Signor Presidente della Repubblica, carissimi Franco e Filippo La Torre, Autorità, carissime ragazze e carissimi ragazzi,
sono molto onorato di concludere i lavori di questo incontro in occasione del 90° anniversario dalla nascita di Pio La Torre. Il suo ricordo non deve essere sfiorato dall’oblio, in quanto rappresenta un modello di uomo politico di estremo rigore morale, non influenzabile da lusinghe, pressioni e intimidazioni. A quasi trentacinque anni da quel 30 aprile 1982, quando il gruppo di fuoco, formato da uomini d’onore scelti per la loro abilità e ferocia dai vertici di Cosa Nostra, assassinò uno dei loro più tenaci e valorosi avversari, il lascito morale, giuridico e politico di Pio La Torre continua a costituire una guida per le donne e gli uomini delle istituzioni e per tutti i cittadini che hanno a cuore la giustizia, la pace, la libertà e i diritti delle persone.
Eletto nel 1952, nelle fila del Partito comunista italiano, consigliere al Comune di Palermo, nel 1963 deputato all’Assemblea regionale siciliana, e nel 1973, dopo quattro anni da dirigente di Partito, a Montecitorio, non mancò mai di porre il tema della mafia al centro della sua azione politica, denunciandone con coraggio e fermezza la connivenza con le amministrazioni e i potentati economico-politici locali ed il coinvolgimento nella speculazione edilizia, nel sistema degli appalti pubblici e in specifiche situazioni di malaffare. Fra i suoi incarichi in Parlamento, quello di membro della Commissione Antimafia che espletò ammirevolmente (come la Presidente Bindi ha ricordato), redigendo a fine legislatura una Relazione di minoranza sottoscritta da altri sei membri, il cui valore si è affermato con l’andare del tempo, tanto che la Commissione attuale ha deciso l’anno scorso all’unanimità di ripubblicarla, riconoscendola come la prima relazione parlamentare sul rapporto fra mafia e politica. Il 6 marzo 1980 tenne nell’Assemblea di Montecitorio un ampio e organico intervento sulla lotta alla mafia, seguito dalla presentazione di una mozione che fu votata a scrutinio segreto e approvata. Il 31 marzo 1980 presentò da ideatore e da primo firmatario un disegno di legge recante norme di prevenzione e di repressione del fenomeno mafioso e sulla istituzione di una Commissione parlamentare permanente di vigilanza e controllo. Quel disegno di legge fu l’embrione della futura legge del 13 settembre 1982, n. 646, nota come legge “Rognoni-La Torre”. Provvedimento davvero epocale che ha cambiato il corso della lotta contro la mafia e, io credo, anche la storia del nostro Paese. L’introduzione nel codice penale del delitto di “associazione di tipo mafioso” e la previsione delle misure patrimoniali per sequestrare e confiscare i capitali, sono tuttora il cuore del sistema antimafia italiano che è considerato modello di riferimento nel mondo.
Egli era stato anche il principale artefice di una serie di proposte, presentate nel marzo 1982 al Presidente del Consiglio Spadolini, e al Ministro dell’Interno Rognoni, da una delegazione del P.C.I. composta dallo stesso La Torre, dal Sen. Pecchioli e dall’On. Rita Bartoli Costa, vedova del Procuratore di Palermo ucciso dalla mafia. Con queste proposte si chiedeva, fra l’altro, l’istituzione a Palermo di un’efficace struttura di coordinamento nella lotta alla mafia, con compiti di indagini permanenti e sistematiche, estensibili anche all’estero; il risanamento del sistema carcerario, con particolare riguardo alla struttura dell’Ucciardone, dove lui fu per oltre un anno ingiustamente detenuto per motivi politici; l’aggravamento delle sanzioni penali e, per converso le riduzione di pena per i c.d. “pentiti”, nonché l’integrazione e una migliore distribuzione degli organici di magistratura e polizia. Insomma egli aveva già ideato ed espresso, con impressionante lucidità e determinazione, quella strategia antimafia che si riuscirà ad attuare nella fase iniziale col maxi-processo contro la mafia ed in maniera più completa anni ed anni dopo. Ci vollero, infatti, le stragi di Capaci e di via D’Amelio per risvegliare le coscienze dei cittadini e per rendere ineludibile e improcrastinabile l’intervento del Governo e del Parlamento per una seria e concreta politica antimafia.
La Torre era tornato in Sicilia nel settembre 1981, designato dalla Direzione nazionale del P.C.I. all’incarico di Segretario regionale, compito particolarmente delicato, in un momento di grande difficoltà sia per la situazione politica generale, dopo l’assassinio di Piersanti Mattarella, sia per l’ordine pubblico in particolare, a causa delle centinaia di omicidi connessi alla seconda guerra di mafia. Il generale clima di tensione chiaramente avvertibile in quel periodo in Sicilia, avevano indotto un pacifista come La Torre, preoccupato per l’incolumità sua e del suo autista Di Salvo, ad acquistare una rivoltella, che comunque non portava con se, tanto che fu rinvenuta a casa dopo la sua morte.
