Signor Presidente della Repubblica, Signore e Signori,
Sono molto lieto di ospitare in Senato questo incontro dedicato alla figura di Pietro Scoppola e alla sua straordinaria esperienza umana e intellettuale, che si è svolta in gran parte, sia da funzionario che da parlamentare, al servizio di questa Istituzione. Saluto cordialmente i figli dell’illustre senatore e ringrazio gli autorevoli relatori, amici e allievi che sapranno certamente descrivere lo studioso, l’uomo, la profondità del suo pensiero e la concretezza del suo impegno.
Negli anni cinquanta, dopo la laurea in giurisprudenza, entra nell’Amministrazione di Palazzo Madama. Con lui supera il concorso un altro dei protagonisti della storia repubblicana: Leopoldo Elia, amico di una vita. I due giovani funzionari entrano così in contatto con le grandi figure della politica italiana presenti in Senato nella prima legislatura: Croce, Nitti, Vittorio Emanuele Orlando, Bonomi, Merzagora, Terracini, Adone Zoli (quest’ultimo fu Presidente della Commissione Istruzione di cui Scoppola era il segretario). Nella Biblioteca del Senato (nella bella sala in cui ci troviamo), diretta per anni dall’amico Vittorio Emanuele Giuntella, completa la sua formazione e pone così le basi per la carriera universitaria, cui si dedica dal 1961. Vincitore di concorso a cattedra nel 1967 viene chiamato alla facoltà di Sociologia a Trento, ma si dimette e resta in Senato per non cedere all’imposizione sessantottina di sostituire le lezioni con dei seminari in cui studenti e docenti avrebbero discusso dei temi scelti dagli stessi partecipanti: una scelta dolorosa che assunse senza esitare, a difesa della libertà di insegnamento. In Senato fu responsabile dell’Ufficio Documentazioni e Ricerche e collaborò alla raccolta degli studi per il ventesimo anniversario della Costituente: sei volumi che costituiscono ancora oggi un punto di riferimento essenziale. Nel 1973 viene chiamato a Roma alla facoltà di Magistero e quindi a Scienze politiche e lascia l’Amministrazione del Senato. Inizia un impegno scientifico e politico che lo rende un punto di riferimento di una generazione di studiosi e che, come i suoi colleghi di facoltà Aldo Moro e Vittorio Bachelet, lo fa persino includere nell’elenco degli obiettivi delle Brigate Rosse. Solo per caso un pacco contenente esplosivo viene scoperto e rimosso dalla sua autovettura di fronte all’Università.
Comincia in quegli anni a interessarsi di politica, che concepisce, forse per l’essere stato funzionario del Senato, in una posizione dialettica, collaborativa, ma di terzietà. Nella sua autobiografia, pubblicata postuma, scrive: “la politica mi ha appassionato come disegno per il futuro, come valutazione razionale del possibile e sofferenza per l’impossibile, come chiamata ideale dei cittadini a nuovi traguardi, aspirazione a un’uguaglianza irrealizzabile che è tuttavia il tormento della storia umana. Mi ha interessato la politica per quello che non riesce a essere molto più che per quello che è”. Una visione anche profondamente cristiana, che lo condurrà a fondare nel 75 la Lega democratica, contribuendo ad avviare un percorso nel mondo cattolico per riavvicinare i cittadini alle istituzioni e rinnovare i partiti. Accetta quindi di essere candidato da indipendente nelle fila della Democrazia Cristiana, con Nicolò Lipari e Roberto Ruffilli, e si ritrova a Palazzo Madama da senatore nella IX Legislatura. Qui partecipa intensamente alla prima commissione bicamerale sulle riforme presieduta da Aldo Bozzi, la prima sede istituzionale nella quale si trasferisce il dibattito, allora già molto vivo nei partiti e nella dottrina, sulla revisione dell’ordinamento per rafforzare la qualità della democrazia e renderla più efficiente e stabile. La Commissione Bozzi, com’è noto, rigetta l’idea di trasformare il Senato in Camera delle Regioni, temendo frammentazioni politico-istituzionali e complicazioni per l’azione di governo; e nella relazione finale propone il passaggio a un bicameralismo paritario, ma differenziato, nel quale alla Camera dei Deputati si affidava in prevalenza la funzione legislativa e al Senato soprattutto quella di controllo, mentre il potere di fiducia veniva attribuito alle due Camere in seduta comune.
Rileggendo gli interventi di Scoppola in bicamerale, che il Senato ha ripubblicato nel 2008 dopo la sua scomparsa, sono rimasto colpito dall’attualità delle analisi. In lui è lucidamente presente la necessità di cercare una sintesi politica fra esigenze di decisionismo, rappresentanza e diritti civili. Pensa che sia giunto il momento di rendere la democrazia istituzionalmente più forte, risultato impossibile negli anni della Costituente, ma rivendica la grandezza dell’opera di rifondazione della convivenza operata dai padri costituenti in un “compromesso nel senso più alto del termine, nel senso di con-promettere, del promettere insieme” (sono parole scritte in un saggio del 1997). Si impegna con energia, ma senza riuscirvi, perché la legge elettorale entri nel dibattito e così, insoddisfatto da quell’occasione mancata, si astiene nel voto finale sulla mozione conclusiva della relazione della Commissione Bozzi, continuando altrimenti il suo impegno nella legislatura, in particolare sul tema della revisione del Concordato e della riforma dell’istruzione superiore. Quel voto di astensione spiega la sua delusione ed il successivo rifiuto a ricandidarsi per le elezioni del 1987.
Colpisce particolarmente la modernità con cui comprende l’urgenza di sbloccare il sistema politico, al tempo stesso con correzioni al sistema istituzionale e con l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Oggi la riforma costituzionale è stata avviata, e a breve sarà sottoposta al giudizio dei cittadini, ma è purtroppo ancora incompiuta la disciplina dei partiti, che, secondo la sua felice intuizione, è invece vitale fare procedere all’unisono con la revisione istituzionale per garantire la realizzazione del “metodo democratico” espressamente voluto dalla Costituzione. Sono convinto che l’attuazione di questa norma sia anche la premessa necessaria a rafforzare la legittimazione etica dei partiti e la loro capacità di selezionare la classe dirigente, in modo da prevenire la grave questione morale che oggi colpisce trasversalmente la politica italiana.
Lasciata la politica attiva, Scoppola non smette però di frequentare la biblioteca del Senato, e continua il suo impegno di intellettuale e riferimento di una vasta area di studiosi e politici. Il fallimento del percorso riformatore e il vuoto lasciato da Aldo Moro lo inducono a una meditazione più complessiva sulle sorti dell’intero sistema politico istituzionale italiano, al di là della crisi della Democrazia cristiana. Riflessioni che si ritrovano nel volume sulla “Repubblica dei partiti” che pubblica nel 1991. Un testo denso di riflessioni e di pensieri, divenuti più profondi negli ultimi anni di dolorosa malattia, che rimangono un vero dono di sapienza civile di un uomo che ha lasciato un’inestinguibile eredità spirituale ai suoi figli, ai suoi cari, ai suoi amici e allievi e a noi tutti che amiamo questo Paese, questa Repubblica e questo Senato. Un uomo che oggi ho avuto l’onore di ricordare. Grazie.