25 anni della Direzione Investigativa Antimafia

Autorità, gentili ospiti,

è davvero un piacere per me ospitare oggi la celebrazione dei 25 anni della Direzione Investigativa Antimafia (D.I.A.).

Come spesso accaduto nel nostro Paese, le intuizioni migliori sono rimaste a lungo in incubazione per poi diventare realtà in breve tempo a seguito di una qualche emergenza, come ad esempio avvenuto per la Legge Rognoni – La Torre e quella istitutiva dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia, approvate entrambe a seguito degli omicidi La Torre e Dalla Chiesa. Dopo l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di associazione di tipo mafioso e dopo le esperienze del pool antimafia di Palermo, che culminarono nel maxiprocesso, si prese esatta consapevolezza che, di regola, i delitti riconducibili alla criminalità organizzata si inquadrano nell’ambito di un programma di attività criminali che non si esaurisce nel compimento del singolo reato e permane ben oltre l’arresto di taluni degli associati. Ciò significa che tali delitti, frutto spesso di un’unica strategia, hanno connessioni tra di loro ed implicano relazioni fra i vari associati, con la conseguenza che solo rilevando e verificando tali collegamenti e rapporti è possibile cogliere la trama nella quale essi si inseriscono e risalire alla consorteria criminale che li ha realizzati ed ai loro autori. Non può sfuggire il fatto che la prova possa essere ricostruita solo attraverso le tessere di un mosaico costituito da elementi indiziari sparsi in varie parti del territorio nazionale ed estero.

L’esigenza inderogabile concretizzatasi dopo anni di stragi, omicidi eccellenti e guerre di mafia era quella di evitare la frammentazione delle indagini – principalmente dovuta alla molteplicità degli organi investigativi ed ai ridotti ambiti territoriali di loro operatività – introducendo nell’ordinamento forme stabili di coordinamento e di accentramento. Questo modello di lavoro condiviso e insieme coordinato era, per Giovanni Falcone, la trasposizione sul piano nazionale dell’esperienza del pool antimafia di Palermo, ed era maturato negli anni: si pensi solo che il primo importante collaboratore di giustizia, Tommaso Buscetta, incomincia a rendere le sue dichiarazioni al giudice Falcone nel 1984, e che per ben 7 anni si dovettero gestire i numerosissimi collaboratori di giustizia senza un quadro normativo di riferimento.

Il 1991 è un anno chiave per questo tanto auspicato salto di qualità. Nel gennaio del 1991 fu infatti emanato un decreto, poi convertito in legge, che prevedeva, con il blocco dei beni, la “linea dura” per il sequestro di persona a scopo di estorsione e, finalmente, misure di protezione per i collaboratori di giustizia. A maggio, sempre per decreto, fu istituito l’obbligo per gli enti finanziari – in seguito esteso ad altri operatori economici e commerciali ed a taluni professionisti – di segnalare le operazioni finanziarie sospette di nascondere fatti di riciclaggio o di impiego di denaro od altre utilità provento di delitti. Sempre per decreto, a maggio sono stati costituiti i Servizi centrali ed interprovinciali di polizia giudiziaria, a ottobre l’istituzione della DIA e a novembre della DNA. Un salto di qualità che, unito alla sentenza definitiva del Maxiprocesso del 30 gennaio 1992, non sfuggì alle organizzazioni criminali, che nei mesi successivi risposero con ferocia disumana.

La DIA, dai giornali subito accostata ad una sorta di F.B.I. italiana, nasce come gruppo interforze (Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza) con uno specifico compito: essere il terminale privilegiato di tutte le acquisizioni informative in materia di criminalità organizzata, in sinergia con i Servizi centrali delle tre Forze di Polizia, da porre nella disponibilità della funzione di coordinamento e dell’attività d’impulso investigativo della DNA. Questa volontà di ricondurre a fattor comune tutte le informazioni investigative per un contrasto efficace alla criminalità, purtroppo, non ha trovato le condizioni per una sua completa ed esclusiva valorizzazione, perdendosi così l’occasione di mettere a frutto rapidamente il patrimonio informativo via via accumulato da tutti gli apparati di sicurezza dello Stato.

Anche se non compiutamente realizzato, questo intento ha aperto però la strada a modelli di collaborazione che hanno trovato comunque il raccordo da parte delle Procure distrettuali antimafia che, ai sensi dell’art.109 della Costituzione, hanno potuto disporre direttamente della polizia giudiziaria, rappresentata sia dalle tre forze di polizia sia dalle sezioni distrettuali della DIA. Ciò ha costituito un supporto all’attività della Procura nazionale antimafia, che ha potuto incrementare e monitorare negli anni tutta l’azione antimafia inserendo nella banca dati Sidda-Sidna non solo l’esito delle indagini, ma anche il relativo sviluppo processuale attraverso le sentenze di tre gradi di giudizio, nonché le misure di prevenzione personali e patrimoniali e le informazioni autonomamente acquisite attraverso i colloqui investigativi. Lascio ad altri il bilancio di 25 anni di attività della DIA che, se si guarda ai 20 miliardi di euro di beni sequestrati o alle 10.000 ordinanze di custodia cautelare eseguite, non può che essere senz’altro positivo e insostituibile.

Nella prima fase, l’attività della DIA si distinse per una pressante azione repressiva, soprattutto grazie ai contributi investigativi forniti dai collaboratori di giustizia. Successivamente la Direzione ha dedicato un impegno crescente alle indagini finalizzate all’aggressione dei patrimoni mafiosi e illeciti, anche grazie al potere del suo Direttore di avviare in via autonoma proposte di misure di prevenzione antimafia e al potere di accesso agli istituti di credito per gli accertamenti patrimoniali. Un’altra specializzazione di grande rilievo attiene alle attività antiriciclaggio e all’approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette che vengono inviate dall’Unità di Informazione Finanziaria presso la Banca d’Italia alla DIA e alla DNA. Infine, più recentemente, la DIA si è distinta nella prevenzione amministrativa antimafia che ha condotto all’elaborazione di un efficace sistema di monitoraggio degli appalti pubblici per prevenire possibili infiltrazioni mafiose. Questo ha riguardato tanto le infrastrutture strategiche quanto grandi eventi.

Concludo sottolineando l’importanza che non venga mai meno l’animo ispiratore della “centralità” delle investigazioni sulla criminalità organizzata, che ha un crescente carattere transnazionale e diviene sempre più globale. Il modello incarnato dalla DIA è il punto di arrivo di una lunga evoluzione e spesso nelle mie visite istituzionali all’estero mi vengono chieste informazioni su tecniche investigative e strumenti di indagine che sul sangue dei nostri martiri costituiscono senza ombra di dubbio un sistema moderno ed efficiente per contrastare i fenomeni di criminalità organizzata nazionali e transnazionali e per affrontare la sfida anche nei confronti di nuovi fenomeni come l’attuale terrorismo internazionale. Per lunghi anni è stato per me un grande privilegio quello di lavorare con uomini e donne dediti ad una costante e intensa lotta alla criminalità come voi, ed è davvero un grande piacere poter rivolgere oggi, in questa sala, alla DIA, che ho visto nascere ed ai suoi attuali componenti i miei più sentiti auguri per  questi 25 anni. Grazie.