Egregio presidente Panizza, Magnifici Rettori, autorità, care studentesse e cari studenti,
ringrazio l‘Università la Sapienza per avermi invitato a questa giornata conclusiva dei “Dialoghi sulla sostenibilità” voluti dal Comitato Regionale di Coordinamento delle Università del Lazio in occasione del Giubileo della misericordia: una bella iniziativa che ha avuto il grande merito di mobilitare saperi, di far confrontare tra loro idee e metodi diversi, di favorire e promuovere una maggiore collaborazione tra le università laziali. Il titolo di questo incontro, “una cultura per la società dell’informazione”, apre ad un’ampia serie di temi che per altro saranno discussi in maniera approfondita e da relatori di altissimo livello nel corso della giornata di oggi. E’ doppia la sfida posta nella premessa di questo incontro. Da un lato l’analisi del rapporto tra cultura, comunicazione e reti, dall’altro l’identificazione di una strategia condivisa per un ritorno alla qualità dei contenuti, di cui abbiamo vitale bisogno, nei contesti culturali e comunicativi oltre che politici e accademici. L’epoca contemporanea, con tutti i suoi innumerevoli pregi, impone un supplemento di riflessione, un confronto serio e lungimirante per tenere il passo con i repentini cambiamenti che il progresso tecnologico ha avviato nelle relazioni sociali, nei meccanismi di partecipazione, nella diffusione e nella fruizione dell’informazione e della cultura.
“Diffida dell’uomo di un solo libro”
Nel breve spazio di questo intervento, vorrei proporre solo alcuni spunti a partire da alcune parole attribuite a Tommaso D’Aquino: “timeo hominem unius libri”, diffida dell’uomo di un solo libro. Come sapete sono varie le interpretazioni relative a questa espressione: quella sulla quale vorrei ragionare è la più letterale. La storia, e aggiungerei l’attualità, ci insegnano a temere chi costruisce la propria idea del mondo sulla base di un solo libro, che sia religioso o politico, o comunque di un pensiero unico e totalizzante. I recenti attentati che hanno scosso il nostro continente indicano che siamo esposti a fenomeni complessi da controllare e gestire. Abbiamo il dovere di calibrare attentamente le reazioni e gli interventi, evitando di agire emotivamente come alcuni, sbagliando, vorrebbero. Gli attentati in Francia e Belgio hanno svelato la nostra vulnerabilità in termini di sicurezza ma soprattutto la fragilità della nostra cultura. Lo stesso si potrebbe dire per le difficoltà che stiamo riscontrando nel far fronte all’emergenza umanitaria che si consuma al largo delle nostre coste.
Più in generale, e meno drammaticamente, stiamo assistendo ad un paradosso che impone una riflessione profonda e che deve indurci a reagire: in troppi casi il progresso tecnologico che ha cambiato radicalmente il nostro modo di comunicare con gli altri e ha aperto infinite strade alla conoscenza, ha poi nei fatti ridotto i nostri orizzonti culturali. E’ un processo noto da anni agli studiosi, che ha assunto nell’ultimo decennio evidenza plastica con i social network: mi riferisco a quella che è stata chiamata l’omofilia delle reti sociali. Semplificando: pur avendo a disposizione innumerevoli fonti e punti di vista, tendiamo tutti a selezionare esclusivamente ciò che è affine al nostro modo di pensare, convincendoci progressivamente sempre più delle nostre supposizioni e finendo talvolta per esasperarle grazie ad un effetto di rinforzo costante e conferma reciproca. In questa spirale ci scopriamo meno inclini al confronto con l’altro, al dialogo, e più sensibili ad argomentazioni estreme e semplificatorie. Rischiamo di diffidare di soluzioni complesse a problemi che non percepiamo come stratificati, che invece necessitano di essere affrontati con un pensiero lungo e strategico, inevitabilmente meno accattivante e meno funzionale alla logica dello slogan. La polarizzazione emotiva dell’opinione pubblica si riflette negativamente sulla qualità del dibattito: tendiamo a premiare, anche in termini di consenso elettorale, le opinioni più intransigenti e approssimative a discapito di chi usa argomentazioni meno facili e meno polarizzate. Il rischio è quello di ritirarsi nelle proprie convinzioni, rifiutare il dialogo e radicalizzare ulteriormente opinioni e comportamenti, con effetti anche nelle scelte politiche di importanti leader europei: penso a chi, per cavalcare la paura, propone di innalzare muri e barriere invece di riflettere su come, concretamente, sia possibile coniugare rispetto dei valori di solidarietà e accoglienza, sicurezza dei cittadini, buone pratiche territoriali, gestione oculata della spesa e su tutto la salvaguardia delle vite umane. L’unilateralismo di questo tipo di azioni, che prende il posto dell’unità di intenti e di percorsi comuni, non è la soluzione.
“Diffida dell’uomo di una sola fonte di informazione”
Parafrasando le parole di Tommaso D’Aquino si potrebbe aggiungere: “diffida dell’uomo di una sola fonte di informazione”. Tante volte, sia da magistrato che da presidente del Senato, mi sono confrontato con il tema della libertà di stampa e del pluralismo. Un’informazione libera, autorevole e indipendente è uno dei prerequisiti essenziali in un sistema democratico maturo e anche il più efficace antidoto ai rischi che accennavo precedentemente. Essa infatti gioca un ruolo fondamentale nella definizione dei temi e della qualità del dibattito pubblico: va da sé che il grado di democrazia di un Paese sia direttamente connesso alla capacità del sistema dell’informazione di svolgere liberamente il suo compito. E’ noto che in queste settimane si stiano giocando partite molto delicate negli assetti societari di importanti gruppi del mondo dell’editoria e dell’informazione. Senza entrare nel merito delle scelte, va ribadito che alle istituzioni di garanzia spetta un dovere di vigilanza e controllo che tuteli, in prospettiva, il bene fondamentale del pluralismo. Oltre che a livello editoriale però, occorre educare allo sforzo e alla fatica del confronto anche i cittadini, a partire dai più giovani. Non basta un solo giornale né un solo sito, non basta seguire i link che gli amici pubblicano su Facebook o scorrere i tweet dei profili che seguiamo, non basta un programma televisivo o qualche breve video su YouTube per capire la complessità del nostro Paese e del nostro mondo. Serve tutto questo, e molto di più. La capacità di assegnare a ciascuna fonte il suo peso, la conoscenza di chi sia l’editore della testata che leggiamo e di quali altri interessi economici o politici rappresenti, l’intelligenza di saper unire i puntini e infine la capacità di sintetizzare il tutto in una opinione, finalmente, davvero informata.
