Libertà religiosa, diritti umani, globalizzazione

Il Presidente Grasso, insieme a S. Em. Card. Pietro Parolin e a S. Em. Card. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, ascolta l'intervento di Giuliano Amato.

Autorità, Signore e Signori, Ho accolto davvero con molto piacere la proposta del Presidente Giuliano Amato e del Prof. Carlo Cardia di ospitare in Senato questo importante incontro in materia di libertà religiosa, diritti umani e globalizzazione.

Saluto con stima Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, e ringrazio gli autorevoli relatori che contribuiranno con la propria specifica competenza e professionalità al dibattito. Il tema è complesso ed attuale. Complesso perché investe dimensioni diverse: quella intima e spirituale dell’individuo; quella collettiva, sociale e pubblica; quella giuridica e costituzionale; quella politica e geopolitica. Attuale perché in questo momento storico in troppe parti del mondo la libertà religiosa non è garantita in modo sostanziale ed effettivo e le vittime di odio religioso sono discriminate, marginalizzate e perseguitate, con drammatiche conseguenze sulla vita quotidiana di milioni di persone e sulla pace, la sicurezza e la stabilità del Pianeta. Per queste ragioni, io credo nella fecondità di un approccio eterogeneo a questa materia, perché solo l’incontro di analisi ideali, scientifiche, giuridiche, geopolitiche e teologiche può contribuire a comprendere un universo umano che riguarda il rapporto di ogni persona con la propria spiritualità, con gli altri e la comunità, con la verità, con il senso e il fine ultimo dell’esistenza. Nella storia occidentale la libertà religiosa è la prima fra le libertà civili riconosciute dal potere politico ed è giuridicamente tutelata, in modo ampio, dai più importanti strumenti internazionali in materia di diritti umani fondamentali: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2007. Tutti questi testi proteggono in modo unitario la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, un complesso inscindibile che la Corte europea dei diritti dell’uomo considera una delle basi della società democratica, affermando che la libertà (cito una sentenza del 1993): “nella sua dimensione religiosa, figura fra i principali elementi dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita, ma è un bene prezioso anche per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti”.

Nel contesto europeo, la libertà religiosa trova riconoscimento come fondamento degli ordinamenti degli Stati, ma i modelli di tutela sono differenziati in base alle diverse sensibilità storiche e culturali. La Francia ad esempio adotta un rigido laicismo e un secolarismo che relega la religione fuori dalla vita pubblica, esiliandola dentro il “santuario esistenziale della coscienza e in quello spaziale del tempio e del culto”, per usare delle belle parole del Cardinale Gianfranco Ravasi. Il nostro Paese invece ha vissuto un’evoluzione storica complessa che ha condotto dalla confessionalità dello Statuto albertino del 1848 alle ampie aperture del pensiero liberale; dal neo-confessionalismo discriminatorio del regime fascista, espresso nei Patti del 1929 e nella legge sui culti ammessi, alla Costituzione repubblicana e alla giurisprudenza costituzionale; dal concilio Vaticano II alla revisione concordataria del 1984, fino alle stagione delle intese con le altre confessioni in applicazione dell’art. 8 della Costituzione.

La libertà religiosa ha avuto riconoscimento attraverso un percorso lento e difficile che si è sviluppato di pari passo con la maturazione della società. Guardando all’attualità globale si osserva, da una parte, il rilievo sempre crescente del fattore religioso nelle relazioni internazionali; dall’altra parte, la sistematicità e la diffusione di intolleranze, violenze e discriminazioni, anche silenziose e sottili, contro le comunità religiose minoritarie. Il nostro Paese da sempre ha posto la difesa della libertà religiosa e delle minoranze al centro della propria azione di politica estera, tanto nei rapporti bilaterali quanto nei contesti multilaterali, fra cui Unione europea, Nazioni Unite e Consiglio d’Europa.

Un’azione che si espleta nel dialogo politico con altri Paesi e interventi anche su casi specifici di persecuzione di cristiani e appartenenti a minoranze; e progetti di cooperazione allo sviluppo in favore della libertà religiosa, della tutela del patrimonio storico e culturale e della vita quotidiana delle comunità religiose ed etniche minoritarie. In occasione di una mia recente visita in Iraq ho avuto modo di confrontarmi personalmente con le difficili condizioni di vita di una comunità cristiana sempre più ristretta, dovute a violenze e a discriminazioni talvolta favorite anche da leggi e politiche pubbliche.

