Intervista al Corriere della Sera dell’8 ottobre 2019
«Sì, è vero, anch’io posso ritenermi una vittima di Giovanni Brusca, perché ha progettato un attentato contro di me e voleva rapire mio figlio; ma pure perché tra le centinaia di persone che ha ucciso o di cui ha ordinato la morte c’erano alcuni miei amici. Ma è pure vero che queste cose le sappiamo grazie a lui, alla sua collaborazione e confessione. Le ha dette anche a me, durante decine di interrogatori».
Pietro Grasso è stato il giudice a latere del maxi-processo alla mafia, poi procuratore di Palermo e procuratore nazionale antimafia, prima di entrare in politica con il Partito democratico, diventare presidente del Senato e fondare Liberi e uguali. Conosce bene il pentito che chiede di finire di scontare la sua pena in detenzione domiciliare.
Lei è favorevole è contrario a questa concessione?
«La decisione è andata nelle mani giuste: quelle dei giudici, e non credo che la mia opinione dovesse in qualche modo condizionare la decisione presa. I giudici devono emettere un provvedimento sul piano tecnico, senza essere influenzati dai sentimenti delle vittime».
Il tribunale di sorveglianza ha già detto no, motivando il rigetto anche con il fatto che Brusca non ha chiesto perdono nemmeno a lei.
«Dopodiché Brusca ha fatto ricorso ed è toccato alla Cassazione: la via giudiziaria è quella corretta. Quando ho avuto a che fare con lui avevo l’obiettivo di cercare la verità. Non mi sono preoccupato di ottenerne le scuse o richieste di perdono, la legge per “ravvedimento” intende altro. Lui ha deciso di collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra, rendendo dichiarazioni che hanno trovato riscontri e conferme. Il “pentimento sociale” richiesto dai giudici di sorveglianza secondo me è rappresentato anche dalla collaborazione che non s’è interrotta in oltre vent’anni, perché ha aiutato a scoprire la verità su ciò che era avvenuto e impedito ulteriori crimini».
Però Maria Falcone e Tina Montinaro, sorella del magistrato e vedova del caposcorta che saltò in aria con lui a Capaci, sono contrarie a un ulteriore beneficio.
«Condivido il loro dolore e la loro rabbia, ma so anche che i giudici per fare il loro dovere sono tenuti ad applicare le norme prescindendo dai sentimenti delle vittime, per dimostrare che l’ordinamento statale opera secondo giustizia e mai secondo vendetta. Per me è stato giusto che Riina e Provenzano siano rimasti in carcere fino alla loro morte, ma uno come Brusca non si può valutare alla stessa maniera. Ha scontato oltre 23 anni in carcere, e tra due anni la pena sarà esaurita, gode già di permessi che per certi versi gli concedono più spazi di libertà rispetto alla detenzione domiciliare: è la dimostrazione che collaborare paga. I magistrati hanno avuto tutti gli elementi per decidere, e io rispetto qualsiasi decisione».
Anche lei è preoccupato per il rischio che l’ergastolo ostativo, che impedisce la concessioni dei benefici a mafiosi e terroristi non pentiti, venga bocciato senza appello dalla Corte europea dei diritti umani?
«Sì, perché non sono sicuro che a livello europeo, attraverso la sola lettura delle carte, si riesca a percepire fino in fondo la pericolosità e l’incidenza della criminalità organizzata in Italia».
Poi toccherà alla Consulta a decidere, la Costituzione prevede il reinserimento sociale di tutti i detenuti.
«Lo so bene, ma un mafioso non può reinserisi se non rompe le regole dell’organizzazione criminale, e questo si dimostra solo collaborando con lo Stato. Inoltre la norma concede la possibilità di accedere ai benefici anche a chi dimostra di non avere più legami con l’ambiente criminale pur non potendo fornire nuovi elementi ai magistrati».
Ma l’abolizione del divieto non significherebbe scarcerazione automatica, sarebbero sempre i giudici a valutare caso per caso.
«È vero, tuttavia non sempre i tribunali di sorveglianza hanno la possibilità di conoscere a fondo le storie criminali dei singoli soggetti. In ogni caso la strada per uscire dall’ergastolo ostativo c’è già, e ovviamente dipende dallo spessore criminale dei singoli detenuti. Ma vorrei ricordare anche un altro particolare».
Quale?
«L’abolizione dell’ergastolo era uno dei punti del papello di richieste che Riina pretendeva dallo Stato per fermare le stragi. Ce l’ha raccontato proprio Giovanni Brusca».