto internazionale in senso stretto, vale a dire i crimini internazionali.

A proposito del crimine transnazionale, nella mia precedente esperienza professionale ho analizzato i fenomeni criminali anche attraverso l’uso degli strumenti della geopolitica, osservando che le organizzazioni mafiose, le reti del riciclaggio globale e i gruppi terroristici agiscono nel contesto globale come veri soggetti internazionali, traendo vantaggio dai mutamenti nei fattori della geopolitica e producendo a loro volta essi stessi conseguenze geopolitiche. Giovanni Falcone fu il primo a intuire che le mafie stavano intraprendendo sviluppi internazionali e transnazionali al fine di controllare nuovi territori, di offrire e commerciare beni e servizi illeciti e cercare occasioni di investimento dei proventi delittuosi. Non ebbe il tempo di vedere quali fenomeni si sarebbero determinati e neppure uno degli strumenti internazionali di contrasto che più si deve alle sue idee: la Convenzione contro il crimine organizzato transnazionale delle Nazioni Unite firmata a Palermo. Nel periodo in cui sono stato Procuratore Nazionale Antimafia, in continuità con il mio predecessore Vigna, ho cercato di portare avanti queste idee, dedicando molta energia alla proiezione internazionale della DNA e mettendo in campo quella che mi piace definire una “diplomazia penale”. In particolare ho sottoscritto numerosi accordi di cooperazione con autorità di altri paesi anche per anticipare evoluzioni sul piano dei trattati di estradizione e assistenza reciproca, e mi sono fatto promotore della diffusione del nostro modello di contrasto alle mafie e ai patrimoni illeciti.

L’approccio geopolitico è particolarmente utile anche a proposito di una lunga serie di crimini emergenti. Penso all’uso e all’abuso del web e delle nuove tecnologie per violare le comunicazioni, accedere a informazioni riservate, diffondere ideologie violente o commettere appropriazioni, truffe ed altri reati; penso alla criminalità ambientale, ai reati contro il patrimonio culturale, alle frodi alimentari e alla contraffazione di beni, in particolare medicinali, giocattoli e prodotti per l’igiene personale. Si tratta di settori criminali strettamente connessi ai fenomeni della globalizzazione, ai quali la Rivista potrà apportare un contributo di studio importante.

La seconda dimensione, quella della cooperazione giuridica ed operativa si muove intorno alla consapevolezza che in parallelo al diritto penale interno degli Stati si sono evoluti nuovi settori di diritto penale europeo ed internazionale, sostanziale e processuale che hanno bisogno di un intenso lavoro teorico e pratico. Un “diritto penale globale vivente” che la Rivista comincia ad approfondire già da questo suo primo numero. Naturalmente, non mi sfugge la connessione di questo tema con quello dei diritti e delle garanzie individuali e dell’equilibrio fra questi e gli interessi collettivi di sicurezza. Sarà molto interessante leggere gli studi che verranno pubblicati dalla Rivista a proposito dell’armonizzazione delle legislazioni penali, del mutuo riconoscimento delle decisioni giurisdizionali, delle questioni di cooperazione giudiziaria e di polizia e della giurisprudenza delle più rilevanti giurisdizioni internazionali, specie le corti di Strasburgo e Lussemburgo.

La terza dimensione è quella del diritto internazionale penale vero e proprio, vale a dire di quel complesso internazionale normativo, consuetudinario e giurisdizionale che si occupa della repressione di atrocità internazionali, in particolare dei crimini contro l’umanità, dei crimini di guerra e del genocidio. L’Italia ha contribuito con autorevolezza, in termini politici, giuridici, culturali, a questo settore relativamente nuovo del diritto internazionale e del diritto penale dando un impulso determinante alla Corte Penale Internazionale, il cui Statuto è stato sottoscritto proprio a Roma. Si tratta di un campo nel quale il diritto penale si incontra con la geopolitica, il mantenimento della pace internazionale, la protezione dei diritti fondamentali e l’obbligo morale della comunità internazionale di restituire alle vittime di atrocità la speranza di verità e di giustizia in ogni parte del mondo, anche dove le autorità competenti non possono o non vogliono procedere. Segnalo anche il rilievo della tortura che è al tempo stesso un crimine internazionale, una forma di crimine di guerra e crimine contro l’umanità e un delitto negli ordinamenti interni. In questo momento è in corso il dibattito parlamentare per dotare finalmente l’Italia di una norma penale contro la tortura. Questa è una prerogativa delle parti politiche e io mi limito a ricordare che il diritto internazionale richiede che si vietino e puniscano le condotte dei pubblici ufficiali che provocano grave sofferenza fisica o psichica su persone in stato di detenzione o comunque sotto il loro controllo, al fine di punirle indebitamente, di estorcere confessioni o informazioni o di discriminarle.

