Sono onorato di essere qui oggi con voi ed aprire questa giornata di studi in ricordo di Don Luigi Sturzo, sacerdote per vocazione, politico e studioso per passione, testimone autentico della carità cristiana nella politica. Straordinario interprete dell’idea di una politica intesa come l’espressione più alta della carità al servizio del bene comune, dei cittadini, della verità, della libertà e della giustizia, Don Sturzo accolse con entusiasmo la pubblicazione della Rerum Novarum e l’invito di Leone XIII rivolto a tutti i sacerdoti di uscire “dal chiuso delle sacrestie” e di impegnarsi nella società civile per contribuire a migliorare la vita della povera gente.
La vita di Sturzo abbraccia vicende storiche importanti per il nostro Paese: il periodo liberale in cui maturò le sue idee e fondò il suo capolavoro politico, il Partito Popolare Italiano, la cui nascita fu accolta da Antonio Gramsci come il fatto storico più importante dopo il Risorgimento. Il periodo fascista, in cui conobbe l’amarezza e la sofferenza dell’esilio per sua opposizione intransigente al regime. L’esilio fu per Sturzo un fecondo periodo di studi e di riflessioni, di viaggi internazionali, durante i quali maturò il suo ideale di libertà e giustizia.
Infine il periodo repubblicano in cui divenne uno dei protagonisti della vita politica italiana, con la sua battaglia a difesa della democrazia contro le “tre male bestie” – così le definiva – “statalismo, partitocrazia e sperpero del denaro pubblico”; una battaglia che condusse dagli scranni del Senato. La sua attività politica ha inizio come pro-sindaco a Caltagirone, sua città natale. Sturzo ebbe a cuore il destino della sua città e il suo attivismo fu di trasformarla da dominio personale di notabili e latifondisti a vera comunità democratica, partecipata e capace di governarsi con proprie regole. Da cristiano, ma anche come studioso, Sturzo comprese che per riportare i cittadini al centro della vita politica municipale occorreva scalzare il sistema di potere del malaffare locale. Come ha ricordato Monsignor Pennisi in un bell’articolo pubblicato sull’Osservatore romano nei mesi scorsi, Sturzo “fu uno dei pochi politici che denunciarono senza timore l’esistenza di una mafia criminale e non come innocuo costume isolano, da sociologo comprese le cause più profonde del fenomeno e le sue tendenze all’urbanizzazione“. Già nel 1900 in un articolo proprio intitolato “Mafia” Sturzo denuncia la mafia “che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; quella mafia che oggi serve per domani essere servita – sono parole di Sturzo -, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia, ma afferra anche Roma“, temi che riprenderà anche in un testo teatrale.
Per Sturzo il riconoscimento dei diritti di libertà non poteva essere completato senza l’acquisizione dei diritti civili ed economici, prima, e politici, dopo, da parte del popolo. I successi politici e personali spinsero Sturzo a completare l’opera di rinnovamento e trasformazione iniziata a livello locale anche con una battaglia moralizzatrice della politica comunale, organizzando a livello nazionale il partito laico dei cattolici. Recandomi in Senato spesso passo davanti all’albergo Santa Chiara, dove una lapide ricorda l’appello a tutti gli uomini “Liberi e Forti“. Con quest’appello del 1909 rivolto a tutte le classi sociali che “sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti”, Don Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano a cui aderirono tutti coloro che, facendo propri i valori cattolici, desideravano impegnarsi per la rinascita della società. Presentò i cattolici come una terza via capace di conciliare il meglio delle due forze, liberali e socialiste, che si contendevano la società italiana.
