Discorso in occasione della presentazione del libro sulla politica estera di Alcide De Gasperi curato da Giuseppe Petrilli
Signora De Gasperi, Eminenza, Signore e Signori,
ho accettato con piacere di partecipare a questo vostro incontro in occasione della ripubblicazione del pregevole libro di Giuseppe Petrilli sulla politica estera ed europea di Alcide De Gasperi.
Ringrazio l’onorevole Fioroni e il senatore D’Ubaldo per essersi fatti promotori di questa iniziativa che cade in un momento significativo. Significativo per la nostra memoria: celebriamo infatti il sessantesimo anniversario della scomparsa di Alcide De Gasperi, ma ricordiamo che proprio in quell’anno, il 1954, si bloccò il processo di ratifica della Comunità europea di difesa, l’ultima grande battaglia politica dello statista trentino che avrebbe dato una dimensione politica e addirittura costituzionale al processo di integrazione europea, che invece è proseguito privilegiando una dimensione essenzialmente economica.
E oggi il problema dell’Europa è proprio la debolezza di questa dimensione politica, di un dibattito pubblico incapace di scaldare gli animi e farli appassionare a un progetto al quale si lega invece, e in modo indissolubile, il destino del nostro paese e più in generale il futuro di tutti i popoli europei: siamo chiamati infatti a rilanciare un modello europeo di sviluppo frutto del felice connubio tra democrazia e stato sociale. Dicevo, questo è un momento significativo, e lo è per delle ulteriori ragioni. Celebriamo quest’anno infatti anche i quarant’anni del progetto Spinelli, quel primo progetto organico di Trattato costituzionale europeo dopo il fallito tentativo della CED (Comunità Europea di Difesa). Ma soprattutto siamo alla vigilia di una competizione elettorale, quella per il Parlamento europeo, che è un’occasione da non perdere per dare finalmente quel respiro politico di cui l’Unione, la nostra Unione europea, ha bisogno.
Siamo anche alla vigilia del semestre italiano di Presidenza del Consiglio: un’ulteriore occasione per il nostro Paese di rilanciare il progetto europeo, nel solco di quel ruolo federatore che l’Italia repubblicana ha storicamente svolto seguendo proprio la lezione di De Gasperi. E’ stata infatti, questa per l’integrazione europea, la battaglia che più ha segnato l’impegno politico del grande statista trentino. Trovatosi alla guida dell’Italia repubblicana, uscita distrutta e umiliata dalla guerra mondiale in cui l’aveva precipitata il regime fascista (e lo dico con una certa emozione, alla vigilia della Festa nazionale della liberazione), De Gasperi capì – come bene scrive Petrilli – che l’apertura verso la cooperazione internazionale era un compito fondamentale della nuova classe dirigente: da qui nasce la mirabile formulazione dell’art. 11 della nostra Costituzione.
Di fronte alle macerie e alle distruzioni cui avevano condotto le degenerazioni nazionalistiche, De Gasperi è convinto, e cito Petrilli, che “l’instaurazione di un ordine internazionale più equo postula necessariamente non solo la trasformazione dei singoli Stati in senso liberale, ma il loro aprirsi a più organiche forme di solidarietà internazionale” . Questa aspirazione alla solidarietà internazionale trova in De Gasperi motivazioni innanzitutto morali che affondano le proprie radici nella sua profonda cultura e fede cristiana. La cooperazione tra i popoli è infatti intesa da De Gasperi “come la più alta e la più larga forma dell’amore del prossimo”. Questo orientamento ideale è alla base delle scelte compiute da De Gasperi, che hanno orientato e segnano ancora oggi la politica estera dell’Italia repubblicana: l’atlantismo e l’europeismo. Scelte che divisero la politica italiana, e la divisero sino agli anni in cui Petrilli scrive, ma che dalla fine degli anni Settanta sono invece un motivo di unità e di fondamentale solidarietà nazionale tra le principali forze politiche del Paese. La scelta atlantica e l’europeismo per De Gasperi non erano frutto solo di motivazioni ideali, ma anche di una realistica considerazione delle condizioni dell’economia italiana, che solo attraverso una larga partecipazione agli scambi tra le nazioni e sulla base di una forte apertura alla cooperazione internazionale avrebbe potuto riprendersi.