Concludo dunque augurando a “Il Diritto Penale della Globalizzazione” ogni fortuna e successo, convinto che questa iniziativa editoriale pionieristica si affermerà come un luogo autorevole di confronto non solo sul diritto penale, ma anche sullo stato della tutela dei diritti fondamentali e sul nostro tempo. Alla politica spetta sempre la difficile responsabilità di tutelare la vita e la serenità dei cittadini, mantenendo però la saggezza e la lucidità necessarie per combattere il delitto, le atrocità e la barbarie con gli strumenti dello Stato di diritto, della democrazia, della diplomazia e del multilateralismo. In questo compito le istituzioni devono anche imparare ad ascoltare con attenzione e rispetto la competenza appassionata di voi studiosi ed esperti. Grazie dunque a tutti. Buona prosecuzione e buon lavoro.

Foto: immagine di repertorio

Giornata conclusiva del Seminario di Studi parlamentari “Silvano Tosi”

Autorità, caro Rettore, Gentili professori, Carissime ragazze e carissimi ragazzi,

sono particolarmente lieto di intervenire anche quest’anno alla giornata conclusiva delle attività del Seminario di Studi parlamentari “Silvano Tosi”, che festeggia i suoi cinquanta anni di vita. Per questo invito, desidero ringraziare il Prof. Paolo Caretti e il Prof. Massimo Morisi.

La scelta di celebrare questa importante ricorrenza qui a Villa Ruspoli, nella sede dove, ormai da alcuni anni, si svolgono le attività didattiche e di formazione e dove gli studenti trascorrono le loro giornate di lezione e di studio, crea un’atmosfera familiare, che mi fa sentire, più che un ospite, un amico del Seminario, invitato a un compleanno speciale. D’altra parte, nel corso di questi cinquanta anni, il legame con le Assemblee elettive è stato sempre molto intenso. Da una parte, molti giovani, formatisi alla Scuola fiorentina di studi parlamentari, hanno superato brillantemente i selettivi concorsi per accedere alle carriere nelle Amministrazioni parlamentari. Dall’altra, i funzionari del Senato e della Camera, attraverso le docenze loro affidate, hanno contribuito ad arricchire le attività didattiche del Seminario, grazie all’apporto della loro esperienza professionale.

Quando il Seminario nacque, nel 1967, la dottrina costituzionalistica e la scienza politica erano indirizzate a sostenere, sul terreno dell’elaborazione dogmatica, la progressiva espansione del ruolo delle Camere e la loro centralità nell’assetto istituzionale. Il Parlamento era concepito quale asse portante di un sistema orientato a valorizzare la rappresentanza e a realizzare un modello quanto più possibile inclusivo, nel quale agivano – come protagonisti indiscussi – partiti fortemente radicati nella società. In quel contesto, la decisione parlamentare – in particolare la deliberazione legislativa – era assunta all’esito di un’ampia, spesso lunga, negoziazione politica, attraverso una complessa transazione tra le parti, alla quale era necessario porre la massima attenzione e che, per questo, richiedeva competenze e sensibilità non comuni.

Per assicurare la formazione di tecnici preparati, in grado di supportare l’attività delle Camere in tutto lo spettro delle sue più diverse articolazioni, dalla legislazione al controllo, il Seminario si caratterizzò per un’attitudine, in quegli anni ancora non così diffusa, alla formazione interdisciplinare, in coerenza con l’indirizzo realista del pensiero di Silvano Tosi, il quale valorizzò l’intima connessione tra il diritto pubblico, la scienza politica, la storia delle istituzioni e dei partiti.

Accanto allo studio del diritto costituzionale e del diritto parlamentare, le attività del Seminario si orientarono, dunque, con la stessa attenzione, anche su altre discipline: la storia, l’economia, la scienza politica, il diritto privato, il diritto europeo, il diritto amministrativo. In questo suo sforzo, Silvano Tosi non fu certamente solo. Proprio qui a Firenze, nella facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri”, condivise questi indirizzi con altri insigni studiosi.

Non posso non ricordare, in questa sede, due straordinarie personalità: Giovanni Spadolini, che fu Presidente del Senato dal 1987 al 1994, e Giovanni Sartori, scomparso il 1° aprile scorso. Dal 1967 ad oggi ci separano cinque decenni, nei quali si sono prodotte trasformazioni di portata epocale, che hanno sconvolto gli assetti politici e sociali che erano stati definiti, a livello nazionale e internazionale, al termine della seconda guerra mondiale.