Egli aveva portato nel nuovo incarico le conoscenze e le esperienze maturate negli anni precedenti, impegnando tutte le sue energie, oltre che verso il rilancio anche organizzativo del partito dopo i deludenti risultati elettorali dello stesso anno, a due temi che riteneva essenziali per un reale sviluppo dell’isola: la lotta alla mafia e l’impegno per la pace, attraverso un movimento contro l’installazione dei missili “Cruise” nella base militare statunitense di Comiso. Egli temeva anche che Cosa Nostra avrebbe potuto accrescere il proprio potere economico traendo vantaggio dagli appalti. Certamente poi il suo porsi come ostacolo al progetto infastidì tanto Cosa Nostra palermitana quanto Cosa Nostra americana. Ad ogni modo, del suo estremo rigore morale non può dubitarsi se si considera che si contrappose anche a quella parte del suo stesso partito e a quelle organizzazioni collaterali, come le cooperative, che in qualche modo si erano avvicinate al malcostume e alle possibili connivenze tipiche di quell’ambiente che egli tanto accanitamente combatteva.
Il delitto La Torre, come del resto l’omicidio Mattarella, sono delitti politico-mafiosi, nel senso che sono la reazione, con connotazioni anche terroristiche o intimidatorie, all’azione di quelle persone che operavano per il rinnovamento e così mettevano in grave pericolo il complesso degli interessi mafiosi collegati con la realtà economico-politica siciliana. Il delitto rientrava del resto nell’ottica della nuova strategia mafiosa che, con il prevalere della corrente dei “corleonesi”, agiva ormai sfidando apertamente il potere dello Stato con un metodo sostanzialmente terroristico eliminando tutti coloro, quindi soprattutto gli uomini delle Istituzioni, che in qualunque modo ostacolavano i fini e gli interessi dell’organizzazione. Tutti i collaboratori di giustizia sono stati concordi nel riferire che la Cupola aveva deciso questo omicidio a causa dell’impegno profuso dal parlamentare contro Cosa Nostra e in particolare a causa della proposta di legge presentata da La Torre riguardante la confisca dei beni illecitamente accumulati dagli uomini d’onore. In merito a questa proposta di legge, Salvatore Greco – detto “il senatore” per i suoi contatti con gli ambienti politici, nonché fratello di Michele “il papa”, a capo dell’organismo di vertice di Cosa Nostra – aveva appreso dai suoi contatti politici che l’orientamento del Parlamento, originariamente contrario, era divenuto a un certo punto favorevole. Venne riferito ai mafiosi anche che Pio La Torre aveva addirittura preso per il bavero alcuni esponenti politici per indurli energicamente ad approvare la legge. Si era persino sparsa la voce, negli ambienti mafiosi, che alcuni sindacalisti stavano già progettando – dopo l’approvazione della legge – di destinare i beni mafiosi a uffici o civili abitazioni. Il pericolo era considerato così grave e imminente che si esortavano gli uomini d’onore a non indugiare nel trasferire all’estero i profitti del traffico di droga. Salvatore Greco riferì anche che certi uomini politici gli avevano fatto sapere che l’eliminazione di La Torre avrebbe forse impedito l’approvazione della legge o quantomeno ne avrebbe attenuato il rigore riguardo al sequestro dei beni. In effetti, il suo omicidio non provocò affatto come in altri casi un’accelerazione dell’iter legislativo: non bastò la sua morte ma si dovette attendere l’emozione e l’emergenza criminale determinata dall’omicidio Dalla Chiesa, dopo quasi cinque mesi, per spingere finalmente la politica ad approvare la legge Rognoni-La Torre. A distanza di tanti anni, auspico che si dia corso immediatamente alla discussione delle modifiche al Codice Antimafia, che peraltro attengono anche proprio alla materia delle confische dei patrimoni illeciti, e alle riforme che riguardano il processo penale.
Dalla mia esperienza di magistrato antimafia e dalle carte processuali mi è rimasta impressa come esemplare la sua figura di uomo politico, capace di guardare con lungimiranza al bene dei cittadini e di prendere per il bavero i politici timidi contro la mafia e la corruzione, per convincerli che contro l’illegalità e le collusioni è necessario un impegno preventivo e repressivo eccezionale. La Torre è stato un uomo concreto, lontano da qualsiasi estremismo ideologico, innamorato dei diritti delle persone e dei valori in cui credeva, che gli conferivano quella fermezza coraggiosa che lo rese subito un pericoloso nemico del malaffare politico-mafioso. La Torre riteneva (sono parole che pronunciò al IX Congresso regionale del Partito Comunista, il 14 gennaio del 1982) che si dovessero “spostare forze decisive su posizioni più avanzate, impegnandole a prendere le distanze dai gruppi conservatori, parassitari e mafiosi, che dall’interno dei partiti bloccano ogni processo di rinnovamento”.
Sono convinto, Signor Presidente della Repubblica, cari colleghi e amici, che in questo momento di grave declino etico della politica e di incapacità della classe dirigente di pensare strategicamente il futuro del Paese fuori dalle contingenze e dai personalismi, il messaggio politico di Pio La Torre, di assoluta dedizione agli interessi dei cittadini e la sua capacità di visione strategica, siano un patrimonio prezioso a cui ispirarsi e da trasmettere alle prossime generazioni. Grazie.