Intervento sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio Conte in merito alla crisi di governo
Presidente Conte, colleghi,
stiamo affrontando questo dibattito oggi perchè il sen. Salvini, incredibilmente ancora Ministro – perché il potere è più forte della dignità – ha dichiarato finita l’esperienza di Governo, pentendosene amaramente appena ha capito che i pieni poteri li ha forse al Papeete ma non in Parlamento. E’ davvero patetico leggere di “telefoni sempre accesi”, come se si trattasse della crisi adolescenziale di un amore estivo e non del Governo del nostro Paese.
Nonostante tutto, non posso nascondere il sollievo, al netto di clamorose retromarce, della fine del Governo da lei presieduto. Al di là della considerazione personale per il suo stile pacato e ragionevole – e del ringraziamento che voglio pubblicamente riconoscerle per aver tenuta ferma la volontà di venire in quest’Aula ed affrontare in maniera trasparente questo passaggio – in questi mesi l’azione del Governo ha avuto un solo grande “dominus”, e sulla base del compromesso continuo con le istanze leghiste avete permesso che troppi strappi venissero fatti alle Istituzioni, alla Costituzione, al confronto democratico, allo stesso tessuto civile del nostro Paese.
Pochi giorni fa eravamo in quest’Aula e avete messo la fiducia sul Decreto Sicurezza Bis, la cui bocciatura è arrivata ben prima di quanto pensassimo: non dalla Corte Costituzionale ma dal Tribunale Amministrativo del Lazio. Anche per essere cattivi è necessario essere intelligenti, preparati e competenti.
Ripeto oggi, alla sua presenza, quello che ho detto il 6 agosto: non vi accorgete anche voi che gli animi sono troppo agitati? Lo stile delle “zingaracce”, degli attacchi ai giornalisti, ai critici, agli avversari, ha portato la nostra comunità oltre l’orlo di una crisi di nervi, e una campagna elettorale continua è quanto di più irresponsabile possa esserci in questa condizione.
C’è bisogno di altro.
C’è bisogno di ricucire i lembi spezzati della nostra società.
C’è bisogno di rilanciare il Sud, da cui negli ultimi anni sono scappate due milioni di persone.
C’è bisogno di ripartire dal lavoro, dal rapporto coi sindacati, con gli imprenditori, con gli artigiani e le partite Iva per ridare slancio a un’economia ferma.
C’è bisogno di tornare a parlare di sicurezza non promettendo armi e vendetta, ma tutela, giustizia e certezza delle pene.
C’è bisogno di tornare ai tavoli internazionali non attraverso le dirette Facebook, ma con proposte utili e ragionevoli.
C’è bisogno di un contrasto efficace all’evasione fiscale, alla criminalità organizzata, alle lungaggini dei processi.
C’è bisogno di chiudere la stagione dei selfie e dei proclami sulle spiagge, della rivendicazione dei pieni poteri, dell’odio, dell’indifferenza.
C’è bisogno di riscrivere l’agenda del Paese guardando in faccia i veri problemi, non nascondendoli dietro presunte emergenze.
C’è bisogno di tornare alla politica, fermando le Bestie che sui social aizzano i cittadini gli uni contro gli altri. Un massacro in cui – amaramente – non vince nessuno.
Appena un anno e mezzo fa gli elettori si sono espressi. Noi abbiamo avversato politicamente il Governo gialloverde nato da un accordo tra la prima forza parlamentare e la terza, ma mai – mai! – l’abbiamo considerato una truffa ai danni dei cittadini: è la nostra democrazia parlamentare. E’ allora legittimo e giusto che questo stesso Parlamento da oggi esplori ogni possibilità, non per fame di potere o per paura della democrazia ma proprio per essere all’altezza della Costituzione e del lavoro dei padri e delle madri costituenti.
Ma, lo dico senza infingimenti e con la stessa chiarezza, da uomo che ha servito queste Istituzioni per tutta la vita: l’Italia non ha bisogno di un accordicchio, di un esecutivo dal corto respiro dominato da tatticismi e posizionamenti elettorali. Se questo Parlamento invece desse vita ad un Governo pronto a ribaltare l’agenda attuale e lavorare, seriamente, nell’interesse di tutti, allora non avremmo solo il diritto di ragionarne ma il dovere storico di provarci, di non risparmiare qualunque tentativo di cambiare per davvero il segno di questi tempi. Solo in quel caso, a quel Governo darei il mio personale, convinto e fiero voto di fiducia.
Per ragionare su questo scenario però è necessario un passaggio ineludibile: Presidente Conte, salga al Quirinale. Non attenda oltre. Rimetta il suo mandato nelle sagge mani del Capo dello Stato. Questa maggioranza, questa maionese impazzita gialloverde – questo groviglio di dichiarazioni in cui dite tutto e il contrario di tutto – non merita di rimanere alla guida del Paese un minuto in più. Avete fallito.