Il 24 ottobre 2018 il Senato ha approvato, in prima battuta, la riforma sulla legittima difesa. Non è necessaria ed è, o vorrebbe essere, una licenza di uccidere in casa. La sua approvazione definitiva metterebbe in serio pericolo lo Stato di diritto e creerebbe danni normativi e culturali.
[su_accordion][su_spoiler title=”RELAZIONE DI MINORANZA” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]
Signor Presidente, il 25 settembre 2018 si è concluso il ciclo di audizioni nell’ambito dei disegni di legge in esame. Devo dire che le audizioni sono state ricche di spunti, al punto da far emergere con chiarezza la necessità di un’ulteriore riflessione e di più tempo per vagliare il contenuto delle proposte della maggioranza.
Da parte dei senatori di minoranza si è levata una voce univoca: su temi delicati come la legittima difesa è opportuno un dibattito più ampio di quello consentito in sede redigente. Per questo abbiamo richiesto che l’esame proseguisse in sede referente.
Dai dati trasmessi dal Ministero della giustizia ed elaborati dal Servizio studi del Senato, si evince che i procedimenti definiti in dibattimento nei tribunali italiani in quattro anni (dal 2013 al 2016), sono stati dieci per la legittima difesa e cinque per l’eccesso colposo di legittima difesa. Una simile riforma, dunque, non appare giustificata, né dall’urgenza, né dai numeri, né dall’esito dei processi.
Dall’esame delle sentenze e dei provvedimenti di archiviazione è emerso, infatti, che tutti i processi per eccesso colposo di legittima difesa, anche quello che è stato prospettato dal relatore, si sono conclusi con archiviazioni o con non punibilità, tranne uno – abbiamo verificato – e in quel caso il processo ha accertato che lo sparo che ha ucciso il ladro è avvenuto fuori dal domicilio, durante la fuga, e pertanto era venuta meno l’attualità del pericolo; circostanza che nemmeno questo disegno di legge riesce a coprire.
Ebbene, sottolineare che nella realtà e non nel mondo della propaganda e della paura che avete costruito il giorno dopo giorno, negli ultimi anni le leggi attuali vanno benissimo. Fortunatamente parliamo di pochi casi e tutti trattati con la massima attenzione dai magistrati. Da un punto di vista mediatico, la rappresentazione della difesa come un diritto, e il fatto che non vi sia alcuna conseguenza sotto il profilo giudiziario, appare ingannevole. Dobbiamo rifiutare qualsiasi tipo di strumentalizzazione. È inammissibile una sorta di prearchiviazione senza alcuna valutazione del pubblico ministero.
Sotto il profilo processuale, la reazione a un’aggressione, anche se ingiusta, necessita di opportuni accertamenti peritali e quindi anche di avvisi per garantire la possibilità di difendersi nel processo. L’azione penale, in presenza di ipotesi delittuose, è infatti obbligatoria, come ben si sa, perché in presenza di un omicidio o di lesioni in conseguenza di un’aggressione occorre sempre un’istruttoria per ricostruire la realtà storica dell’accaduto. Solo questo procedimento garantisce che una norma generale e astratta posso trovare poi applicazione nella fattispecie concreta, sempre diversa, sempre subordinata a circostanze che spetta solo e solamente al pubblico ministero prima, e al giudice poi, valutare per ricondurre tutta la vicenda nella cornice della legalità e dello Stato di diritto.
Per tali ragioni, appare fortemente controproducente in termini sistemici, ancor più che semplicemente errato, eliminare in modo assoluto la discrezionalità del giudice. Sul piano ideale la riforma viene giustificata mediante argomentazioni suggestive, ma fatalmente in contrasto con il dettato costituzionale e con i princìpi sovranazionali. Da un lato, la legittimità della difesa deriverebbe da un preteso diritto soggettivo a un’autotutela difensiva, insomma una forma di istinto di conservazione senza limiti; dall’altro lato, si suggerisce l’idea della legittima e incondizionata soccombenza di chi, essendosi messo nella parte del torto, è giusto che subisca la riaffermazione dell’ordine del diritto secondo un meccanismo dall’evidente sapore punitivo e moralistico: ti sei messo tu dalla parte del torto e devi subire le conseguenze di reazioni che possono portare anche alla tua morte.
