la Giunta è definita un organo paragiurisdizionale, ma i dibattiti e i voti che vi si fanno non lo sono mai: sono sempre e solo guidati dalla convenienza politica. Chiedo quindi scusa a quest’Assemblea se sembrerà che vada fuori tema, ma parlerò esclusivamente di questioni giuridiche, perché la decisione di oggi costituirà un importante precedente ed è quindi delicata.
Ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 140 del 2003, per sequestrare la corrispondenza o per intercettare l’utenza di un parlamentare ci vuole l’autorizzazione preventiva. Per le intercettazioni indirette o casuali, invece, se una delle parti chiede l’utilizzazione, sarà il giudice delle indagini preliminari a richiederne l’autorizzazione successiva ai sensi dell’articolo 6 della stessa legge.
Entrando nel merito, chiariamo subito che il provvedimento di sequestro non è stato eseguito nei confronti del senatore Renzi, ma di un terzo non parlamentare. I messaggi di cui ci occupiamo non rientrano nella nozione di corrispondenza, che implica attività dinamiche di spedizione e di ricezione, né costituiscono attività di intercettazione, la quale richiede la captazione di un flusso di comunicazioni in corso, ma hanno la natura di documenti, un tertium genus non previsto dalla legge costituzionale n. 140 del 2003. Ciò è confortato dalla consolidata giurisprudenza della Cassazione che, con numerosissime sentenze – la più recente addirittura del 2021 – chiarisce che, sms, WhatsApp, posta elettronica scaricata o conservata nella memoria, rinvenuti in un cellulare sottoposto a sequestro hanno natura di documenti, con la conseguenza che la relativa acquisizione non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza né tantomeno alla disciplina delle intercettazioni.
Inoltre, con la sentenza n. 390 del 2007 la Corte costituzionale ha chiarito che l’espressione dell’articolo 68, comma 3, della Costituzione, «intercettazioni, in qualsiasi forma» si riferisce alle diverse modalità di intercettazione, in qualsiasi forma, ad esempio distinguendo le telefoniche dalle ambientali, ma non a forme di comunicazione diverse. Dunque, ci troviamo di fronte a un caso particolare, ossia al caso di un sequestro di documentazione presso terzi, che, a tutela delle prerogative parlamentari, io ritengo debba essere equiparato alla disciplina delle intercettazioni indirette, ma che l’attuale legge non prevede. La relazione considera l’acquisizione dei messaggi come sequestro di corrispondenza e conclude che occorre in ogni caso l’autorizzazione preventiva, a prescindere dalla circostanza dell’utilizzo o meno di tali prove nei confronti del parlamentare e a prescindere dal fatto che il sequestro avvenga presso terzi.
Vorrei che l’Aula comprendesse l’abnormità di tale pretesa. Proprio per l’imprevedibilità, ex ante, dell’esistenza del dato riferibile al parlamentare, l’autorità giudiziaria non potrebbe, neanche volendo, munirsi preventivamente dell’autorizzazione della Camera di appartenenza. Inoltre, i documenti, pur legittimamente sequestrati a un terzo, per la mancanza di autorizzazione preventiva risulterebbero inutilizzabili anche nei confronti del terzo, estendendo, quindi, di fatto le prerogative parlamentari anche ai non parlamentari. Così argomentando, basterebbe che in un telefono sequestrato a un mafioso vi fosse un messaggio inviato a un parlamentare per determinarne la inutilizzabilità anche nei confronti del mafioso.
Assolutamente diverso il caso Siri, erroneamente indicato come valido precedente, perché si trattava di un atto di investigazione diretto nei confronti di un senatore, in quanto diretto nei confronti di un suo collaboratore, in un ufficio proprio del senatore.
Per quanto riguarda il cosiddetto estratto conto, ritenuto nella relazione anch’esso corrispondenza da sottoporre all’autorizzazione preventiva, va precisato che non si parla di quello inviato solitamente al titolare del conto, ma di un documento acquisito legittimamente dalla magistratura, tramite richiesta alla banca, a seguito di una segnalazione di operazione sospetta, come tale prevista dalla legge. Quindi, non può essere oggetto di conflitto di attribuzione, ma, semmai, di una valutazione circa la riservatezza e il rispetto del segreto istruttorio.
Senza che questo stupisca, su alcuni aspetti penso che il senatore Renzi abbia ragione. Io mi sono chiesto come mi sarei comportato da procuratore. Io avrei forse ritenuto opportuno investire della questione sollevata dal senatore Renzi il giudice per le indagini preliminari, che, nella sua terzietà, avrebbe garantito il corretto svolgimento delle indagini e avrei rispettato le sue decisioni. Su tali questioni, fra l’altro, deve ancora pronunciarsi il giudice per l’udienza preliminare. Allo stesso tempo, però, credo che sia errato trascinare il Senato in un conflitto di attribuzioni che non ha ragione di essere. Io mi sforzo di credere che il senatore Renzi abbia affrontato questa battaglia, non per difendere se stesso dal processo, come ha detto, ma per difendere le prerogative del Senato e di tutti i parlamentari.
Per questo, ritengo che non ci siano i presupposti per sollevare un conflitto di attribuzione, come prevede la relazione, ma che sia invece urgente intervenire integrando la disciplina della legge n. 140 del 2003 a tutela di tutti i componenti del Parlamento. Infatti, non ci può essere materia di conflitto tra poteri, perché il pubblico ministero non può aver abusato di una norma che non c’è.
Allo stesso modo, il Senato non può pretendere un’autorizzazione preventiva non prevista dalla legge per un sequestro effettuato non nei confronti del parlamentare, ma presso terzi, e nemmeno un’applicazione analogica della disciplina delle intercettazioni indirette nel caso di un sequestro di documento presso terzi. Infatti, le norme che sanciscono immunità e prerogative parlamentari in deroga al principio di parità di trattamento dinanzi alla giurisdizione debbono essere interpretate nel senso più aderente al testo. Si dovrebbe quindi assimilare per legge ciò che transita dai nostri smartphone (sms, messaggi WhatsApp e di posta elettronica in memoria) alla disciplina già prevista per le intercettazioni indirette, prevedendo quindi per tutti i parlamentari la necessaria richiesta di autorizzazione all’utilizzo anche dei documenti. Questa innovazione legislativa non solo colmerebbe un vuoto, ma, per il principio del favor rei, si applicherebbe allo stesso senatore Renzi già nel procedimento in corso. Se invece si vuole reintrodurre una nuova e più ampia forma di immunità o la vecchia autorizzazione a procedere abrogata nel 1993, discutiamone apertamente. Ci si metta la faccia con una proposta di legge: io sarò contrario, ma, come spesso accade, potrei essere in minoranza.