Con realismo dunque De Gasperi, da Ministro degli Esteri del Governo Parri e poi dal 1945 come Presidente del Consiglio, inizia ad affrontare la spinosa questione del Trattato di Pace. Lo fa con sobrietà e sincerità, nella consapevolezza dei sacrifici che l’Italia deve fare. Con questo stile riesce subito a garantire all’Italia credibilità creando così quelle condizioni che, nel corso degli anni, permisero di attenuare tante delle stringenti clausole del Trattato.
Lucidamente individuò poi negli Stati Uniti l’interlocutore privilegiato della politica estera nazionale. Coerenza e affidabilità, questa è la cifra che De Gasperi seppe affermare, una qualità – come nota giustamente Petrilli – che permise all’Italia di presentarsi “all’opinione pubblica internazionale in una luce ben più favorevole di quella che le è stata purtroppo consueta in tempi meno calamitosi”. Tensione ideale unita a pragmatismo, un comportamento coerente e affidabile, permisero a De Gasperi di rompere l’isolamento politico dell’Italia, grazie al decisivo aiuto statunitense. Un’Italia che, come disse De Gasperi alla Camera l’8 febbraio del 1947, “vuol dar prova di buona volontà e di ogni sforzo ragionevole e possibile per liquidare la guerra, poiché l’Italia – nonostante il contenuto del Trattato – non dispera, non vuole disperare dell’avvenire”.
L’esame parlamentare della ratifica del Trattato di Pace fu un dibattito alto e forte; come efficacemente scrive Petrilli, questo dibattito fu un vero “esame di coscienza del Paese”. Il profondo realismo, ma anche la concezione ampia e solidaristica dei rapporti internazionali permise poi a De Gasperi di cogliere il senso politico profondo dell’iniziativa del Piano Marshall. Le risorse fornite dagli Stati Uniti per la ricostruzione europea erano e furono il volano che permisero una complessiva riorganizzazione economica dell’Europa occidentale e l’avvio del processo di integrazione politica. Petrilli descrive bene il contributo determinante di De Gasperi. Ricorda Petrilli che De Gasperi “muovendo, come era nel suo costume di realismo politico, dalla considerazione delle condizioni oggettive del Paese e degli stessi interessi nazionali (…) giungeva ad indicare chiaramente l’esigenza di un parallelismo fra i due momenti fondamentali dell’integrazione economica: la rimozione degli ostacoli ai movimenti dei fattori della produzione e il progressivo coordinamento delle politiche economiche nazionali”.
De Gasperi è in prima linea ed è animatore del negoziato del Trattato istitutivo della CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio) e quindi poi di quello istitutivo della CED (Comunità Europea di Difesa). In quest’ultimo negoziato, come ricorda Petrilli, De Gasperi “scrisse alcune delle pagine più alte della sua carriera di uomo politico”.
Voglio chiudere questo intervento ricordando le parole di un discorso che egli tenne nell’Aula del Senato nel novembre del 1950:
“Qualcuno ha detto che la Federazione Europea è un mito, è vero. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti tra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’Unione. Volete il mito della dittatura – proseguiva De Gasperi – il mito della forza, il mito della propria bandiera sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma noi allora creeremmo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io dico che questo mito è il mito di pace; questa è la pace e questa è la strada che dobbiamo seguire”. (fine della citazione)
È una lezione straordinaria questa di De Gasperi, ancora attualissima, capace di coniugare e risolvere, in una sintesi felice, la capacità di governo, fatta di realismo e pragmatismo, con un’alta tensione ideale. Quella tensione di cui oggi sentiamo tanto la mancanza nel dibattito pubblico europeo, che pure oggi ha un’occasione imperdibile nelle prossime elezioni per il Parlamento europeo.
