Intervista di Ugo Magri per La Stampa
In quasi tre anni, un quarto di deputati e senatori ha cambiato casacca. Non le sembrano troppi, presidente Grasso?
«In passato non erano mai stati così tanti: siamo oltre il fisiologico. E’ vero che in base alla Costituzione non esiste vincolo di mandato ma questo principio era stato introdotto per garantire la libertà di coscienza ogni qualvolta fossero in gioco questioni essenziali. Invece se ne fa uso per cambiare partito, creare sigle che non esistevano alle elezioni o per regolare i conti interni ai partiti, magari nascondendosi dietro il voto segreto».
Quali conseguenze provoca il trasformismo?
«Aggrava la crisi della rappresentanza politica. Dicono i sondaggi che solo 1 italiano su 10 si fida del Parlamento, e 1 su 20 dei partiti. Dati che preoccupano»
Ha qualche idea su come invertire la tendenza?
«Si potrebbe varare una legge sui partiti politici e finalmente attuare l’art.49 della Carta costituzionale. Per la trasparenza sarebbe bene regolamentare le lobbies, come avviene in quasi tutti i paesi occidentali. Anche una disciplina chiara del conflitto d’interessi contribuirebbe a far risalire la fiducia».
La sorte del Senato dipende dal referendum. Cosa si aspetta dalla campagna referendaria?
«Che non si trasformi in un plebiscito pro o contro qualcuno, prescindendo dai contenuti della riforma. Perché, vede, la revisione costituzionale ha regole concepite apposta per arrivare a scelte il più possibile meditate e condivise, con una serie di passaggi parlamentari che invitano alla riflessione… E quando non c’è la maggioranza dei due terzi i Padri costituenti, per garantire le minoranze e le diverse sensibilità, vollero dare la possibilità agli elettori di scegliere attraverso il referendum. In questo momento il dovere di tutte le forze politiche è ristabilire un patto di fiducia e di rispetto tra elettori e Istituzioni, ed evitare che queste diventino oggetto di invettiva e delegittimazione».
Lei davvero scorge questo pericolo?
«Lo vedo nel caso in cui il dibattito venisse male impostato. Se la campagna referendaria sarà concentrata solo sui risparmi che si potranno ottenere con la riforma, anziché sulle tante novità introdotte, sa cosa può succedere? Che aumenteranno i toni fino a mettere in discussione la legittimità passata, presente e futura del Senato, al limite del vilipendio».
Vilipendio in che senso, presidente Grasso?
«Sostenere ad esempio che il Senato non serve a nulla o, peggio, non è mai servito a nulla sarebbe un’offesa alla storia di questa Istituzione».
Ammetterà che la logica stessa del referendum porta a brutalizzare, in fondo la scelta è tra un «sì» e un «no»…
«Proprio per questo mi aspetto un dibattito che entri nel merito delle tante questioni e permetta ai cittadini di formarsi un giudizio consapevole, che possa far valutare i cambiamenti nel complesso e maturare una convinzione. Le parti politiche dovrebbero evitare la barbarie dello scontro esasperato e personalizzato, che porterebbe a delegittimare le Istituzioni indipendentemente dal risultato».
Se il «sì» vince, a questo tipo di Senato restano ancora due anni. Di qui al 2018 lei che «mission» si è dato?
«Una missione doppia. Da un lato preparare la transizione verso il Senato futuro come disegnato dalla riforma, con una serie di decisioni che saranno utili comunque e a prescindere dall’esito referendario. Abbiamo svolto seminari di studio, ho firmato un Protocollo di Intesa con i Presidenti dei consigli regionali, avviato la formazione del personale sulle funzioni di indirizzo, controllo e valutazione delll’impatto delle leggi. Non solo, ma è in atto l’integrazione tra servizi e risorse delle due Camere per razionalizzare le spese, entro il mese si darà avvio al processo di unificazione dei dipendenti in un ruolo unico… Semplificare il sistema sarà uno sforzo epocale».
Su questo non c’è dubbio. Dall’altro lato?
«Proseguiremo l’attività legislativa ordinaria, ancora bicamerale, che in questa legislatura ci ha permesso di migliorare molti provvedimenti: dalla responsabilità civile dei magistrati al voto di scambio, agli eco-reati per citarne solo alcuni».
Tra breve discuterete di unioni civili, tema che divide. Qual è la sua posizione?
«La dico anche se so che sarò criticato. Ma quando si tratta di diritti anche il presidente del Senato rivendica il diritto di esprimersi».
Per segnalare cosa?
«Che se ne parla ormai da troppi anni. È venuto il tempo di prendere atto della realtà sociale e riconoscere piena cittadinanza ai diritti delle coppie omosessuali. Nessuno va a toccare i diritti di chi già ne ha. Semmai si cambia la vita a chi finalmente se li vede riconoscere».
Il dibattito però si è spostato altrove, sulla cosiddetta «stepchild adoption»
«Tradotto in italiano fa meno paura perché significa: prendersi cura del figlio del partner, ad esempio in caso di morte del genitore naturale. Più che un diritto, a me sembra un dovere».
Non teme, come qualcuno, che diventi il cavallo di troia per l’«utero in affitto»?
«La maternità surrogata riguarda, per la quasi totalità, coppie eterosessuali. E comunque in Italia è un reato e tale resterà. Quindi poco c’entra con le unioni civili».
Altro tema controverso: l’immigrazione. Come giudica la chiusura di alcune frontiere?
«Sigillare le proprie frontiere davanti alla storia è un’illusione e un atto di egoismo che indebolisce l’Europa: accogliere i rifugiati è un dovere morale e giuridico. Non si può tornare indietro su Schengen, ma andrebbero rivisti gli accordi di Dublino che penalizzano i Paesi di prima accoglienza».
Chi non vuole i profughi cita il caso di Colonia e delle donne minacciate
«E’ stata una vergogna inqualificabile e inaccettabile, per la quale servono condanne spero esemplari. Certo, occorre capire se vi sia stata una regia, di che tipo e volta a quale scopo: domande inquietanti che esigono una risposta. Ma sulla libertà di tutti e sui diritti delle donne siamo disponibili solo a passi avanti, non indietro. Su questi valori non possono esistere mediazioni o giustificazioni».