In conclusione, si ritiene che non esista la materia per sollevare nella specie un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto va individuato nel giudice mai investito della questione l’organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere dell’autorità giudiziaria, come previsto dall’articolo 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Inoltre, non si individua l’atto lesivo della funzione parlamentare se non nell’omissione della richiesta di autorizzazione a un sequestro eseguito nei confronti di un soggetto non parlamentare. Infine, come abbiamo visto, manca la norma che si assume violata nell’esercizio del potere.
Per questi motivi, annuncio il voto contrario della componente Liberi e Uguali-Ecosolidali del Gruppo Misto alla relazione proposta.
Discussione generale sul decreto immigrazione e sicurezza, del 18 dicembre 2020
Presidente, colleghi,
finalmente stiamo per realizzare – almeno in parte – uno degli obiettivi che questa maggioranza si era posta quando ha dato vita al Governo Conte bis. Come noto, è stato uno dei motivi per cui Liberi e Uguali ha accettato di entrare in questa maggioranza e sostenere questo Governo.
Con il provvedimento in discussione poniamo finalmente rimedio ai gravi errori che l’Italia ha commesso con i decreti insicurezza e la pretesa di farsi scudo in l’Europa non con la forza delle argomentazioni e della politica ma sulle spalle dei naufraghi, “sospendendo” la cultura giuridica del nostro Paese, ripudiando la sua storia, rinnegando la sua umanità.
Il Presidente della Repubblica fece delle osservazioni su quei decreti che inviò con una ben nota lettera al Governo e al Parlamento, soprattutto in relazione agli obblighi internazionali che il nostro Paese deve sempre onorare: è un bene che con questo provvedimento si ricuciano imperdonabili ferite nel tessuto morale e civile della nostra comnunità.
Nessuno si illuda di risolvere con un decreto il complesso tema della immigrazione. Non lo facevano i Decreti Salvini, non lo fa questo Decreto, per certi aspetti fin troppo timido.
Serve un lavoro paziente e bisogna a mio avviso concentrare i propri sforzi su alcuni temi essenziali: il primo è la revisione del Regolamento di Dublino, di cui tutti conosciamo l’importanza; il secondo riguarda il memorandum con la Libia, una vergogna che non posso omettere di ricordare e che penso vada cancellata; il terzo la ripresa e l’aggiornamento costante dei Decreti Flussi; il quarto il superamento definitivo dell’impostazione della Legge Bossi Fini; il quinto, non meno importante, una nuova e più moderna legge sulla cittadinanza.
Con questo testo facciamo passi in avanti importantissimi, che hanno richiesto un difficile lavoro di sintesi e i cui esiti non erano per nulla scontati. Bene, ma non posso non segnalare almeno un punto sul quale avrei voluto una maggioranza più coraggiosa, più determinata.
In questi lunghi e difficili mesi, le Organizzazioni Non Governative hanno coraggiosamente supplito alla drammatica inazione delle Istituzioni nazionali e comunitarie. Uomini e donne che hanno messo le loro energie e finanche il loro corpo a disposizione di un principio che è alla base della nostra cultura giuridica e della nostra società: quello dell’umanità. Le vite vanno salvate, sempre, tutte. Con il loro lavoro le ONG hanno strappato da morte certa molte persone e sofferto per ciascuna di quelle che gli è scivolata dalle mani. Ricordo a noi tutti le parole di Gaspare Giarratano, armatore di Sciacca che ha avuto problemi seri per aver salvato naufraghi con il suo peschereccio ma che mai si è pentito di averlo fatto: “Mi chiedo se uno dei nostri politici abbia mai sentito delle grida d’aiuto nel buio”.
Anch’io sono stato a Lampedusa. Ho assistito, da Presidente del Senato, allo sbarco di 125 migranti sul molo Favaloro e vi sfido a guardare negli occhi donne, uomini e bambini tremanti che hanno subito violenze indicibili e visto i propri cari morire. Vi sfido a chiamarli invasori. Ho visto anche, dopo l’offerta di un tè caldo da parte di volontari, quello sguardo di paura trasformarsi in una luce di riconoscenza e di speranza, speranza di sopravvivenza.
Per questo ritengo che il punto non sia rimodulare le cifre delle multe previste; si tratta di onorare chi salva vite umane e tornare ai principi e allo spirito della Costituzione, e affermare nuovamente i valori fondamentali della nostra comunità.
Grazie.
Intervista di Alessandro Di Matteo per La Stampa del 17 settembre 2020
Il no al referendum è «sincero e convinto», esattamente come il «sostegno al governo Conte». L’ex presidente del Senato Pietro Grasso va subito al punto, quando inizia a spiegare perché voterà contro il taglio dei parlamentari, perché sa che questo è uno degli aspetti più delicati della vicenda: opporsi alla riforma fortemente voluta da M5s, insiste, non significa sabotare il governo e la maggioranza. Il punto è che non si modifica la Costituzione solo per «dire che abbiamo combattuto la “casta”.
Presidente, perché lei è contrario alla riduzione dei parlamentari?
Io non sono contrario al taglio dei parlamentari in via di principio, ma questa misura da sola non basta, anzi: non fa che aggravare i problemi. La Costituzione ha un sistema di pesi e contrappesi, non si può pensare solo al costo della politica. Questo taglio risponde solo a pulsioni anti-parlamentari e l’antipolitica a me non è mai piaciuta. Io voglio migliorare la politica e le istituzioni, non credo nella democrazia diretta. Del resto, ricordiamo che questa riforma è stata pretesa dai 5 stelle nell’accordo di governo e il resto della maggioranza ha detto sì a condizione che si intervenisse anche sulla legge elettorale, sui regolamenti delle Camere, sull’elettorato del Senato, sul meccanismo di elezione del presidente della Repubblica. Un accordo che non è stato rispettato…
Zingaretti dice che ora qualcosa si muove: è stato votato il testo base della legge elettorale, c’è stato un primo sì alla legge Fornaro sul Senato. Non si fida?
