Commemorazione di Stefano Gaj Taché

Pietro Grasso

Onorevoli Colleghi,

ricorreva ieri il 35° anniversario dell’attentato al Tempio Maggiore di Roma del 9 ottobre 1982, considerato il più sanguinoso attacco antisemita verificatosi in Italia nel corso del secondo dopoguerra. Il vile atto criminale fu perpetrato nel cuore della Capitale, nelle stesse strade che anni prima, il 16 ottobre del 1943, avevano assistito alla vergogna della deportazione degli ebrei romani nel campo di concentramento di Auschwitz.  Il 9 ottobre del 1982 era un sabato, tradizionale giornata dello shabbat, che coincideva con le celebrazioni legate alla “festa delle capanne”. Non era stato organizzato alcun servizio di sicurezza fuori dal Tempio: poco prima di mezzogiorno le famiglie cominciarono a uscire quando la barbarie assassina si scatenò per circa cinque interminabili minuti con il lancio di bombe a mano e una serie di raffiche di mitra sparate sulla folla.

La cieca e feroce violenza terroristica colpisce sempre cittadini innocenti: in quell’occasione l’unica vittima dell’ignobile attentato fu un inerme bambino di soli due anni, Stefano Gaj Taché, mortalmente colpito dalla scheggia di una bomba a mano. Una quarantina di persone vennero ferite e tra loro anche i genitori della piccola vittima ed il fratello, Marco Gadiel, che all’epoca aveva quattro anni, che oggi sono qui con noi: li saluto con affetto. Per riprendere le parole del Presidente della Repubblica nel discorso di insediamento del 3 febbraio 2015, Stefano Gaj Taché “era un nostro bambino, un bambino italiano” suo malgrado tristemente assurto a simbolo del prezzo pagato dal nostro Paese sull’altare dell’odio e dell’intolleranza. L’anniversario del tragico attentato non può non indurre le Istituzioni e i cittadini ad una serie di riflessioni e ad un rigoroso esame di coscienza collettiva: l’attacco al Tempio Maggiore di Roma risveglia in noi l’incubo del mostro antisemita i cui rigurgiti, seppure isolati, purtroppo persistono ancora nella nostra società e, più in generale, nel mondo occidentale. Riemergono le assonanze con gli atti terroristici che, in tempi recenti, hanno funestato diverse città d’Europa e di altri continenti. Ad accumunarli è il medesimo sentimento di odio e la volontà di annientamento del nemico, il tutto ammantato dall’utilizzo della violenza come arma di lotta politica e dalla esaltazione del fanatismo religioso.

La ricorrenza di ieri rappresenta quindi un monito a tutti noi per riaffermare il primato dei valori della libertà, della pacifica convivenza tra popoli e religioni, della tutela dei diritti di tutte le minoranze, oltre che del fermo rifiuto di qualunque tentativo volto a giustificare la violenza quale strumento di affermazione politica o di prevaricazione di un credo religioso. A trentacinque anni dall’attentato al Tempio Maggiore di Roma, appare doveroso rinnovare, a nome dell’intero Senato della Repubblica, un sentito e profondo sentimento di cordoglio alla famiglia del piccolo Stefano, vittima innocente della ferocia terroristica, e rivolgere un abbraccio e un pensiero di stretta vicinanza a tutte le persone colpite, ai loro cari, alla comunità ebraica – rappresentata oggi in Senato dalla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e dalla presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello – e ai cittadini di Roma.

Invito, pertanto, l’Assemblea ad osservare un minuto di raccoglimento.