“Diffida dell’informazione che ha una sola fonte”
Mi avvio alla conclusione proponendo un’ultima considerazione, intimamente connessa con le precedenti. Parafrasando ancora San Tommaso: “diffida dell’informazione che ha una sola fonte”. Se è fondamentale valorizzare la pluralità di idee e di luoghi di conoscenza è altrettanto vitale tenere alta l’attenzione sull’etica e la deontologia degli operatori dell’informazione. Anni fa Umberto Eco diede questa definizione dell’uomo di cultura: “essere colti non significa ricordare tutte le nozioni, ma sapere dove andare a cercarle”. Nell’epoca dei motori di ricerca il problema non è certo trovare un’informazione ma, come abbiamo visto, saperne dare una lettura consapevole. In questo senso ha una grande responsabilità chi opera nei settori della stampa, dell’editoria, dell’informazione e della cultura in generale. Due sono i rischi principali: da un lato l’abbassamento degli standard deontologici, dall’altro la dipendenza economica o normativa dal potere. Non è un mistero che negli ultimi anni questi siano stati settori fortemente penalizzati dalla crisi economica e, per rispondere a queste difficoltà, si sia fatto ricorso a modelli di business che puntano più alla quantità dei click che alla qualità dei contenuti. Nel lungo periodo credo che questo atteggiamento sia controproducente: gli utenti non sono semplicemente alla ricerca di una curiosità o di uno slogan ma di una notizia o di una visione originale e approfondita della realtà. Per fare un esempio: qualche settimana fa Anna Masera, la prima “public editor” di un quotidiano nazionale, in questo caso la Stampa, ha scritto una rubrica contro la tendenza al “clickbaiting”, ovvero l’esasperazione dei contenuti e dei titoli degli articoli utilizzati come esche per attirare click. Scrive: “non vale la pena promettere ai lettori ciò che non si è in grado di mantenere perché magari cliccano, ma poi si irritano e non tornano. Dai giornali ci si aspetta la ricerca della verità, scritta bene. Ed è chiaro che il clickbait nel giornalismo non sia deontologicamente accettabile.” Ma questo non è un problema solo dei siti internet. Io stesso potrei raccontarvi moltissime esperienze di titoli virgolettati che mi attribuivano frasi mai pronunciate, utili però ad esasperare i concetti e favorire una polemica che avrebbe potuto riempire altre pagine nei giorni seguenti. L’ultimo avviso riguarda appunto l’informazione che utilizza una sola fonte: è evidente che non si tratta di informazione ma di pubblicità mascherata, quando riguarda beni o servizi, propaganda quando si occupa di politica, proselitismo quando tratta di teorie fantasiose o complotti.
Concludo. Nella società dell’informazione siamo tutti immersi in un flusso costante, caotico e ridondante di stimoli. Per quanto possa sembrare paradossale la prima competenza da avere e da insegnare è quella di saper filtrare, capire velocemente cosa ignorare, quindi scegliere cosa interessa sapere e a quali fonti ragionevolmente affidarsi. La seconda è quella di sfruttare al meglio le infinite possibilità che le reti e le connessioni ci offrono, non fermarci al recinto dei simili ma spaziare tra le conoscenze e i saperi, accettando di sfidare i nostri pregiudizi e preconcetti, con curiosità e spirito critico. La terza è di non fermarsi alla lettura e all’approfondimento, ma impegnarsi nella produzione di contenuti originali, ciascuno per i propri ambiti di competenza e di interesse. La facilità nella condivisione, il confronto costruttivo, la possibilità di migliorare grazie alle risposte degli altri è un’opportunità che è passata dai ristretti ambiti accademici o professionali alle diffuse reti sociali e telematiche. E’ faticoso, ma è la più grande possibilità di cambiamento e miglioramento che offre il nostro tempo.
Nel difendere e valorizzare chi diffonde cultura viene garantita alle giovani generazioni la possibilità di sviluppare talenti, realizzare sogni, infrangere barriere. Le università possono e debbono essere al centro di uno sforzo di riappropriazione degli spazi di confronto e dialogo. In questa sala c’è una parte della futura classe dirigente, alla quale dobbiamo fornire il maggior numero di strumenti utili per poter essere all’altezza delle difficoltà che il domani ci presenterà. Da parte vostra, ragazzi, dovete mettercela tutta: non limitatevi ad affrontare questi anni con l’unico obiettivo di laurearvi. Abbiate il coraggio di mettervi alla prova e di impegnarvi tanto sotto il profilo accademico quanto su quello della cittadinanza attiva. Siate protagonisti e non comparse: abbiamo bisogno della vostra forza ideale e critica per poter difendere e accrescere il pluralismo e la profondità dei contenuti che rappresentano le vere sfide della contemporaneità. Altrimenti restano solo le fotogallery dei divi e i video di gattini. Grazie.