La sola legge elettorale non è risolutiva. Io ho l’esperienza da presidente del Senato per 5 anni, ricordo con quanta difficoltà per tutta la legislatura passata ho faticato per cambiare il regolamento del Senato. Penso ci voglia molto ottimismo per pensare che dopo il referendum si potranno apportare i correttivi necessari. E sarebbe necessaria anche una modifica del meccanismo di elezione del presidente della Repubblica, perché con questo taglio le regioni finirebbero per avere un ruolo predominante nella scelta del capo dello Stato. Il taglio incide sulla rappresentanza, le segreterie avranno indubbiamente più potere nello scegliere i candidati, aumenteranno i “nominati”, sarà difficile assicurare la parità di genere… Infine, forse è ora di pensare alla revisione del bicameralismo perfetto: ripensare le competenze e le funzioni del Senato, senza mettere in discussione l’elezione diretta dei senatori. Tutto questo dovrebbe precedere il taglio, non si può dire che questa riforma è un inizio. Io non me la sento di firmare una cambiale in bianco.
Ma come si stabilisce il numero “giusto” di parlamentari?
Il problema è cosa fanno i parlamentari, è il quadro istituzionale che va considerato. Bisogna invertire il metodo: come posso far funzionare meglio il Parlamento e quanti parlamentari mi servono in base all’assetto istituzionale che scelgo? Non modifico la Costituzione solo per dire che ho diminuito i parlamentari e sono andato contro la “casta”.
Bersani vede il rischio del “no insincero”, cioè di un no dettato dalla tentazione di mettere far cadere il governo. Ovviamente non è il suo caso, ma non crede che l’esecutivo rischierebbe con la vittoria del no?
E’ chiaro che non è il mio caso, e mi sembra che nel 2016 eravamo meno schizzinosi coi no. E non credo nemmeno che la vittoria del no metta in discussione l’equilibrio del governo. Peraltro devo dire che non mi pare si possa ipotizzare un diverso governo o una tornata elettorale. Per me rimarrà tutto stabile. Diverso sarà per il risultato delle regionali in Puglia e Toscana…
Il governo non reggerebbe ad una sconfitta in queste regioni?
Beh, certamente porterebbe a fibrillazioni rilevanti, spero non accada. Ma per me il referendum non sposta nulla, da un punto di vista politico.
M5s non farebbe cadere il governo?
Assolutamente no.
Il 20 e il 21 settembre siamo chiamati a esprimerci sulla modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, ossia sulla riforma del taglio dei parlamentari.
Voterò no e per spigarvi il perché faccio un passo indietro.
Quando si è discusso e votato in Senato il taglio dei parlamentari ho votato no sia alla prima che alla terza lettura. Pur non essendo in linea di principio contrario a una riduzione del numero dei parlamentari penso che questa misura da sola non basti. Anzi, che da sola non faccia che aggravare i problemi di funzionalità del Parlamento (che è fatto soprattutto di Commissioni, Bicamerali e Giunte, oltre che dell’Assemblea) e che incidanegativamente sulla reale rappresentanza dei cittadini.
Quando un anno fa è nata l’attuale maggioranza, l’impegno condiviso era di lavorare, sin da subito, anche alla legge elettorale, ai regolamenti parlamentari, a norme che equiparassero l’elettorato di Camera e Senato: tutte cose rimaste sulla carta e che solo ora sono tornate precipitosamente al centro del dibattito, ma senza alcuna speranza di essere approvate: non sarà certo una lettura in Commissione a tranquillizzarmi quando si incide sulla Costituzione.
Non essendo cambiato nulla in questo anno, non cambia nemmeno il mio giudizio sul taglio: era e resta un no convinto.
Per queste ragioni ho sottoscritto l’appello di Rosy Bindi che ha invita a votare no per difendere i principi della democrazia parlamentare, i valori della rappresentanza popolare e il libero confronto fra tutte le forze politiche. In pochi giorni le nostre voci si sono unite a quelle di tanti altri: esponenti del mondo politico, dell’associazionismo e del volontariato, dell’ecologismo, dell’antimafia, del mondo accademico, amministratori locali, dirigenti sindacali. “Noi per il no” possiamo diventare tantissimi e fare la differenza.
Leggete, firmate e condividetenoiperilno.it
Il seggio della Campania spetta a De Cristofaro, ma la Giunta del Senato approva il ricorso del patron della Lazio adottando una norma ad personam. Il commento su Il Fatto Quotidiano del 7 agosto 2020
Durante la dichiarazione di voto sulla “Open Arms” ho voluto ricordare che le scelte degli organi di garanzia, tanto più se parlamentari, dovrebbero basarsi su considerazioni esclusivamente giuridiche. Interpreto così il mio ruolo nella Giunta del Senato. Il mio accenno in Aula alla possibilità che si intervenisse per consegnare un seggio a Lotito poteva apparire criptico, ma aveva lo scopo di fotografare con anticipo la situazione che poi la Giunta ha sancito. Martedì infatti, durante una seduta notturna, la Giunta a maggioranza ha votato per far diventare senatore Lotito al posto del senatore Carbone. Ambedue candidati di Forza Italia, anche se Carbone è transitato recentemente in Italia Viva, con perfetto tempismo. Deciderà l’Aula, ma è bene che questa scelta avvenga nella consapevolezza dell’opinione pubblica, che di questa storia poco conosce.
I termini della questione sono semplici. Già l’Ufficio elettorale regionale aveva corretto i dati di 72 sezioni selezionando, con una motivazione arbitraria, i “verbali in cui è risultato molto basso il risultato della lista Movimento Forza Italia”. La Giunta in ben oltre due anni di verifiche sulle circa 5 mila sezioni della Campania, ha notato anomalie e difformità in ben 457 sezioni, che ha poi controllato con scrupolo. Addirittura ha rilevato che le schede di alcune sezioni sono state erroneamente distrutte, ma per fortuna sono ancora consultabili le relative tabelle e i verbali di scrutinio. Ha quindi rettificato i dati anche procedendo al riconteggio di oltre 2.600 schede. La Giunta ha doverosamente ricontrollato tutto accertando inequivocabilmente che i dati di proclamazione non sono corretti. La prima relazione sulla Regione Campania, presentata dal senatore Malan – di Forza Italia – sancisce proprio questo, e prevede la giusta conseguenza del nuovo calcolo. Sembrerebbe pacifico procedere alla rettifica dei dati e quindi ripristinare la corretta rappresentazione del voto. Il fatto è che né il senatore Carbone né Lotito sono gli assegnatari del seggio: con i dati rettificati spetta a De Cristofaro di Liberi e Uguali.
La legge elettorale – che non ho condiviso nel merito e nel metodo di approvazione – definisce precisamente i meccanismi di assegnazione dei seggi. Non ci sono possibilità di interpretazioni à la carte. Può non piacere, ma è legge.
