Autorità, Gentili ospiti, cari colleghi,
Sono molto lieto di intervenire alla presentazione della Relazione conclusiva della Commissione di inchiesta istituita presso il Senato sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali. Voglio per prima cosa congratularmi sinceramente con la Presidente Lo Moro, che ha guidato con passione e competenza i lavori, con i senatori componenti la Commissione e tutti coloro, dipendenti del Senato e consulenti esterni (tengo a dirlo, del tutto a titolo gratuito), che vi hanno collaborato. Personalmente ho sempre creduto che sviluppare la funzione di controllo e garanzia del Parlamento, che si esprime anche nel potere di inchiesta parlamentare, sia una delle più interessanti prospettive evolutive del nostro sistema parlamentare, perché consente di approfondire la conoscenza di fenomeni di speciale complessità e trasversalità, come necessario presupposto per l’adozione di adeguata legislazione e per il controllo democratico dell’esecutivo. Per quanto riguarda questa specifica esperienza, a giudicare dalla relazione credo che l’Aula abbia fatto una scelta quanto mai opportuna perché ne emerge un quadro di grande interesse e per molti versi sorprendente su un fenomeno finora mai studiato in modo organico e profondo.
La relazione conclusiva, molto ampia e ben documentata, mette in luce tre aspetti principali. Il primo riguarda l’estensione del fenomeno, che è davvero inaspettata, sotto il profilo della distribuzione territoriale degli episodi di intimidazione e violenza, della loro qualità e intensità, e sotto quello della loro dimensione numerica. Il fenomeno ha indubbiamente portata nazionale, anche se si concentra maggiormente nelle regioni del Mezzogiorno (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia), inoltre in Sardegna e in Lombardia. Il dato numerico è di per se significativo: sono 1265 (870 nel 2013 e 395 nel primo quadrimestre del 2014, con una forte crescita) gli atti di intimidazione considerati, rivolti soprattutto nei confronti di sindaci (per il 45%), e di componenti di giunte e di consigli comunali (per il 40% insieme). Dal 1991 sono 254 i decreti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazioni mafiose, 81 dei quali riportano episodi di intimidazione e di omicidio. Sono 132 gli omicidi in quarant’anni e 70 i casi di dimissioni che si è accertato essere dovute a intimidazioni, laddove molti altri non sono chiaramente collegabili a violenze e minacce, anche a causa della scarsa collaborazione delle vittime con le autorità giudiziaria e di polizia.
Il secondo profilo di interesse riguarda la natura polimorfica e complessa del fenomeno, per quanto attiene sia alle modalità degli episodi, sia alle motivazioni e ai contesti nei quali i fatti maturano. Mi sembra interessante notare che la riconducibilità alla criminalità organizzata, che spesso sfocia in dimissioni o in collusione ed è collegata allo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose, pur se rilevante, è lungi dall’esaurire lo spettro della fenomenologia intimidatoria (il 13,7% dei casi nei quali una matrice è indicata). Fra le altre motivazioni, incide in misura molto ridotta la matrice politico-eversiva, mentre hanno peso sempre crescente gli episodi connessi all’assegnazione di appalti, all’approvazione di piani regolatori, a clientele, all’esasperazione della competizione politica, al disagio sociale dei cittadini, alle proteste per il diritto alla casa.
Infine, è interessante la definizione che adotta la relazione: un’altra storia, una storia poco conosciuta di amministratori locali uccisi, feriti, intimiditi, costretti ad arrendersi e a fuggire dalle proprie responsabilità. E credo che proprio questo sia il merito principale della Commissione, avere ricostruito non una mera sommatoria di episodi eterogenei e slegati l’uno dall’altro, ma un fenomeno, o meglio un complesso di fenomeni, che non sono solo criminali ma che rivelano più ampie tendenze sociali e che sono accomunati dal determinare un grave vulnus per la vita democratica del Paese. In questo senso ho trovato molto pertinenti le proposte della Commissione per “rompere la solitudine degli amministratori locali”, attraverso misure organizzative, anche di monitoraggio; iniziative di carattere culturale e informativo; revisione delle procedure di demolizione dei manufatti edilizi abusivi; riforma della disciplina degli appalti; perseguimento di maggiore trasparenza delle procedure di assegnazione di sussidi; rafforzamento dei controlli preventivi sull’attività amministrativa; modifiche penali.
Provando adesso ad allargare la visuale a me sembra che la relazione sia uno stimolo per spingere la politica ad interrogarsi di più, e meglio, su una serie di temi: il valore del governo locale nel nostro sistema costituzionale e amministrativo e la tutela degli amministratori locali; il forte disagio dei cittadini di fronte all’inefficienza amministrativa; l’evoluzione dei fenomeni mafiosi e criminali, che coinvolge spesso la politica e le istituzioni locali. A quest’ultimo proposito, ritengo molto preoccupante quanto messo in luce da recenti indagini nel centro-nord Italia (Expo, Mose, “Mafia Capitale”, Ischia) e cioè il consolidamento di un’area che coinvolge, insieme a mafiosi e criminali, politici, imprenditori, professionisti e amministratori pubblici, spesso locali. Una nuova forma criminale caratterizzata dalla saldatura fra mondi diversi (criminale, sociale, politico, economico) che è garantita dalla corruttela, dal perseguimento del profitto ingiusto come unica morale, dalla generale caduta etica del Paese, che riguarda anche la politica locale. Questa è la ragione che mi ha spinto a impegnarmi tanto sulla criminalità economica e la corruzione e che, ritengo, dovrebbe spingere i partiti e le istituzioni ad una scelta di campo inequivocabile. Dobbiamo assicurarci che nelle reti di relazioni tra il mondo criminale e gli amministratori pubblici l’intimidazione, la violenza non lascino, come spesso avviene, il posto alla convenienza, alla collusione, alla corruzione, al favoritismo, alla fusione e coincidenza di interessi comuni lontani dalle esigenze dei cittadini. Come si evidenzia anche nella relazione, gli amministratori locali minacciati dalla criminalità hanno tre scelte: dimettersi; abbassare la testa, entrando nella rete illecita; oppure, come sono certo fa la stragrande maggioranza degli amministratori locali onesti, restare al proprio posto difendendo la dignità della funzione e l’interesse degli amministrati. Tutelando gli amministratori anche sotto il profilo dell’incolumità personale e patrimoniale, noi possiamo fare in modo che aumenti sempre più quest’ultima categoria. Credo poi che molte misure che la relazione propone potrebbero avere effetti tangibili ma penso anche che sia urgente intervenire sulla profonda crisi di fiducia fra i cittadini e la politica, restituendo a tutte le amministrazioni pubbliche, locali e centrali, la credibilità e l’efficienza che sono alla base dell’autorevolezza e del rispetto da parte dei cittadini.
Concludo con l’auspicio che le forze politiche facciano buon uso del lavoro della Commissione e delle proposte che ha presentato, tenendo a mente che il governo locale è la chiave di ogni democrazia perché è il volto con cui lo Stato si presenta ai cittadini per risolvere i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana. Investire nell’amministrazione locale, anche tutelando gli amministratori nel loro difficile lavoro, è il modo migliore per fare ripartire il Paese mettendo davvero al centro l’interesse generale, la persona umana e i bisogni dei più deboli, dei giovani, degli ultimi. Grazie.