Cari Colleghi,
è un onore prendere la parola in questa riunione e su questo tema così determinante per il nostro comune futuro. Dagli orrori dei conflitti mondiali, che determinarono il “suicidio dell’Europa”, è nato il germe di un cambiamento interpretato prima dal Consiglio d’Europa, che oggi conta ben quarantasette Stati membri, poi dalla Comunità e Unione Europea, da diversi altri fori di dialogo e di cooperazione. A queste realtà sovranazionali che ci uniscono dobbiamo una lunga fase storica, prima inimmaginabile, di stabilità, pace e rafforzamento dei diritti.
Oggi, lo abbiamo sentito in tanti interventi, l’Europa affronta una doppia crisi, esterna ed interna. Il nostro continente è scosso da nazionalismi, da populismi e sentimenti di disaffezione e sfiducia dei cittadini che chiedono occupazione, crescita e sicurezza. Le disuguaglianze sociali, che sono in drammatico aumento anche nei paesi meno colpiti dalla recessione, rischiano di vanificare di fatto la democrazia svuotandola dall’interno e giungendo al paradosso di “società formalmente democratiche ma non libere”. Ho sempre immaginato la democrazia come un processo in continuo svolgimento, mai completamente definito: non solo un abito esteriore di regole, ma un atteggiamento interiore che dà corpo alle istituzioni. Non ci potrà essere democrazia senza un etica individuale e collettiva, conforme e diffusa; la più democratica delle Costituzioni è destinata a morire, se non è animata dall’energia che è compito di noi parlamentari, per primi, trasmettere alle istituzioni, alla politica, tramite la cultura della partecipazione, della trasparenza e della responsabilità, portando dentro i partiti, dentro i movimenti il nostro entusiasmo, i nostri valori e dando, infine, concrete risposte ai bisogni dei cittadini europei in termini di sviluppo, di lavoro e di innovazione.
La nostra democrazia, la nostra stabilità interna è messa in discussione da conflitti, da inaccettabili violazioni dell’integrità territoriale di altri Paesi ai nostri confini e dalle gravi minacce del terrorismo, della corruzione e del crimine organizzato, in un momento di profonde fratture geopolitiche in Africa, in Asia e in Medio Oriente. Nessun Paese può pensare di poter affrontare e rimuovere da solo tali pericoli. Viviamo in un sistema mondiale molto diverso da quello in cui è maturato il modello dello Stato-nazione, in cui il concetto di comunità, deve identificarsi in appartenenze segnate ora dall’esistenza di identici interessi politici ed economici, o ancora dal riconoscersi in una collettività giuridica o politica sovranazionale.
Insieme costituiamo una grande area non solo geografica, ma anche economica, politica e di valori. Solo mettendo in comune una parte dei nostri poteri sovrani e agendo con la più ampia cooperazione si potrà aumentare la sicurezza, garantire diritti e libertà e migliorare la democrazia di tutti i cittadini europei. Sono convinto che dobbiamo ripartire riaffermando un’identità comune, una collettiva anima europea che prevalga sugli egoismi nazionali. Il nucleo comune alle tante tradizioni, culture, memorie collettive dei nostri Paesi è forte e si trova nei valori di solidarietà, di libertà, eguaglianza, giustizia così faticosamente emersi da guerre, conflitti, barbarie, totalitarismi e persecuzioni.
Dom Helder Cãmara, venezuelano, chiamato “il vescovo delle favelas”, una volta disse: “Se uno coltiva dentro un sogno che non condivide con gli altri, il suo resta “solo un sogno”. Ma se molti hanno lo stesso sogno, allora lì comincia a nascere qualcosa di concreto, di vero, di reale”.
Per questo vi chiedo di sognare in grande, e di sognare insieme: L’Europa deve tornare a sognare. E la politica deve tornare al centro per dare il suo contributo, traducendo in azioni i sogni, i bisogni e le aspirazioni di tutti. Io sono fermamente convinto che non esista un’alternativa ad un rafforzamento della nostra Unione. Si tratta di una sfida esistenziale: le nostre comuni radici ci vincolano a un destino comune, che non permetteremo sia compromesso da improbabili ideologie distruttive e revisionistiche. L’Italia, un grande Paese che sessant’anni fa per prima ha creduto nell’utopia europea, non mancherà di impegnarsi, anche quale Stato membro dell’Unione Europea che detiene la presidenza semestrale di turno, per risolvere i conflitti con gli strumenti del dialogo e della diplomazia. L’Europa non può permettersi un nuovo suicidio. Credo fortemente che proprio le reti dei Parlamenti possano costituire un luogo privilegiato di dialogo e favorire positivi sviluppi intergovernativi.
Questo, io credo, sia il nostro imperativo morale e il mio doveroso impegno personale. Grazie.