E qui entrano in gioco gli interessi di parte e i trasversalismi che niente hanno a che fare con la Politica: il centrodestra – che dopo il passaggio di alcuni senatori Cinque stelle alla Lega ha la maggioranza in Giunta – affossa la relazione del proprio senatore Malan, al quale va riconosciuta la correttezza di aver sostenuto che il seggio di Forza Italia va attribuito a LeU, individua un nuovo relatore (sempre di FI, il sen. Paroli), e approva l’accoglimento del ricorso Lotito. Un ricorso che disegna una modalità di calcolo estranea alla legge, anche se corredata di pareri autorevoli. Per accettare quelle motivazioni dovrebbe esserci una norma che non c’è.
Quello che cozza con la legge e con il buon senso è che tutta Italia utilizzi un metodo e che per Lotito se ne usi un altro. Come se al Rosatellum si affiancasse una “norma Lotito” valida solo in Campania e non ad esempio in Puglia, visto che la Giunta dieci giorni fa ha votato esattamente l’opposto proponendo la sostituzione della senatrice Minuto con il ricorrente Boccardi. Se si applicasse la norma Lotito a tutte le regioni si dovrebbe ridisegnare la composizione del Senato!
Spero in un sussulto di dignità del Senato e quindi nel riconoscimento dei dati frutto del lavoro di attenta verifica svolto, nel ripristino della legalità e nel rispetto del voto popolare. Lavorerò per dare all’Aula questa possibilità. Torniamo alla relazione Malan, rispettiamo il voto degli elettori!
[su_accordion][su_spoiler title=”DISCUSSIONE GENERALE” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]
Signor Presidente, colleghi, è la terza volta in meno di due anni che il Senato è chiamato a valutare un’autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Salvini. Ci fu il caso Diciotti, poi quello della nave Gregoretti e ora l’Assemblea esamina gli eventi che coinvolsero la Open Arms nell’agosto dello scorso anno. I reati che gli sono stati contestati dalla procura della Repubblica sono il sequestro di persona plurimo, aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, anche in danno di minori, nonché il delitto di rifiuto di atti d’ufficio.
Ancora una volta – è bene ricordarlo – non dobbiamo discutere delle eventuali responsabilità penali dell’allora Ministro dell’interno, ma solamente se le sue azioni sono riconducibili a una delle esimenti previste dalla legge costituzionale n. 1 del 1989. Il Senato deve dunque decidere se Salvini agì per tutelare un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per perseguire un preminente interesse pubblico.
Abbiamo ascoltato la relazione del presidente Gasparri, sulla quale esprimemmo in Giunta un voto contrario, e altri hanno già ricostruito nei dettagli la catena di eventi che si sono succeduti tra il 1° e il 20 agosto. Per questa ragione mi concentrerò soltanto su quegli elementi cruciali che, a mio giudizio, qualificano in maniera chiara le azioni dell’ex – per sua scelta – Ministro dell’interno, ai fini del giudizio cui il Senato è chiamato.
In primo luogo, è opportuna una riflessione sul divieto di ingresso imposto alla Open Arms con decreto interministeriale dei Ministri dell’interno, della difesa e dei trasporti. Tale provvedimento, che si basa sul decreto sicurezza – bis, teorizzava un’ipotesi di passaggio non inoffensivo della Open Arms e faceva riferimento a un generico pericolo di natura terroristica per il nostro Paese. I legali della ONG spagnola presentarono un ricorso urgente al TAR, che venne accolto il 14 agosto e che sospese in via cautelare gli effetti del provvedimento interministeriale. In alcun modo risulta – così come sostenuto dall’allora ministro Salvini – che il TAR abbia accolto parzialmente il ricorso della Open Arms. Nella motivazione, invece, si rigetta l’ipotesi di passaggio non inoffensivo che era stata posta alla base del decreto interministeriale e si prospetta una situazione di eccezionale gravità e urgenza a bordo della Open Arms, che da sola giustificava l’ingresso della stessa nelle acque territoriali del Paese.
Qualora sorgessero dubbi interpretativi, giova ricordare che, a seguito della sentenza del TAR, la proposta del Ministro dell’interno di disporre un secondo provvedimento non ricevette il supporto indispensabile degli altri Ministri. Da ciò si può facilmente dedurre come, non essendoci accordo tra i Ministri competenti, non si può certamente qualificare come atto di Governo la successiva attività del ministro Salvini che operava in relazione alle proprie attribuzioni di Ministro dell’interno.
Dal momento in cui viene quindi sospeso il divieto di ingresso imposto alla Open Arms il 14 agosto e la nave fa il proprio ingresso nelle nostre acque territoriali, è inconfutabile che l’Italia abbia l’obbligo del rilascio del POS, dell’indicazione del posto sicuro dove attraccare. È un atto dovuto di cui è esclusivo responsabile il Ministro dell’interno.
È bene ricordare che fu proprio il Ministro dell’interno che, nel tavolo tecnico di coordinamento del contrasto all’immigrazione illegale via mare, il 12 febbraio 2019 stabilì di togliere la competenza al capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione e affidarla – guarda caso – al capo di gabinetto del Ministro, alle dirette dipendenze dello stesso Salvini. L’intenzione era chiara: usare l’indicazione del POS come strumento politico, cosa chiaramente in contrasto con la normativa internazionale, che invece lo qualifica come l’atto conclusivo dovuto di ogni operazione di salvataggio in mare. Anche per tale considerazione non è assolutamente condivisibile la posizione sostenuta da Salvini e da Gasparri, che ritengono invece la responsabilità collegiale del Governo per giustificare il preminente interesse pubblico. A tal proposito, è utile ripercorrere brevemente il carteggio intercorso in quei giorni tra il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’interno.
Il 14 agosto, il presidente Conte, avendo ricevuto informazioni che confermavano la presenza a bordo di alcune decine di minori in condizioni di emergenza e in pericolo di vita, invitava il Ministro dell’interno ad adottare con urgenza i provvedimenti necessari per assicurare la loro assistenza e tutela, così come previsto dalle norme internazionali cui l’Italia si uniformava e si uniforma. Si badi bene, questa è un’attività indipendente dall’indicazione del POS per gli altri naufraghi.
Il giorno seguente il ministro Salvini osservava sostanzialmente che si trattava di presunti minori non accompagnati e, inoltre, che, non essendo presenti sul territorio nazionale, poiché la nave non era al momento della nota del 14 agosto in acque territoriali, la competenza a tutelarli spettava semmai alla Spagna, come Stato di bandiera della Open Arms.
