La clemenza necessaria. Amnistia, indulto e riforma della giustizia

Signor Presidente, Autorità, gentili ospiti,

sono molto lieto che il Senato possa ospitare l’incontro odierno, promosso dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato insieme alla Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Ringrazio Luigi Manconi e Sandro Gozi per l’impegno profuso nell’organizzazione di questo evento. Saluto il Presidente della Repubblica, che oggi ci onora della sua presenza.

Il titolo di questo incontro, dedicato ad una riflessione sui temi dell’amnistia, dell’indulto e della riforma della giustizia, parla di una clemenza “necessaria”.

Come tutti sapete, l’amnistia e l’indulto sono provvedimenti di clemenza, concessi dallo Stato ai soggetti condannati per determinate tipologie di reati, rispetto ai quali la Costituzione prevede specifiche garanzie; mi riferisco non solo all’approvazione con legge, ma anche ai quorum elevati richiesti per le relative deliberazioni. Non vi è dubbio che il Parlamento italiano sia sovrano rispetto a queste decisioni che per il loro rilievo istituzionale e il loro impatto sulla tutela dei diritti umani devono sfuggire alle logiche maggioritarie che accompagnano l’ordinario procedimento legislativo.
Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dello scorso 8 gennaio, la situazione di sovraffollamento carcerario che da anni contraddistingue la rete penitenziaria italiana è diventata una condizione giuridicamente, oltre che eticamente, non più rinviabile. Entro il 28 maggio 2014, l’Italia dovrà conformarsi alla sentenza, adottando rimedi strutturali capaci di ridurre la popolazione carceraria e di prevenirne, pro futuro, la crescita.

Le conseguenze, in caso di mancata ottemperanza, sarebbero gravi. Dopo la sentenza Torreggiani, la Corte di Strasburgo ha ricevuto circa 2.500 ricorsi da detenuti italiani che denunciano le condizioni cui sono sottoposti a causa del sovraffollamento. Altri 730 ricorsi su analoghe questioni sono ad oggi all’esame della Corte.

La ricerca di una soluzione strutturale al problema è oggi una necessità per il nostro Paese. Negli ultimi anni, i nostri penitenziari hanno registrato una prima riduzione della popolazione carceraria, passata dai circa 69.000 detenuti del 2010 ai 64.564 attuali. E’ un primo risultato cui hanno contribuito diverse misure, dalla depenalizzazione dei reati minori alla promozione di misure alternative al carcere, dalla limitazione nel ricorso alla custodia cautelare all’estensione del lavoro esterno.

Abbiamo nel nostro ordinamento certe leggi che io definisco “carcerogene”, perché creano nuovi reati e quindi determinano altri condannati che poco senso ha tenere nei penitenziari piuttosto che in strutture diverse di sostegno, che vanno però adeguatamente finanziate, o come la “Ex Cirielli”, che diminuisce la possibilità di misure alternative.

Abbiamo invece leggi ottime che da anni non vengono sostenute: penso alla nota “Legge Smuraglia” che serve a dare ai detenuti opportunità professionali e di formazione e trasformare le “carceri della vergogna” in “carceri della speranza”.

Dobbiamo poi affrontare il tema della custodia cautelare: se quasi la metà dei detenuti è “in attesa di giudizio” è perché i processi da noi arrivano a durare 10, 12 anni. Il tema dei tempi della giustizia è basilare anche per dare certezza all’esecuzione della pena. In questo io ho spesso proposto di bloccare il decorso della prescrizione nel momento in cui inizia il processo, e altre piccole riforme in questo senso tra cui l’improcedibilità per tenuità del fatto.