Anche i Parlamenti hanno certamente risentito di queste profonde mutazioni. In primo luogo, ormai da diversi anni – e non solo in Italia – assistiamo all’erosione del ruolo e delle funzioni del Parlamento sul terreno della produzione legislativa, che tende sempre più a svolgersi al di fuori delle Aule parlamentari. La preoccupazione, avvertita dai Governi, di rispondere con rapidità alle sfide poste dalla società porta inevitabilmente a torsioni, suscettibili di alterare il procedimento parlamentare a vantaggio della celerità della decisione.

In particolare, il ricorso alla decretazione d’urgenza e al voto di fiducia interferisce con il ruolo primario delle Camere quali sedi della discussone, del confronto e della conciliazione tra le diverse istanze. Anche la funzione di mediazione tra cittadini e società civile fatica a trovare una sua armonica espressione all’interno delle Assemblee parlamentari e tende a spostarsi al di fuori dei circuiti ordinari, ripercuotendosi sulla rappresentanza politica e sul rapporto fra cittadini ed eletti.

Nonostante queste riflessioni possano indurre ad una certa preoccupazione sul ruolo delle Assemblee parlamentari in questo scorcio di XXI secolo, tuttavia non poche sono le ragioni che, al contrario, mi spingono, anche per una personale, fortissima fiducia nel metodo democratico e nella capacità della politica di perseguire il bene comune, a intravedere un rinnovato orizzonte di senso nel futuro dei Parlamenti.

Innanzitutto, per quanto riguarda in particolare l’Italia, si può cogliere con estrema attenzione e interesse il dato dell’alta partecipazione al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso. Al di là dell’esito della decisione popolare, colgo – nell’ampia affluenza alle urne – un segno di vitalità che le Istituzioni non possono trascurare. Dopo anni di progressivo calo nella partecipazione alle consultazioni politiche, amministrative o referendarie, il dato di affluenza del 4 dicembre dimostra quanto ancora forte sia l’affezione dei cittadini verso i temi che fondano la comunità politica. Da questo dato, a mio avviso, è possibile ripartire per imprimere un rinnovato slancio alle Istituzioni rappresentative, affinché siano all’altezza delle sfide del futuro. In primo luogo, occorre riqualificare l’attività legislativa, che sta mutando profondamente nei suoi presupposti e nelle sue forme.

Come ho avuto occasione di ricordare in diverse sedi, essa richiede non più solo competenze limitate all’ambito tecnico-giuridico, ma anche conoscenze orientate alla verifica, ex ante ed ex post, della regolamentazione, in coerenza con gli indirizzi assunti da altri Parlamenti nazionali e dal Parlamento europeo. Sempre più occorrono professionalità che aiutino il legislatore a verificare gli effetti delle norme approvate, in termini di efficacia e di efficienza, soprattutto allo scopo di appurare se sia necessario intervenire ulteriormente per apportare modifiche e integrazioni alla legislazione vigente. In questo contesto, valuto con estremo favore il lavoro che svolge l’Ufficio parlamentare di bilancio il quale, per l’alta qualificazione tecnica e l’indipendenza delle sue strutture, è in grado di accrescere la capacità valutativa del Parlamento in un ambito strategico e particolarmente sensibile.

Inoltre, le Commissioni parlamentari, che già dispongono, in base al Regolamento, di strumenti efficaci per svolgere una compiuta e articolata attività di valutazione e controllo, possono ulteriormente implementare strumenti e procedure. Al riguardo, si sono affermate in Senato prassi innovative, volte a favorire un sempre maggiore coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali in settori strategici e di più rilevante impatto sociale.

La Commissione ambiente, ad esempio, ha avviato e concluso una procedura di consultazione pubblica sull’Economia circolare, mentre la Commissione Industria ha seguito un’analoga procedura sul tema del marchio “Italian Quality”, nell’ambito di un’indagine conoscitiva in materia. Si tratta di forme nuove, attraverso le quali le sedi della rappresentanza possono saldare il loro rapporto con i cittadini, contribuendo così a ricomporre le fratture che, soprattutto a causa della crisi dei partiti, si sono create ormai da diversi anni. Il recupero di una dimensione partecipata della politica, presupposto ineludibile per la sua legittimazione, richiede trasparenza e apertura.

A tal fine, anche i nuovi strumenti di comunicazione, compresi i social, che il Senato sta coraggiosamente implementando, richiedono adeguati supporti informatici e tecnologici, come pure elevate professionalità.

