Il tritolo e il coraggio di Paolo e Giovanni

Colleghi, maestri, amici. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati molte cose per me. Magistrati abilissimi, con un talento da fuoriclasse e una tenacia proverbiale: ad ogni sconfitta e amarezza rispondevano con coraggio e orgoglio, rialzandosi sempre. Non hanno mai permesso allo sconforto o alla paura di fermarli, ci sono voluti centinaia di chili di esplosivo per riuscirci. Quel maledetto 23 maggio lo svincolo di Capaci si trasformò in uno scenario di guerra impresso in modo indelebile nella mia mente; cinquantasette giorni dopo il boato di Via D’Amelio squarciò l’apparente quiete di una domenica qualunque d’estate, rendendola tristemente indimenticabile per l’Italia intera.

Sono passati 25 anni, eppure per certi aspetti, il tempo si è fermato ad allora. Falcone e Borsellino sono ancora celebrati – in Italia e nel mondo – come esempi di competenza, di dedizione, di rettitudine, di amore viscerale per la legalità e la giustizia. Hanno mostrato a tutto il nostro Paese che, quando si crede davvero in qualcosa, niente è davvero impossibile. Nessuno avrebbe mai pensato saremmo arrivati in fondo al maxiprocesso, a infliggere migliaia di anni di carcere ai mafiosi, a dimostrare in un tribunale l’esistenza di Cosa nostra; in pochi avrebbero scommesso che sarebbe stato possibile, un giorno, aprire un negozio a Palermo e non essere costretti a pagare il pizzo. Eppure è successo, grazie a uomini come loro. Uomini, non eroi, con pregi e difetti, con sogni e debolezze. Quando penso a loro mi vengono in mente momenti di vita quotidiana nei quali esorcizzavamo la fatica e i rischi del nostro mestiere con una battuta di Giovanni o con uno scherzo di Paolo ai colleghi. Falcone e Borsellino ci hanno convinto che anche le cose più difficili e apparentemente senza speranza, come sconfiggere la mafia, possono accadere; hanno insegnato molto a tutti noi e ispirato l’impegno per la legalità di chi ogni giorno raccoglie il loro testimone, di chi non rimane più in silenzio, di chi sceglie di combattere invece di defilarsi.

Migliaia di cittadini, da nord a sud, si uniranno oggi nel loro ricordo. La Nave della legalità è una bellissima tradizione, la metafora di un viaggio nel quale studentesse e studenti sono protagonisti di un’utopia che si fa realtà, generando speranza. Insieme a Falcone e Borsellino renderemo un profondo e sentito tributo agli uomini e alle donne che persero la vita per tutelarne l’incolumità. Troppo spesso li chiamiamo «ragazzi della scorta», voglio ricordarne i nomi perché non siano mai dimenticati: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. I bambini nati nell’anno delle stragi di Capaci e Via D’Amelio sono ormai diventati adulti, qualcuno di loro ha già dei figli. Per questo ho voluto riaprire l’album della mia storia personale e professionale, con la speranza di trasmettergli i valori e gli ideali che hanno guidato tutta la mia vita. Ho scelto di raccoglierli in un libro, edito da Feltrinelli, da pochi giorni in libreria: «Storie di Sangue, Amici e Fantasmi». Storie di sangue, quello che ha imbrattato la mia Sicilia e scosso l’Italia intera; di fantasmi che sembravano imprendibili come Provenzano; di amici, come Giovanni e Paolo. Alcuni ricordi sono dolorosi, altri mi fanno sorridere, altri ancora sono frustranti: tutti mi danno la forza e la determinazione di continuare, fino a quando la mafia avrà una fine.