Autorità, Signori e signore,
sono particolarmente lieto di essere oggi insieme a voi a condividere questo momento di riflessione e allo stesso tempo di celebrazione del ruolo della donna nella società contemporanea. Ringrazio per l’invito la Presidente della Rai, Anna Maria Tarantola: ho accettato con grande piacere perché sono convinto che il confronto sul tema della parità di genere non possa prescindere da una partecipazione attiva anche degli uomini.
D’altronde ho nobili antesignani in questo senso: la stessa Millicent Fawcett, fondatrice nel 1872 del movimento delle “suffragette” inglesi, cercò – senza successo – di coinvolgere gli uomini in questo cammino di emancipazione. In circa un secolo e mezzo si è compiuta una lenta, lentissima rivoluzione. Si è concretizzata quella che sembrava una semplice, irrealizzabile utopia. Questa determinazione dovrebbe esserci sempre da esempio.
Voglio ricordare alcuni passaggi, per capire quanto sforzo è occorso al raggiungimento di questi obiettivi: quando il Ministro dell’interno Ubaldino Peruzzi propose, nel 1863, di estendere il diritto di voto amministrativo alle donne, la risposta del relatore alla Camera del disegno di legge chiuse la questione affermando: “I nostri costumi non consentirebbero alla donna di frammettersi nel comizio degli elettori, per recare il suo voto”.
Una infaticabile sostenitrice del diritto di voto alle donne nell’ottocento fu la giornalista Anna Maria Mozzoni, che nel 1881, durante un Comizio per la riforma della legge elettorale, pronunciò queste parole:
“Da un secolo ormai la donna protesta contro questo stato di cose in tutti i paesi civili. Essa afferma il suo diritto al voto perché è persona libera e completa. […] Proclamando il suffragio universale per voi soli, allargate il privilegio, proclamandolo con noi, lo abolite […] Rivendicando il voto per tutti voi fate un emendamento al presente, rivendicandolo per noi chiedete l’avvenire”.
Questa richiesta di futuro ebbe risposta pienamente solo molti anni più tardi, nel 1946. Con qualche perplessità però, in occasione del referendum del 2 giugno, il Corriere della Sera dava alcuni consigli alle donne in vista del loro primo voto con un articolo intitolato “Senza rossetto nella cabina elettorale”, dove si poteva leggere: “Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio.”
Ma la strada per l’uguaglianza era ancora lunga. Voglio farvi un esempio che riguarda la mia vita precedente di magistrato. L’art. 7 della legge n. 1176 del 1919 ammetteva le donne all’ esercizio delle professioni ed agli impieghi pubblici, ma le escludeva espressamente dall’ esercizio della giurisdizione. Nell’ordinamento giudiziario del 1941 venne confermata questa esclusione. Durante il dibattito in seno all’Assemblea Costituente ci si interrogò in merito all’accesso delle donne in magistratura, ma la paura prevalse con queste motivazioni: l’on. Cappi sostenne che, cito, “nella donna prevale il sentimento sul raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio sul sentimento”; l’on. Molè invece che volle precisare che, testuale, “non si intende affermare una inferiorità nella donna; però da studi specifici sulla funzione intellettuale in rapporto alle necessità fisiologiche dell’ uomo e della donna risultano certe diversità, specialmente in determinati periodi della vita femminile”. Ci volle una sentenza della Corte Costituzionale del 1960 affinché, finalmente, nel 1963 il Parlamento approvò una norma (L. 66/1963) che consentì l’ accesso delle donne a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura. Quindi solo nel 1963 venne bandito il primo concorso aperto alle donne, e due anni dopo otto di loro risultarono vincitrici.