Della nuova formazione politica rivendicherà il carattere laico, la piena autonomia dall’autorità ecclesiastica e la volontà di porsi e confrontarsi con gli altri partiti sul comune terreno della vita civile nazionale. La centralità della persona, lo Stato sociale, l’integrità e la tutela della famiglia e delle formazioni sociali intermedie, l’ampliamento del suffragio universale esteso anche alle donne, la forza rinnovatrice e creativa del decentramento amministrativo come alternativa allo Stato centralizzato, il rispetto di un’etica pubblica nella azione politica, la riforma agraria e tributaria, la libertà di insegnamento, costituiscono i principi cardine del suo pensiero. L’arrivo in Parlamento nel 1919 di cento deputati popolari fu un vero e proprio “colpo di fulmine”. La discesa in campo del cattolicesimo politico, con i propri programmi, le proprie bandiere, con tutto il peso delle sue tradizioni fu l’essenziale contributo di Luigi Sturzo al lungo processo di affermazione della libertà e della democrazia nel nostro paese.
Ma io non posso non ricordare, qui, caro Presidente Antonetti – in questo Istituto che Sturzo fondò tornato dall’esilio e che divenne sotto la sua guida una vera fucina di elaborazione politica e che oggi ne conserva la memoria – un altro suo fondamentale contributo allo sviluppo della democrazia e delle istituzioni: quella lezione di passione civile e di alta moralità che Sturzo, nominato da un altro grande italiano Luigi Einaudi, Senatore a vita, seppe dare negli ultimi anni della sua vita. Una lezione di cui vi è traccia fedele nei discorsi suoi e negli atti parlamentari di Palazzo Madama che Giovanni Spadolini (mio predecessore) e Gabriele De Rosa, Presidente di questo Istituto, vollero raccogliere in un volume pubblicato dal Senato. Queste pagine sono testimonianza vivida di un senso religioso della democrazia. Il senatore Sturzo fa appello alla moralità alta cui tutti, uomini politici e semplici cittadini, dovrebbero ispirare i propri comportamenti e denuncia, con parole di profetica attualità i rischi dell’ingerenza dei partiti per la tenuta del sistema democratico. Partiti di cui Sturzo propose una rigorosa disciplina, in attuazione dell’art. 49 della Costituzione, in un disegno di legge che è ancora un modello su cui riflettere.
Diceva Sturzo in Senato, “Parecchi colleghi vorranno da me sapere a che servono nella mia concezione i partiti. Come uomo politico e come fondatore di un partito, rispondo chiaramente: i partiti servono a molte cose utili e vantaggiose per la democrazia, meno che a sostituirsi al Governo, alle Commissioni parlamentari, alle due Camere, in quel che la Costituzione riconosce come potere, facoltà, competenza, responsabilità propria degli organi supremi dello Stato“.
Sturzo si batté con coraggio per la libertà del Parlamento. Nel suo ultimo discorso al Senato nel luglio del ’58 affermava: “Che ci stanno a fare i deputati e i senatori nelle rispettive Camere? Solo per eseguire gli ordini dei partiti, mentre i capi dei Gruppi parlamentari ne sono solo i portatori?“. Secondo Sturzo “(…) quando gli eletti dal popolo (e non dai partiti) varcano la soglia della Camera e del Senato (in Commissione o in Aula) hanno una loro responsabilità morale e politica che li lega allo Stato e rispondono personalmente della vita nazionale“. Son parole su cui dobbiamo tutti riflettere; testimonianza di una considerazione alta e nobile del mandato parlamentare, un modello cui noi eletti dal popolo oggi più che mai dobbiamo ispirarci.
Cari amici, questa giornata di studi si arricchisce di un significato profondo e spirituale in quanto oggi si chiude presso il Tribunale del Vicariato di Roma la fase diocesiana della Causa di Beatificazione di Don Luigi Sturzo. La grandezza e la sua attualità stanno proprio nell’aver posto al centro del dibattito politico la questione morale e nell’aver ancorato un partito laico di ispirazione cristiana a quei valori assoluti e inviolabili che stanno a fondamento della nostra Carta Costituzionale. Con l’auspicio che l’eredità cristiana e politica di Don Sturzo possa continuare a rimanere un termine di paragone e un riferimento essenziale per il mondo dei credenti ma anche per l’azione politica di qualsiasi governo e di ogni uomo politico che ha a cuore il bene comune, concludo con parole che Sturzo pronunciò sempre in Senato il 27 giugno del 1957 proprio a proposito della Costituzione: “La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.