Signor Sindaco, Autorità, Senatrice Zanoni, cari familiari delle vittime, cari amici italiani e tedeschi,
per prima cosa desidero ringraziarvi di cuore per questa opportunità di ricordare insieme a voi le vicende drammatiche vissute da queste comunità in un periodo storico del nostro Paese che ancora, dopo più di settant’anni, continua a generare dolore. Sono qui, come uomo, padre e italiano, e come rappresentante delle istituzioni per onorare la memoria delle vittime trucidate dai nazifascisti a Cumiana nell’aprile 1944.
Fra l’8 settembre 1943 e la Liberazione nella primavera del 1945, i nazifascisti in Italia hanno massacrato migliaia di civili troncando affetti, sogni, speranze, ambizioni. Le stime parlano di quindicimila morti, ma le vittime furono molte, molte di più. Padri, madri, fratelli, figli, amici, parenti, conoscenti: coloro che sopravvissero agli eccidi dovettero ricostruire case, paesi e famiglie distrutte con il peso di un dolore incancellabile. Sono qui in nome di tutte quelle persone, una per una, e in nome della democrazia, perché, cari amici, la democrazia ha bisogno della memoria e della verità per crescere e per diventare più forte. E mentre la memoria individuale restituisce a ciascuno di noi il senso della vita, la memoria collettiva è il fondamento più vero e profondo dell’identità nazionale italiana. Il ripudio della violenza e della dittatura, l’amore per la libertà, la democrazia e i diritti, il rispetto della sofferenza di chi si è sacrificato per questi valori sono il patrimonio condiviso di questo Paese.
Ricordare la storia di quei giorni bui è straordinariamente importante. Con la fine della “patria fascista”, la fuga del re e il crollo dell’apparato burocratico-militare, in Italia si aprì un’epoca di grandi sofferenze e tragedie, un “tempo del furore” nel quale ciascuno si trovò a dover scegliere della propria vita e di quella degli altri. Molti decisero di rischiare personalmente mettendosi dalla parte della libertà e della dignità: scioperando nelle fabbriche, aiutando i prigionieri, i disertori, i renitenti, gli ebrei, i partigiani. Altri scelsero invece di combattere in nome di una tragica necessità morale imposta dall’eccezionalità del momento.
Questo fu la Resistenza: una riscossa spontanea e popolare. In quel periodo oscuro, l’esercito nazista e i fascisti repubblicani condussero una vera e propria politica del terrore, rastrellando e uccidendo civili estranei alla lotta partigiana, o partigiani inermi catturati e disarmati. In un primo tempo massacri, razzie, saccheggi, distruzioni, incendi, sfollamenti di interi paesi e deportazioni erano dovuti alla disumana brutalità dei nazifascisti e servivano alle gerarchie a controllare lo spazio. A un certo punto le rappresaglie contro i civili diventano un cinico metodo. Quando la guerriglia partigiana comincia ad essere percepita come una minaccia, la repressione nazista si fa sempre più dura e più sanguinosa: “nessuna pietà per la popolazione civile” dispone in modo secco l’11 settembre 1943 il Comando del XIV Panzerkorps. Con le successive disposizioni le gerarchie ordinano esplicitamente di terrorizzare le popolazioni civili incolpevoli con le rappresaglie per fermare le operazioni partigiane e reagire all’uccisione di soldati tedeschi. Nella strage delle Fosse Ardeatine, che abbiamo ricordato con il Presidente Mattarella pochi giorni fa, il feldmaresciallo Kesselring disse esplicitamente che era necessaria un’azione intimidatoria: il sistema del massacro non era quindi solo un’infame vendetta ma una scelta strategica, funzionale a mantenere il dominio militare sui confini del Terzo Reich. Una scelta nella quale i civili venivano degradati da esseri umani a strumenti, da persone a cose.
Nell’Italia nord-occidentale, alle esigenze di controllo del territorio dei nazisti si unì l’ambizione dei fascisti repubblicani che rivendicavano un riconoscimento pubblico. Tedeschi e italiani agivano così spesso insieme contro le popolazioni civili per prevenire e per punire le azioni partigiane, in una spirale di violenza: fucilazioni, impiccagioni e l’esposizione pubblica della morte furono il metodo per segnare il territorio indelebilmente. Né ai tedeschi né ai fascisti interessava più la distinzione fra partigiani e civili, che venivano considerati tutti complici della Resistenza e quindi colpevoli. Cumiana, medaglia d’oro al merito civile, è una delle comunità che più drammaticamente ha subito questa strategia del terrore. Questa comunità ha pagato il suo tributo alla barbarie nazifascista con la distruzione dell’intero paese e il massacro dei suoi abitanti come strumento della pedagogia della paura portata avanti dai comandi dai nazifascisti. Una pedagogia studiata per annientare quello spirito di coesione, solidarietà umana e difesa del territorio che, al di là della militanza partigiana, aveva contribuito a rendere straordinariamente unita e forte la comunità locale.
Sono già stati ricordati i dettagli di quel drammatico 3 aprile 1944: il fuoco dei lanciafiamme, i rastrellamenti, la detenzione degli ostaggi, poi la carneficina a sangue freddo di cinquantuno uomini inermi. Una violenza inconcepibile che produsse un dolore insopportabile, un’esasperazione che un anno più tardi portò anche all’uccisione, dopo un processo sommario, del podestà dell’epoca, che aveva abbandonato il Paese al suo destino poco prima del massacro.
Prima di concludere, vorrei ringraziare di cuore la delegazione di Erlangen, per la loro presenza e le loro parole. Sin dal 2000, quando si seppe che nella città bavarese aveva vissuto Renninger, tenente delle SS coinvolto nel massacro di Cumiana, Erlangen ha manifestato dolore, solidarietà e affetto per gli abitanti di questa città e da allora i rapporti fra Cumiana ed Erlanger sono cresciuti di anno in anno. Nel 2002 il Borgomastro Balleis parlò di un “impegno morale di chinarci in segno di deferenza di fronte ai caduti della strage di Cumiana e al dolore dei loro famigliari” e nello stesso anno il Presidente Scalfaro disse che quanto accadeva fra le due città dimostrava come “dal male possa nascere il bene.. opera di Dio ma anche opera dell’uomo”.
Cari amici italiani e tedeschi, cari cittadini di Cumiana, l’indagine storica, le testimonianze, i ricordi dei singoli permettono oggi di ricostruire una tragedia collettiva che ha colpito insieme a questa comunità il nostro Paese per intero. Un dramma collettivo così immenso che facciamo ancora fatica, settant’anni più tardi, a comprendere perché è impossibile comprendere il male assoluto. La ragione che ci spinge ad essere qui, anche coloro fra voi che sono cresciuti con questo dolore addosso, è raccontare ai nostri figli e ai nostri nipoti quel male, per rendere le voci dei testimoni che non ci sono più voci eterne, affinché non sia mai dimenticata quella sottocultura della morte che prese di mira persone inermi per interessi immondi. Con questi sentimenti, mi stringo con sincero affetto a tutti voi e vi ringrazio per essere qui.