Il giorno seguente il presidente Conte inviava a Salvini un’altra nota in cui si discostava fortemente dalle considerazioni sulla presunzione di affidamento di minori ad altri migranti presenti sulla nave e in cui dimostrava la contrarietà alle tesi del ministro Salvini. Nella stessa nota il Premier sottolineava come fosse indifferibile l’incombente giuridico, oltre che umanitario, dell’autorizzazione allo sbarco immediato dei minori indipendentemente dalla redistribuzione verso altri Stati europei. Peraltro, il presidente Conte evidenziava come, comunque, Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo, Romania e Spagna si erano già dimostrati disponibili a condividere l’ospitalità di tutte le persone a bordo. Quindi, indirettamente, il presidente Conte sottolineava come si fossero anche verificate quelle nuove condizioni per il rilascio del POS concordate in occasione del tavolo tecnico sul contrasto all’immigrazione illegale e che hanno comportato modifiche alla direttiva SOP 009/15, nel senso che il POS potesse essere rilasciato solo dopo l’attivazione delle trattative per la distribuzione dei migranti tra i Paesi europei. In altre parole, visto che c’era la disponibilità dei Paesi europei non vi era più ragione di impedire lo sbarco.
Solo il 17 agosto Salvini cedeva e faceva sbarcare “suo malgrado” i minori, manifestando chiaramente, per iscritto, al Presidente del Consiglio dei ministri di non condividere le motivazioni e le responsabilità dello sbarco. Nelle comunicazioni intercorse tra i due emerge con chiarezza come il Presidente del Consiglio dei ministri sia intervenuto senza alcuna sostituzione del Ministro e per riparare all’evidente inadempienza del suo Ministro dell’interno. Quindi, nessuna collegialità, ma l’azione solitaria del Ministro che ha trasformato un atto dovuto (come lo sbarco dei minori), previsto dalle convenzioni internazionali, in uno strumento – anche questo – di contrasto all’immigrazione, per di più subordinato alla redistribuzione a livello europeo.
Da ultimo, è opportuno riflettere sulla posizione del comandante della Open Arms. Come noto, il comandante di una nave ha precisi doveri e responsabilità, come previsto dall’articolo 295 del codice della navigazione, tra i quali riveste particolare importanza la tutela dell’ordine e della sicurezza a bordo. In quei giorni l’Open Arms arrivò a ospitare più di 160 persone a bordo, tra equipaggio e naufraghi, e in condizioni meteorologiche difficili. La tensione a bordo era altissima e si temeva addirittura una rivolta. In diverse occasioni cinque naufraghi tentarono addirittura di raggiungere la costa a nuoto, mettendo a repentaglio la loro vita. È in questo difficile contesto che il comandante matura la convinzione di non poter garantire la sicurezza a bordo qualora i naufraghi salvati nel terzo evento SAR fossero stati sbarcati in via preferenziale a Malta. Difficile, infatti, immaginare che gli altri che stavano da più giorni in balia delle onde avrebbero compreso la differenza di trattamento, anche in considerazione della paura di essere rimpatriati nei centri di detenzione libici e magari fatti oggetto di armi da fuoco.
Lo stesso vale per la proposta, rifiutata, di proseguire la navigazione fino alla Spagna. L’Open Arms non era affatto attrezzata per proseguire in sicurezza il viaggio e le persone a bordo erano ormai stremate. Come ha ben argomentato la terza sezione penale della Corte suprema di cassazione nella sentenza del 16 gennaio 2020, n. 6626, infatti, l’obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo firmata ad Amburgo non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro, nel cosiddetto place of safety (POS).
Per tutte queste ragioni credo che questa Assemblea non debba confermare l’orientamento della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e consentire alla magistratura di procedere contro il ministro Salvini.
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[su_spoiler title=”DICHIARAZIONE DI VOTO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]
Signor Presidente, colleghi, siamo di nuovo qui, per la terza volta, a decidere se autorizzare o no il processo nei confronti di Matteo Salvini per una questione relativa al sequestro di uomini, donne e bambini a bordo di una nave.
Si tratta di fatti risalenti a un anno fa, quando il senatore era Ministro della Repubblica, incombenza dalla quale ha autonomamente deciso di sollevare se stesso, con sollievo di noi tutti e del Paese, in quegli stessi giorni di agosto. Possiamo dire che il caso Open Arms è il canto del cigno di un’esperienza ministeriale e di un certo modo di fare politica.
Anch’io credo nelle mie idee e anch’io, come il mancato ministro Salvini, andrò fino in fondo. Essendo la terza volta, come ricordato poc’anzi, ed essendo già intervenuto sia in quest’Aula, sia in Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, su questo caso e su quelli simili delle navi Diciotti e Gregoretti, sintetizzerò al massimo le questioni tecniche e giuridiche della vicenda che ciascuno di noi a questo punto conosce a menadito.
È ormai chiaro a tutti il quadro normativo, nazionale e internazionale, di riferimento: l’obbligo di salvare la vita umana di chi si trovi in situazione di pericolo in mare prevale su ogni altra norma nazionale o accordo finalizzato al contrasto dell’immigrazione. Prevale, oltre che per una normale e ragionevole regola di civiltà, perché è un principio che, nella gerarchia delle fonti, ha un rango primario e dunque superiore.
Chi difende Salvini parla di un’azione collegiale del Governo e di un preminente interesse pubblico. Come ho spiegato in Giunta e in discussione generale, non ci fu alcuna collegialità, ma l’azione solitaria del Ministro – lo ribadisco – che ha trasformato un atto dovuto, previsto dalle Convenzioni internazionali, in uno strumento di contrasto all’immigrazione.
Mi dispiace che proprio in questo momento il senatore Gasparri abbia abbandonato l’Aula con il suo telefonino, perché vorrei ricordargli che probabilmente non ha seguito con attenzione il mio intervento, visto che cosa diversa è l’assistenza dei minori non accompagnati, verso i quali vi è il dovere di assistenza, indipendentemente da qualsiasi POS e indicazione di posto di sbarco; diversa quindi è la situazione degli altri naufraghi.
Se quindi un intervento del presidente Conte c’è stato, è stato per ripristinare la legalità nazionale e internazionale, rispetto ad un’azione che era contro i minori e contro il diritto internazionale. Non è quindi certamente un atto del Governo. Ciascuna azione di un Ministro deve però sempre e comunque svolgersi all’interno di una cornice di legalità costituzionale e internazionale, in modo che non si incorra nel pericolo che, in forza di una presunta ragion di Stato, vengano lesi diritti inviolabili dell’uomo, che pertanto sono ineludibili.
