di Monica Guerzoni e Alessandro Trocino per il Corriere della Sera
Pietro Grasso gioca d’anticipo e annuncia un piano per «alleggerire la macchina» di Palazzo Madama, sfrondando del 33 per cento le posizioni dirigenziali. «Non è una risposta a chi vuole abolire il Senato, sarebbe una lettura sbagliata – spiega la seconda carica dello Stato -. È una scelta indispensabile per far funzionare Palazzo Madama, qualsiasi cosa diventerà. Non una decisione contro la riforma costituzionale, ma a favore». E se il progetto del governo prevede di cambiarne il nome, Grasso spinge per conservare la tradizione: «Il Senato deve chiamarsi Senato, è un made in Italy che non si può perdere, almeno il nome teniamolo…».
Quella che Grasso chiama «operazione strutturale virtuosa» procederà in parallelo con le riforme: razionalizzazione delle risorse, accorpamento di servizi e sforbiciata dei dirigenti. I posti vacanti saranno rimpiazzati, ma per stoppare in anticipo le polemiche Grasso fa sapere che i nuovi capi dei servizi, compresi i tre vicesegretari generali, incasseranno la promozione senza percepire alcuna indennità aggiuntiva: «Nomine a costo zero, attese da anni… Nessuna amministrazione è mai riuscita a tagliare il 30 per cento dei dirigenti».
Nasceranno due nuove strutture, una dedicata all’Europa e l’altra alle Regioni. Palazzo Madama sarà «spacchettato» in due. Il polo bibliotecario, il polo informatico, il bilancio e le delegazioni internazionali verranno messi in comune con la Camera e diventeranno «Servizi del Parlamento». Gli uffici che resteranno al Senato verranno accorpati: le commissioni bicamerali avranno un solo direttore di servizio. Questa l’idea di riforma che Grasso sottoporrà al consiglio di presidenza e ai sindacati: «Sono soddisfatto per l’avvio delle trattative per istituire il ruolo unico dei dipendenti di ciascun ramo del Parlamento».
Oggi i senatori daranno il via libera all’accordo sulla parità di genere nella legge europea. La mediazione raggiunta prevede un piccolo passo avanti per queste elezioni (con una norma transitoria) e uno più grande per le prossime (2019), che comprenderà anche l’alternanza nelle liste. Ma se si chiude un fronte, ecco aprirsene un altro. Si partirà dalla riforma del bicameralismo, lasciando decantare l’Italicum. Il Ncd è pronto a rimettere in discussione due punti cardine della bozza renziana, la non elettività dei membri e la riduzione del numero dei componenti. Sul piede di guerra anche le Regioni, che oggi presentano un loro documento al governo. Anche nel Pd la tentazione di ridare sostanza e corpo al Senato è forte e la minoranza potrebbe rialzare la testa già nell’assemblea di gruppo, stamattina.
La mediazione sulla parità dovrebbe reggere, anche senza l’abbassamento della soglia al 3 per cento, richiesta dai centristi e respinta: Scelta Civica voterà sì, mentre i Popolari per l’Italia potrebbero decidere di astenersi. Spiega Lucio Romano (Ppi): «Siamo forza di governo e responsabili, ma l’abbassamento della soglia era necessario. Decideremo oggi». Quanto al Senato, alle 8 primo incontro tra i governatori e il premier. Alle 9.30 arriverà la delegazione dell’Anci (i Comuni). Ieri i governatori hanno studiato una bozza di documento, nella quale si fa il punto sulle competenze e si chiede un ripensamento sull’idea del governo di introdurre 21 membri di nomina presidenziale. Si chiederà anche un «gruppo ristretto di lavoro tra Regioni, Anci e governo».
Ma è sull’elettività dei membri che si combatterà la battaglia più dura. Tra i governatori, la tentazione del Senato elettivo ci sarebbe. Claudio Burlando è fiducioso: «Nessuno ci credeva davvero. Ora con Renzi si fa sul serio». Giorgio Tonini, che ha presentato un suo ddl, vorrebbe modifiche sulla composizione: «Io sono per il Bundesrat tedesco. Ma le Regioni devono essere più rappresentate dei Comuni e devono essere ponderate: la Lombardia non può valere il Molise».