Intervista rilasciata il 6 febbario 2014
Nell’ufficio la foto di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, negli occhi l’emozione quando ricorda il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi contro “la mafia portatrice di morte”. Pietro Grasso, 43 anni in magistratura, sette come procuratore nazionale antimafia, da un anno presidente del Senato, continua a credere che “la legalità, la verità, la giustizia, siano gli obiettivi da perseguire da parte di tutti i cittadini, ma ancor di più quando si decide di scendere in politica”. Di recente tutto il Parlamento gli si è stretto attorno quando, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Gioacchino La Barbera ha svelato il piano di Cosa nostra contro di lui. L’esplosivo da mettere in un tombino sulla via che a Monreale conduceva alla casa dei suoceri, il furgone modificato, i telecomandi da azionare.
Presidente Grasso, nella sua ultima pubblicazione, Lezioni di mafia, lei comincia parlando delle rivelazioni di Tommaso Buscetta. Era il 1984. A distanza di 30 anni parliamo ancora di mafia. Non è cambiato niente?
“Se parliamo di Cosa nostra, credo che sia cambiato moltissimo. Certo non possiamo dire che non esiste più, ma oggi, ne conosciamo tutti gli aspetti e le evoluzioni che ha affrontato nei vari anni. Buscetta è stato determinante. Come scrivo nel libro, ci ha svelato innanzitutto l’etimologia: mafia è una creazione letteraria, “noi ci chiamiamo Cosa nostra”, ci ha subito detto. E poi ci ha dato le chiavi per capire tanti aspetti di questa organizzazione. Non solo il lato criminale, ma il rapporto con la società, con la politica, con l’economia. Falcone, commentando le parole di Buscetta, diceva che se fosse stata una organizzazione criminale come tutte le altre sarebbe già stata distrutta, invece la difficoltà è quella di affrontare un fenomeno che ha un supporto, un appoggio sociale, economico e di consenso da parte della popolazione. Per questo è difficile sconfiggerla completamente”.
Una delle Lezioni è dedicata appunto al consenso. In una delle interviste riportate c’è persino chi dice che “è bene che la mafia esista”. Come colpire questo consenso?
“Il problema principale è cercare di risolvere i problemi esistenziali, di sussistenza di buona parte della popolazione. Quando per poter ottenere i propri diritti non si avrà più bisogno di ricorrere a qualcuno, mafioso, politico o amministratore che sia, là comincerà il cambiamento. Delle strade ci sono per avere il coraggio di uscire da questa area grigia. Non basta la repressione, ci vuole soprattutto il coinvolgimento. In Sicilia vorrei ricordare che importanti frange dell’area grigia si sono staccate grazie a Confindustria che ha applicato un meccanismo per cui vengono espulse le imprese che sottostanno ai ricatti o alle tangenti. Oppure l’esperienza dei ragazzi di Addio pizzo, che, unendosi, fanno forza per resistere alle pressioni. Questo prima non c’era e in altre regioni, penso alla Calabria, dove nonostante buoni segnali il coinvolgimento fa ancora fatica, ma sono strade che stanno funzionando. E poi bisogna sradicare la convinzione che la mafia dia lavoro e protezione. Una cosa difficile quando, come avviene soprattutto nel Sud d’Italia, non c’è uno Stato che riesce a essere, nel welfare, sostitutivo del sistema mafioso. Occorrono più risorse umane e materiali per uscire da questa forma di schiavitù psicologica, ma soprattutto economica per cui è il sistema mafioso che ti dà lavoro, con la microcriminalità (spaccio, contrabbando, contraffazione), ma anche lavoro legale, come, per esempio, nei cantieri edili”.
Lei ha parlato di clientelismo. Bisogna fare qualcosa in più anche per rompere i rapporti politica-mafia che di questo si nutrono?
“Un passo in avanti si potrà fare con la legge sul voto di scambio. Reato già previsto dalla legge, ma perseguito solo quando c’è passaggio di denaro. Abbiamo visto, invece, che le mafie offrono altre utilità: promesse, affari, appalti… È questo che bisogna colpire. E, insieme, dobbiamo evitare che il sistema mafioso inquini quello legale con un meccanismo ‘delle cricche’. Cioè se fai parte di un club ne rispetti le regole e ne godi i benefici, altrimenti sei tagliato fuori. Bisogna dire chiaramente che anche questo è un sistema mafioso”.
Queste Lezioni sono rivolte soprattutto agli studenti. Anche lei è convinto che le mafie saranno sconfitte partendo dalla scuola?
“Lo diceva già lo scrittore Bufalino: ‘la mafia sarà sconfitta da un esercito di maestri’. Però occorre anche il lavoro, occorrono i servizi. Quando andavo a parlare nelle scuole, i giovani che stavano finendo gli studi mi chiedevano: ‘E adesso chi ci dà una mano? A chi mi rivolgo per trovare un lavoro? Al mafioso? Al politico? Io sono costretto a emigrare ad andare a trovare un lavoro all’estero o nel nord Italia”. Questi giovani che sono formati alla legalità, che sono la linfa necessaria per cambiare questa società, se ne vanno. Tanti di quelli che restano si adeguano al sistema. Il punto vero è che se noi non riusciamo a dare la possibilità a questi giovani di poter restare a lavorare nella loro terra d’origine, di poter essere la nuova classe dirigente che può cambiare il sistema, sarà difficilissimo sconfiggere definitivamente le mafie”.