Queste digressioni servono a renderci chiaro quanto la battaglia per il riconoscimento della parità di genere sia stata lunga, difficile, e ancora in corso. Oggi sono sempre più numerose, nel mondo e in Italia, le donne che occupano posizioni di grande rilievo. Anche in politica la presenza delle donne si sta radicando sempre di più. Ad oggi il numero delle Senatrici in carica è circa il 30% dei componenti dell’Assemblea. Un buon risultato, ma confido che con la riforma elettorale attualmente in discussione si possa tranquillamente raggiungere una vera parità di genere. Io sono convinto però che la parità deve essere conseguita andando anche “oltre le regole”, oltre il concetto di quote, anche perché sappiamo che dove si viene nominati le percentuali premiano gli uomini, mentre dove si accede per regolare concorso sono le donne a prevalere.
Al riconoscimento delle doti e delle qualità del mondo femminile, non è ancora seguito in modo completo quel salto di qualità ulteriore che è costituito dal raggiungimento di posizioni di vertice, in completa parità con l’universo maschile. Nell’attuale momento di crisi che investe mercati, Stati, società civile, non è un caso che i Paesi a più alta occupazione siano quelli dove la partecipazione femminile al mondo del lavoro è stata garantita in modo efficace.
Il riconoscimento del principio della parità tra i sessi è un tema in cui credo molto e che ho spesso sottolineato anche in occasione di incontri con rappresentanti istituzionali esteri. Non ho mancato di ribadire questo fondamentale principio anche in quei Paesi, come la Tunisia, che solo di recente, con la nuova Costituzione approvata alla fine del gennaio scorso, stanno riconoscendo alle donne il diritto di studiare, lavorare, il diritto a vivere liberamente le proprie aspirazioni e a dare corso alle proprie capacità.
Non si può immaginare l’evoluzione di una società pienamente democratica senza immaginare l’evoluzione del ruolo della donna: sono due facce della stessa medaglia. E’ quanto ho avuto modo di sottolineare anche nei miei incontri istituzionali in Afghanistan, dove la condizione della donna ancora oggi costituisce un capitolo molto controverso del cammino verso la stabilizzazione democratica del Paese.
E’ necessaria dunque una collaborazione di tutti, istituzioni, scuola, famiglia perché la piena affermazione della dignità della donna e il rispetto della sua persona diventino per tutti noi imperativi categorici.
Un ruolo fondamentale è svolto dalla comunicazione. Gli stereotipi veicolati da televisione, giornali, riviste, hanno prodotto modelli del femminile e del maschile estremi sotto il profilo della differenza di genere. C’è una frase di un critico cinematografico francese, Serge Daney, che descrive bene quello che ormai è accettato come evidente: “La televisione rappresenta l’inconscio a cielo aperto della nostra società”. Se è così, l’inconscio del nostro Paese ha bisogno di un’analisi seria, approfondita e radicale. Occorre fare qualche sforzo in più di immaginazione, di creatività e di rispetto. Non mi riferisco solo al noto discorso sul “corpo delle donne”, che altri e meglio di me hanno già affrontato e discusso in moltissime sedi. Parlo di andare oltre stereotipi e pregiudizi, sia positivi che negativi, che bloccano l’immaginario del nostro sistema mediatico, e quindi il nostro, a parecchi decenni fa. Il ruolo importante che il sistema televisivo dovrebbe assumersi è quello di restituirci, in forma artistica o comunque mediata, la complessità del reale, con tutte le sue sfide, i suoi problemi, le sue soluzioni. Oggi, lo dobbiamo riconoscere, stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza, che è frutto anche dell’impegno e della costanza con cui i diversi media stanno affrontando il tema. Sono certo che la radio e la televisione, che oggi celebrano due importanti compleanni, non mancheranno di battersi perché questa sfida comune possa realizzarsi.
Con l’auspicio che questa iniziativa non sia isolata, ma possa incoraggiare altri momenti di riflessione in grado di valorizzare e tutelare sempre di più il mondo femminile, il mio augurio va a tutte le donne, nella speranza che sia sempre più consentito loro, in ogni ambito, la piena realizzazione morale e professionale.