Mi dispiace ripetermi, ma voglio anche oggi sottolineare che autorizzare il processo nei confronti del senatore Salvini è di estrema e delicata importanza. Dobbiamo infatti ribadire con forza il principio, negato da quest’Assemblea sulla vicenda Diciotti, per cui ciascuno è chiamato a rispondere alla legge quando decide deliberatamente di ignorarla, soprattutto per fini politici e di propaganda.
Tale convincimento – lo dico anche pro futuro – non è in alcun modo frutto di pregiudizio ideologico, come qualcuno ha affermato, nei confronti della persona. Al contrario, ciò che sostengo oggi e che ho sostenuto nelle precedenti occasioni, lo sosterrò con la stessa forza in futuro, se mai dovessimo trovarci a prendere la stessa decisione su chi ricopre o ricoprirà la carica di Ministro dell’interno, perché le mie scelte si basano su considerazioni esclusivamente giuridiche e dovrebbe essere così anche per la Giunta, che è un organo di garanzia. Abbiamo invece visto che non è così: lo dimostrano i diversi risultati sulle tre autorizzazioni a procedere nei confronti di Salvini; lo dimostra la decisione incostituzionale sul seggio siciliano assegnato in Umbria; esiste però un caso, quello dei seggi della Campania, che fotografa l’inaccettabile atteggiamento che, senza distinzioni tra maggioranza e minoranza, attraversa la politica di questo periodo.
La legge elettorale, che non ho condiviso nel merito e nel metodo di approvazione, definisce precisamente i meccanismi di assegnazione dei seggi. Il primo relatore di Forza Italia, senatore Malan, ha giustamente riconosciuto che il seggio spetta a Liberi e Uguali. Con una forzatura interpretativa della legge elettorale e della Costituzione, invece, si cerca da mesi, per ignote ragioni, di attribuire il seggio al ricorrente Lotito o magari confermare chi può vantare l’ultimo cambio di schieramento.
Tornando alla Open Arms, è necessario fare alcune considerazioni: la prima riguarda i decreti Salvini, che sarebbe azzardato definire ancora decreti sicurezza, come vorrebbe il suo estensore. È evidente – e in quest’Aula l’ho già ribadito – che quelle norme sono esclusivamente propagandistiche e non hanno centrato l’obiettivo che si ponevano, ovvero sollevare l’ex ministro Salvini dalle conseguenze delle sue decisioni. Nel frattempo, la Corte costituzionale, una sentenza alla volta, li sta smantellando, sopperendo all’inerzia dell’attuale maggioranza. Invito i colleghi senatori che sostengono questo Governo a liberare da tale incombenza la suprema Corte e di procedere, senza ulteriore ritardo, alla cancellazione delle norme previste in tema d’immigrazione, se non per convinzione etica e giuridica, perché sono evidentemente dannose per una corretta gestione del fenomeno migratorio e non solo nell’ottica dell’integrazione, ma anche in quella della sicurezza.
Mi rivolgo ai colleghi del MoVimento 5 Stelle: so bene che avete votato a favore di entrambi i decreti, ma è tempo di prendere atto dell’errore commesso e avviare un ravvedimento operoso che ripristini un impianto normativo degno di una democrazia compiuta, quale siamo. Lo dico anche ai colleghi del Partito Democratico, la cui linea sul tema comprende un ventaglio di posizioni fin troppo ampio. Lo dico ai colleghi di Italia Viva: al di là di quello che pensano gli intellettuali citati dal senatore Renzi, non dimentico che l’operazione Mare Nostrum fu cancellata dal suo Governo. Salvare le persone in mare è un obbligo: su questo non decidono il Governo o la maggioranza politica del momento; la gestione delle migrazioni invece sì, ha a che fare con la politica estera, con la sicurezza e con le scelte di politica economica e del lavoro, come quelle del welfare.
Ora – e dico ora – si deve cambiare. Questo è uno dei punti alla base della nostra fin qui leale e fin troppo paziente partecipazione a questa maggioranza. È un atto politico, la cui responsabilità non può e non deve ricadere ipocritamente sul solo ministro Lamorgese, perché riguarda il Governo nella sua interezza, tutte le forze politiche che ne fanno parte e ciascun deputato e senatore di maggioranza.
Concludendo, abbiamo il dovere di ristabilire il principio di legalità, autorizzando il processo – badate bene: non la condanna, ma il processo – nei confronti del senatore Salvini. Non c’è sovranismo che possa prescindere dal rispetto della Costituzione, dei trattati internazionali e delle leggi. Non c’è «prima gli italiani» che tenga, senza citare i diamanti in Tanzania, la laurea in Albania, la restituzione di fondi pubblici in comode rate ottantennali e i soldi in Svizzera.
Abbiamo altresì il dovere politico e morale di superare gli accordi con la Guardia costiera libica, ai cui vertici abbiamo visto personaggi ambigui ed ex trafficanti, come il noto Bija. È di due giorni fa la notizia dei tre migranti uccisi e di altri feriti da membri della Guardia costiera, quando, non appena riportati a terra, hanno provato a fuggire, per non essere portati nei centri di detenzione. Mi pare evidente che rifinanziare la Guardia costiera libica sia tutto il contrario di quel che dobbiamo fare per risolvere il problema dell’immigrazione. Abbiamo il dovere politico di cancellare i decreti Salvini e chiudere definitivamente con una stagione fatta di propaganda, che continua, ora con meno successo, nella più totale irresponsabilità politica e istituzionale e abbraccia addirittura le teorie negazioniste del Covid-19.
Abbiamo infine il dovere di stabilire, una volta per tutte, che Paese vogliamo essere e se siamo in grado o no di difendere e tramandare i valori scolpiti nei principi fondamentali della nostra Costituzione.
Per tutte queste ragioni, dichiaro il voto contrario dei senatori della componente Liberi e Uguali alla relazione approvata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari.
di Elisabetta Esposito per la Gazzetta dello Sport, articolo pubblicato il 19 luglio 2020
Sono passati 28 anni dall’espolosione che in Via D’Amelio, a Palermo, si prese la vita di Paolo Borsellimo e dei cinque agenti della sua scorta. Allora, come oggi, era domenica. Quella mattina il giudice si svegliò prestissimo e iniziò a scrivere agli studenti di un liceo di Padova, che in una lettera gli rimproveravano di non aver preso parte a un loro convegno e gli ponevano una serie di domande sulla mafia e sulla sua vita. Si fermò alla terza, convinto di terminare a breve. Non lo farà mai.
