La corruzione è il male più antico di questo Paese. Un male che lo consuma da dentro, che sfianca l’economia, che umilia gli onesti, che mette all’angolo le persone per bene in favore di chi non ha scrupoli e non ha dignità.
Guardiamoci attorno: il problema non nasce solo dai reati commessi, ma dagli effetti che producono nel sentimento collettivo, nella testa dei cittadini. Una tangente è come un sasso lanciato in uno stagno: si propaga a cerchi concentrici e dà a migliaia di persone l’idea che non vi sia alternativa, che il diritto non conti, che la legge esista solo per i deboli, che serva sempre e comunque qualche amico per avere un letto in ospedale, un posto di lavoro, una casa popolare.
Io ho 73 anni, ne ho viste molte, moltissime. Ho visto la mia Sicilia bagnarsi di sangue, ricordo il sacco di Palermo, gli scandali delle tangenti. Quei momenti in cui sembrava che nulla sarebbe cambiato.
Io non ho smesso di credere che esista un altro modo di amministrare lo Stato. Noi non ci arrendiamo. Noi non ci voltiamo dall’altra parte e soprattutto non cediamo alla tentazione di accettare le cose come sono ora.
Ho parlato con la redazione di FanPage. Quei giornalisti coraggiosi hanno dato visibilità a qualcosa che giaceva sotto pelle in questa regione e che sicuramente accade anche altrove. Chi li aggredisce e minaccia – come ha fatto Vincenzo De Luca – deve sapere che noi siamo con loro perché una stampa libera, autorevole e forte è un fondamentale presidio di democrazia.
C’è un “però” sul quale tutti dobbiamo riflettere che viene subito dopo l’aver visto il primo video dell’inchiesta sui rifiuti. C’è ormai una confusione di ruoli, c’è un cortocircuito pericoloso che fa male, malissimo all’Italia. E bisogna fare ordine, portare il dibattito e l’indignazione sul binario giusto altrimenti nessuno scandalo, nessuna inchiesta, nessuna denuncia è sufficiente a dare ai cittadini l’orgoglio e gli strumenti necessari per cambiare le cose.
Chiariamoci, una volta per tutte: la magistratura indaga e punisce i reati; la stampa descrive la realtà e aiuta i cittadini a comprendere ciò che accade; la politica assume decisioni (non gli amici), governa il territorio, guida una comunità. E in questo nostro Paese questa chiarezza di ruoli è venuta meno.
Fa male vedere un dirigente pubblico essere così a suo agio mentre discute di come avvelenare ancora la nostra terra o di come eludere la legge. Anzi, fa schifo. E’ la politica, prima ancora della magistratura o di un giornalista caparbio a dover dare delle risposte. Se lasciamo che il compito della politica sia svolto dalla stampa o dalla magistratura i danni poi sono incalcolabili.
Su tutto questo c’è stato un assordante silenzio del Partito Democratico: il garantismo non c’entra nulla, è un’argomentazione che con me non funziona visto che ho svolto per 40 anni la professione di magistrato e so bene cosa significa la parola garantismo. Le poche parole pronunciate da Renzi sono solo un goffo tentativo di mettere la testa sotto la sabbia.
Noi abbiamo un’altra idea. Siamo i soli in questa campagna elettorale ad aver parlato di lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione.
La questione morale, quella che Berlinguer denunciò più di 30 anni fa, è ancora qui. Quella di Berlinguer non era una semplice denuncia della corruzione di politici, imprenditori e amministratori. C’era una cosa ben più grande e forte in quel messaggio: c’era il pericolo insito nell’uso privato delle istituzioni.
La corruzione frena lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese. La corruzione blocca l’ascensore sociale. E per rimettere al centro la dignità delle persone la dobbiamo combattere. Una mazzetta offerta e accettata si trasforma immediatamente in servizi pubblici peggiori, o nella terra dei fuochi. O negli ospedali che cadono a pezzi, nelle scuole con l’amianto, nelle case “antisismiche” che vengono giù come birilli.
Papa Francesco l’ha riassunta così : “Chi paga la corruzione? La paga il povero. Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura, i bambini senza educazione”.
Noi la parola legalità non la urliamo nelle piazze. Noi la realizziamo ogni giorno con i comportamenti e le azioni. Per farlo bisogna aggredire il fenomeno tutto italiano delle emergenze programmate. Siamo sempre in emergenza, fateci caso: una volta è l’acqua, poi la siccità, poi ancora i rifiuti, gli incendi, l’immigrazione.
Chi ha visto i video di Fanpage lo sa benissimo: “siamo in emergenza, possiamo fare le chiamate dirette, poi ci sono le proroghe”.
Questi potentati sono la commistione, l’intreccio strettissimo rivelato da indagini e da processi fra mafie, criminalità comune, politica, mondo dell’economia, funzionari pubblici, professionisti, legami familiari. Reti di interessi che sono avvinte da rapporti di corruzione. Nel momento in cui l’emergenza diventa un business, chi ci guadagna ha un unico interesse: fare in modo che quell’emergenza resti tale. Fare in modo che quel problema non sia mai risolto.
Servono, invece, investimenti pubblici programmati e strutturali, e dobbiamo sottrarli a ogni rischio di uso illegale e clientelare. Lo dobbiamo dire senza avere paura: siamo persone sufficientemente serie da sapere come si fa a farli funzionare, senza che degenerino in nuove occasione per sprechi e clientele.
E gli investimenti devono essere gestiti da una nuova amministrazione pubblica. Serve un piano di assunzioni, attraverso l’Agenzia per la Coesione, per dare al sud e ai suoi Comuni 50 mila giovani laureati e diplomati pronti ad ammodernare l’amministrazione pubblica locale. Questa è un’emergenza a cui far fronte subito. Una proposta che, per fortuna, ho sentito ribadita più volte anche a Napoli.
Noi di Liberi e Uguali non faremo neanche un solo passo indietro. Riprendiamo le redini di questo Paese, facciamolo da sinistra. Facciamolo recuperando l’orgoglio dell’onestà e la competenza che serve per far bene le cose. Siamo noi l’argine.
Il 4 marzo dobbiamo porre le basi per ricostruire una politica saggia nel metodo, attenta nei toni e radicale nei contenuti.
Gramsci diceva che ”il Mezzogiorno non ha bisogno di leggi speciali e di trattamenti speciali. Ha bisogno di una politica generale, estera ed interna, che sia ispirata al rispetto dei bisogni generali del Paese”.