Oggi più che mai la costruzione europea è a un punto di svolta, sotto assedio. Deve fronteggiare questioni epocali: la crisi economica e finanziaria, le migrazioni, la criminalità organizzata, l’instabilità geopolitica alle nostre porte causata da conflitti, da povertà, terrorismo, violazioni dei diritti e della dignità umana. Ed è minacciata da nazionalismi, populismi e sentimenti di disaffezione e sfiducia nei confronti di un progetto a volte percepito come lontano dagli ideali iniziali ed incapace di garantire benessere e futuro dei cittadini. La campagna per le elezioni europee del 25 maggio si apre così in un clima di disorientamento che rischia di far dimenticare ai nostri cittadini gli enormi progressi realizzati da un progetto appassionante che ha garantito al “vecchio continente” un periodo di pace e di stabilità prima inimmaginabili. E credo che noi tutti dobbiamo proprio in questo momento sentirci investiti della responsabilità individuale e collettiva di affrontare certi nodi irrisolti nell’edificio istituzionale dell’Unione e restituire così alla coscienza dei nostri cittadini fiducia nei valori di libertà, giustizia e dignità umana che sono alle fondamenta del progetto europeo.
Per affrontare la crisi di fiducia che investe il progetto europeo dobbiamo ripartire dalla riscoperta dei meccanismi democratici di base, dalle assemblee rappresentative che sono funzionali a trasformare le domande degli elettori in politiche comuni di intervento. In questa direzione, nell’ambito del confronto politico e parlamentare in atto a proposito di una sostanziale riforma dell’attuale sistema di bicameralismo paritario e di una revisione delle funzioni del Senato, è condivisa da tutte le forze politiche l’esigenza di un rafforzamento dell’impegno europeo del Senato sia nella fase ascendente sia in quella discendente del procedimento legislativo.
Solo se sapremo farci trovare preparati ad affrontare queste istanze di rinnovamento istituzionale potremo trovare soluzioni comuni per affrontare le sfide che oggi la storia pone di fronte al progetto europeo. Un’Unione che si fonda, come recitano i Trattati “sui valori del rispetto della dignità umana, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani” deve riscoprire meccanismi decisionali funzionali a riaffermare quella dimensione politica dell’integrazione europea che è coessenziale a rendere effettiva la clausola di solidarietà sancita dai Trattati fondativi.
Con questo spirito ci prepariamo al semestre di presidenza italiana che si terrà durante la delicata fase di transizione delle istituzioni europee e che deve segnare l’avvio di una legislatura europea dedicata all’occupazione giovanile, alla crescita, alla politica industriale, ai temi energetici, allo sviluppo sostenibile e insieme al rafforzamento delle istituzioni europee. Non più Europa o meno Europa, dunque, ma un’Europa migliore, meno chiusa dentro le logiche istituzionali e più aperta al dialogo con i cittadini e con i loro rappresentanti.
Giuseppe Petrilli, che fu anche lui protagonista della vita pubblica nazionale (da Presidente dell’Iri e da Senatore), ma anche europea (fu Commissario europeo e a lungo Presidente del Consiglio del Movimento europeo), conclude il suo saggio affermando che “a vent’anni di distanza dalla sua morte, e in una situazione interna e internazionale per tanti aspetti mutata, la lunga gestione politica degasperiana spicca sempre più nella nostra storia recente come un isolato monolito”. Due settimane fa ero a Praga, in occasione della cerimonia per il decennale dell’ingresso della Repubblica Ceca nell’Unione europea. Durante il suo intervento, il presidente del Parlamento europeo ha, non a caso, citato proprio De Gasperi e il suo impegno europeista: vi confesso che, da italiano, questa cosa mi ha riempito d’orgoglio. E’ il segno che ancora oggi, a sessanta anni dalla sua morte, lo dobbiamo riconoscere con chiarezza, De Gasperi continua a rimanere un termine di paragone e un riferimento essenziale per l’azione politica di qualsiasi governo e di ogni uomo politico, italiano ed europeo.