A quelle domande ha voluto rispondere ora Pietro Grasso, amico di Borsellino così come di Giovanni Falcone, ex-magistrato impegnato nel maxiprocesso e capo della Direzione Nazionale Antimafia, prima di mettere in suo impegno in politica diventando senatore (e, a lungo, presidente di Palazzo Madama).
mai abbattersi
Grasso lo ha fatto scrivendo un libro, Paolo Borsellino parla ai ragazzi, edito da Feltrinelli e con una splendida introduzione di Pif, in cui prima spiega cosa sia la mafia e che cosa abbia portato agli assassinii di Falcone e Borsellino (sottolineando la lezione di questi due eroi: “Mai abbattersi”), poi riprende le domande degli studenti di Padova e risponde mettendo in luce la mafia oggi, che “non spara quasi più, ma non per questo possiamo pensare di averla sconfitta. Dobbiamo mantenere alta la guardia”.
Con un linguaggio semplice e diretto, in cui gli uomini del pool antimafia vengono paragonati agli Avengers e la vita sotto scorta a quella che abbiamo vissuto nell’emergenza Covid, Grasso mette un nuovo importante tassello nella costruzione di una nuova generazione cresciuta con i valori solidi della legalità, a suo parere l’unica arma per distruggere definitivamente la criminalità organizzata.
Per questo, come per primo aveva suggerito Rocco Chinnici, ha sempre voluto partecipare agli incontri nelle scuole, ha sempre voluto raccontare. “Vedo nei giovani l’unica grande, concreta possibilità di riscatto”, scrive Grasso ribadendo poi quanto abbiamo bisogno “dell’antimafia della speranza”.
di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani per Il Sole 24 Ore, del 19 luglio 2020
Avere buona memoria significa essere capaci di tenere a mente a lungo e con precisione quanto si è imparato. Ma, forse, più utile e importante è avere una memoria buona, ovvero ricordare quel che è giusto e bene ricordare.
In quest’ottica il libro di Pietro Grasso Borsellino parla ai ragazzi costituisce una operazione riuscita. Ospitata in una collana per bambini e adolescenti, infatti, il libro presenta la vita di Paolo Borsellino, non solo le ultime drammatiche settimane, dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, come un esempio, una figura da cui trarre ispirazione. Nel riproporre l’esistenza del magistrato che ha perso la vita nell’attentato di Via D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992, l’autore descrive, con una lingua per giovani adulti, il fenomeno mafioso e, soprattutto, la storia del contrasto ad esso. In particolare, viene raccontata la svolta nella strategia di opposizione alla criminalità organizzata avutasi negli anni Ottanta, che ha portato al primo “Maxi processo”, della cui sentenza di primo grado Pietro Grasso è l’estensore.
Attenzione: non si tratta di un’agiografia, non siamo davanti alla “vita di un santo laico”. Il libro ci restituisce una persona con i propri chiaroscuri e con una qualità, però, straordinaria: un uomo per bene, con un senso del dovere talmente spiccato da fargli sopportare sacrifici quotidiani, fino a quello estremo della propria vita, consapevole del rischio a cui andava incontro.
Qualcuno potrebbe obiettare che alcuni passaggi del testo restituiscano una realtà un po’ semplificata. Il dibattito sull’opportunità di introdurre una legislazione di emergenza nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, e sotto quali profili tale legislazione possa derogare alle regole del codice, è molto complesso. E non si presta a essere “liquidato” con formule facili come magistrati volenterosi chiedono regole per “lottare” efficacemente contro la mafia mentre la politica – ignava o complice – li ignora.
Tuttavia, è facile rispondere che vi sarà tempo e vi saranno altri testi per approfondire le questioni spinose. E’ importante però che i più giovani oggi conoscano questa storia e la sappiano interpretare, riconoscendo per lo meno dove sta il bene e dove sta il male e perchè. Questo è il primo passo per avere una memoria buona, di cui una democrazia si nutre per diventare matura.
Dalla prefazione di PIF al libro “Paolo Borsellino parla ai ragazzi”
Allora: d’ora in poi ogni volta che uscirete da casa bisognerà avere delle accortezze. Non potrete più frequentare con disinvoltura un posto affollato. Suggerisco di evitare
i mezzi pubblici, per sicurezza. Per la spesa è consigliato ordinarla online, ma senza avere troppi contatti con la persona che ve la consegnerà. Sempre per ragioni di sicurezza. Se vorrete andare a mangiare qualcosa fuori, sarà prima necessario controllare che il ristorante abbia tutti i requisiti giusti per potervi accogliere. In caso contrario, vi toccherà cambiare ristorante, anche se è proprio lì che fanno il piatto di pasta più buono del mondo.
Anche bere una birra con gli amici diventerà difficile. Si potrà entrare in un negozio solo quando non ci saranno altri avventori. La stessa cosa varrà per quando deciderete di recarvi dal parrucchiere. Se la sala sarà ampia, forse, si potrà tollerare qualche altro cliente, ma bisognerà valutare volta per volta. In spiaggia non sarà possibile stare sdraiati per molto tempo, anzi è consigliabile evitare. La partita di calcetto settimanale con gli amici, anche quella, è un po’ a rischio. Magari aspettiamo che si calmi la situazione.
Poi valuteremo. Per spostarsi sarà necessaria l’auto, ma i passeggeri dovranno stare seduti sui sedili posteriori per motivi di sicurezza. In palestra non potrete allenarvi accanto a qualcun altro. Anzi, nella sala pesi dovrete stare da soli. È bene, in genere, essere sicuri di chi si ha intorno.
Al cinema bisognerà stare a distanza dagli altri spettatori. La vicinanza potrebbe essere pericolosa. Meglio se state lontani. Solo in questo modo riusciremo a superare questa situazione, ma è fondamentale la collaborazione di tutti, nessuno escluso. È necessario un distanziamento sociale, fino a quando non si calmano le acque. Più o meno è proprio questa, e in passato lo era ancora di più, la vita che vive un magistrato sotto scorta a causa del suo lavoro, specialmente quando ha a che fare con un’organizzazione criminale come la mafia. Ogni giorno si vive come se ci fosse l’emergenza Coronavirus, una perenne “Fase 2”.
