La lotta alla corruzione e il coraggio dell’onestà

Editoriale del 14 aprile 2019 su La Sicilia

Nelle ultime settimane, comprese le ultime ore, diverse indagini in tutto il Paese hanno coinvolto esponenti di partiti di maggioranza e di opposizione in inchieste di corruzione e traffico di influenze. Anche i nuovi attori della politica, che sono emersi proprio sugli scandali del passato, non sono risultati immuni dai vizi e dalle colpe dei predecessori. D’altronde il tema della corruzione è antico: già Cicerone se ne occupò nelle Verrine, avendo come imputato il propretore della Sicilia. Quella che giornalisticamente è nota come “questione morale”, almeno dalla famosa intervista di Berlinguer a Scalfari del 1981 e ancora di stretta attualità, si può definire come il comportamento di chi sacrifica gli interessi pubblici a favore degli interessi privati, di parte o di gruppi di potere.

Nelle diverse funzioni che ho ricoperto, prima come magistrato poi come politico, ho sempre considerato la lotta alla corruzione fondamentale per l’affermazione della legalità, dell’interesse pubblico e del bene comune. La corruzione è un reato senza testimoni, senza vittime se non la collettività, e senza denunce, con un comune interesse degli autori al silenzio. E’ uno scambio fra l’esercizio abusivo, deviato, del potere e una prestazione di danaro o altra utilità. Un altro tratto preoccupante del fenomeno è che incoraggia espedienti illegali per nascondere l’origine illecita del danaro: società fiduciarie, sovra o sotto fatturazioni, operazioni di finanza strutturata, cessioni di crediti e di garanzie, paradisi fiscali, operazioni e compensazioni estero su estero. Le tangenti sono correlate ad artifici di ogni genere. Presuppongono condotte di falso in bilancio, procedure contrattuali alterate, trattamenti preferenziali negli appalti, collusioni con i fornitori, illecite aggiudicazioni, false emergenze di lavori e conseguenti premi-truffa, collaudi addomesticati.

La corruzione ha assunto un livello di radicamento così profondo da non poter quasi più esser considerato un reato contro la Pubblica Amministrazione in senso stretto: di fatto quello che viene colpito è l’intero tessuto economico e sociale. La corruzione mina l’economia dal profondo, togliendo trasparenza alle transazioni, agli appalti, dai più piccoli ai più grandi, privilegiando e favorendo i corruttori a danno degli onesti, a danno dei più capaci, di coloro che hanno competenze e lavorano seriamente, nel rispetto delle Leggi. Questo terribile stato di cose affossa l’economia del Paese e la sicurezza dei cittadini. Come possiamo pensare che un’opera realizzata grazie ad un appalto ottenuto attraverso l’elargizione di una somma di denaro, o di un favore, possa essere la migliore opera eseguibile, nel rispetto delle norme e dei criteri di economicità ed efficienza, oltre che del buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione? Opere inutili, costose, scadenti, non a regola d’arte, spesso incompiute come ce ne sono tante in Sicilia.

La corruzione così disperde risorse, impedisce qualsiasi possibilità di sviluppo, ed è causa della mancata crescita economica, della disoccupazione e della morte della meritocrazia. Ma la corruzione fa persino di peggio: nel favorire il malaffare deprime le coscienze. Già il pensare comune che l’Italia sia un Paese dove la corruzione è dilagante porta alla rinuncia in partenza alle gare d’appalto da parte di aziende serie che operano nella piena legalità. Inoltre, chi entra in un contesto di corruzione sistemica, sarà portato ad adeguarsi o a farsi da parte, come rivela il ventisettenne appena assunto che confessa dicendo: ero in prova e ho avuto paura di essere cacciato dall’ufficio in cui rubavano tutti. Conclude: “Non ho avuto il coraggio che ci vuole per essere onesto”.

La commistione, l’intreccio strettissimo è stato rivelato da indagini e da processi in ogni parte d’Italia: mafie, criminalità comune, politica, mondo dell’economia, funzionari pubblici, professionisti che hanno formato reti di interessi comuni avvinte da rapporti di corruzione.

Il problema della corruzione è essenzialmente scoprirla. Per questo, penso che non sia tanto utile innalzare semplicemente i livelli sanzionatori, ma serva fare emergere il fenomeno con strumenti tecnico-giuridici e mezzi investigativi più sofisticati di quelli che la legge oggi consente, in modo da colpire non solo le condotte di abuso di poteri pubblici, ma anche quelle ad esse strumentali o connesse. Il fondamentale lavoro della magistratura e della polizia infatti interviene, e non potrebbe essere altrimenti, per sanzionare i reati già commessi, per punire i comportamenti scorretti. Ciò che è fondamentale è però la prevenzione, per impedire i danni che funzionari infedeli, politici corrotti, imprenditori senza scrupoli e criminali arrecano alla collettività.

Alcune note positive vanno sottolineate: nella scorsa Legislatura è stato approvato, pur con troppe modifiche, il mio Disegno di legge contro la corruzione, il riciclaggio e l’autoriciclaggio ed è stata introdotta la figura del whistleblower, ovvero garanzie per chi denuncia episodi di corruzione di cui è stato testimone sul posto di lavoro. In questa Legislatura ho apprezzato alcune delle norme contenute nel cosiddetto “spazzacorrotti”, che però per miopi decisioni politiche non è stato possibile discutere e migliorare nel merito.

Sono convinto che in un momento di sfiducia e delegittimazione la politica abbia il dovere di reagire per contrastare con energia il radicarsi della corruttela, la sottocultura del profitto ad ogni costo, il disprezzo per la cosa pubblica e il bene comune. Ma è anche indispensabile investire in cultura, istruzione e ricerca per formare le giovani generazioni, le nuove classi dirigenti, a una cittadinanza più consapevole e per determinare quella rivolta morale che può far riacquistare la fiducia nel nostro Paese e che è la vera speranza per il nostro futuro.