Sennonché l’idea di un diritto soggettivo sganciato dalla necessità difensiva urta irrimediabilmente contro il principio del necessario bilanciamento tra i diritti, secondo il quale nessun diritto può sfuggire al bilanciamento con il diritto alla vita e all’incolumità personale, riconosciuto come fondamentale dal nostro ordinamento e anche da altre convenzioni internazionali. Così come qualsiasi sanzione punitiva non può non tenere conto del fondamentale principio, affermato non solo dalla nostra Costituzione ma anche da atti internazionali, della necessaria proporzionalità della risposta sanzionatoria e punitiva di qualsiasi illecito. Mi pare il caso di citare in proposito l’articolo 2, comma 2, della Convenzione dei diritti dell’uomo che ammette la liceità dell’uccisione di una persona da parte del soggetto aggredito soltanto ove tale comportamento risulti «assolutamente necessario» per respingere una violenza illegittima in atto contro una persona e non una mera aggressione al patrimonio.
Fatte queste premesse in via generale, l’articolo 1 reca modifiche all’articolo 52 del codice penale in materia di legittima difesa. Le attuali prospettive di riforma della legittima difesa nascono dal temperamento tra due opposte esigenze: da un lato, la retorica nordamericana secondo la quale ciascun cittadino è nella propria casa libero di far fuoco contro chiunque vi faccia ingresso senza invito (checché se ne dica, è una specie di far west, una vera e propria licenza di uccidere, incompatibile con lo Stato di diritto); dall’altro, il principio dell’esclusivo monopolio statale dell’uso della forza, non essendo ipotizzabile ricorrere, sempre e tempestivamente, all’intervento delle Forze dell’ordine ogniqualvolta il cittadino subisca una qualsiasi aggressione. Tra questi due estremi bisogna trovare un contemperamento, e a questo si perviene con le attuali norme della legittima difesa.
La legittima difesa, quindi, non rappresenta un diritto originario fondamentale, ma trova la sua ragion d’essere a seguito di un pregresso comportamento offensivo, senza il quale non vi può essere alcuna legittima difesa. Pertanto, è indispensabile che la legittima difesa continui a figurare tra le cause di esclusione della punibilità. Il requisito della proporzione è necessario al fine di evitare di legittimare intollerabili situazioni di manifesta sproporzione tra aggressione e reazione, che oggi si vogliono, di contro, introdurre.
Ciò precisato, l’idea di fare a meno della proporzione attraverso la sua eliminazione o l’introduzione di presunzioni assolute avvia il percorso riformatore verso un pericoloso piano di contrasto con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Una volta eliminata la proporzione, come nel caso della difesa domiciliare, già introdotta nel 2006, essa fatalmente emerge attraverso l’altro requisito fondamentale della scriminante costituito dalla necessità difensiva, come è ampiamente dimostrato dalla giurisprudenza tedesca che, pur in assenza di un requisito legislativo espresso di proporzionalità, ha introdotto tale principio in via giurisprudenziale. Tutti i docenti di diritto penale e gli operatori di diritto uditi non hanno potuto che affermare che la necessità di difesa non può che implicare il requisito della valutazione della proporzionalità.
Ciò premesso, il disegno di legge di riforma si avvia a fare il grande passo di eliminare lo stesso requisito della necessità difensiva, rendendo legittima la difesa solo perché tale, in quanto reattiva ad un’aggressione ingiusta, riducendo, quindi, il nesso tra aggressione e reazione difensiva ad una mera consecuzione cronologica e di efficienza difensiva della reazione.
Adesso in uno Stato di diritto, se viene uccisa una persona, che sia un ladro o un onest’uomo, occorre, come abbiamo visto, necessariamente un’indagine e un processo per ricostruire la realtà storica dell’accaduto; è solo a quel punto che entrano in gioco le norme scriminanti, dopo che un giudice ha accertato la legalità delle modalità della condotta posta in essere come reazione ad una aggressione.
