La lotta alla mafia che non si arrende mai

di Emilia Costantini per il Corriere della Sera 

Sono trascorsi 30 anni dal maxi processo, che ha segnato il primo importante capitolo nella lotta alla mafia. Qual è il bilancio che il Presidente Grasso fa di questi anni?

Per varie ragioni, il maxi processo ha rappresentato e continua ancora a rappresentare una svolta epocale nella lotta alla criminalità organizzata. Sotto il profilo giudiziario era una sfida, erano infatti tantissime le trappole procedurali che avrebbero potuto minarne il percorso, eppure le intuizioni di Falcone si rivelarono vincenti: per la prima volta si dimostrò l’esistenza di Cosa nostra come organizzazione unitaria e verticistica e centinaia di suoi membri vennero condannati a pene durissime. La lotta alla mafia da allora è andata avanti, giorno dopo giorno, con grandi successi fino all’annientamento della struttura di comando. Abbiamo percorso tantissima strada ma non possiamo ancora dirci totalmente soddisfatti.

La vicenda personale che Lei racconta nel libro ‘Per non morire di mafia” che cosa intende comunicare alle giovani generazioni?

Tante volte ricordo a me stesso che la mafia non si arrende mai e che dobbiamo rimanere vigili e continuare a darci da fare. La criminalità organizzata si batte con un lavoro collettivo, serve l’impegno di tutti. Ripeto spesso che all’antimafia della repressione, va affiancata quella della speranza: nessun magistrato, poliziotto, politico può infatti ottenere risultati decisivi se la sua azione non è sostenuta, condivisa e partecipata da ogni cittadino. Ai più giovani chiedo di essere consapevoli, di non essere indifferenti ai piccoli e grandi soprusi, di conoscere la storia di uomini e donne che hanno dato la vita per la giustizia e la legalità.

A suo avviso i giovani di oggi, spesso frastornati tra social network e mancanza di punti di riferimento familiari, rappresentano comunque una speranza per il futuro?

I giovani sono la nostra più grande speranza: una comunità che non crede in loro rinuncia al proprio futuro. In tutti questi anni, prima da magistrato e ora da Presidente del Senato, ne ho incontrati a migliaia: nei loro occhi ho sempre visto il desiderio di rendere migliore il nostro Paese, di essere utili. Nella mia personale esperienza ogni volta che ai ragazzi è stata data l’opportunità di esprimere i propri talenti e la propria visione del mondo, con l’entusiasmo e la passione di cui sono capaci, i risultati sono stati straordinari. Le Istituzioni, a partire dalla scuola, devono accompagnarli, sostenerli, dargli gli strumenti per potersi realizzare come cittadini di oggi e di domani. Se non faremo tutto il necessario per permettere a ogni ragazza e ragazzo di trasformare in realtà i propri sogni e concorrere così al bene comune avremo drammaticamente fallito: il risultato sarà avere una nazione meno coesa, più povera, più intollerante.

Quale può essere il ruolo delle donne di oggi nella lotta alla mafia. E mi riferisco soprattutto a quelle figure di donne emancipate, libere, autonome che purtroppo, molto spesso, finiscono vittime di femminicidi.

Le “donne di mafia” hanno svolto un ruolo fondamentale nel denunciare la natura, i “valori” e la struttura delle cosche. L’immaginario collettivo e alcuni errati luoghi comuni le hanno sempre considerate subalterne, tanto nella famiglia che nella società. Nel bene e nel male le cose stanno cambiando: da un lato sono sempre più numerose le donne che assumono ruoli chiave nella gerarchia criminale, dall’altro sono sempre più i casi di collaborazione con le forze di polizia e con la magistratura. Le donne possono svolgere un ruolo fondamentale nell’affermazione della cultura della legalità. Più in generale, sulla parità di genere e i femminicidi, sono necessari, ancora grandi sforzi anche se nel corso degli ultimi decenni le cose sono sicuramente migliorate. Recentemente ho aderito alla campagna mondiale “He for she” che si pone come obiettivo quello di coinvolgere gli uomini nel processo di consolidamento dei diritti e del ruolo delle donne: sono davvero convinto che gli uomini debbano essere i primi protagonisti di questo cambio di prospettiva.

Lo spettacolo tratto dal suo libro viene rappresentato in giro per l’Italia da cinque anni. Cosa aggiunge il teatro, cioè la comunicazione con il pubblico dal vivo, alla storia da Lei raccontata in forma letteraria?

Devo dire che non mi aspettavo una risposta così numerosa da parte del pubblico e un successo tanto duraturo. Ciò significa che le persone hanno voglia di sapere e conoscere a fondo le storie di mafia, di interrogarsi e anche di riflettere su come la mafia possa costituire la metafora del potere. Il grande merito è senza dubbio di Sebastiano Lo Monaco, del regista Alessio Pizzech e degli autori, che dal mio libro intervista hanno tratto uno spettacolo che emoziona e coinvolge il pubblico.

Io ho saputo che Lei con la sua famiglia frequenta le sale teatrali. In particolare ho saputo che è spesso tra gli spettatori estivi al Teatro Greco di Siracusa. C’è un motivo particolare legato alla scelta del teatro classico? E tra gli autori del grande repertorio quali predilige e perché?

Vado ogni anno a Siracusa sin da quando ero studente, ho sempre pensato che il teatro classico potesse continuare a svolgere nell’attualità il ruolo che già aveva nell’era antica e cioè una funzione sociale ed educativa, oltre che artistica. Euripide, a mio modo di vedere, è il più moderno degli autiori greci.

Frequenta altre forme di Teatro? Segue anche gli autori contemporanei? Se si, può fare qualche nome?

Mi piacciono tutte le forme di teatro, dall’Opera lirica al monologo.

 

Quando accettai l’incarico di giudice a latere del maxiprocesso sapevo come sarebbe cambiata la mia vita: pressioni, minacce, una vita blindata, la paura di ritorsioni sulla famiglia, tentativi di legittimazione, la fine della privacy. . Guardandomi indietro vedo ostacoli che sembravano insormontabili, momenti di profondo sconforto, frustrazione e dolore ma anche soddisfazione per i risultati raggiunti. Da più di tre anni mi sono ‘spostato in politica’ ma non ho abbandonato gli obiettivi e gli ideali che mi hanno sostenuto e guidato nel corso di 43 anni di magistratura. Farò tutto quello che è possibile per continuare a cercare la verità sulle stragi e su tutti i misteri che avvolgono i fatti di mafia: lo devo ai colleghi e agli amici che hanno pagato con la vita la  fedeltà alle Istituzioni.