Nel febbraio del 1990 il magistrato Pietro Grasso pensò di andare a vedere con sua moglie il film Crimini e misfatti. In attesa che cominciasse la proiezione sentì una signora, seduta a qualche metro di distanza, dire a suo marito: “Guarda chi c’è: il giudice Grasso! Spostiamoci che potrebbe essere pericoloso!”.
Essendo stato il dottor Grasso uno dei giudici del maxiprocesso, la signora temeva un attentato. Il giudice, non trovando particolarmente piacevole la sensazione di essere considerato un “appestato”, decise in un certo senso di passare dalla “Fase 2”, ovvero andare al cinema con cautela, alla “Fase 1”, ovvero non andarci più.
Ora: vivere la “Fase 1” contemporaneamente al resto del paese è dura, ma almeno ci si può consolare pensando che anche se usciamo non troviamo nessuno. Tutti gli amici sono a casa. I cinema, le pizzerie, i bar, è tutto chiuso. Non ci si perde molto. Ma pensate di rimanere a casa mentre il resto del paese, amici inclusi, sono in giro: al bar, in pizzeria o al cinema. Questo perché per tutti è incominciata la “Fase 2” e voi invece siete fermi lì, alla “Fase 1”.
I vostri amici vi manderanno delle foto su WhatsApp mentre sono in spiaggia a divertirsi e voi chiusi in casa, sempre fermi alla “Fase 1”. E magari vivete questa fase mentre studiate per recuperare delle insufficienze in alcune materie. Ogni plin di WhastApp sarà una pugnalata. C’è però un dettaglio fondamentale da sottolineare: il Covid è un virus di origine naturale. Qualcuno ha avuto il sospetto che sia stato creato in laboratorio, ma è stato subito smentito dagli scienziati. È di origine naturale come i tanti virus che esistono nel mondo, più o meno pericolosi.
La mafia, invece, non è di origine naturale. Quando comparve sulla Terra l’umanità probabilmente c’erano già gli alberi, i prati, i mari, le montagne, ma non la mafia, perché quella sì che è stata creata dall’uomo. Infatti abbiamo trovato orme secolari di dinosauri, ma mai di mafiosi. Ed essendo stata creata dall’uomo, la mafia può essere distrutta, ma a una sola condizione: bisogna avere voglia di distruggerla. Il vaccino anti–mafia esiste da tanto tempo. Per esempio, basta leggere e mettere in pratica le parole scritte in questo libro.
Circa ventitré anni dopo quella “mancata” visione di Crimini e misfatti, il dottor Grasso e sua moglie decisero che era arrivato il momento di tornare al cinema. Fu così che ricevetti uno strano invito. Mi chiamò e mi chiese: “Andiamo a vedere un film che è in sala e che hai fatto tu?”. Accettai, nonostante avessi già visto il film. La cosa però mi metteva ansia.
L’ultimo film che era andato a vedere al cinema, il dottor Grasso, era quello di Woody Allen (un collega regista americano). Ripartire con Pif dopo tutti questi anni forse sarebbe stato un po’ traumatico. Seduto accanto al dottor Grasso durante la proiezione, cercavo di cogliere le sue reazioni con la coda dell’occhio.
Provavo a darmi un tono e non volevo mostrarmi preoccupato, ma ovviamente lo ero. Nel film raccontavo cose che lui conosceva meglio di me, poiché erano storie di gente che lui conobbe e con cui lavorò. Persone che si ostinavano a pensare che con la mafia non si dovesse convivere. Che la mafia doveva solo essere combattuta e vinta. E continuarono a pensarlo nonostante le difficoltà: gli insulti, gli sgambetti, la paura quotidiana di essere uccisi e non necessariamente dalla mafia. Non indietreggiarono di un centimetro. Persone grazie alle quali la nostra “Fase 1” contro la mafia è terminata e, lo dico con certezza, non
tornerà mai più.
Dalle mie parti queste persone sono state spesso definite, vogliate perdonarmi il francesismo, degli “scassaminchia”. Sia dalla mafia che dalle persone non mafiose ma culturalmente colluse. Questo perché non si facevano i fatti propri e andavano contro il quieto vivere del paese o della città, era gente che “se le andava a cercare” (cit.).
Concludo parafrasando Bertolt Brecht (un mio collega scrittore tedesco): “Beati i popoli che non hanno bisogno di scassaminchia!”. Io, infatti, vi auguro di diventare nella vita dei grandissimi, ottusissimi e instancabili “scassaminchia”.
Una vita in 57 giorni. Una lettera lasciata a metà. Una testimonianza civile per le nuove generazioni.
Il 19 luglio 1992 Paolo si sveglia molto presto e dedica le prime ore di quello che sarà il suo ultimo giorno agli studenti di un liceo di Padova che non era riuscito a incontrare. Il giudice racconta ai ragazzi il momento che sta vivendo e, con il poco tempo che ha a disposizione, risponde in parte alle loro domande sul suo lavoro di magistrato e sulla mafia. Poi l’esplosione di via D’Amelio. E la lettera non viene terminata. A distanza di quasi trent’anni ho deciso di riprendere simbolicamente quella penna e completare la missiva alla luce dei cambiamenti avvenuti, dei miei ricordi e della mia esperienza.
“Paolo Borsellino parla ai ragazzi” (Feltrinelli Editore) è per i più giovani affinché sappiano sempre scegliere da che parte stare, e allo stesso tempo è dedicato ai docenti impegnati ogni giorno nell’educazione ai valori costituzionali.
Partendo dalle parole di Borsellino, ho fatto un viaggio nel tempo per raccontare la storia del pool, un gruppo di amici e colleghi, una parte della mia storia personale, ma soprattutto un pezzo importante di storia italiana.
Abbiamo bisogno di raccontare alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi chi erano realmente Paolo Borsellino e Giovanni Falcone: uomini eccezionali nel lavoro e dai valori incrollabili, ma non eroi irraggiungibili, esempi che ancora oggi possono essere presi a modello.
Incontro tanti studenti ogni anno e tutti mi rivolgono la stessa domanda: cosa possiamo fare noi? La risposta è nelle parole di Paolo, quelle del discorso rivolto agli scout in memoria di Giovanni e attorno cui ruota il racconto, pronunciato ventotto giorni dopo la strage di Capaci:
“La lotta alla mafia (…) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e, quindi, della complicità”.
Nonni, zii, genitori: tramandiamo queste parole e l’esempio di Borsellino e Falcone ai più piccoli, fin da subito. Sono certo che, col loro impegno, sapranno rendere migliore il nostro Paese.
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