Mi riferisco in particolare ad una norma della recente legge sulla “carta d’identità nazionale” che impone ai figli minori di seguire la conversione all’Islam di uno dei genitori, anche a prescindere dalle convinzioni dell’altro genitore e dall’affidamento parentale. Nei miei colloqui con i vertici politici ne ho sollecitato la revisione perché credo che norme di questo genere dividano invece di unire i popoli, e non sono premesse utili alla riconciliazione nazionale, all’armonia delle confessioni e delle etnie, e alla pace e sviluppo di quel Paese. Proprio in questi giorni a Bagdad il settarismo religioso sta mettendo gravemente a rischio i processi democratici ed è diventato ancora una volta spunto per un sanguinoso attentato. Le proteste contro lo stallo politico sulla nomina di ministri tecnici meno legati alle fazioni religiose e contro la dilagante corruzione, da parte di militanti religiosi che hanno occupato temporaneamente il Parlamento, impongono di moltiplicare gli sforzi perché le istituzioni non siano piegate a interessi di parte ma rappresentino tutto il popolo.

Papa Bergoglio, con la sua autorità morale e la sua azione pragmatica, dedica alla libertà religiosa un impegno instancabile, cogliendo tutte queste dimensioni del fenomeno religioso nel contesto globale. Da un punto di vista dogmatico Francesco ha una visione costituzionale, laica e moderna della libertà religiosa, che considera un’acquisizione della civiltà giuridica e politica, non un “patrimonio esclusivo dei credenti, ma dell’intera famiglia dei popoli della terra” (sono sue parole). Per il Santo Padre la libertà religiosa è imprescindibile nello Stato di diritto, è la libertà delle libertà: non si può (cito ancora) “negare senza intaccare nel contempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e vertice”. In termini teologici, Bergoglio pone poi la libertà religiosa all’origine della libertà morale perché ritiene che l’apertura alla verità e al bene garantiscono rispetto reciproco fra le persone e sono un antidoto contro il relativismo morale che è all’origine delle divisioni fra gli esseri umani.

Ma il Papa non si ferma alle parole e mette in atto una strategia che punta ai fatti, che spiega le parole con azioni concrete e simboliche. Parte dalla Repubblica Centrafricana per arrivare in Grecia. A Bangui, nella moschea della minoranza di fede musulmana, frappone il proprio stesso corpo a difesa dei fedeli dell’islam perseguitati dai cristiani: insegna visivamente il rispetto per la dignità e la vita di ognuno.

A Lesbo richiama severo e addolorato l’Europa che egli dice “è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare” e quindi accoglie fra le sue braccia, nella propria famiglia, non già i profughi cristiani ma dodici degli “altri”, dodici profughi musulmani. Il Santo Padre così da una parte demolisce odio e pregiudizio puntando il dito accusatorio contro i Paesi di Asia e Africa dove non c’è libertà religiosa, ma anche contro l’Occidente che nega la storia e rifiuta i simboli religiosi. Dall’altra parte edifica con le mani una nuova cultura di rispetto reciproco, abbatte muri, costruisce ponti politici e geopolitici, concepisce un nuovo assetto delle relazioni internazionali costruito non sugli interessi ma sui principi e i valori umani.

Concludo. La storia della civiltà umana è legata in modo inscindibile alla religione, perché la ricerca della verità e del bene comune, così come la riflessione sul valore e il senso della vita sono alla base dei caratteri di libertà e di dignità che noi riconosciamo alla persona umana. La libertà di pensiero, religiosa e di coscienza è invece figlia della modernità, riconosce a ogni individuo la facoltà di “credere quello che più gli piace, o di non credere, se più gli piace, a nulla”, come disse un secolo fa Francesco Ruffini. Il compito che in Italia, in Europa e nel mondo ci si presenta davanti è duplice. La prima sfida è politica. Consiste nella capacità di tradurre quella libertà astratta in azioni pubbliche di tutela attiva, di modo che non solo non sia impedito a nessuno di coltivare la propria dimensione trascendente come meglio preferisce, ma che vi siano le condizioni pratiche e sostanziali per la libera manifestazione collettiva e sociale della religione, in pace e nel rispetto reciproco dei credi e delle confessioni. La seconda sfida riguarda la dimensione globale della protezione dei diritti umani.

Penso alla crisi dei rifugiati, di fronte alla quale l’Unione europea si è scoperta egoista, divisa e indifferente al dovere morale e giuridico di accogliere. Penso al crescere dei nazionalismi, delle intolleranze, dell’odio per la diversità. Penso infine ai recenti attentati terroristici in Europa, che hanno rivelato che il male non si concentra solo al di là della sponda, nei territori controllati da ISIS, ma ha anche origini profondissime nelle società europee: nella marginalità, nelle diseguaglianze, nell’esclusione sociale delle periferie che spesso si trasformano in incubatrici di radicalismo, di violenza e di illegalità.

L’eguaglianza sostanziale e la libertà, cari amici, sono premesse della pace, dell’armonia sociale, dello sviluppo e della stabilità internazionale. Sono certo che l’incontro di oggi sarà un’occasione preziosa per riflettere insieme sull’urgenza di un impegno comune per garantire in ogni luogo del mondo il pieno rispetto di tutte le libertà dell’essere umano, e per assicurare a ogni persona prospettive e speranze per il futuro. Grazie.