Non può e non deve esserci alcun automatismo, anche per evitare che possano consumarsi, approfittando di essere nel proprio domicilio, omicidi dolosi preconfezionati, anche contro persone di famiglia o avversari, mascherati da legittima difesa. Presumere sempre e comunque l’innocenza di chi usa un’arma in casa è un pericolo serio per uno Stato di diritto.
Concludo dicendo che bisogna anche valutare, attraverso le modifiche apportate dall’articolo 2 all’articolo 55 del codice penale in materia di eccesso colposo, il pericolo di collegare la punibilità allo stato grave di turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto. Bene, dare veste normativa a stati d’animo dell’aggredito è estremamente pericoloso. L’articolo 90 del nostro codice penale prevede che gli stati emotivi e passionali non escludano né diminuiscano l’imputabilità.
Con questa relazione di minoranza si è tentato di restituire le gravi mancanze di questo testo unificato, nonché i gravi rischi ai quali ci esponiamo. È davvero di vitale importanza che il Parlamento e ciascuno dei suoi componenti valutino secondo coscienza il merito e il metodo del provvedimento in discussione prima di ratificare, magari in buona fede, una vera e propria licenza di uccidere
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[su_spoiler title=”REPLICA” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]
Signor Presidente, non avevo intenzione di replicare, ma mi trovo costretto a farlo perché in qualche intervento si è voluto adombrare che io cerchi di difendere i ladri, i rapinatori, i malviventi, piuttosto che le famiglie e, quindi, l’inviolabilità del domicilio domestico. Assolutamente no. Io cerco di difendere lo Stato di diritto, quindi la legalità di uno Stato di diritto.
Come ho anticipato, la disciplina della legittima difesa è stata recentemente innovata, con la legge n. 59 del 2006, per effetto della quale sono stati aggiunti due nuovi commi destinati ad ampliare i limiti e regolamentare l’esercizio dell’autotutela nel domicilio privato, in altri luoghi di privata dimora e nei luoghi nei quali viene esercitata un’attività commerciale, professionale e imprenditoriale.
La modifica del 2006 rappresenta un’ipotesi speciale e autonoma: la cosiddetta legittima difesa domiciliare già esistente funzionante, dunque, anche per le attività commerciali e imprenditoriali. È evidente che la ratio ispiratrice era quella di evitare che chi abbia reagito all’aggressione perpetrata in casa o nel negozio, in presenza di determinate condizioni di legalità e di un riconoscimento della proporzionalità della reazione possa essere chiamato a rispondere di tali atti, come anche – nel caso di errore sull’uso dei mezzi o sul fine – di eccesso colposo in legittima difesa.
Una riforma in tal senso, dunque, penso non sia assolutamente necessaria; il sistema funziona e i numeri che sono stati elaborati – dal Ministero della giustizia prima e dal Servizio studi del Senato poi – lo dimostrano: in quattro anni dieci casi trattati al dibattimento. Ancora minori i casi trattati dal gip o dal gup. Peraltro, siccome qualcuno ha detto che tali dati difettano perché mancano quelli del pubblico ministero, non dimentichiamo che nessuna procedura si può concludere da parte del solo pubblico ministero, ma c’è sempre un giudice, anche nel caso di archiviazione, che emette un decreto di archiviazione. Quindi, sono contemplati anche quei casi.
In parole povere, nel nostro Paese non hanno diritto di cittadinanza né la vendetta né il potere punitivo – che può arrivare anche a una pena di morte – attribuiti al cittadino in modo privo da qualsiasi controllo di legalità e di legittimità. Il danno grave, oltre al livello normativo, è un danno culturale.
La vostra propaganda sta facendo credere ai cittadini che sarà lecito sparare in casa propria comunque e dovunque, con conseguenze inevitabili. Sappiamo bene che non c’è alcuna norma specifica che riguarda le armi; lo sappiamo, ma non è questo il punto. Noi prevediamo che questa disciplina potrà portare a un incremento di armi in circolazione nel nostro Paese per la necessità di difendersi. Nessuno ha detto che nella riforma ci sono norme specifiche sulle armi, ma più armi non significa più sicurezza: è questo il concetto che vogliamo far passare, perché l’arma in sé è già un oggetto che può generare violenza. È stato citato il caso di Lanciano. Ebbene, proprio la vittima di Lanciano ha detto che è stato un bene non avere un’arma in quel momento perché se l’avessero avuta probabilmente sarebbero stati uccisi nello scontro tra reazione aggressione e quanto poteva determinare.
