Autorità, cari amici, signori e signore,
è per me un grande piacere essere qui oggi in Sala Zuccari, per la presentazione dell’opera di Giuseppe Pitrè “Il pozzo delle meraviglie”.
Ringrazio gli organizzatori dell’evento, i relatori e l’attore Mimmo Cuticchio, che interpreterà alcune delle fiabe del libro.
Giuseppe Pitrè, medico, storico, letterato, filologo, ha saputo fare della sua passione per le tradizioni siciliane un’arte. Ha avuto il merito di riconoscere il valore umano e culturale della tradizione orale del popolo siciliano e della sua vita contadina.
Proprio per questo può essere considerato il fondatore della scienza folcloristica in Italia (quella che lui chiamava demopsicologia – la psicologia del popolo). La sua passione diede l’impulso a una raccolta – senza precedenti – di canti e racconti, usi e costumi, proverbi, fiabe e filastrocche, usanze religiose e superstiziose, nozioni di medicina popolare, leggende e costumi legati alla vita familiare e agricola.
Tutta questa mole di dati – raccolti secondo i canoni degli studi demologici, traendoli direttamente dalla viva realtà e dalla voce di contadini analfabeti – furono, in seguito, ordinati e sistemati con metodo, traendone le corrispondenze e le somiglianza con le tradizioni di altri luoghi. Al punto che il suo lavoro viene oggi considerato la base degli studi folcloristici in Italia e Calvino, nella sua raccolta di 200 fiabe italiane, ne inserì 40 del corpus di quelle raccontate da Pitrè, che lui definiva “l’optimum dell’arte di raccontare a voce”.
I narratori di queste fiabe sono in realtà delle narratrici, “perché le persone da cui ho cercate e d avute tante tradizioni, sono state quasi tutte donne”. Le fonti principali di ispirazione sono state la madre, definita “la mia Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, e il contatto con i ceti più umili, facilitato dalla sua professione di medico. Uno studio che ha saputo unire il rigore scientifico della ricerca antropologica, con l’affettuoso rispetto che l’uomo ha verso la cultura della propria madre, cultura che merita di essere custodita e tramandata.
Nell’introduzione si racconta che era diventato famoso ai suoi tempi perché nei viaggi in calesse tra un paziente e l’altro annotava quello che gli era stato appena raccontato, scrisse interi libri in quello che chiamava “il mio studio viaggiante”.
Alcune cose mi hanno colpito nello sfogliare questa raccolta: la sua empatia e ammirazione per la schiettezza della gente comune, che anche se analfabeta sa spesso più cose dei dotti, come scrive lui stesso: “vi sono luoghi che non si comprendono e si crede di comprendere; i dotti almanaccano e si bisticciano; il volgo mette fuori un nome, e da quel nome esce improvvisamente una luce che piega le origini e la storia del luogo stesso. V0è in quel di Cefalù un’Acqua detta di lu Duca. Chi fu questo Duca che lascio il suo titolo a quella fonte? Dimandatene al popolo, che ve lo saprà dire; gli uomini di lettere non hanno cercato saperlo”.
Il suo amore per queste fiabe, che sono tutte storie popolari di sopravvivenza, lo spinge però, al contrario, a voler educare i colti affinché potessero capirle, inserendo nelle sue raccolte una sorta di Grammatica del dialetto.
Pitrè, che da giovane si arruolò tra i garibaldini e viaggiò di porto in porto da Marsiglia, a Genova, a Napoli, si avvicinò anche alla politica pur considerandosi estraneo ad essa. Fu un Consigliere al Comune di Palermo ma non volle mai diventare Sindaco, proposta offertagli da ogni parte politica. Fu un rappresentante amato proprio per le sue origini e il suo essere sempre dalla parte del popolo.
Era un instancabile studioso e amante della sua terra. Della nostra terra. Per tutti i suoi meriti – tra cui la creazione del Museo di etnografia siciliana che porta il suo nome – nel 1914 Pitrè fu nominato senatore del Regno un anno prima di morire.
Ho chiesto di rivedere gli atti del suo breve passaggio in Senato, e voglio citare qui alcune delle parole che gli vennero tributate in Aula dopo la sua morte:
“Dirò soltanto che Pitrè della sua opera ebbe il premio anche durante la vita nel rispetto da cui era circondato dalla nativa città. Nessun uomo è stato più popolare di lui, nessun uomo è stato più di lui benvoluto. Egli sapeva questo e se ne mostrava quasi dolente, tanta era la sua modestia. Non ambì onori, egli non chiese mai nulla, non fece altro che lavorare e studiare. […]
E da quella raccolta multanime e multiforme balzano nette, recise, indistruttibili le caratteristiche dell’anima siciliana. (Approvazioni). Or la voce di quest’uomo, di questo animatore e suscitatore di vita, è spenta; ma noi considereremo l’opera sua come il sacrario in cui è raccolta la essenza ideale, lo spirito immortale della nostra stirpe, e ricorderemo che di questi elementi di gioia e di vita ci siamo nutriti nei primi anni della nostra giovinezza, onde ci sarà più acuto il rimpianto, più amara la nostalgia in questa nostra faticata maturità. (Applausi vivissimi e prolungati).”
Oggi, dunque, con orgoglio e commozione sono qui, come siciliano e come Presidente del Senato, per ricordare e celebrare la vita e l’opera di un siciliano, e senatore, a cui noi tutti dobbiamo molto.
Grazie.