E’ per me motivo di particolare soddisfazione ed orgoglio salutare oggi la pubblicazione dei primi quattro volumi dei Diari di Amintore Fanfani, realizzata con encomiabile ed attenta cura dall’Archivio storico del Senato in preziosa collaborazione con la Fondazione Fanfani.
I Diari sono un’opera di grandissimo valore, che copre un ampio arco di tempo e che si divide in due parti ben distinte: la prima raccoglie le riflessioni del periodo svizzero successivo all’8 settembre del 1943; la seconda racconta il lungo e autorevole viaggio di Fanfani attraverso la politica e le istituzioni.
L’evidente differenza di stile letterario tra le due parti e il loro riferirsi a due fasi della vita di Fanfani nettamente distinte, separate proprio nella cronologia dei Diari da uno spazio bianco di più di 3 anni, non incrina però la fondamentale unità dell’opera. Un’unità che è data dal percorso di Fanfani, che si dispiega secondo una linearità che è determinata essenzialmente dalla forte spiritualità religiosa, dalla profonda cultura e dalla salda fiducia nella democrazia.
C’è una pagina dei Quaderni svizzeri (datata 28 settembre 1943) che da sola vale a colmare i tre anni e mezzo di silenzio della memoria e che proietta sugli anni e sui decenni successivi il senso e la luce di una moralità che attinge alla fede religiosa per farsi impegno civico e politico: “Il caos che è succeduto al 25 luglio e all’8 settembre in fondo è provvidenziale; spazzerà la piazza di tutte le immondizie e di tutti i residui di precedenti esperienze. Il grande incendio consumerà laceri programmi e deboli candele. Quando il buio tornerà grande, sarà il momento di accendere la nuova lucerna”.
La nuova lucerna è il raggiungimento della “massima espansione della persona”, la convinzione che con la fine del fascismo non si chiuda semplicemente una parentesi, ma piuttosto si valichi una soglia, al di là della quale dovrà stare un nuovo assetto della politica, della società, delle istituzioni, una Civitas humana nella quale l’umanesimo integrale dovrà sostenere e alimentare un interventismo economico orientato al benessere sociale e alla libera espansione della persona.
Quella lucerna illumina l’importantissimo contributo che Fanfani dà ai lavori della Costituente, alla quale giunge men che quarantenne, ma già affermato studioso. Il suo profondo e meditato personalismo non solo gli ispira la felice sintesi di sensibilità diverse nella formulazione dell’articolo 1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”), ma lo induce anche a sostenere alla Costituente che lo sviluppo economico si fonda sulla produttività del lavoro, ostacolata dalla sua precarieà e dall’insufficiente salario.
Il lavoro e il diritto al lavoro sono nella Civitas humana di Fanfani il punto sul quale fare leva per realizzazione, nel sistema costituzionale italiano, il pieno sviluppo della persona umana.
La lucerna della “massima espansione della persona” illuminerà sempre la sua attività di Ministro, di Presidente del Consiglio, di Presidente del Senato, la sua vita di politico e di studioso, come dimostra il suo ultimo scritto (Tre rivoluzioni industriali, due guerre mondiali ed ora?), un inedito del 1992 conservato presso il Fondo Fanfani dell’Archivio storico del Senato.
In questo saggio lo storico dell’economia, il filosofo morale e l’uomo politico riflettono con grande sensibilità ed intelligenza sulla sfida aperta dalle più recenti innovazioni tecnologiche, in primis dalla rivoluzione informatica. L’interrogativo che, sin dal titolo, Fanfani pone con questo saggio si indirizza anche e soprattutto alla classe politica, sulla quale grava il compito di procedere agli aggiornamenti istituzionali richiesti da quella sfida.
Ancora una volta, come già all’epoca del varo dei Regolamenti parlamentari del 1971, Fanfani guarda con lungimiranza ben al di là del presente.
Tra i Regolamenti del 1971 e il saggio inedito del 1992 si colloca un ventennio segnato da un susseguirsi di eventi e mutamenti di grande rilievo storico e politico. Se però proviamo a leggere quei Regolamenti non solo con gli occhi del passato, ma anche con quelli del futuro (pensando, ad esempio, al Trattato di Lisbona del 2007), allora l’arco di quel ventennio si restringe e l’interrogativo che Fanfani nel 1992 pone alla classe politica può trovare una prima risposta proprio nel legato più importante dei Regolamenti del 1971, nella centralità della democrazia parlamentare quale insieme di procedimenti per l’integrazione democratica del pluralismo e per la legittimazione degli assetti di governo.
La profonda lungimiranza della riflessione di Fanfani si mostra anche nell’autorevole contributo da lui dato al dibattito sulle riforme istituzionali.
Nel 1988 Fanfani sottolinea, in largo anticipo sui tanti successivi profeti delle nuove forme di comunicazione, che i Costituenti vollero definire un sistema di democrazia rappresentativa arricchito da un’importante fisionomia partecipativa. Afferma inoltre, più di venti anni fa, che le innovazioni tecnologiche avrebbero potuto conferire nuova vitalità alla partecipazione dei cittadini alla vita democratica, determinando una maggiore apertura dei soggetti politici ed istituzionali alle loro proposte.
Voglio ricordare anche che Fanfani fu sempre convinto che il bicameralismo costituisce una garanzia della democraticità del sistema di governo ed un elemento di forza, e non di debolezza, dell’istituzione parlamentare, perché consente al Parlamento di far fronte con maggior efficacia alla grande responsabilità di rappresentare la società per dare qualità democratica all’agire dello Stato nel nuovo orizzonte aperto dalla terza rivoluzione industriale.
Credo che per adempiere a questa responsabilità – come Fanfani afferma nella Conferenza tenuta a Ginevra il 15 gennaio 1945 – la politica debba davvero essere l’arte del bene comune, tanto nella quotidianità quanto nella straordinarietà delle scelte.