Sappiamo bene che le armi aumentano la possibilità di incidenti di ogni tipo, in un momento in cui da anni – sono stati elaborati i dati – i reati diminuiscono sempre più.
Qualcuno ha detto di metterci nelle condizioni di chi subisce un’aggressione in casa. Io rispondo: mettetevi anche nelle condizioni del pericolo che può determinare questa deriva culturale. Pensate a un figlio che rientra a casa di notte e, avendo dimenticato le chiavi, cerca di aprire una finestra o armeggia sulla porta di casa, e il padre, che ha l’arma sul comodino, cerca di difendersi da una presunta aggressione. Quella condotta sarebbe una condanna ben peggiore di qualsiasi procedimento colposo o di qualsiasi procedimento che duri anche sette anni. Perché è questo quello che ci hanno rappresentato le vittime: la lungaggine dei procedimenti, il problema della stampa che si occupa di loro. Ma questo come si può evitare? Non lo eviterà certamente questo disegno di legge.
Qualcuno ha detto che io potevo fare domande alle vittime. Intanto, il rispetto delle vittime imponeva di non fare domande, ma io ho ascoltato molto bene tutto quello che hanno detto. Ebbene, le vittime hanno parlato sì di aggressioni predatorie e rapine a mano armata, ma hanno anche detto che non chiedevano una giustizia fai da te, tantomeno un’incentivazione dell’uso delle armi con licenza di uccidere, quanto piuttosto dei termini più brevi del processo: questo riguarda il problema della giustizia secolare e dei tempi dei nostri processi. Chiedevano piuttosto di trovare soluzioni di prevenzione, di controllo del territorio e di un maggiore contrasto da parte delle forze di polizia, che diminuiscono – quelle sì – i rischi per l’incolumità dei cittadini sia in casa sia fuori casa. In particolare le vittime, rappresentate dalle associazioni dei tabaccai, dei benzinai, dei farmacisti e dei gioiellieri, chiedevano una collaborazione diretta con le Forze dell’ordine, attraverso protocolli d’intesa che curino anche la formazione da porre in atto nel caso di pericolo. Tutti hanno detto come nei protocolli di intesa vengono suggerite tattiche di controllo della situazione senza reazioni, perché queste potrebbero mettere in pericolo l’incolumità anche di persone presenti ed estranee.
Hanno chiesto finanziamenti per implementare la videosorveglianza degli esercizi; una maggiore certezza della pena e infine, una norma che sarebbe assolutamente di buon senso ma che nessuno attua: la riduzione, se non la completa eliminazione, di danaro contante, attraverso l’utilizzo senza spese per l’esercente della moneta elettronica. Queste sono le richieste delle vittime e ribadisco che la casistica dà ragione al fatto che i giudici e i magistrati hanno applicato attentamente la disciplina vigente. L’unico caso in cui c’è stata una condanna è quello di un ladro in fuga, quando non c’era più alcun pericolo e non potevano esservi le condizioni per una legittima difesa. Questa è la situazione.
Con questo disegno di legge invece immettiamo una disciplina che toglie qualsiasi criterio di proporzionalità nella necessità di difendersi. Basta entrare in casa attraverso una violenza; nella legge però non viene detto se è una violenza sulle cose o sulle persone: anche un’effrazione può determinare quella situazione per cui si è legittimati a una reazione – qualunque essa sia – che si configura come legittima difesa. È questo il punto che non accettiamo, non che si possano respingere i ladri, i rapinatori e i malviventi dalla propria abitazione: quello lo dobbiamo e lo possiamo fare, senza però eliminare ogni possibilità di valutazione della situazione in concreto. È questo il punto.