Abbiamo inoltre l’esigenza di assumere un numero congruo di agenti di polizia penitenziaria – non solo, da tempo non vengono indetti concorsi per nuovi direttori penitenziari – di risanare le tante carceri e i tanti padiglioni chiusi per problemi banali, di mettere in funzione ottime strutture al momento chiuse: spesso nei mesi scorsi ho citato il caso del centro di detenzione di Busto Arsizio, una struttura pensata per la detenzione di soggetti disabili munito di piscina per le terapie, che è chiuso, mentre decine di detenuti disabili sono tenuti in centri non attrezzati, sommando pena a pena.
La scadenza del 28 maggio 2014 ci impone però di agire rapidamente e andare oltre questi interventi, che pure – ne sono convinto – sono destinati a produrre risultati importanti in un’ottica di medio-lungo periodo. In questo scenario, si inserisce il dibattito sull’amnistia e sull’indulto come atti di clemenza “necessari”.

Nella mia veste di Presidente del Senato, non posso entrare nel merito delle scelte che il Parlamento sarà chiamato a compiere rispetto a questi temi. Mi limito però a richiamare la vostra attenzione sull’esigenza di considerare la riforma della giustizia come una componente essenziale di questo confronto.

Il sottotitolo di questo incontro lo richiama espressamente. Non possiamo, infatti, pensare di affrontare strutturalmente il problema del sovraffollamento carcerario senza soluzioni che, a regime, consentano di adeguare il ricorso alla misura della detenzione con le capacità di accoglienza dei nostri penitenziari.

Il nostro ordinamento deve affinare la propria capacità di differenziare il ricorso alla detenzione in rapporto alla natura del reato, alla personalità del reo e al contesto sociale di riferimento, al fine non solo di promuovere una migliore gestione della popolazione carceraria, ma anche di individuare percorsi rieducativi mirati.

La riforma della giustizia non preclude, ma anzi presuppone, che si prosegua con sempre maggiore incisività nella ristrutturazione della rete carceraria, soprattutto per garantire condizioni di vita più adeguate agli standard internazionali. Non è casuale che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia richiamato come parametro della propria decisione l’articolo 3 della Convenzione europea, rubricata come “proibizione della tortura”.

Nella direzione indicata dal Capo dello Stato nel messaggio al Parlamento del 7 ottobre scorso va il Disegno di legge “Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”, che è stato comunicato alla Presidenza del Senato il 21 novembre e che al più presto sarà portato in Aula.

Questo DDL tocca diversi aspetti segnalati dal Presidente Napolitano e che mi stanno a cuore, in particolare l’introduzione delle pene detentive non carcerarie nel Codice Penale e l’intera riforma del sistema delle pene (quest’ultima introdotta dalla Commissione Giustizia del Senato); le modalità di espiazione della reclusione domiciliare e dell’arresto domiciliare; la depenalizzazione di fattispecie contravvenzionali disciplinate da leggi diverse dal Codice Penale, fra cui il reato di “immigrazione clandestina”; la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato; la sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili. Ritengo che questo complesso di interventi normativi contribuirà alla necessaria deflazione delle carceri, ma soprattutto eviterà che il fenomeno continui a riprodursi.

Sono certo che il dibattito odierno consentirà di meglio orientare il confronto politico su un tema che – investendo forse il più fondamentale tra i diritti fondamentali, quello della libertà personale – impone scelte mature, ponderate e responsabili da parte delle istituzioni rappresentative. La mia pregressa esperienza di magistrato mi ha fatto conoscere personalmente le scelte tragiche cui la giustizia ogni giorno è chiamata e le difficoltà operative che spesso ne accompagnano l’esecuzione. Oggi, come Presidente del Senato, non intendo venire meno alla promessa fatta, all’atto della mia candidatura, di un impegno attivo per la riforma della giustizia. Lo intendo fare nel rispetto di quel ruolo arbitrale che è proprio della carica che ricopro; il quale ciononostante non mi impedirà di utilizzare tutti i poteri a mia disposizione per richiamare l’attenzione dell’istituzione che rappresento sulla necessarietà delle riforme che il nostro Paese è chiamato ad adottare, ed anche sulle relative ricadute, umane e giuridiche.