60°anniversario della firma dei Trattati istitutivi delle Comunità europee

Intervento alla cerimonia celebrativa, 22 marzo 2017

Signor Presidente della Repubblica, Signora Presidente della Camera dei Deputati, Care colleghe e Cari colleghi, Signore e Signori,

sono molto onorato di intervenire, anche a nome del Senato della Repubblica, alla celebrazione dei Trattati europei di Roma. Io e la Presidente Boldrini abbiamo dedicato a questa ricorrenza una serie di eventi cui hanno aderito i colleghi delle Assemblee elettive dei Paesi membri, i vertici delle istituzioni europee e altre alte personalità. Mi sembra significativo che le cerimonie e gli incontri parlamentari si chiudano davanti alle Camere riunite del Parlamento, il simbolo e il cuore della nostra democrazia, e alla presenza del Capo dello Stato, che interpreta autorevolmente e instancabilmente l’unità del Paese.

In Unione europea mi sembra che di recente stia crescendo, a livello parlamentare e governativo, la consapevolezza collettiva delle grandi e irrinunciabili acquisizioni dell’integrazione europea, che ha segnato nuovi, finora inimmaginabili parametri di civiltà nella storia universale: nelle relazioni politiche, nella stabilità sociale, nell’effettività dei diritti e dello Stato di diritto. Credo che sia comune a molti anche la convinzione che, di fronte alle sfide interne ed esterne cui dobbiamo tutti rispondere, il lungo cammino dell’integrazione non possa arrestarsi e che è necessario adesso un nuovo slancio, fondato sulla cooperazione rafforzata in certe materie condivise e nell’attuazione di politiche il più possibile unitarie. In gioco sono il futuro del continente e gli equilibri geopolitici globali

I complessi fenomeni sistemici che hanno investito l’Unione, la crisi economica e dell’occupazione, le migrazioni e le tensioni geopolitiche alle frontiere meridionali e orientali, hanno avuto un impatto molto eterogeneo sui Paesi europei, generando a volte risposte politiche divisive, conseguenti sentimenti di sfiducia dei cittadini ed un pericoloso riemergere nel mondo dei nazionalismi. L’Italia da sempre crede fermamente nel multilateralismo, nella diplomazia, nel dialogo, nella solidarietà fra popoli e istituzioni: questo è il principio cristallizzato nell’art 11 della Costituzione e il tratto distintivo della nostra politica estera. Per generare quella coesione indispensabile per il futuro del continente, bisogna intanto ricostruire un clima di fiducia politica, attraverso la rilettura condivisa delle diverse risposte che l’Unione ha dato alle crisi vissute negli ultimi anni, le prime così gravi e intense dall’inizio della sua storia. Serve insomma un vero, profondo dibattito pubblico europeo i cui attori naturali non possono che essere le assemblee rappresentative, le istituzioni in cui gli interessi, i diritti e le ambizioni dei cittadini trovano rappresentanza, tutela e ascolto. Penso che questo dibattito debba avvenire dentro i Parlamenti nazionali, fra di loro e in seno al Parlamento europeo. Il dibattito parlamentare ed interparlamentare può evitare che i problemi siano ostaggio solo di contingenze politiche ed elettorali interne ai diversi Paesi e può consentire di comprendere meglio i punti di vista altrui e le istanze più profonde dei cittadini, riflesse nel pluralismo democratico delle assemblee elettive. Inoltre credo che la cooperazione interparlamentare possa contribuire a rafforzare il controllo democratico in una Unione che ha un esecutivo frammentato (Commissione, Consiglio, Eurogruppo, Ecofin, Banca centrale), che rischia di sfuggire ai tradizionali canali di controllo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali.

Venerdì scorso il Presidente Mattarella, ricevendo al Quirinale le delegazioni di tutti i parlamenti europei, ha giustamente ricordato quale passaggio fondamentale sia stata per l’integrazione europea la consacrazione democratica dell’Unione, anche con le più recenti evoluzioni che hanno interessato le dinamiche di individuazione del Presidente della Commissione. Ha anche segnalato che le trasformazioni del Parlamento europeo non derivano soltanto dalla prassi parlamentare ma traggono “linfa dalle comuni radici, dalla nostra comune cultura, da un patrimonio di principi e sensibilità condiviso dai popoli” (sono sue parole).

La legittimazione democratica delle istituzioni europee impone la responsabilità di armonizzare il livello nazionale e quello europeo, avvicinandoli sempre di più. Il Parlamento europeo sta dando al dibattito sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea un contributo cruciale: come il Presidente Tajani ha ricordato nell’Aula del Senato, le risoluzioni approvate nelle sessioni di gennaio e febbraio forniscono soluzioni per migliorare l’assetto istituzionale e precise proposte sulla dimensione sociale dell’Unione, sull’articolazione del bilancio europeo rispetto ai beni pubblici comuni e su molti altri punti importanti. Mi sembra che emerga la necessità di ripensare, con apertura, senza schematismi, quali politiche debbano indefettibilmente essere svolte a livello dell’Unione e quali invece possono essere meglio svolte a livello nazionale o regionale. Si contribuirebbe così a colmare quel divario tra promesse e risultati concreti che spesso ha minato la fiducia nell’azione dell’Unione: azione che deve concentrarsi sulle nuove sfide che solo tutti insieme possiamo affrontare.

Il ruolo dei parlamenti nazionali in questo percorso è determinante ed è segnato dal fruttuoso dialogo politico con la Commissione, dal lavoro di vigilanza rimesso alle assemblee elettive attraverso le valutazioni di sussidiarietà, e dai compiti che riguardano le politiche relative allo spazio di giustizia, libertà e sicurezza, il cuore dell’Europa delle persone. Il Parlamento italiano ha sempre interpretato in modo consapevole e con dedizione questi doveri e, da Presidente del Senato, voglio oggi ringraziare le Commissioni e i colleghi che si occupano del settore europeo per la qualità e la quantità del loro lavoro che distingue le nostre camere in Europa fra le più produttive e propositive.

Nei prossimi giorni i Governi dovranno discutere al Vertice di Roma della strada da percorrere per proseguire nel cammino comune. Io credo che la chiave del futuro sarà nella determinazione a procedere con solidarietà e coesione, senza lasciare solo nessuno, ma anche senza frustrare le ambizioni e l’impegno di chi vuole più Europa in certe aree perché nella storia europea le ambizioni delle donne e degli uomini più visionari e coraggiosi hanno sempre portato progresso, democrazia e libertà per tutti. Obiettivo prioritario è il rafforzamento democratico dell’Unione, che può riavvicinare le persone all’Europa e consolidare la loro consapevolezza e percezione della propria cittadinanza europea, che è “la garanzia maggiore della continuità dell’Unione molto più degli intendimenti dei governi o delle opinioni dei commentatori” (sono parole del Capo dello Stato).

La nostra responsabilità più importante, Signor Presidente della Repubblica, cari colleghi, è consegnare ai nostri figli e ai nostri nipoti che sono e si sentono dalla nascita cittadini europei un’Europa più influente, più giusta, più coesa e più sicura. Questo è il nostro impegno e questa la nostra speranza. Grazie.

Foto © 2017 Archivio fotografico, Senato della Repubblica / Carmine Flamminio