Vi è poi l’articolo 2 che affronta un’altra situazione che farebbe venir meno l’eccesso colposo in legittima difesa nelle situazioni di cosiddetta minorata difesa, cioè in tempo di notte: quella modifica che era stata già prevista nella scorsa legislatura e che attenua la difesa, per cui in quei casi, se ci sono condizioni tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, non c’è nemmeno l’eccesso colposo. La cosa più grave è «il grave turbamento» che genera la possibilità di fare una variegata casistica di chi ha più o meno paura, di chi si turba di più o meno, per affidare il giudizio a un dato assolutamente incommensurabile e fumoso, quello della soggettività, quando il nostro codice penale esclude tale possibilità in maniera completa, all’articolo 90, quando dice che gli stati emotivi e passionali non possono escludere né diminuire l’imputabilità.
Queste sono le condizioni che stiamo per approvare. Richiamo quindi alla propria coscienza tutti i parlamentari: stiamo attenti in questo esame del provvedimento e cerchiamo di mantenere alta l’importanza della funzione parlamentare, perché quando sentiamo dire che questa norma è stata decisa altrove e qua non può che passare, perché frutto di un contratto, dobbiamo pensare che il Parlamento e il Senato non possono essere umiliati da decisioni che sono state prese altrove.
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[su_spoiler title=”DICHIARAZIONE DI VOTO” open=”no” style=”default” icon=”plus” anchor=”” class=””]
Signor Presidente, la legittima difesa è un argomento delicatissimo, perché rappresenta una deroga dell’uso della forza che è normalmente riservato allo Stato. Il brocardo latino lo dice chiaro: vim vi repellere licet, è lecito restituire una violenza a chi la pone contro di te.
Nell’affrontare l’eventuale riforma di tale istituto è quindi opportuno considerare gli aspetti specifici ed anche quelli più ampi di impatto sull’intero complesso di norme che regolano il nostro vivere comune. In altre parole, nel tentativo di correggere l’attuale normativa, qualora lo si ritenesse davvero necessario (e abbiamo dimostrato che non lo è, perché non è urgente e i casi sono sparuti nei nostri tribunali), non si deve rischiare di alterare irrimediabilmente il nostro sistema di diritto, la sua ratio e la sua coerenza. In parole povere, nel nostro Paese non hanno diritto di cittadinanza né la vendetta, né la pena di morte soggettiva.
Il danno grave, oltre che a livello normativo, è anche a livello culturale. La vostra propaganda sta facendo credere ai cittadini che sarà lecito sparare in casa propria e pur non toccando le norme specifiche – lo abbiamo detto – produrrà inevitabilmente un aumento di armi in circolazione nel nostro Paese. Lo ribadisco: più armi non significa più sicurezza.
Sappiamo bene che ciò aumenta la possibilità di incidenti di ogni tipo, in un momento in cui, da anni, i reati diminuiscono. Ricordo ai senatori del MoVimento 5 Stelle quanto affermavano Di Maio e Di Battista nel 2015. Scriveva Di Maio su Facebook: «Uno Stato serio (…) non dovrebbe consentire ad un singolo individuo di tenere (…) armi in casa. La detenzione di armi va ridotta drasticamente». Così rispondeva Di Battista: «Bravissimo Luigi. In USA si comprano nei supermercati. Stiamo andando verso quel tipo di società. Ce la metteremo tutta per non permetterlo nel nostro Paese». Ecco, state facendo esattamente l’opposto, colleghi 5 Stelle. Obbedienti alle richieste del vostro alleato, state ballando sulla musica della Lega, rinnegando i vostri principi. Ciò è testimoniato anche dal ritiro dei timidi emendamenti che erano stati presentati, sia in Commissione sia in Assemblea, e comprendiamo meglio adesso il senso del Governo del cambiamento. Solo che gli accordi e i contratti al di fuori di quest’Aula umiliano e rendono inesistente, come da qualcuno già teorizzato, la funzione parlamentare.