Infine, meritevole di particolare attenzione è la proiezione europea dei Parlamenti nazionali. In occasione delle recenti celebrazioni per il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati istitutivi delle Comunità europee, ho avuto modo di ricordare che la legittimazione democratica delle Istituzioni europee impone la responsabilità di armonizzare il livello nazionale e quello europeo, avvicinandoli sempre più e che, in questo percorso, il ruolo dei Parlamenti nazionali appare quanto mai determinante. In tal senso, significativo è il dialogo politico con la Commissione, come pure l’attività di controllo, rimessa alle Assemblee elettive, attraverso la valutazione del rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. In questi ultimi anni, il Senato italiano, in linea con la sua storica vocazione europeista, si è distinto per l’attenzione posta a queste specifiche attività, tra l’altro rafforzando l’interlocuzione con il Governo sui temi dell’Unione, soprattutto in previsione delle riunioni del Consiglio europeo.

Si tratta di campi che hanno bisogno di continuo miglioramento e rappresentano, soprattutto per giovani studiosi come voi, un’occasione preziosa di crescita e di maturazione. Per questo, oggi come nel 1967, la formazione di un’amministrazione parlamentare colta e qualificata è un obiettivo di assoluto rilievo. Non è solo un’esigenza di funzionalità dell’Istituzione, ma è anche – se non soprattutto – un valore che attiene alla compiuta attuazione della democrazia. In questo senso, il Seminario Tosi costituisce un punto di riferimento importante, per la sua forte vocazione interdisciplinare e per l’attenzione posta ai temi di più stringente attualità, sui quali, sotto la guida di illustri docenti, sono compiuti approfondimenti sempre qualificati e innovativi.

Ricordo le ricerche svolte dagli Alunni del Seminario nel 2015 e nel 2016, entrambe concentrate sui temi dell’innovazione istituzionale, la prima dedicata al ruolo delle Camere alte in alcuni ordinamenti europei, la seconda concentrata sulla valutazione delle politiche pubbliche e realizzata, anche in questo caso, in una prospettiva comparata. Anche quest’anno, la scelta di concentrare la ricerca sui modelli elettorali, attraverso un’analisi dell’evoluzione dei sistemi di elezione in Italia e, secondo il metodo della comparazione, nel Regno Unito, in Francia, in Germania e in Spagna, appare pienamente coerente con l’attualità politica e istituzionale. Esprimo, quindi, a Voi e ai Vostri docenti, il mio più sentito apprezzamento. Sono certo che il lavoro sarà – come sempre – di assoluta qualità e offrirà un contributo utile, proprio in un momento nel quale le forze politiche sono chiamate a confrontarsi sulle decisioni da assumere per dotare il Paese di una legge elettorale compiuta per entrambi i rami del Parlamento.

Si tratta di un obiettivo essenziale, da perseguire con la massima determinazione, come ha ricordato pochi giorni fa il Presidente della Repubblica.   Concludo, carissime ragazzi e carissimi ragazzi, con un’ultima riflessione su un aspetto che considero fondamentale per la professione alla quale aspirate: la terzietà, valore che accomuna le diverse generazioni di funzionari parlamentari e che ha contribuito, in misura decisiva, a garantirne il prestigio e l’autorevolezza. Desidero ribadire quello che già ebbi modo di affermare l’anno scorso: da Presidente del Senato, nella mia funzione di “arbitro parlamentare”, ho sperimentato direttamente quanto sia decisiva la funzione dei consiglieri parlamentari, quanto la loro professionalità, la competenza acquisita negli studi e arricchita dall’esperienza e, soprattutto, l’imparzialità nell’esercizio delle funzioni costituiscano un supporto imprescindibile di cui dispongono i rappresentanti della Nazione nell’assolvimento del loro mandato.

Nel vigilare sulla regolarità dei complessi procedimenti che conducono alla decisione politica, gli apparati amministrativi delle Camere concorrono, in misura decisiva, a presidiare gli istituti e le forme della democrazia. Per funzionare bene, dunque, i Parlamenti del XXI secolo – come in passato – richiedono conoscenza, capacità di analisi e di ricerca, strutture efficienti e qualificate; hanno bisogno di personale competente e ben formato. Vi incoraggio, quindi, a proseguire nell’approfondimento e nella ricerca, perché il Parlamento – oggi come cinquanta anni fa – ha bisogno di giovani come Voi, studiosi appassionati del diritto costituzionale e parlamentare. Ha bisogno delle Vostre competenze, ha bisogno del Vostro entusiasmo.

Grazie.