Deve assolutamente rimanere fermo il rifiuto di qualsiasi strumentalizzazione in chiave di presunzione generale dell’inflizione privata della pena di morte – di questo si tratta – sulla base di presunzioni assolute di proporzionalità sulla sola sufficiente allegazione di uno stato di turbamento psichico, ancorché grave. Cercare di dare veste normativa a concetti di natura soggettiva, come il turbamento, quindi legati a stati d’animo dell’aggredito, è veramente pericoloso. Cosa potrebbe significare? Chi è più timoroso e più pauroso può sparare? Può sparare di più? È evidente che è un’ipotesi eccessiva. Non dimentichiamo che, come ho già detto, ai sensi dell’articolo 90 del codice penale, gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità.
L’articolo 3 della riforma modifica poi l’articolo 165 del codice penale in materia di obblighi del condannato, nel caso di condanna per furto in abitazione o con strappo, ai sensi dell’articolo 624-bis del codice penale. Il beneficio della sospensione condizionale della pena sarebbe comunque subordinato a un requisito economico: solo chi si può permettere il risarcimento può accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena per questo reato. Attualmente, invece, l’articolo 165 del codice penale lascia alla discrezionalità del giudice la possibilità di sospendere la pena, subordinandola al pagamento del risarcimento. Ancora una volta si vuole eliminare la discrezionalità e l’equo apprezzamento del giudice, manifestando l’assoluta mancanza di fiducia e il disprezzo per una funzione giurisdizionale, che merita invece rispetto e considerazione.
Il testo unificato realizzerebbe una strumentalizzazione della deroga dell’uso della forza da parte dello Stato – lo abbiamo detto – mettendo sullo stesso piano, se non addirittura in un grado di inferiorità le istituzioni e le Forze dell’ordine nell’uso legittimo delle armi. Il provvedimento in esame, se approvato, eleverebbe la legittima difesa da scriminante a una sorta di pretesa punitiva per chiunque osi violare il domicilio, determinando in maniera automatica e cronologica effetti rischiosissimi sulla coerenza del sistema giudiziario, eliminando la discrezionalità del giudice e – ci è stato detto da tutti gli operatori del diritto auditi – aprendo la strada a pericolose presunzioni assolute e generalizzate.
Si tratterebbe, infine, della certificazione di un fallimento. È lo Stato, infatti, a dover assicurare la sicurezza e l’incolumità di ciascun cittadino e non è certo armando i cittadini che le istituzioni possono anche solo immaginare di colmare le proprie mancanze, come quelle dei tagli alle risorse da destinare alle Forze di polizia e all’assunzione di nuovi poliziotti, così come sta per avvenire, sulla base delle anticipazioni che ci sono giunte sulla manovra di bilancio.
Paradossalmente, si realizzerebbe l’effetto contrario, perché se si incentiva l’aumento del numero di armi in circolazione non può che aumentare il numero degli episodi violenti, così da alimentare spirali di violenza tra aggrediti e aggressori. Del resto, come hanno avuto modo di evidenziare inutilmente molte delle associazioni di vittime audite – farmacisti, tabaccai, benzinai, gioiellieri – come risposta alle aggressioni predatorie e alle rapine a mano armata serve non una giustizia fai da te, né tantomeno un’incentivazione all’uso delle armi, quanto piuttosto trovare soluzioni di prevenzione, di controllo del territorio e di contrasto da parte delle Forze di polizia, così da diminuire i rischi per l’incolumità dei cittadini eventualmente presenti.
In particolare, i soggetti auditi hanno richiesto una collaborazione diretta con le Forze dell’ordine attraverso protocolli di intesa, che curino anche la formazione sulle azioni da porre in essere nel caso di pericolo, piuttosto che scriteriate reazioni. Il suggerimento è quello di non reagire per evitare di mettere in pericolo anche le persone presenti. Sono stati richiesti finanziamenti per implementare la videosorveglianza degli esercizi, nonché una maggiore certezza della pena. Inoltre, è stata richiesta – cosa veramente logica e di buon senso – la riduzione, se non la completa eliminazione di denaro contante attraverso l’utilizzo, senza spese per l’esercente, della moneta elettronica.
Per tutti questi motivi, preannuncio il voto contrario della componente Liberi e Uguali del Gruppo Misto e mi appello alla sensibilità dei senatori di maggioranza.
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